Viva L'Italia (LP, Album, Gat) RCA
Italiana PL 31480 Italy 1979
Viva L'Italia (Cass, Gat) RCA Italiana PK
31480 Italy 1979
Viva L'Italia (LP) RCA Victor PL 31480 Germany 1979
Viva L'Italia (LP, Album, Promo, Gat) RCA
Italiana PL 31480 Italy 1979
Viva L'Italia (CD, Album, RE, Dig) Sony
Music, RCA 88843067572 Italy 2014
Prodotto
da Andrew Loog Oldham per la Because Productions. Arrangiamenti di
David Sinclair Whitaker. Assistente alla produzione: Michael Kivana.
Tecnico registrazione e missaggio: Phil Chapman. Hanno
inoltre collaborato: Les Paranoia, Freddie
De Hagen, David Sinclair Whitaker, The Tiburtina Chamber Orchestra,
Pasta Pipe Orchestra & Chorus, Fregene Caballeros. Foto: Luciano
Costarelli e Fausto Ristori. Copertina di Francesco Logoluso.
Recordista: Raffaele Cricchi. Registrato e missato nello studio
"D" della BMG Ariola, Roma - 5 Settembre - 4 Ottobre 1979. CD
Artwork: Mario Scardala. Ed. BMG
Ariola/SERRAGLIO
ll "Cast" di "Viva
l'italla" ringrazia tutti gli amici della
BMG Ariola e specialmente Angelina e i "Manila Cleaners" e poi,
Michael Klvana per la sua collaborazione a livelli cosmici; Reg e Adrian, Philip
de Havilland, Wally Karma, LB III i e tuffi quelli della Olympic Holding
Company, Susan Duncan Smith ed Angelo Franchi, EFO, Bert O'Lucci, Guido
Podestà, Gaetano Mariani, Ubaldo Consoli e "Eva Peroni" bionda,
rinfrescante e di grande aiuto, R.B., la Fondazione di Via Bordighera e i
Signori Melis, Zeppegno e Fanti.
Grazie anche a Lucio Dalla per la sua improvvisa e meravigliosa presenza negli
studi e a tutti coloro che hanno collaborato con tutto il loro affetto insieme a
Francesco e per Francesco. |
Nel
pallido sole di ottobre esce il disco del dopo Banana Republic. Dopo
vari tentativi di realizzarlo con una band italiana, Francesco si affida
(ma sempre in Italia) a quattro musicisti americani: Phil Spencer, Mike
Neville, Jerry Shirley e Tommy Eire. I famosi degregorianizzati!
Ma
prima di ottobre qualcosa è già successo: l’anno si apre con le
uccisoni dell’operaio Guido Rossa, di Mino Pecorelli, del consigliere
regionale Schettini e del colonnello dei carabinieri Varisco; ci governa
Cossiga con una coalizione politica DC, PLI, PSDI; l’ayatollah
Khomeini, costretto all'esilio in Francia sin dal 1963, rientra
trionfalmente in Iran. Il nuovo Stato si caratterizza per una
repressione del dissenso ancora più feroce di quella attuata dallo
Scià, che intanto esilia in Marocco; in Sardegna vengono rapiti
Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi; Elton John è la prima pop star ad
esibirsi a Mosca; sangue artificiale realizzato da Ryoichi Naito; la
Sony inventa il walkman e la Philips inventa il Compact Disc; viene
assegnato il Nobel per la pace a Madre Teresa di Calcutta; Margaret
Tacher viene eletta primo ministro inglese; nasce Rai Tre; pioggia
radioattiva alla centrale di Three Mile Island in Pennsylvania, è il
più grave disastro nucleare degli anni Settanta; un commando di
"Prima linea" uccide a Milano il sostituto procuratore Emilio
Alessandrini. Stava indagando sulla strage di Piazza Fontana e sui fondi
neri del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi; Nilde Jotti viene eletta
Presidente della Camera. E' la prima donna a ricoprire una carica
istituzionale; dopo le dimissioni di Paolo Baffi, viene nominato
Governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi; vengono
assassinati a Palermo il capo della squadra mobile Boris Giuliano e l'ex
parlamentare Pci Cesare Terranova; un gruppo di studenti islamici assale
a Teheran l’ambasciata americana prendendo in ostaggio 66 persone per
444 giorni; L'URSS invade l'Afghanistan; muoiono John Wayne, Sid Vicious,
Giuseppe Meazza, Ugo La Malfa, Demetrio Stratos, Rachele Mussolini,
Amedeo Nazzari e Maurizio Arena.
A
Città del Messico, Pietro Mennea diventa primatista mondiale nei 200
metri; Kevin Keegan vince il Pallone d’Oro e la domenica sera Tito
Stagno ci racconta che il Milan vince lo scudetto della stella con
Albertosi, Bet, Maldera, De Vecchi, Collovati, Turone, Novellino,
Buriani, Chiodi, Rivera, Antonelli, (All. Liedholm). Gianni Rivera
lascerà subito dopo.
Viaggiamo
con la Talbot Horizon, la Peugeot 305, l’Opel Kadett.
Il
Premio Strega va a Primo Levi con La chiave a stella e il Campiello va a
Mario Rigoni Stern con Storia di Tönle.
Le
emittenti televisive private diffondono a pieno ritmo la vecchia
produzione cinematografica e ciò provoca una crisi che si abbatte ben
presto sul cinema. Avendo questa nuova comodità a casa, andiamo di rado
al cinema e quel poco che vediamo nelle poche sale rimaste sono
Apocalypse now, Kramer contro Kramer, Sindrome cinese, Prova
d'orchestra, All That Jazz, Cristo si è fermato ad
Eboli, Manhattan, Hair, Il malato immaginario, 1941 allarme a Hollywood, Salto nel buio,
Sinfonia d'autunno, Il Vizietto, Ciao nì.
Ci
intossichiamo con Soflì, Biscotti Ringo, Pocket Coffee, Bikini Algida,
gli intramontabili Baci Perugina, Caffè Paulista, Camillino gelato con
biscotto Eldorado, Charms Alemagna. Mentre negli Stati Uniti aumenta il
gradimento del cibo “made in Italy”, in Giappone c’è un vero e
proprio boom dei ristoranti italiani. A casa nostra, al contrario,
cominciano ad aprire le steak house e i primi fast-food in puro stile
americano. Giochiamo con le
micro-machines, la Famiglia felice, il Fiammiferino.
In
televisione c’è la La Smorfia, Luna Park, Charlie's angels, The
visitors, Fantastico con Loretta Goggi, Capitan Harlock. E’ l’inizio
delle telepromozioni con sederini sudati che vibrano dalla mattina alla
sera, ai primi cento una mountain bike con cambio Shimano a “centoventotto
velocità” e … alzate la cornetta, Mondial Market vi aspetta.
Leggiamo
Popster, Famiglia cristiana, Se una notte d'inverno un viaggiatore,
Perduto amore, Un uomo.
Di
moda vanno la macchina fotografica Pentax, il Bull Terrier e il Dogo
Argentino, l’amplificatore Piooner, fare i figli delle stelle, i
viaggi negli Stati Uniti e Canada, Montercarlo, Costa Azzurra, Kenia con
la Range Rover.
Spot
da ricordare sono “Kadonett, la lacca che si toglie con tre colpi di
spazzola”; “Io crescerò, bellissimissimo sarò, con i Biscotti
Plasmon per il mondo andrò…; “Potevamo stupirvi con effetti
speciali e colori ultravivaci. Ma noi siamo scienza, non fantascienza”;
la Philadelphia Light, con quella rompiballe formaggiodipendente di
Kaori che per la sua linea vorrebbe sempre lasciare a bocca asciutta
quei furbacchoni del nonno e del nipotino (e s’incazza pure quando non
la trova!).
