Formato:
CD Anno: 2008 Label: Caravan / Columbia 88697321982
Formato:
LP Anno: 2008 Label: Caravan / Columbia 88697321981
Prodotto
da Francesco
De Gregori
e
Guido Guglielminetti.
Fonico: Gianmario
Lussana
Assistente
tecnico:
Dario
Arianti.
foto
di copertina e del libretto di
Alessandro
Arianti e
Marco Anelli. Registrato e
missato da Gianmario Lussana (Forward
Studios - Grottaferrata) Mastering di
Fabrizio De Carolis (Reference Studios Mastering - Roma) Progetto
grafico di Spazio360 Grazie a
Dario Arianti
|
dal
forum del www.rimmelclub.it 21
luglio 2008
Ormeggio
qui, accanto alla barca di Caucaso, perché trovo il suo post l’imbarcazione
più bella, più commovente, più coerente e più sincera che sia
attraccata a questo molo. Ho cercato negli altri pontili, ma li ho
tovati abbastanza “intasati”. Sarà il periodo.....
Ma è stato anche questo mare che mi ha spinto a scrivere nuovamente al
Rimmel Club, il mare della mia casa a Furci con quello Jonio che, visto
quanto è straripante, a stento sono riuscito ad allegare a questo file.
Tutto il resto non entrava in cartolina e l’ho dovuto lasciare fuori
sulla spiaggia, peccato; la colpa è di quella vasca azzurra e
mascalzona, così luminosa che abbaglia i miei occhi nascosti nell’ombra
del fresco Levante e che, trascinandosi dentro il sole di Ponente,
indora tutta la costa calabra davanti. L’Italia direbbe qualcuno, viva
l’Italia!
Ma è dall’Italia tutta intera che questo pomeriggio mi sono convinto
ad imbucare questa cartolina, spedita da un vostro amico che non si fa
sentire da tempo. Quindi vi invio i migliori saluti siculi…. e qualche
considerazione sull’ultimo disco di Ciccio, sì proprio di lui.
Altrimenti di che vi parlavo, di come ho cucinato il pesce spada a
pranzo?
Tanti anni fa, quando ci capitava fra le mani un disco (dico disco ma
potrei dire quadro, film, libro, opera d’arte in genere) accadeva che
l’interesse per quel prodotto era dettato da semplici regole: io ho
creato questo e te lo propongo. Puoi ascoltarlo con calma, non c’è
fretta e soprattutto non nascondo trappole. Se ci piaceva impiegavamo
oltre due ore a registralo sulla musicassetta, facendo attenzione alle
pause, stop (troppo stop, torna indietro, troppo indietro, vai avanti….).
Al
contrario di Emule (che lo lasciamo tutta la notte acceso e al mattino
dopo troviamo le sorprese nella calza della Befana), in passato dovevamo
essere presenti, costretti ad ascoltare il disco dalla prima all’ultima
nota. Ad ascoltarlo come si deve, e ci faceva pure bene. Una volta con
Francesco abbiamo parlato proprio di questo.
Oggi non è più così. La sezione del nostro intelletto deputata a “ricevere,
selezionare, scegliere” viene bombardata da innumerevoli offerte:
guarda questo, scarica quello, dai un voto da uno a dieci e se clicchi
potrai prelevare la demo di questo. Tante sono le richieste di esame che
il nostro tempo dedicato alla valutazione di ogni prodotto si sta
riducendo al lumicino. Quando finalmente ci capita di ascoltare qualcosa
di bello, convinti di perdere del tempo veniamo colti da un inspiegabile
rimorso perché potremmo prestare la nostra attenzione ad altre cose.
Forse abbiamo perduto la vera concezione di ozio, o meglio, non
riusciamo più a capire cosa sia l’ozio, o perlomeno a distinguere
quello cattivo da quello benevolo. Non siamo più capaci di
scaraventarci sul letto di camera nostra, accendere l’Hi-Fi e goderci
un bel disco per un’ora solo per il gusto di ascoltarlo, solo per
ricevere benessere senza l’ansia e la fretta di formulare e decretare
giudizi belli o brutti che siano. Belle, ascoltare tutte le tracce dall’inizio
scordandoci il tasto FFww, senza lo scrupolo di pensare che quell’ora
di musica e di relax ci faccia perdere del tempo che noi riteniamo
prezioso e convincerci che preziosa, invece, è soltanto quella “perdita
di tempo”.
Stavolta non mi sono fatto fregare come per Calypsos. Lì mi era
capitata una cosa del genere, al punto da non conoscere nemmeno i finali
di ogni canzone perché le troncavo con quella maledetta freccia
elettronica, passando con frenesia da una traccia all’altra. Dove sei,
carissima puntina dell’H-fi di Readest Digest che, per i tuoi ben noti
limiti di manovra, passare all’altro brano significava rovinare l’Lp
e quindi mi costringevi a sentire ma proprio tutto! Lp, che bella sigla!
Un termine che mi ricorda luci soffuse, sana ed egoistica goduria fino
all’ultimo colpo di rullante.
Perché sono qui? Ah, già, per l’ultimo disco di Ciccio….. Non
sarò Antonio Piccolo, ma farò del mio meglio (considerate che grazie a
quello che ho davanti, per scrivere ho rinunciato all’abbiocco
pomeridiano, quindi se è venuta un po’ “ad minchiam” non è colpa
mia ma sempre del mare).
All’inizio, devo ammettere di aver avuto un giudizio negativo di tutta
l’opera. Stavo per metterlo da parte, e pensare che, forse, De Gregori
era realmente alla frutta e già lo vedevo curvato su se stesso a
raschiare il fondo del barile. L’ho ascoltato la prima, la seconda
volta, ed avevo ritrovato delle cose già dette, delle cose già
scritte, poltroncine a forma di fiore e gabbie di cardellini, refrain
già sentiti; mi pareva di risentire Bambini venite parvulos, Bellamore,
Numeri da scaricare, Stelutis alpinis, Disastro aereo.
Cazzo, possibile che Francesco si ripeta così? E poi è così ingenuo a
pensare che il suo pubblico ci caschi? Ma cos’è sta cosa simile a un
canto del cigno? Sembra che quel giochetto di scrivere canzoni non gli
venga più bene. Tutti tipici pezzi degregoriani suddivisi per
categoria: ci sono quelli appartenenti a Sempre per sempre, quelli
appartenenti all’Uomo ragno, quelli appartenenti a Bellamore, quelli
appartenenti a Penthatlon.
In quella settimana, quante volte avrei voluto scrivere qui dentro e
dichiarare, dopo più di trent’anni, che finalmente c’era un disco
di Francesco de Gregori che a Rapisarda non piaceva affatto. Quante
volte. Ma mi sono frenato, perché innanzi tutto ho un grandissimo
rispetto per un mito al quale devo dire mille volte grazie per tutto
ciò che mi ha regalato (al contrario del sottoscritto che invece non
gli ha dato proprio nulla) e poi perchè ho preferito starmene zitto
anziché uscirmene con un giudizio negativo che non so fino a che punto
sarebbe potuto servire.
Ho voluto prendere l’ultima opera di De Gregori, portarmela dentro di
me ed usarla come si fa per i compiti a casa; quasi come un dovere:
mattina, mezzogiorno e sera prima e dopo i pasti. Proprio per esprimere
un giudizio mio, personale, da fan, da umilissimo consumatore di musica.
Certamente non da critico musicale, anche perché non faccio questo di
mestiere.
Da premettere che per tutto questo tempo le tracce del CD sono state
lasciate volutamente e perennemente nell’HI-FI, nella pen-drive sotto
l’ombrellone, dentro il PC, nel notebook, nel lettore MP3 al cesso
invece della radio mattutina, addirittura nel palmare. Insomma, mancava
che sentissi questo disco anche sottoforma di sigla del Tg….. L’ho
ascoltato, l’ho riascoltato, ho superato l’empasse del terzo, quarto
ascolto. Al quinto, quando stavo cominciando a pensare “fra poco lo
butto”, ho percepito qualcosa di strano, l’assenza di qualcosa, ma
cosa?
Con
dischi di altri artisti capita di dire subito “che bel disco,
bellissimo, un capolavoro”. Però, perché dopo averlo ascoltato 5-6
volte, dopo non l’ascoltiamo più? Ma come, un disco acquistato 20
euro, che sembrava destinato ad essere una perla di disco, adesso me lo
ritrovo messo da parte e inutilizzabile soltanto dopo 5-6 volte? E’
durato poco, veramente poco. Economicamente sconveniente, peggio di una
Fiat. Un prodotto di breve durata. Se anche nella musica esistesse la
garanzia avrei chiesto indietro i miei 20 euro.
Anzi, a risentirlo mi veniva quasi un senso di nausea.
Ecco cos’era che mancava! La nausea! Eppure, per come si era
presentato “Francesco De Gregori, per brevità chiamato artista” la
nausea me l’aspettavo, inesorabile; viste le aspettative del primo
acchitto era imminente, incalzante, era dietro l’angolo. Invece era
una parola che avevo dimenticata, e come mai non arrivava? Come mai il
gesto di gettare il disco dal finestrino dell’auto, atteso da un
momento all’altro, non è mai scattato in me? Perché la nausea non c’era?
Tardava, respirava, eppure si muoveva…..
Con le cuffie alle mie orecchie l’ho aspettata fin troppo tempo. Poi
un giorno non è arrivata più e mi la lasciato di sasso col CD in mano,
pronto per essere inserito nel vassoio dell’HI-Fi, nuovamente,
nuovamente, nuovamente…. Quella nausea, come sabbia nel tempo, si
trasformava e si incarnava, e poi …. meravigliava, e produceva, ed
espelleva suoni che rubava.
Così me ne sono andato in giro con De Gregori, dentro il suo ultimo
colpo di genio: quale? Quello di infilare un’opera d’arte dentro uno
scarabocchio sfidando quasi il tuo interesse a scoprire ancora di più,
stuzzicando la tua curiosità a sentire quel che c’è oltre quello che
le tue orecchie ritengono scadente; lasciare a te ogni iniziativa per
abbattere ogni pedina di quella complessa scacchiera, alfieri, torri e
cavalli ed arrivare finalmente al Re.
Vi chiederete, ma perché tutto questo? Che senso ha affaticare la
mente, fare scacco matto, se esistono delle stradine più comode?
Prima di tutto perché scoprire che c’era una bellissima donna
nascosta sotto le vesti di una racchia è molto più divertente della
certezza di vivere con una racchia che non potrà mai cambiare;
toglierle gli occhiali da sette decimi e scoprire occhi stupendi è
stuzzicante, divertente. In una recente intervista Francesco ha detto
che stare con una donna che ti ha già spiegato tutto, sarebbe un amore
che durerebbe poco. In quella donna devi scoprire ogni giorno qualcosa
di nuovo, il contrario sarebbe la fine.
E poi questo disco a lunga durata è anche economicamente conveniente;
cioè, rispetto ad altri dischi che già “ti spiegano tutto e subito”
questo ti stuzzica, lo senti l’ennesima volta e scopri cose nuove.