A
Sanremo vince Mino Vergnaghi (ma chi era costui?) con Amare, allo
Zecchino d’oro vince "Un Bambino" e al Festivalbar Alan
Sorrenti con "Tu sei l'unica donna per me".
I
ragazzi della contestazione ora vogliono solo ballare e divertirsi, sono
stanchi di tirare sassi. Siamo nell’era di una musica che si misura in
battute al minuto, tra 122 e 144 la chiamano "Disco". Tutto il
mondo ha voglia di ballare.
Nasce
il punk rock, risposta alternativa alla disco music. Ma se i Sex Pistols
sputano sul palco, i Clash combattono la loro White Riot con toni più
"morbidi". Come reazione al punk rock si affermano le ancora
più morbide sonorità dei Dire Straits e il reggae-rock dei Police e
dei Talking Heads, che producono testi e arrangiamenti più sofisticati.
Brian
Eno, Larry Fast, Mickey Hart, Stomu Yamashta e molti altri musicisti
assottigliano il confine tra il rock e l'avanguardia inventando il
"meta-pop". Testimoni della transizione verso la nuova
configurazione del rock duro sono i fratelli Van Halen per l'America e i
Motorhead per l’Inghilterra. Altri esponenti di questo periodo sono
Electric Light Orchestra, Supertramp, Alan Parsons Project, Kansas.
Ascoltiamo:
Soli, Tragedy, Pensami, Super superman, Buona domenica, Il carrozzone,
Mi scappa la pipì, Cicciottella, Quella carezza della sera,
Ricominciamo, Splendido splendente, Capito, Una donna per amico, I will
survive, Comprami, E la luna bussò, I was made for lovin' you, Io
canto, E tu come stai, Cogli la prima mela, Electric delights, Ma come
fanno i marinai, Can you feel the force, September, Buk-in-hamme Palace,
Honesty, In the Navy, Baby make love, Milano e Vincenzo, Signor giudice.
Gli
album più venduti in Italia sono Lucio Dalla, BANANA REPUBLIC, Viva,
Buona domenica, Spirits having flown, Breakfast in America, Sono un
pirata sono un signore, E tu come stai, Soli, L.A. & N.Y., Erozero,
Fabrizio De Andre' & PFM in concerto, Gloria, Cogli la prima mela,
Discovery Electric Light Orchestra, Cafe', Live '78 Mina, E io canto,
Plasteroid Rockets, Blondes have more fun.
Ma
la puntina la poggiamo anche su dischi come Chick Corea & Gary
Burton in Concert, Highway to Hell, Mingus, Into the Music, The Wall,
Slow Train Coming, Breakfast in America, Live Rust, Joe's Garage, London
calling, Drums and wires, Regatta de blanc, Just one night, Gelato al
limon, I am, La mia banda suona il rock. Tormentone
dell’estate: Gloria, di Umberto Tozzi.
http://www.rimmelclub.it/storia/storia.htm |
"Viva
l'Italia" è il disco che mi è costato più fatica. L'ho fatto e
buttato via un paio di volte. Forse era una congiunzione astrale
negativa o che so io: fatto sta che a casa ho uno scatolone pieno di
nastri con gli arrangiamenti scartati di tutte queste canzoni. Poi venne
Andrei Loog Oldham portandosi appresso questa band mezza inglese e mezza
americana e in un paio di settimane facemmo tutto il disco.
La canzone
che mi piace più di tutte è sicuramente "Gesù Bambino",
anche se a un sacco di gente ha dato fastidio questo titolo. Anche la
canzone "Viva l'Italia" all'inizio lasciava tutti un po'
perplessi; molti si lasciavano influenzare dal titolo
e dicevano che era una canzone revanscista, oppure pensavano che il
titolo fosse ironico. Una giornalista durante una conferenza stampa di
presentazione del disco mi si mise a inveire contro accusandomi di aver
abusato dei buoni sentimenti della gente per fare una canzone
spudoratamente commerciale. Così va il mondo. Poi c'è stato questo
fatto antipatico che questa canzone l'hanno voluta usare un po' tutti,
dai comizi dei partiti più svariati ai filmati in televisione sulla
Nazionale di calcio ai tempi del Mundial; insomma, un sacco di cose
avrebbero potuto portarmi ad odiare questa canzone che invece continuo
ad amare così come continuo ad amare quella parte, non piccola, di
"Italia che resiste". Segue una foto di una lacca di
lavorazione del disco in cui la sequenza dei brani non è definitiva e
in cui compare un brano (o altro) chiamato "Cofazzo".
|
«Tra la vita e
la morte avrei scelto l'America. Viva l'Italia!».
C'è poco da
fidarsi, direte voi, di un voltagabbana del genere, ma, a parte gli
scherzi, «Viva l'Italia» è veramente la risposta che cercavamo.
Il traino della
tournée con Dalla, il battage pubblicitario messo in opera per
l'uscita di questo disco, i concerti impeccabili di presentazione, e
non ultima la fattura del disco, mettono in luce chiaramente
l'immagine di un artista che vuole tornare velocemente non solo in
vetta alle classifiche, ma anche nell'olimpo dei miti.
Questa volta
però il mezzo per questo fine è il grosso pubblico, la scelta è
caduta sullo stesso pubblico popolare che da anni praticano li vari
Battisti, Baglioni, ecc.
Una scelta da
condannare? Direi di sì!
Non perché il
«melodico formato famiglia» sia un settore artistico più spregevole
di un altro, ma perché, nella sua sregolata carriera, De Gregori ha
spesso dato saggi di bravura che gli permetterebbero di essere oggi
uno dei caposcuola della nostra canzone d'autore. Quella, per
intenderci, che, come si fa per i, vini, dovrebbe avere la
denominazione di origine controllata e che è protetta da organismi
un po’ simili al WWF perché anch'essa in via di estinzione.
Invece, Capo
d'Africa, Viva l'Italia, Eugenio, Stella stellina, Buenos Aires sono
brani che vanno ad ingrossare le file di quel genere easy-listening,
di quel rumore di fondo, magari di buona qualità, che però già molti
fanno, da molto tempo e con successo.
L’amicizia con
Dalla, che ha alimentato non poche speranze, si è rivelata per ora
solo un salutare trampolino di lancio per scelte, personali e
professionali, che andavano invece in un altro senso. Così Dalla,
amico un po' di tutti, in questo ambiente, continua, finché tempo e
successo non logoreranno anche lui, ad essere l'unico esempio valido
di sintesi tra qualità e quantità che il nostro panorama musicale
offra.
Giorgio Lo Cascio
The Tiburtina Chamber Orchestra arrangiata e diretta da David Sinclair Whitaker
piano solo: Tommy Eyre; mariboard: Freddie De Hagen
|
Le donne vanno e vengono nel porto di Buenos Aires,
hanno le ali ai piedi, ai piedi per volare.
hanno le ali al cuore, al cuore per camminare.
Le donne vanno e vengono nel porto di Buenos Aires.
Amore ragazzino, amore volato via
ho messo il tuo cappello, per farmi compagnia,
ho messo il tuo cappello per non sentirmi sola,
ho avuto un altro uomo, ma però ti aspetto ancora,
ho avuto un altro uomo, ma però ti aspetto ancora.
Le donne vanno e vengono nelle case di Buenos Aires,
hanno le chiavi in mano, le chiavi per provare.
Hanno le gambe lunghe e dolci, le gambe per amare
Le donne si sorridono nelle case di Buenos Aires.
Amore dimenticato, amore con la pistola,
chissà dove sei stato e chissà dove sei ora.