Quindi, tirando le somme, dura molto ma molto di più. E’ quasi una
Wolkswagen!
Mi sono affezionato a queste canzoni, quando voglio suonarle entro in
crisi nello scoprire che, per caso, le ho cancellate dal PC. Mi rivesto,
scendo e mi riprendo il CD di copia per l’auto. Lo infilo nel drive,
imbraccio la chitarra, regolo il barrè artificiale, attacco il jack e
finalmente mi sento bene.
Quando ascolto Celebrazione mi immagino in una buia stradina della
grande Mela americana, però nella parte bacata, quella coi vermi che ci
vivono dentro e che piace tanto a Bruce Springsteen, con quell’Hammond
dylaniano che entra subito all’inizio e che ti mette addosso un
brivido come quello che avverti quando vedi un toro infilzare quei pazzi
a RTV. Del testo di questa canzone si è parlato abbastanza e non me ne
frega niente, è la musica e l’arrangiamento che mi intrippano.
Volavola e l’Infinito, al primo ascolto, assomigliano parecchio ad
altre canzoni di Francesco, ma dopo tempo ti accorgi che non è così, a
conferma che questo disco ha delle doti nascoste: ognuno di questi pezzi
ha una storia a se stante ed è un piacere constatare che quel tipico
suono di vecchio pianoforte con un effetto studio-RCA Francesco lo sa
ancora produrre, lo sa proporre ancora in vesti diverse e così ti
accorgi che nuove Bellamore, nuove Semprepersempre, nuove Rimmel e nuove
Lacrimedinemo ti passano davanti di nuovo, senza mai annoiarti.
Salviamone un’altra: Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra.
Quando l’ho conosciuta mi ricordava una di quelle canzoni che si
cantano ai collegi salesiani, che so…"grazie Signore,
grazie" oppure “Resta con noi Signore la sera” che se non la
cantavi e non ti sciroppavi tutta la messa i preti non ti davano il
pallone per giocare nell’oratorio. Poi dentro di me si è trasformata
in un canto di evangelisti stonati che suonano per le piazze della
città. Pian piano, quegli evangelisti sono diventati mormoni
anglosassoni e che, dopo altri ascolti, sono stati trasferiti negli
States a St. George, nello Utah. Il tempo è passato, ed oggi quando la
risento faccio qualche chilometro in più in Arizona, e li rivedo
trasformati in guide Navajo e Cowboy che affogano le loro serate in
fiumi di musica e Budweiser ghiacciata al Country Cafè “El Charro”
a Tucson. Ragazzi, che voglia di ballare! E pensare che tutto era
cominciato all’Istituto Don Bosco!
E quando siete usciti fuori dal locale, mentre albeggia, avete provato
ad ascoltare L’imperfetto in auto mentre da Tucson imboccate le
Interstates 8 e 5 in direzione Ovest verso la 17th Mile Drive? Provateci
(se proprio “non potete”, usate almeno la vostra fantasia). Io mi ci
sono virtualmente imbarcato e aggrappato alla scia che lasciavano i
violini elettrici della Cirillo sono arrivato fino a San Francisco!
Tirando le somme e facendo un po’ di calcoli, direi che con queste
ultime produzioni noi degregoriani (o talebani, come ci chiama lui) ci
abbiamo guadagnato.
Se ripassiamo disco per disco la sua carriera ci accorgiamo che
Francesco, in media, ne pubblica uno ogni quattro anni. Se dopo l’uscita
di Pezzi avesse saltato completamente il 2006 ripubblicando qualcosa
solo nel 2008 con un album contenente Cardiologia, Mayday, La linea
della vita, L’amore comunque, Le lacrime di Nemo, Celebrazione, l’Angelo
di Lyon, Volavola, l’Imperfetto, l’Infinito, ne sarebbe uscito fuori
un capolavoro coi contromarroni, in linea con gli standard di
pubblicazione dei suoi dischi, sia in termini di qualità che di tempi
di uscita. E nessuno avrebbe detto niente. Anzi, staremmo tutti qui a
dire che De Gregori è l’unico vero autentico cantautore rimasto, che
al contrario di tanti altri suoi colleghi non è ancora finito; un
evergreen che ancora per molto tempo può dare tanto alla musica d’autore
italiana.
Ma non l’ha fatto. E così facendo si è esposto fin troppo, dandosi
in pasto ai più svariati giudizi. Fra live e studio, ha sfornato
qualcosa come cinque dischi in quattro anni. Cosa che non gli accadeva
in passato.
Perché ha agito così? Forse perché a questo monumento della musica
italiana, a una certa età non gliene frega proprio più niente di
quello che potrebbe dire la gente o la critica. A questo punto della
carriera può permettersi di fare ciò che vuole, senza pensarci due
volte. Dite che l’ultimo disco non va bene? Embè? Può piacere, non
piacere ma io lo faccio lo stesso perché lo posso fare, perché sono
innamorato di questo mestiere, perché poi me ne vado in giro per l’Italia
a suonarlo con la mia band. E mi divertirò, ci divertiremo, e chi si
vuol divertire con noi mi segua. Venderò poco? Non me ne frega una
mazza!
Questo è, oggi, il Sig. De Gregori. E sembra spiegarcelo lui stesso
nella traccia che dà il titolo all’album. Un’emozionante ballata in
cui viene dichiarato apertamente chi sia quel ragazzo coi capelli rossi
che tanti anni fa smascherò lo zingaro che gli predisse il futuro. Oggi
solo i suoi capelli sono cambiati, che da rossi sono diventati bianchi,
ma Francesco è rimasto lo stesso: un visionario che gioca ancora con lo
Zingarelli sulla tastiera del piano, che racconta di verità e di bugie
e che si inventa storie di personaggi mai esistiti per emozionarsi
ancora una volta, per emozionarci ancora una volta. Forse per questo è
un’imbroglione come tutti gli artisti, contraddittorio e menzognero
come loro.
Il funzionario che redisse quel contratto non poteva azzeccare migliore
postilla legale: “Francesco De Gregori, per brevità chiamato artista”.
Poteva etichettare diversamente uno che ancor oggi, a quasi sessant’anni,
è perennemente alla ricerca di favole per andare a dormire serenamente
e che prima di farlo dà la buonanotte ai fiori?
Francesco non farmi più scherzetti del genere. Quali? Camuffare un
cigno da brutto anatroccolo. Come faccio a capire che intendevi domani
se dici oggi? Se fossi stato un po’ più giovane l’avrei distrutto
con la fantasia… ma con l’eta che avanza ci impiego di più a
stanarti.
Però quando ti trovo, finalmente, ogni volta è una gran cosa. Sempre.
Mimmo
Rapisarda
P.S.
Scusate il numero di pagine…. ma la colpa è stata sua, di questo
mare.
Il problema, ora, è cercare qualcuno che mi aiuti a trasmettere da qui.
Wireless, Wi-Fi, Lan, Wap, come cazzo si chiamano tutte quelle
diaboliche sigle che mi permettono di arrivare a voi? Aiuto, ci sarà
almeno una presa telefonica per casa?
Ecco, l’ho trovato. Sta per arrivare…. buona serata a tutti.
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AUTORITRATTO D’ARTISTA CON
CHITARRA
Repubblica, 18.5.2008
Francesco De Gregori è un uomo riservato e curioso. A suo
modo un ossimoro. Cammina come un’ombra lunga tra le ombre di Roma, ha un fisico
asciutto, aristocratico e va all’Auditorium per ascoltare la musica popolare, ha
mani da musicista e lo sguardo del giocatore di poker che si diverte per
qualsiasi bluff, i suoi come quelli degli altri. Non sono un grande artista,
dice, ma un artista sì. Prende a prestito Totò: non ci tengo né ci tesi mai.
«Ma, e lo rivendico senza pudore, canto per lasciare un segno, come un regista
fa un film, il pittore un quadro. Ho avuto periodi più o meno felici, ma ho
sempre cercato di restare me stesso dentro una vita piena di errori».
Arrivederci maestro, il cameriere della trattoria toscana lo saluta così. Lui
sorride. E racconta:
«Da parte di padre ho antenati piemontesi.
Vercelli, credo. Qualche goccia di sangue nobile, per questo motivo qualcuno
ancora mi chiama il Principe. È un modo per pigliarmi in giro».
Quando se ne va, sulle sue scarpe bianche, il cappello
bianco, la cintura bianca e con la schiena dritta, e attraversa piazza Mazzini
sotto il sole di maggio e il cielo pulito, quartiere Prati, le sue strade da
quand’era ragazzino, mi accorgo che mi ha regalato parole da conservare perché
potranno tornare utili più tardi, come le carezze non accettate che si mettono
da parte in previsione di tempi scuri e solitari.
Francesco De Gregori ha fatto un nuovo disco. Si intitola Per
brevità chiamato artista . Uscirà tra pochi giorni. Nove canzoni bellissime,
nessuna sperimentazione musicale, questa volta nessuna fascinazione rocchettara,
la voce migliore da Rimmel in poi. Un ritorno da cantautore a cinquantasette
anni, lungo il sentiero della sua esistenza fino a qui, nelle mani un timone per
aprirsi, forse, un’altra rotta ma senza sapere da che parte svolterà. Da qualche
tempo ama il mare, la barca a vela, la velocità degli antichi. Da sempre
predilige la buona educazione, qualità divenuta merce rara in Italia. Dice:
«È un disco realizzato in assoluta libertà
che chiude un contratto con una casa discografica, la Sony-Bmg, e che mi lascia
davanti a una prateria, a una tela bianca. Torno a interpretare storie rotonde,
con il rischio di risultare noioso e autoreferenziale. Guardo il tempo che
passa, cerco di riflettere sulla dolce decadenza e sugli errori che ho commesso.
In un certo senso ho tracciato il mio autoritratto. Ho scritto la mia biografia.
Non ho più nulla da dimostrare, non sono più un grande venditore di dischi e
adesso potrei anche smettere di fare questo mestiere. Mi piacerebbe molto
trasformarmi in un pittore, ma sarebbero necessari un rigore e una fatica che
non si possono improvvisare e che forse non mi posso permettere. Quand’ero
giovane avrei voluto diventare architetto, ma a venticinque anni ho cominciato
ad andare in giro con la chitarra».
Parliamo a tavola, in un angolo tranquillo che si capisce
essere riservato a lui. Davanti ha un’insalata che alla fine non mangerà e un
bicchiere di vino bianco. Nessuna sperimentazione musicale, nessuna fascinazione
rocchettara nei nove brani di “Per brevità chiamato artista
” Un disco da cantautore a cinquantasette
anni, per “cercare di riflettere sulla dolce decadenza e sugli errori che ho
commesso”
Cominciamo dal titolo, Per brevità chiamato artista.
Che cosa significa?
«Era la formula che veniva usata quando
firmavi un contratto con una casa discografica: Francesco De Gregori, per
brevità chiamato artista. Come dire, non sappiamo bene che cosa sei, qual è la
tua carta d’identità. Mi è sempre piaciuta la distanza che c’è tra le due
parole. Brevità e artista. Le ho incamerate tanti anni fa. Ora, finalmente, le
ho utilizzate».