Amore da ringraziare e da tenersi stretto,
amore da guardare e da portare a letto,
amore da guardare e da portare a letto.
Le donne vanno e vengono sul corso di Buenos Aires,
fiori tra le dite, fiori da regalare.
Matita sotto agli occhi, occhi da incatenare.
Le donne si organizzano sul corso di Buenos Aires,
amore interminabile, amore di poche ore,
entra dalla finestra e senza far rumore.
Amore di mezzanotte, amore con gli occhi belli,
entra dalla finestra e scioglimi i capelli,
entra dalla finestra e scioglimi i capelli.
|
E' una
canzone su un paese e su una città molto lontani da qui,
un paese molto strano, un paese in cui i mariti, gli uomini, escono di
casa la sera dicendo alla moglie :"cara, io vado a comprar le
sigarette, 5 minuti e torno", e non si vedono più; ma non perchè
abbiano trovato un' avventura migliore della moglie, ma perchè... perchè
come escono dal portone di casa, arriva una macchina, di solito nera, e
se li cucca; e questi spariscono... è il paese di quelli che non
tornano e di quelli che spariscono: dei desaparecidos...
|
grazie a Fabio Medda
A ritmo serrato mise in cantiere un nuovo long playing.
Questa volta però ci fu una grossa novità: sulla spinta di un'evidente necessità
di nuovi stimoli e di nuovi orizzonti, Francesco decise e ottenne di lavorare
con musicisti, arrangiatori e produttori americani al cento per cento. Credo che
per Francesco fu una esperienza estremamente stimolante, divertente e
importante, ma la cosa più curiosa è che quando finalmente uscì VIVA L'ITALIA,
scoprii che anziché un De Gregori americanizzato, mi trovavo di fronte ad alcuni
americani degregorizzati. Un disco pulitissimo e molto bello, comunque, che ebbe
la sola colpa di scatenare, proprio con il coraggioso brano
Viva l'Italia,
un'orgia di canzoni italianiste scritte da cantautori purtroppo meno abili. Mi
accadde di ascoltare uno dei concerti romani che videro al fianco di Francesco
tutti i musicisti che avevano collaborato alla realizzazione di questo disco, e
dovetti constatare che erano molto bravi e molto simpatici. Phil Spencer
riusciva a dare un suono veramente pieno alle sue chitarre; Mike Neville al
basso e Jerry Shirley alla batteria sembrava suonassero insieme da anni; Freddy
Kagen (o Tommy Eyre?) alle tastiere era preciso come un orologio svizzero. Un
grande sassofonista, del quale purtroppo non ricordo il nome, si esibì in un
intervento di grande effetto spettacolare suonando contemporaneamente due
sassofoni.
In questo disco fecero il loro ingresso i ritmi
sudamericani, legati al tema dell'immigrazione, quasi un segnale e un'evocazione
per l'imminente capolavoro del TITANIC. Fece inoltre il primo ingresso ufficiale
l'amico Lucio Dalla, che Francesco aveva iniziato a frequentare, il quale si
produsse in una serie di assoli al sax o al clarinetto, e meritò un esplicito
ringraziamento sulle note di copertina.
(Giorgio Lo Cascio)
|
Capo
d'Africa stanotte, si parte e si va via
lontani quel tanto che basta, per guadagnarci la nostalgia.
Stanotte, notte bianca, che nessuno la può dormire,
c'è qualcosa che ci manca, che non sappiamo definire.
Notte bianca, notte strana, con la riva che si allontana,
Capo d'Africa è la voce di una donna che ci ama
e che abbiamo abbandonato, in un grande appartamento.
Ci ha lasciati per un bacio, per uno stupido tradimento.
Capo d'Africa è un dolore, è la fine della Luna,
sulla nave ci sta chi fuma mentre passano le prime ore
e i giorni, i mesi gli anni, come perle e diamanti di vetro,
come errori commessi da giovani che vorremmo lasciarci indietro.
Come libri lasciati cadere, all'inizio della metà
o come un fratello dimenticato che vive in un'altra città.
Capo d'Africa, per favore, non farci morire d'amore.
Se è possibile facci sognare con il ritmo di questo motore.
Una spiaggia tranquilla, una terra promessa, l'inferno e il paradiso,
dove un giorno potremmo sbarcare a cavallo di un nuovo sorriso.
E fumare a mezzogiorno con il cuore che batte leggero
e guardare la vita che è intorno, dove la vita è bella davvero.
Capo d'Africa, per favore, non farci morire d'amore
se è possibile facci sognare con il ritmo di questo motore.
Una spiaggia tranquilla, una terra promessa, l'inferno e il paradiso,
dove un giorno potremmo sbarcare a cavallo di un nuovo sorriso.
fiati: Lucio Dalla
organo: Jeny Shirley
marimbas: Les Paranoia
|
|
VIVA
L'ITALIA DIVENTA UN INNO DI RESISTENZA
Oggi la cantano i Modena City Ramblers con Paolo Rossi, Pelù, Morgan, Gang, Bandabardò e Africa Unite.
A sessant'anni dalla liberazione, i Modena City Ramblers festeggiano a loro
modo l'evento con un nuovo album, "Appunti partigiani" (vedi spazio
recensioni), e una versione di "Viva l'Italia" di Francesco De Gregori
in cui si coaugula lo sforzo dei musicisti che partecipano al progetto: Paolo
Rossi, Piero Pelù, Morgan, Ginevra Di Marco, Marino Severini (Gang), Erriquez (Bandabardò),
Bunna (Africa Unite), Luca Lanzi (Casa del Vento).
"Terminare il disco con 'Viva l'Italia'" afferma il cantante Cisco
"assume un particolare significato politico: è la riaffermazione dei
valori nati dalla Resistenza, degli ideali che animavano coloro che hanno
combattuto contro il nazifascismo. Vorremmo rilanciare il messaggio che il Paese
civile nato dalla Resistenza non esclude nessuno e che valori come la patria e
la bandiera, che col tempo hanno assunto una connotazione di destra, possono
essere assunti, debitamente svuotati dal loro aspetto retorico, anche dalla
sinistra".
"'Viva l'Italia'" continua il cantante "ci è sembrata la
scelta perfetta per trasmettere come valore nazionale il senso della libertà e
della democrazia che appartengono alla Resistenza e il cantarli tutti insieme ha
accresciuto il significato simbolico perché ha dato il senso della
collettività. Ci è sembrato importante ribadirli a un quarto di secolo di
distanza dall'uscita della canzone di De Gregori perché a quei tempi una certa
parte politica cercò di strumentalizzarla volgendo ambiguamente la lettura di
certi passi a suo favore. Il fatto che ora l'abbiano ripresa i Ramblers ha
restituito alla canzone lo stesso significato che De Gregori voleva affermare
nel momento in cui la incise.
Proprio per questo, quando abbiamo parlato a Francesco della nostra
intenzione di rivisitarla, ci ha dato volentieri il suo consenso".
L'album "Appunti partigiani" assembla una quindicina di canzoni che
hanno come denominatore comune il periodo storico relativo all'ultima guerra
mondiale e alla Resistenza. "Abbiamo voluto a nostro modo ricordare un
momento fondamentale della nostra storia in modo da salvaguardarne la
memoria".
Roberto Caselli
|
|
Chissà che fine ha fatto Eugenio, barba da mascalzone.
Sotto che stelle si fa la notte, sotto che sole fa colazione.
Lui che c'ha gli occhi così tranquilli,
chissà che mare avrà incontrato,
se le onde avevano i capelli bianchi, quando lo ha attraversato.
E quanti amici avrà incontrato già,
e quante belle signorine al chiar di luna....
Chissà che fine ha fatto Eugenio,
barba portafortuna.
Chissà che sogni che s'inventa, che sogni che si fuma.
E lontano, lontano, in qualche strano paese,
certamente avrà comprato un diamante e un turchese
da portare a chi è rimasto qua.
Chissà che fine ha fatto Eugenio,
anima da pirata.
Che si è lasciato dietro alle spalle una città sbagliata,
e che ha viaggiato con le scarpe e con le orecchie con il cuore.
Chissà che fine ha fatto Eugenio, disteso in mezzo al sole.
E lontano lontano, in qualche strano paese.
Certamente avrà comprato un diamante e un turchese
da portare a chi è rimasto qua.
chitarre acustiche: Mike Neville, Les Emor and Michael Kivana
congas: Jerry Shirley
clairini: Lucio Dalla
cori: Francesco De Gregori e Andrew Loog Oldham
|
|
Mouth
Percussion: Mike Neville;
Manila Mandolins: Phil Spencer;
Organo: Phil Chapman
Sbadow keyboards: Freddie Kagen;
The Tiburtina Chamber Orchestra arrangiata e diretta da David Sinclair Whitaker
Gesù piccino picciò, Gesù bambino,
fa che venga la guerra prima che si può.
Fa che sia pulita come una ferita piccina picciò,
fa che sia breve come un fiocco di neve.
E fa che si porti via, la mala morte e la malattia,
fa duri poco e che sia come un gioco.
Tu che conosci la stazione e tutti quelli che ci vanno a dormire,
fagli avere un giorno l'occasione di potere anche loro partire.
Partire senza biglietto, senza biglietto volare via,
per essere davvero liberi, non occorre la ferrovia.
E fa che piova un po' di meno, sopra quelli che non hanno l'ombrello
e fa che dopo questa guerra il tempo sia più bello.
Gesù piccino picciò, Gesù bambino comprato a rate,
chissà se questa guerra potrà finire prima dell'estate.
Perché sarebbe bello, spogliarci tutti e andare al mare
e avere sotto agli occhi, dentro al cuore,
tanti giorni ancora da passare.
E ad ogni compleanno guardare il cielo ed essere d'accordo
e non avere più paura, la paura
è soltanto un ricordo.
Gesù piccino picciò, Gesù bambino alla deriva,
se questa guerra deve proprio farsi, fa che non sia cattiva.
Tu che le hai viste tutte e sai che tutto non è ancora niente,
se questa guerra deve proprio farsi, fa che non la faccia la gente.
E poi perdona tutti quanti, tutti quanti, tutti quanti, tranne qualcuno,
e quando poi sarà finita, fa che non la ricordi nessuno,
e quando poi sarà finita, fa che non la ricordi nessuno...
foto di Mauro Sarandrea
|
tacky
piano: Phil Chapman The Tiburtina Chamber Orchestra and
Fregene
caballeros arrangiati da David Sinclair Whitaker
Oggi arrivano cinque navi da terre molto lontane,
guarda che belle bandiere e guarda che navi strane.
La prima è già arrivata vicina, vicina, però non c'è nessuno a bordo.
Oggi arrivano cinque navi ma la prima è già soltanto un ricordo.
Oggi arrivano quattro navi, guarda che belle prue,
chissà che potremo trovare sulla nave numero due.
Dieci bambini magri, magri e mezzo tozzo di pane.
La nave per ora rimane al largo, però mi è già passata la fame..
Oggi arrivano tre navi, cariche di caffè.
Ma guarda che strane persone a bordo della numero tre.
Hanno le mani pulite, pulite, perché non le usano mai.
Deve essere gente pericolosa, gente che va in cerca di guai.
E guarda che belle bandiere, guarda che belle chitarre,
guarda che facce felici dietro a quelle sbarre.
Sulla penultima nave attori e musicisti,
rubano una scialuppa e chi li ha visti li ha visti
E poi, c'è la nave più piccola, la nave che non può affondare
la nave che arriva per ultima, la più bella in mezzo al mare.
Perché sulla nave più piccola, quella che aspetto io,
ci sta il tuo cuore di
ragazza
che ha catturato il mio.
ritorno al Folkstudio con Stefano Rosso, Giorgio Lo Cascio e Peppe Caporello |
TI RICORDI ANCORA DI ME? E PERCHE' NON DOVREI?
(di Gherardo Gentili)
Francesco: una, nessuna, cento interviste, vere, verissime, quasi vere,
nel segno della fraternità. Un ritratto di De Gregori, ma non uno dei
tanti. "Mi hanno appiccicato tutte le etichette: ermetico, intimista,
crepuscolare, ambiguo (figuriamoci!), ideologicamente impegnato o
disimpegnato" ha detto il cantautore in un'intervista. "Ma io
non mi riconosco in nessuna ... ".
Vediamo dunque se si riconoscerà in questo ritratto di incontri
scaglionati nel tempo, di frasi dette o lasciate intuire, di sensazioni,
di ricordi.
Francesco e la sua sincerità, Francesco e l'onestà, Francesco e la
fraternità.
Non si camuffa, non posa, non si atteggia. Ogni contatto è immediato,
ogni parola vibra, acquista un senso non labile. De Gregori ti dà sempre
qualcosa di buono e di vero. E' un amico su cui si può contare.
Accadde l'estate scorsa. Erano anni che non ci vedevamo. Francesco era in
tournée con Lucio Dalla. Dovevo intervistare tutti e due. Telefonai in
qualche parte d'Italia, forse a Forte dei Marmi. Parlai prima con Dalla.
Ma Lucio ha sempre fretta quando lo si intervista, specie al telefono. E'
come se avesse in mano una patata bollente. Non gli parve vero di
scaricarla sul collega, dicendo che lo chiamavano d'urgenza per un filmato
(viceversa mezz'ora dopo era ancora lì). Venne De Gregori. Pensavo che si
fosse dimenticato di me, di un nostro incontro a Milano, di una lettera
che gli avevo scritto e di un suo invito a colazione che per colpa della
mia tendenza a digiunare a mezzogiorno non ha mai avuto luogo. Ero in
torto verso Francesco. E la mia frase: "Ti ricordi ancora di
me?" era timida, quasi impacciata. La sua risposta fu un'altra
domanda: "E come non dovrei ricordarmi?". Ogni timidezza e ogni
impaccio sparirono. Ritrovavo il De Gregori di allora e di sempre.
E' stato lui a volere che mi occupassi di questo "Tutto". Lo ha
posto quasi come condizione. A me, vecchio signore di un'altra
generazione, o nessun altro. Lo rivelo senza pudori e senza vanità.
La cosa mi lusinga e mi sgomenta. E se lo deludo? Se lo faccio incavolare?
Se non sono capace di farlo "vivere" in queste pagine? Avrò
perso un amico.
Ma non sarà così. Ci guarderemo in faccia e saremo assolutamente
sinceri. Procederò con lui come non ho mai fatto con gli altri. Sono
libero. Francesco mi ha detto giorni fa a proposito di una mia
osservazione su una parola da lui usata in un pezzo dell'album "Viva
l'Italia": "Queste cose le noti tu perché sei un mio
ammiratore. Gli altri non se ne accorgono neppure…."
Rifiuto la qualifica di fan. Io ammiro chi merita. Valuto e giudico.
De Gregori venne a Milano nel '7… per farsi conoscere dalla stampa
milanese. Aveva al suo attivo il successo di "Alice" ma non era
ancora uscito il disco della Pecora (dal pecorone evangelico di scuola
seicentesca che figurava in copertina). A Milano non lo conosceva quasi
nessuno. lo sì.