Sembra un brano autocritico, non tenero. Un elogio amaro
della doppiezza d’animo.
«Non del tutto. È un avviso ai naviganti.
Difende da una parte la libertà dell’artista e dall’altra il suo diritto
all’incoerenza. Può essere illuminista e cattolico, Caino e Abele, uno stupido o
un ballerino. Io sono davvero uno che conta i cani per strada e dà la buonanotte
ai fiori. Metto le mani avanti. E vi dico: attenzione, la nostra risma è questa,
abbiamo vite disordinate. Sappiatelo, prima di invitarci a cena».
Le piace l’immagine dell’artista maledetto?
«Mi affascina l’immagine, anche se io ne sono
lontanissimo. Pensi che non mi sono mai fatto una canna, né l’ho mai cantata.
Sono stato e resto contrario alle droghe. È
ciò che ho cercato di insegnare ai miei figli».
Nel brano c’è anche una richiesta di maggiore rispetto nei
confronti di chi fa musica.
«Sì. La canzone è considerata arte di serie
B, e questa cosa più si va avanti e più mi stanca. Se al Quirinale ci va il
cinema per i David di Donatello, non capisco perché non ci possa andare anche la
musica. Fossati, Ligabue, Battiato, Dalla... Non tutta la musica, come non tutti
i film. In Italia manca la critica, mancano le occasioni. Noi non abbiamo mai
avuto un Ferroni, un Longhi, un
Argan. E dovremmo chiederci più spesso se il
Festival di Sanremo non restituisca un’immagine deforme e sgraziata del nostro
mondo».
Quanto ha lavorato all’ultimo album?
«Un anno per pensarlo e scriverlo, un mese in
sala di incisione. Molto di più per costruirlo nella mia testa. L’identico
processo che può stare dietro al “segnaccio” di un pittore su di un muro».
Picasso diceva che in uno scarabocchio su un tovagliolo di
carta vergato in pochi secondi c’è una vita intera. È così anche per lei?
«Negli anni raccolgo foglietti, accordi,
idee, melodie, suggestioni letterarie. Metto appunti nel portafoglio, arrivo a
casa e li infilo in una cartellina, uno zibaldone appoggiato sul pianoforte.
Stanno lì come la madre nell’aceto. Un giorno prendono forma compiuta. Non ho
canzoni nel cassetto e non mi piace riascoltare i miei vecchi dischi. Mi fanno
male. Dopo cinque anni mi sembrano terribilmente invecchiati. Nei con certi,
infatti, cambio le mie canzoni».
Il terzo brano dell’album si intitola Celebrazione. Il
Sessantotto quarant’anni dopo. Un atto d’accusa.
«Racconta di un posto in cui sono stato e che
non mi è piaciuto. Un posto nel quale non voglio tornare. Sono contrario alla
sua celebrazione e a chi, come Capanna, si sente un suo orfano. Il ‘68 italiano
è diventato come il giorno delle mimose, mentre invece a me sembra una data così
poco identificabile, imparagonabile all’assassinio di Martin Luther King, al
Vietnam, al Maggio francese. Noi, purtroppo, abbiamo avuto la scalinata di Valle
Giulia. È quello il nostro ‘68? E allora io sto con Pasolini che simpa-
tizzava per i poliziotti perché erano figli
dei poveri».
È una condanna assoluta e senza rimedio, la sua?
«No. Il ‘68 ha disseminato tracce positive
sugli anni successivi, ma il suo massimalismo verbale ha avuto pesanti ricadute
nel terrorismo politico degli anni Settanta. Chi lo nega lo fa arrampicandosi
sugli specchi. Non si può parlare di rivoluzione senza definirne i contorni e le
conseguenze deleterie. Io penso semplicemente che il Sessantotto non sia stato
un anno mitico, uno spartiacque della storia italiana. Allora lo è stato di più
il ‘78, con l’omicidio Moro. Lì il Paese ha cominciato davvero a cambiare, lì è
successo qualcosa di veramente storico. Oggi molti rimpiangono il Sessantotto
perché rimpiangono la loro giovinezza, un po’ come se mio padre avesse rimpianto
le leggi razziali perché a quel tempo aveva vent’anni. Lo so, è un paradosso
esagerato. Chiedo scusa».
Le riporto un passaggio di Finestre rotte: «C’è gente senza
cuore in giro per la città, di notte bruciano persone e cose solo per vede re
che effetto fa». È l’Italia di questi giorni?
«È ciò che vediamo tutti. Il problema è che
subito dopo aver guardato chiudiamo gli occhi. Quello che sta accadendo in
queste ore nei confronti degli extracomunitari e dei Rom è il sintomo di una
democrazia bloccata e in crisi. La colpa è di tutti, anche mia. Siamo un Paese
triste, arretrato e incattivito che ha bisogno di essere modernizzato in fretta.
Dandosi allegria, rigore, giustizia sociale. Dovremmo prendere esempio dalla
Spagna».
Mai accarezzata la tentazione di fuggire?
«Più di una volta. Ci penso spesso. Non è
detto che siccome sei nato in un certo posto, in quel posto tu debba anche
morire. Alla fine resto qui, non so bene perché. Potrei prendermi una pausa, un
anno o due in un’altra città. Sceglierei Atene, splendida e caotica culla di
tutte le civiltà moderne».
Esistono ancora la destra e la sinistra?
«È una contrapposizione ormai vecchia, come
ha dimostrato l’esito delle ultime elezioni. Esistono i conservatori e i
riformisti. Ogni altra definizione appartiene al passato».
Lei è andato a votare?
«Sì. Il voto è un diritto importante. Ed è
uno schiaffo in faccia al grillismo».
Non le piace la deriva politica di Grillo?
«No. Quando lo incrocio in tv, cambio
canale».
Per chi ha votato?
«Per Veltroni».
Nonostante le critiche mosse nei suoi confronti alla vigilia
delle primarie del Partito democratico?
«Quelle critiche restano, le ribadisco.
Aggiungo che non mi è piaciuto il metodo con cui sono stati scelti alcuni
candidati, compreso Rutelli per Roma, all’interno di una bottega oscura di altri
tempi, in spregio allo strumento delle primarie che invece hanno avuto il grande
merito di portare in piazza la politica».
I denigratori di Veltroni dicono che Veltroni è l’unico
italiano che crede nel veltronismo. Lei che ne pensa?
«Non sono d’accordo su alcune delle cose che
Walter fa. Il pullman, un certo tipo di linguaggio, il desiderio di piacere,
certe mitologie letterarie. Di Veltroni sono amico, non gli risparmio nulla, lui
si arrabbia, mi telefona, lo farà anche questa volta. Ma è il suo carattere, non
si può cambiarlo, come io non posso modificare il mio. Ma oggi a Walter
riconosco il merito di un progetto che mi piace molto. Ha avuto il coraggio di
andare da solo, di tagliare con la sinistra radicale. Ha rivoluzionato lo schema
della politica
italiana. Doveva recuperare molto svantaggio,
ha cercato di prendere tempo e di anticipare la riforma della legge elettorale,
nelle condizioni in cui si è andati a votare la vittoria era impossibile. Adesso
si potranno fare cose importanti anche dall’opposizione.
Il Pd ha avuto poco tempo, l’errore è avere
aspettato troppo. Doveva nascere prima, non si doveva attendere che la figura e
il governo di Prodi fossero così consumati. È come se il Partito democratico
fosse nato in contrapposizione a Prodi stesso. Peccato».
Ancora Berlusconi a Palazzo Chigi, Schifani al Senato, il
postfascista Fini alla Camera. È preoccupato?
«Io vivo d’istinto anche la politica. Non
temo l’arrivo dei barbari, non sto con chi si straccia le vesti. Non possiamo
pensare che ci governino sempre quelli che ci sono simpatici, a volte ci capita
di trovarci a dover fare i conti con chi viene da una cultura opposta alla
nostra. Ho apprezzato il messaggio di Berlusconi per il 25 aprile e il discorso
di Fini il giorno dell’insediamento alla Camera. Mi piace l’idea del dialogo
sulle riforme.
Spero nella condivisione, non nell’inciucio e
nello scambio di fiori, naturalmente. Siamo agli inizi, aspetto di vedere i
fatti prima di giudicare. Non ho mai amato l’antiberlu sconismo a prescindere
della sinistra, un atteggiamento che chiudeva così la porta a qualsiasi altra
analisi. La pregiudiziale dell’antiberlusconismo ha condizionato l’opposizione,
è stata un limite alla sua intelligenza politica e alla sua crescita culturale».
Torniamo alla musica. Quanto amore c’è in questo ultimo
disco?
«Spero molto, e mi auguro non declinato in
maniera zuccherosa. Considero l’amore, il poter amare, un grande privilegio. Non
bisogna vergognarsi di amare, è l’unico campo nel quale va evitato il pudore dei
sentimenti. L’amore è la vita. E l’amore è spesso
incomprensibile. Nell’album c’è una canzone,
L’angelo di Lyon, scritta da un artista statunitense, Tom Russel, e tradotta da
mio fratello, Luigi Grechi, che è un inno alla trascendenza dell’amore. È la
storia misteriosa di un americano che abbandona tutto per seguire il volto di
una donna intravisto tra la folla. Gli occhi di una donna di cui non conosce
neppure il nome e per la quale viaggia fino a Lione, un posto esotico per un
americano, no? Per amore, solo per amore.
È una canzone meravigliosa e incomprensibile.
Sono sempre stato un difensore dell’incomprensibilità delle canzoni. Questa
volta mi sono tolto il lusso di cantarne una senza averla scritta io».
A cinquantasette anni come si sente? Un po’ più grande o un
po’ più vecchio?
«Un po’ più sereno, ma domani chissà. A
trent’anni vai veloce, vuoi tutto e spesso anche il tutto non ti basta, dai
risposte sbagliate, confondi gli indirizzi. Oggi mi sento quasi saggio, mi godo
l’estetica della rinuncia. Conduco una vita riservata e pochissimo bizzarra,
frequento un piccolo branco di amici, una pattuglia di coraggiosi, cerco di
vedere il bene negli altri, mi fido del prossimo fino a prova contraria, a volte
non me ne bastano sei, di indizi, per accettare la delusione di un incontro. Sto
molto in casa, ascolto pochissima musica, mai la mia, leggo Charles Wilford,
Philip Dick e soprattutto Cormac McCarthy, il mio autore preferito di cui sono
riuscito a recuperare proprio nei giorni scorsi anche Il guardiano del frutteto,
l’unico suo romanzo che mi mancava. Mi sarebbe piaciuto un film di Stanley
Kubrick da un suo libro, Cavalli selvaggi, per esempio. Sento la morte più
vicina, come è naturale, ma non la temo. Mi spaventa il cerimoniale della morte,
questo sì».
E crede in Dio?