Avevo già dato un'interpretazione di "Alice" sul settimanale
dove allora lavoravo in cui tiravo in ballo i naiff, i surrealisti e la
logica dell'assurdo.
A organizzare il suo incontro con i giornalisti c'era Michele Mondella
della It, l'etichetta di punta della RCA, della cui scuderia faceva parte
Francesco assieme a Venditti. Mondella è un santo, con gli entusiasmi, la
fede, la Iieta innocenza, la speranza e la carità dei santi. Per i suoi
artisti fa miracoli.
La serata era al Refettorio, un locale dalle parti di via Torino, stretto,
lungo, con un mini-palcoscenico. De Gregori cantò e parlò; i miei
colleghi scoprirono le sue canzoni e la sua aria arruffata, i jeans, i
discorsi improvvisati e il maglione da rigattiere. Ma il pubblico (c'era
anche quello) voleva "Alice". E lui si scocciò: "Accidenti
a questa canzone! Sembra che io non abbia scritto altro".
La serata finì e non accadde nulla. Non ci fu nemmeno conferenza stampa.
Ma il ghiaccio era rotto. Francesco non era più uno sconosciuto. E io gli
scrissi una lettera. Non erano tempi facili per me; e quello era l'unico
modo per comunicare con gli artisti. Scrivevo, naturalmente con la carta
intestata del mio giornale. Era uno sfarfalleggiare di lettere che si
posavano un po' ovunque. Io le ho dimenticate, ma i cantanti no. Qualcuno
persino le conserva. Della lettera a Francesco ricordo una mia
osservazione: l'uso largo che faceva delle vocali e la cordialità, il
fascino derivanti da un simile modo di pronunciarle. Era una
"chiave" per decifrare il suo linguaggio. Le canzoni successive
lo hanno riconfermato.
Alcuni mesi dopo ci fu un altro breve incontro al Gerolamo di Milano, dove
Antonello Venditti presentava "Quando verrà Natale". Il
Gerolamo, ex-teatro dei burattini, è una bomboniera, una mini Scala con
mini-palchi, mini-platea, mini-proscenio fatta a immagine e somiglianza
della grande Scala. Su invito di San Michele Mondella, aiutai a riempirla
con una classe di un liceo scientifico fornitami da una professoressa,
moglie di un mio amico. I ragazzi parteciparono al dibattito dopo lo
spettacolo, che si svolse con reciproco garbo, senza contestazioni. De
Gregori assistette, ma non intervenne.
Fuori dal teatro conobbi quella sera suo fratello Luigi; e appresi che
faceva il bibliotecario alla Civica di Milano. Francesco aveva un po'
bevuto e Luigi anche. Era un lato che non conoscevo nella vita dei
cantautori. Ma lo accettai senza farci troppo caso. Fu in quella occasione
che Francesco mi confessò di non avere una lira e di andare in giro con
una vecchia Wolkswagen da vendere come rottame.
Dopo d'allora ci perdemmo di vista e lo seguii soltanto attraverso i
dischi. Non fui presente alla contestazione e al "processo"
dell'aprile '76 al Palalido di Milano. Altri vissero minuto per minuto
quei momenti drammatici, come è stato scritto altrove.
Francesco mi ha detto giorni or sono: "Io parlo con pochissimi
giornalisti…". Ed è la conseguenza delle polemiche, degli
equivoci, delle incomprensioni derivati da quei fatti lontani. A
differenza dei cantautori che sbriciolano le loro dichiarazioni in
innumerevoli pezzi e pezzulli, lui ha il merito di aver rilasciato nella
sua carriera solo due o tre vere interviste.
Ed è da queste interviste, raccolte probabilmente con il registratore,
con la possibilità di parlare a ruota libera, che viene fuori tutto
Francesco. La sua sincerità. Non si mette mai su un piedistallo e nemmeno
su uno sgabello. E' sempre sul piano dell'interlocutore. Non veste o
riveste le sue opinioni, stilizzandole secondo linee di moda. Ammette
incertezze, contraddizioni, incoerenze, le cose dette e fatte tanto per
dire e tanto per fare.
La sua cultura è arruffata, ma sincera. Compera moltissimi libri, legge
di tutto. Le sue idee politiche sono di sinistra. Ma non è un
"impegnato". E' la sinistra dei giovani per i quali
"destra" significa conformismo, conservatorismo, privilegio,
arroganza (del potere e del non potere), gigionismo, immobilità, egoismo,
tanti "ismi" nei quali non si riconoscono.
De Gregori è il "nuovo italiano". Ci ha detto: "A Roma
posso andare in giro liberamente con mia moglie e con i miei gemelli ai
giardini, al supermarket. Quasi nessuno mi riconosce. La gente non si
immagina che io sia così alto." Un romano altissimo a abbastanza
biondo. Anche il suo accento romanesco è lieve.
Dal dopoguerra in poi, i "nuovi italiani" si sono avvicendati
sulla scena, sullo schermo in Tv e ai microfoni: Walter Chiari, Adriano
Celentano, Gianni Morandi, Renato Pozzetto. Tipi umani, caratteri,
comicità, pronuncia, "boom" e recessione.
Il carattere più vero, il carattere ultimo al quale si può ricondurre
tutto-De Gregori: lui stesso, la musica e le canzoni è la fraternità.
Sia che gli si parli a tu per tu, sia che canti, sul palco e in disco,
Francesco è un fratello. E' il suo grande, inconsapevole
"messaggio". Francesco tiene compagnia, aiuta a vivere, consola
se necessario.
Si può ricorrere a lui in ogni occasione, anche drammatica, certi che ci
verrà qualcosa di buono. In un'intervista ha detto: "Bazzicando
l'ambiente della RCA ho chiesto in giro perché Luigi Tenco si tolse la
vita. Ho ricevuto le più disparate risposte: chi diceva che aveva debiti
di gioco; chi che era sotto l'azione di chissà quali pillole; chi
sosteneva che aveva avuto una terribile delusione amorosa. Secondo me, si
era solo scocciato di stare a Sanremo…
Interpretazione apparentemente facile; in realtà profonda. Il rifiuto di
un mondo, da parte di Tenco. Ancora qualche anno e i Tenco (quelli come
lui) avrebbero preso il sopravvento. Ma Francesco non ha aggiunto una cosa
che gli compete: se quella notte ci fosse stato lui accanto, Tenco non si
sarebbe ucciso.
Nel nostro ambiente, fatto anche di cartapesta e di burattini della
vanità (chiamarle "fiere" è troppo) si usa dare del tu ai
personaggi e chiamarli con il loro nome di battesimo: Lucio, Ornella,
Nicoletta, Gianni, Antonello…ma chiamare De Gregori
"Francesco" è qualcosa di più che una vanità: è un dovere.
|
vibrafono: "Wallin" Freddie Kagen
The Tiburtina Chamber Orchestra arrangiata e diretta da David Sinclair Whitaker
|
Nata, sono nata, nell'Africa d'Italia,
e in qualche posto in qualche modo sono pure cresciuta.
Non c'erano chitarre ai miei tempi, non c'erano chitarre da suonare,
ma fili d'erba quanti ne volevi tu, da strappare e poi soffiare.
E si, la notte ti potevi fidanzare con la luce dei treni che fischiavano lontano.
Probabilmente cominciò con la corriera o con la ferrovia,
un uomo chiuse lo sportello e la campagna volò via.
Avevi unghie laccate, sopra mani da contadina,
e due orecchini di corallo di quand'eri ragazzina.
E ti leggevi i libri che parlavano solo d'amore,
e poi chissà che altro ancora avevi dentro al cuore.
Un anno passa un anno vola, un anno cambia faccia,
e una città che morde e che protegge e che minaccia.
E un uomo con il cappello che ti accompagna alla fermata,
e tu che prendi la sua mano e pensi adesso sì che sono innamorata.
E non importa niente se capisci che non era vero,
c'è sempre tempo per un'altra mano e per un sogno ancora intero.
Prendila come viene, prendile come vuoi,
non ti impicciare più della tua vita che non sono affari tuoi.
Prendila come viene, prendila coma va, Stella stellina, stella cadente, stella...stella.
|
|
È l’altra faccia della Ragazza
del ’95: Stella stellina parte dal profondo sud (è nata “nell’Africa
d’Italia”) con la corriera o con il treno verso la città del nord.
Probabilmente col sogno di diventare una stella del cinema, in una
città feroce e accogliente, minacciosa e protettiva come è Roma. La
giovane ragazza ha nel cuore canzoni e libri d’amore, e si prepara
al salto nel futuro oltre la sua vita da contadina con le unghie
laccate: un’immagine che sembra uscita da "Bellissima", il film di
Luchino Visconti. La sua ingenuità la porterà a fidarsi di tutti,
anche quando mentono, anche quando le dicono “non t’impicciare più
della tua vita”.
"Stella stellina", come l’antica
cantilena dei bambini, ha un aspetto leggero perfino nella musica,
un motivetto di facile presa perfetto per descrivere una sognatrice
ingenua, come ha raccontato l’autore “una creatura patetica, un
fiorellino destinato ad avvizzirsi molto presto”. Ma guai a
rinunciare a quei sogni: anche se i sogni si infrangono contro la
realtà feroce e contro il disincanto, deve esserci sempre il modo
per sognare ancora e trovare “un sogno ancora intero”. La ragazza
che arriva dalla campagna non ha la scaltrezza della ragazza del ’95
che prende il volo a basso costo e sorvola l’Atlantico, come De
Gregori canterà nel 2012: nella sua semplicità c’è la storia
dell’Italia che cerca il suo riscatto anche con sogni ingenui. Gli
stessi di cui sono piene la letteratura e la cinematografia che si
porta dentro quando chiude lo sportello e parte verso il futuro.
Giommaria Monti, autore
di "Francesco De Gregori. Dell'amore e di altre canzoni" per
https://www.rockol.it/news-735724/8-marzo-otto-donne-cantate-da-francesco-de-gregori
Francesco,
una volta Dylan disse che nessuna intervista contiene delle verità, che sono
tutte invenzioni. Per te è lo stesso? No, non credo. Penso che l'intervista sia
un momento in cui hai deciso di parlare con qualcuno. Naturalmente molto dipende
dall'intervistatore, spesso c'è gente che ti induce a dire sciocchezze e tu vai
con quello che loro vorrebbero che tu dicessi. Della stampa mi disturba il fatto
che spesso vengono a trovarti già con delle idee in testa e vogliono che tu le
soddisfi. Se tu fossi nato in America, come saresti adesso? Mah, chi lo può
dire? Probabilmente sarei da qualche parte a cantare canzoni, magari non sarei
conosciuto affatto. In America la concorrenza è più dura, sono quasi tutti
bravi, anche a livello dilettantesco. Forse sarei ancora chiuso in qualche
piccolo locale a cantare canzoni accompagnandomi con la chitarra, per poche
persone. Molti dicono che sei
ermetico. Ti trovi ermetico? Questo mi fa
arrabbiare. Quando ho iniziato a cantare dicevano: "Oh, questo scrive belle
canzoni". Poi ho trovato il successo e immediatamente sono diventato
incomprensibile. Dovresti fare questa domanda al pubblico. Se ci sono tanti
ragazzi che comprano i miei dischi, significa anche che mi comprendono e quindi…
Quanto ti aiutano i tuoi amici? Ho molti amici, mi piace stare con loro, anche
se spesso si finisce solo col fare partite a scacchi. Amo molto la mia famiglia,
mia moglie i miei bambini. Non faccio una vita particolarmente agitata, anzi, è
molto lineare. In diverse tue canzoni si respira aria antica, forse di
nostalgia, tu bambino, i giocattoli, il Natale… Non sono un nostalgico, però
mi piace stare da parte e pensare a me stesso. Lo trovo intimo sai? Io ho un
sacco di pudori. Ma la canzone "Il '56" è un po' nostalgica, sembra
quasi una canzone scritta tempo prima e che solo quando l'hai registrata ti si
adattava pienamente. Hai ragione, è una canzone scritta almeno quattro anni
prima che la incidessi. Ero in sala e avevo pochissime canzoni scritte e allora
mi sono trovato a guardare nei cassetti e ho trovato questa canzone. Allora tu
entri in sala di registrazione senza avere tutto il disco pronto? Qualche volta…abbastanza
spesso. Ci sono stati dei casi in cui avevo pochissime canzoni e allora mi sono
trovato a scriverle mentre ero in sala. Come componi una canzone? Al pianoforte.
E i testi li scrivi a mano? No, li batto a macchina, è una vecchia abitudine,
solo che è parecchio scomoda. Sai, hai il pianoforte davanti e la macchina da
scrivere che ingombra. Io ho
preso uno sgabello alto che poggio alla mia
sinistra, così basta un piccolo movimento rotatorio per combinare le due cose.
E in sala come lavori? Di solito, facciamo le basi musicali tutti assieme e
spesso canto mentre incidiamo la ritmica, quasi una diretta. Quante volte canti
un pezzo? Una volta, forse due. Solo raramente mi è capitato di ricantare un
pezzo, ma il risultato mi è piaciuto poco. La canzone era "Generale",
mi ha creato parecchi problemi. Perché "Rimmel" ha avuto tanto
successo? Chi lo sa? Ad un certo punto qualcosa è cambiato. Non riuscirò mai a
capire perché un disco va e un altro no. Per "Rimmel" di sicuro c'è
che è un disco molto bello Per il tuo recentissimo album "Viva
l'Italia" hai lavorato per la prima volta, con musicisti inglesi. Perché
questa novità? Avevo avuto un periodo di impegni, lavoravo con Dalla, c'era la
tournèe (Banana Republic). Insomma ho fatto un disco
realizzato come al solito,
con i musicisti italiani, però c'era qualcosa che non andava, mancavano un po'
di intenzioni vere. Allora abbiamo deciso di ricominciare tutto daccapo e c'era
stata l'esperienza positiva di Anna Oxa con Loog Oldham , l'ex produttore dei
Rolling. Così ho tentato e sono rimasto soddisfatto. Credo che la canzone
"Gesù Bambino" sia una canzone che solo tu avresti potuto scrivere,
così garbata e piena di verità. Nel disco c'è anche un pezzo intitolato
"Terra e acqua" , dove scrivi: "…aiutami Signore mio a dire
acqua e terra". Cosa significano questi riferimenti? Non credere che sia
una conversione alla Dylan, è molto più semplicemente che quando ti trovi solo
e magari hai guai, ti rivolgi al Signore, perché è così che fan tutti. E poi
non credere che le canzoni siano fatte per mettere tutto se stesso , nella
canzone metti qualcosa di te, quella che ti va di far conoscere, anche quando
vai nel profondo e ti interessa essere sincero. La canzone "Viva
l'Italia", che tu quasi reciti, quanto è importante nel disco? Come le
altre. Anche se poi ci si punta un po' di più. Che differenza c'è tra l'Italia
sulla Luna e quella del 12 Dicembre? L'Italia sulla Luna è quella di Tito
Stagno, l'Italia del 12 Dicembre è parecchio più seria Quanto ti ha aiutato il
rapporto con Dalla? Lucio è un mio grande amico innanzitutto. Come musicista mi
ha aiutato molto, ma soprattutto mi è stato vicino come amico. E la tournèe
che avete fatto questa estate? E' stato bello, avevamo molte date, ma non tutte
assieme, in modo da non perdere la testa. Poi la gente, beh, c'era un mucchio di
gente. Mi ricordo di una sera, avevamo terminato un concerto io mi ero voltato a
sistemare l'amplificatore, non so a mettere a posto la chitarra, poi mi son
voltato e ho visto migliaia e migliaia di fiammiferi accesi, ed è stato
bellissimo. Ho visto il film che ne avete tratto e non mi è piaciuto, troppi
primi piani tuoi e di Lucio anche quando c'erano degli assoli e molto scompenso
tra te e Dalla. Come mai avete voluto fare il film? Io lo vedo più come un
documentario che come un film. In quanto alla differenza tra me e Dalla, è vero
esiste. Lucio canta quattro pezzi in più. Ma posso capire. Al montaggio c'era
la voglia di tirare su il Film e Lucio sul palco è una carica di energia. Io
faccio pezzi più tranquilli. Hai visto il film di Dylan "Renaldo e
Clara"? Si, mi è piaciuto molto. Anche io avrei fatto un film così se
avessi dovuto impiegare i mie soldi in una maniera che mi andava a genio, avrei
fatto un film di quattro giorni, non di quattro ore… (Ride) Ti piace il
cinema? Moltissimo. Ma devo dire la verità, vado a vedere qualsiasi cosa, non
è che ne capisco molto. Mi piace Fellini, il cinema americano, quello serio,
quello di Coppola, di De Niro, di Scorsese. Sei un solitario? No, sono un uomo
normale!