«Certamente non sono un ateo, credo in
qualche forma di trascendenza, ma non nel Dio con la barba bianca. Non mi sento
di fa re scommesse su nulla, credo che non avere sicurezze sia una dimostrazione
di laicità. E c’è un’altra cosa».
Quale?
«Ogni tanto ho paura».
Il brano che chiude l’album si chiama L’infinito. La voce di
De Gregori, la sua voce più bella, canta così: «Ho viaggiato fino in fondo nella
notte, e stava nevicando, e ho visto un grande albergo con le luci spente, e ho
avuto un po’ paura, ma nemmeno tanto, la strada andava avanti, ed io slittavo
dolcemente». Come capita a tutti colo ro che hanno ancora la voglia e il
coraggio di camminare dentro la vita.
DARIO CRESTO-DINA
http://download.repubblica.it/pdf/domenica/2008/18052008.pdf
Parla
Francesco De Gregori: «Le mie canzoni appartengono a tutti»
TORINO
16/07/2008 - Il titolo dell’ultimo album “Per brevità chiamato
artista”, si attaglia bene allo stile di Francesco De Gregori che
questa sera sarà al teatro della Concordia di Venaria (corso Puccini
1), per la tappa torinese del suo tour. Trentatrè dischi realizzati,
tra album inediti, live e raccolte. Insomma, una bella fetta della
canzone italiana d’autore. Una storia personale fatta di successi da
“Alice (1972) a “Rimmel” (1975) a “Generale” (1978), passando
per “La donna cannone” (1983) e la più recente “Per brevità
chiamato artista” che dà il titolo all’ultimo cd. Brani entrati
nella leggenda che sono diventati patrimonio comune per almeno tre
generazioni. Vincendo la sua abituale ritrosia De Gregori si racconta in
questa intervista.
Allora Francesco, quali sono le novità di questo ultimo tour?
«Ho
inserito canzoni che non facevo da tempo come “Capo d’Africa” del
1979 e devo dire che sono riuscito a fare un bel mix tra brani vecchi e
nuovi, come dovrebbe essere ogni concerto. Altrimenti se fosse solo una
raccolta di successi non avrebbe molto senso».
Come
si è trovato a ripescare questi brani poco noti?
«Il
fatto stesso di poter rimettere mano alle tue composizioni è sempre
emozionante. La musica non è mai qualcosa di definitivo».
È
in tour ormai da molti anni. Perché questa scelta?
«Sento
che non ne posso fare a meno. Ormai è come se fossi il cantante di un
gruppo. Finché il fisico me lo permetterà voglio continuare a suonare
dal vivo».
Molti
suoi fan nel corso del tempo hanno cercato di interpretare il
significato dei suoi testi. Che effetto le fa?
«Mi
piace lasciare libertà d’interpretazione. In alcune, come ad esempio
“La leva calcistica della classe 68”, il testo è talmente chiaro
che non dovrebbero esserci dubbi».
C’
è una canzone che rappresenta lo stato d’animo attuale di Francesco
De Gregori?
«È
impossibile scegliere, sono legato a tutte le mie canzoni allo stesso
modo. Il fatto stesso di portale con me in tour e cantarle ogni sera in
modo diverso mi aiuta a vederle crescerle».
Il
suo collega Antonello Venditti minaccia le vie legali per l’uso
improprio delle sue canzoni. Condivide questa scelta?
«Non
sono d’accordo è successo anche a me con “La storia”, ma credo
che le canzoni una volta scritte appartengano a tutti».
È
più difficile scrivere canzoni adesso o quando era giovane?
«Non
è una questione di età. In passato sono stato anche tre anni senza
scrivere. Quando arriva l’ispirazione bisogna essere pronti a
coglierla».
In
una sua canzone dice: “Quello che non so lo so cantare”...
«Fare
musica è una condizione privilegiata e ti permette di vedere aspetti
della realtà che altri non possono cogliere».
Dunque
non c’è niente da capire?
«Quella
canzone era un paradosso per dire a chi mi ascolta di non cercare
significati nascosti nelle mie canzoni oltre al testo».
A
questo punto della carriera c’è un’esperienza che le manca e che
vorrebbe fare?
«No,
la musica è il mio mondo. Un’arte che mi completa, lasciandomi il
tempo per il mio hobby preferito che è la lettura».
Un
autore da portare in tournée?
«Adesso
sto leggendo i romanzi di Simenon».
Francesco
De Gregori e Torino...
«È
una città che mi ha sempre incuriosito per la sua vivacità culturale.
Dopo le Olimpiadi l’ho vista trasformata».
Gerardo
Mirarchi
"Per brevità chiamatelo
Maestro"
di
Federico Resta
Rispescia:
Spesso "Festambiente" appare come una tranquilla festa invasa
da tante persone desiderose di divertimento. Il concerto, le bancarelle,
gli stage, sembrerebbe un modo per passare il tempo molto controllato ed
ordinario. Ma quello che la gente ha vissuto ieri sera, durante
l'esibizione magnifica di Francesco De Gregori, è di sicuro un momento
che verrà ricordato nella storia di tutto il festival maremmano. Per
due ore intere (grandi artisti musicali dovrebbero imparare...) il
maestro romano è riuscito ad intrattenere il pubblico con canzoni piene
di attualità e sincerità. Vedere ragazzi di 14 anni cantare brani come
"Il bandito e il Campione" , "Rimmel" o "La
donna cannone" è una sensazione veramente strana.
Come diceva Sinatra: "...quando il pubblico vuole i vecchi pezzi
significa che quelli nuovi non sono buoni..." Ma nel caso di De
Gregori questa cosa è vera solo a metà.