|
|
Terra e acqua, acqua e terra, ecco quello che ho visto io.
Aiutami Signore mio, a dire acqua e terra.
Terra e acqua con lo sconto, e non sono ancora pronto.
Per partire da casa mia, terra e acqua e cosi sia.
Terra e acqua, a mezzanotte e c'ho tutte le mani rotte,
tra quattro ore starò meglio, tra quattro ore sarò già sveglio.
Terra e acqua e pane niente, per confondermi con la gente
e per non averci fame, terra e acqua e un po' di pane.
Terra e acqua a chi la vuole, terra e acqua e niente sole.
Terra e acqua e sputi in faccia e nessuno che mi abbraccia.
Terra e acqua a chi la vuole, terra e acqua e niente sole,
terra e acqua e via col vento e la vita mi passa accanto.
Passa accanto e non m'aspetta,
terra e acqua benedetta.
Terra e acqua di tutti i Santi
e la vita mi passa avanti.
Passa avanti e mette in croce, terra e acqua che va veloce,
torni sempre da dove vai, terra e acqua non cambia mai.....
Chitarre acustiche: Mike Neville e Jerry Shirley
The Tiburtina Chamber Orchestra arrangiata e diretta da David Sinclair Whitaker
Chitarra acustica, voci e cori: Francesco De Gregori
Chitarre elettriche e acustiche: Phil Spencer
Basso: Mike Neville Tastiere: Tommy Eire e Freddie Kagen
Batteria: Jerry Shirley
Tera
e aqua, aqua e tera
da putini che da grandi:
«Siora tera, ai so comandi, siora aqua, bonasera;
bonasera».
Tera
e aqua! Se lavora soto un sole che cusina. tera e aqua!
A la matina se scomissia de
bonora; de bonora.
Tera
e aqua! Tera nuda, gnente piante, gnente ombrìa.
Sta fadiga mai finìa:
la comanda che se suda; che se suda.
Tera
e aqua! A mezogiorno quel paneto che se magna no gh'è aqua
che lo bagna e ghè aqua tuto intorno;
tuto intorno.
Tera
e aqua! Co vien sera tuti intorno, dona e fioi,
a una tecia de fasioi, se ghe fa un bona
siera; bona siera.
Tera
e aqua! Po a la note se se buta sora el leto e se sogna,
par dispeto aqua e
tera, piene e rote; piene e rote.
Sempre
aqua e sempre tera da putini che da grandi:
«Siora tera, ai so comandi...»;
po se crepa e... bonasera; bonasera.
Polesine, scritta nel 1961, testo di Gigi Fossati, musica di Sergio
Liberovici.
|
|
TRATTASI
DI NOBILI CANZONETTE
Intervista
con Francesco De Gregori in occasione dell'uscita del suo nuovo album "Viva
l'Italia". Musicisti americani ma completo spirito 'made in Italy'. Nuovo
Sound dell'11.12.1979 - di Nicola Sisto Fisso il mio incontro con Francesco in
una delle ultime giornate di Ottobre, quelle note e sempre più rare 'ottobrate
romane' in cui il pallore di un sole teneramente fiacco si materializza in un
diffuso tepore. I raggi che entrano attraverso i vetri della macchina e la
sensazione che li accompagna mi fanno subito pensare che appena una mezz'ora
prima ho provato lo stesso stato di avvolgente benessere e rilassatezza
ascoltando "Viva l'Italia". La sirnilitudine mi salta in testa
spontanea:
solatia è la giornata, 'solare', tranquillo,
misuratamente
gioioso è il nuovo disco di Francesco. Arrivo, sistemo il registratore in uno
degli uffici della sua casa discografica e aspetto. Dopo neanche un minuto il
dolce, impacciato 'pivot' della musica italiana compare in tutto lo splendore
che il suo zucchetto di lana nickolsoniamente calcato sulla testa, gli
conferisce. Gli comunico la mia impressione di poco prima e mostra di gradirla
rnoltissimo. La prende, anzi, come spunto per avviare la conversazione. FDG
"Con tutti gli scongiuri e le formulette propiziatorie del caso, devo dire
che questo per me è un periodo molto fortunato, di notevole calma interiore. E'
logico che il disco, trattandosi di 'canzonette' cioè di qualcosa che bene o
male è legato con la mia vita, anche quella di tutti i giorni, sia un po'
"specchio di questo spirito". SISTO: Tu ami spesso 'rubare' questa
frase di Enzo Jannacci, 'trattasi di canzonette', per parlare delle tue cose.
Tre o quattro anni fa ti saresti ben guardato dall'attribuire una definizione
del genere ai tuoi lavori. Cosa è cambiato? FDG: "Cambiato, nulla; direi
piuttosto che ora ho molto più senso della realtà rispetto ad allora. Bada
bene comunque che sia io che Jannacci non usiamo la parola 'canzonetta' in senso
dispregiativo come spesso si fa, è un modo affettuoso per definire una forma di
espressione che ha i suoi evidenti limiti, di cui oggi mi rendo completamente
conto, che rimane in una posizione di indubbia inferiorità rispetto alla
'nobiltà' del teatro o di certo cinema". SISTO: Veniamo al pezzo centrale
dell'album, "Viva l'Italia". E' la prima volta che si assiste in te ad
una narrazione cronologi ca, ad un qualcosa che abbia un filo unitario. Hai
rinunciato alla complessità di certi testi dove spesso quattro o cinque storie
parallele si incrociavano, si accavallavano in un crescendo un tantino
schizofrenico? FDG: Immagino che tu intenda riferirti al primo verso
"l'Italia liberata" e ad uno degli ultimi "l'Italia del 12
Dicembre". Effettivamente in mezzo ci sono venticinque anni di storia
narrati non a date ma a situazioni, ad immagini significative del nostro Paese.
Se il tutto risulta perfettamente comprensibile sarei portato a dire che in me
c'è stata effettivamente una maturazione, una evoluzione, un positivo approccio
con la chiarezza. Eppure c'è gente che mi muove ancora le antiche critiche di
ermetismo, di incomprensibilità, ecc. A questo punto oltre a dare ragione a te
devo necessariamente dare ragione anche a loro che i loro motivi per farmi
questi appunti devono averne sicuramente di buoni: signore e signori, volete
sapere cosa rispondo a tutti quanti? Che il Francesco De Gregori di "Niente
da capire" o di "Arlecchino" è lo stesso di "Viva
l'Itaiia", niente è cambiato. Se il mio linguaggio era imcomprensibile,
falso, a volte liceale allora, lo è anche oggi e viceversa. Ogni discorso
diventa poi relativo al punto di vista sotto il quale la canzone viene
recepita.
Ad
esempio non tutti hanno fatto attenzione a questa cronologia di cui tu parlavi,
ma questo non significa che il pezzo non sia ugualmente 'arrivato'. E, arrivato
per la musica, per il modo di cantare, per una sfumatura... il testo non ha poi
questa enorme importanza". SISTO: E' vero che il disco a cui sei
affezionato di più è "Bufalo Bill"? FDG: "Si, amo molto
quell'album. Un po' perchè è quello che ha avuto una sorte alla vendita
veramente infelice, un po' perhè ritengo che in "Bufalo Bill' ci siano le
canzoni più rigorose che abbia mai scritto. E poi anche perchè so che se
potessi rifarlo adesso, con le stesse canzoni, lo rifarei molto meglio dal punto
di vista strumentale e realizzativo. Ho quindi un po' un rimpianto di averlo
buttato via cosi: considera che lo registrammo e lo missammo in una
settimana". SISTO: Invece di andare a registrare in America, hai fatto
venire tu l'America in Italia. Parliamone. FDG: "Bene, io avevo incontrato
Andrew Loog Oldham qui a Roma in Maggio e si era deciso di lavorare insieme per
il mio prossimo disco. In un primo tempo il progetto era molto ambizioso: avrei
dovuto addirittura registrare in varie parti degli Stati Uniti a seconda della
sonorità o del genere musicale di ogni pezzo. Io pur essendo affascinato dalla
proposta non ero troppo convinto,
avevo un po' di paura a lavorare in America, paese che amo come turista ma non
direi troppo per motivi professionali. Andrew si è accorto immediatamente di
questo stato d'animo, e per la paura che potessi perdere la mia italianità, e
soprattutto per per paura che facessi la figura dell'emigrato, immagine che
danno indistintamente tutti i miei colleghi che vanno là, ha preferito
'dirottare' il tutto a Roma. I risultati... beh, questo è compito tuo".
SISTO: Tu, Lucio, Antonello, Branduardi, molte interessanti proposte come ad
esempio quella di Carlo Siliotto, ecc. Esiste una 'nuova musica' italiana? FDG:
"Direi che è una situazione che si sta gradatamente e lentamente
evolvendo. Nessuno di noi può dire di aver girato pagina. Domenico Modugno a
suo tempo, con "Volare", potè dirlo. Noi ancora no. SISTO: Cosa
rispondi ad una critica ormai piuttosto diffusa che è quella che accusa il
'Dalla/De Gregori tour' di essere stato venduto tre volte, spettacolo, disco e
film? FDG: "Dico che è semplicemente una falsa critica. Fare spettacoli e
dischi è il nostro mestiere, il film lo abbiamo vissuto con lo stesso spirito
di quando si va a fare una gita e ci si porta dietro la macchina fotografica. lo
e Lucio siamo andati a fare una lunga gita e ci siamo portati appresso la
cinepresa. Tutto qui". SISTO: Quattro anni fa un pubblico non certamente
vastissimo e una molotov; oggi quarantamila persone tutte al colmo della
felicità. Cosa è cambiato? FDG: "Non lo so. Non spetta a me fare delle
indagini sociologiche. Se sapessi chi ha rapito ed ucciso Aldo Moro potrei
probabilmente risponderti". SISTO: Riusciresti a mettere delle piccole
didascalie sotto ad ogni brano di "Viva l'Italia"? FDG: "E' la
cosa più difficile che potessi chiedermi. Mah, si va dalla prima facciata che
è un po' all'insegna del viaggiare, della dimensione esplorativa, "Buenos
Aires", "Eugenio" (che è la storia vera di un mio amico), alla
seconda che invece contiene canzoni 'ferme', ognuna aggrappata ad un suo
problema preciso. Dalla storia della ragazzina che va a Roma a cercare fortuna,
a "Gesù Bambino", una letterina ferocemente ingenua scritta da un
bambino per Natale, a "Terra e acqua", una preghiera, un
autocompiacimento della propria situazione di disagio, di solitudine, di
frustrazione".
chitarre
acustiche: Jerry Shirley e Mike Neville; sax solista: Lucio Dalla
The Pasta Pipe Orchestra & Chorus; con la partecipazione speciale di Antonio
Losappio diretti da Enni Boddi Jr.
Viva
l'Italia, l'Italia liberata.
L'Italia del valzer. l'Italia del caffè,
l'Italia derubata e colpita al cuore.
Viva l'Italia, l'Italia che non muore.
Viva l'Italia, presa a tradimento.
L'Italia assassinata dai giornali e dal
cemento,
l'Italia con gli occhi asciutti nella notte scura.
Viva l'Italia, l'Italia che
non ha paura.
Viva l'Italia, l'Italia che è in mezzo al mare.
L'Italia dimenticata e l'Italia
da dimenticare.
L'Italia metà giardino e metà galera.
Viva l'Italia, l'Italia tutta intera.
Viva l'Italia, l'Italia che lavora.
L'Italia che si dispera e l'Italia che si
innamora.
L'Italia metà dovere e metà fortuna.
Viva l'Italia, l'Italia sulla luna.
Viva l'Italia del 12 dicembre.
L'Italia con le bandiere,
l'Italia nuda come
sempre.
L'Italia con gli occhi aperti nella notte triste.
Viva l'Italia, l'Italia che
resiste.
|
|
|
"Ma come fare a
spiegare quella volta, a Bologna, era il 1981 mi pare, io a cantare "Mamadodori",
gli stadio a suonare e all'improvviso Fabrizio che sale sul palco nel pieno
della canzone. E dietro di lui Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Massimo Bubola,
Cristiano, tutti in fila indiana che si piazzano ai microfoni già predisposti, e
organizzati: e mi accompagnano, costringendomi a contenere la sorpresa mentre mi
rendo conto di quello che capita.
Come raccontare
che l'idea era venuta a De Gregori, in un lampo, quando si era capito che io non
avrei potuto partecipare al concerto: perché dopo tanti anni di assenza dalle
scene non avevo musicisti fissi, un gruppo mio, e in un momento lui chiama
Dalla, che poi coinvolgerà gli Stadio.
E decidono anche
loro, Fabrizio, tutti , di lasciarmi alla fine della scaletta, senza farmela
vedere, tant'è che mentre aspetto di cantare penso di essere stata dimenticata,
per poi stupirmi, per sempre, con quel loro sfilare affettuoso.
Il gesto
gratuito che l'amicizia si dedica, con la loro presenza divertita, e
indispensabile, ormai.
Come fare a
spiegare quel senso assoluto di felicità complice, ora che di quel momento resta
una fotografia che non basta: non riesce che fare altro che ritagliarmi al
centro di quella scena, quasi non fossi più io, regalata alla mia vita pubblica
da uno scatto che inevitabilmente ha reciso via le parti più importanti".
Dori Ghezzi
Dal libro "Lui,
io, noi"
Nel
1980 una cinquantina di concerti nei mesi di febbraio e marzo, accompagnato
dagli Stadio.
|