Sebbene i vecchi successi siano sempre i più richiesti dal suo
pubblico, canzoni come "Per brevità chiamato artista" e
"Celestino", non fanno certo brutta figura in panorama
musicale (italiano su tutti...) sempre più vuoto e spento.
Inoltre, gli arrangiamenti del cantautore romano non sono affatto
antiquati.
Sfumature country alla Gram Parsons, punte di un blues caustico e
ironico associate ad una vena poetica che non solo riesce ad aprirti le
orecchie, ma allo stesso tempo, riesce ad incantarti come il canto delle
sirene di Ulisse.
Un momento magico per tutti insomma; bravi e cattivi ascoltatori
compresi.
In fondo cosa importa se qualcuno dopo "La leva calcistica del
77" ha lasciato il concerto dicendo che era venuto solo per quella
canzone o se qualcuno ha storto il naso perchè De Gregori e la sua
fantastica band non hanno eseguito "Pablo".
E' vero che "Pablo" è considerata da molti come la miglior
canzone italiana di sempre, ma non si può obbligare un artista a
cantare una canzone che per lui, attualmente, non ha nessun valore.
Magari fra qualche anno saremo ancora lì, a sentire quello che
Francesco De Gregori deve ancora dire e, molto probabilmente, lui con il
suo cappello di paglia e la sua giacca di velluto non ci deluderà
affatto.
"E un applauso del pubblico pagante...lo sottolineerà..."
|
"Il
Tempo" - 22.5.2008
Se affondate gli occhi dentro questo disco vedrete pezzi di vetro, e un
uomo che conta i cani, e augura la buonanotte ai fiori. C'è tanta
pioggia, ed enigmi sentimentali, e vaghe ombre della politica, persino
una "sinistra paralizzata e una destra che lavorava".
È
un De Gregori «classic», quello che torna in questo «Per brevità
chiamato artista», titolo scaturito non da una sorta di indomabile
spocchia, bensì ispirato alla formula che identifica i cantanti in
margine al contratto discografico. Con un occhio, spiega lo stesso
Francesco, al concetto nobile e volatile dell'"arte", «per
lasciare con questa frase un segno poetico e letterario».
Il disco è nato tra foglietti, appunti e idee scaturite nelle notti
della tournée teatrale dello scorso anno, e poi materializzato in
studio, a gennaio, con la levità e la naturalezza di chi sa che è
inutile interstardirsi sulla forma definitiva delle canzoni, «che sono
roba viva, non foto da conservare nell'album di famiglia del salotto
buono», e che quindi, come insegna Dylan, una volta registrate verranno
modificate in mille sembianze diverse durante i concerti. Qui sono
suonate a mezzo volume, tra gioia e disincanto, e un'altissima
ispirazione narrativa: su tutte, la conclusiva "L'infinito",
elegiaca e solitaria, sequel mascherato della "Donna cannone",
quando ti rendi conto che la tua compagna, volata via per avventura, non
tornerà dalle tue parti, e dovrai "viaggiare fino in fondo nella
notte/senza guardarci dentro".
È un disco, questo, di tenerezze cifrate, come il sensuale, andante
"L'imperfetto", o la dolce ninnananna "Volavola",
ricalcata su un modello della tradizione popolare italiana, o l'inquieta
"Finestre rotte", un allarme metropolitano in stile rockabilly,
dove "c'è gente senza cuore in giro per la città/di notte
bruciano persone e cose solo per vedere che effetto fa". C'è il
dolore trattenuto e virile (semmai affidato al lamento dell'armonica)
nel folk rock di "Ogni giorno di pioggia che Dio manda in
terra" e lo stomp comico e feroce di una società ridotta ai minimi
etici in "Carne umana per colazione".
Come altre rare volte nella sua carriera, il cantautore De Gregori
prende in prestito un gioiellino altrui, quell'"Angelo di Lyon"
scritto da Tom Russel e tradotto dal fratello Luigi Grechi, dove un
americano intraprende un viaggio sentimentale dal West verso l'Europa,
tra cattedrali gotiche, voti ed epifanie del cuore, alla ricerca di una
donna idealizzata e forse perduta.
Quanto al brano che dà il titolo alla collezione, è buon compendio
alla "Valigia dell'attore". Qui c'è un artista che spende
"tutta una vita ad arrampicare/come una scimmia sulla schiena di
qualcuno", e che "quando cade sa cadere/e non si fa male/o non
lo fa vedere". Versi che come pochi altri tratteggiano la divorante
ansia e l'orgoglio esaltato di chi passa una vita tra palco e realtà,
costretto a dare corpo ai sogni di tutti.
Stefano
Mannucci
|
Francesco de Gregori per la prima volta apre una finestra
sul suo panorama artistico offrendo al suo pubblico un canale diretto ed
ufficiale on line in cui trovare informazioni riguardanti il nuovo album,
in uscita il 23 maggio, Per brevità chiamato artista e la registrazione
di due video live, contenenti due tracce inedite del nuovo disco,
registrati durante il tour 2008. Consultando la sezione foto, è possibile
condividere con l’artista momenti catturati durante la registrazione del
nuovo video a Roma ed accompagnati da materiale inedito. La prossima
tournée deI cantautore è prevista in estate per promuovere il nuovo
album.
|
E'
on-line il sito di De Gregori
(per brevità chiamato artista)
Così
più o meno compare, in una austera mise nera, sul suo nuovo sito che ha
aperto oggi 21 aprile, (www.francescodegregori.net) il cantautore romano
che fra un mese (il 23 maggio) darà al popolo il nuovo album di
inediti, "Per brevità chiamato artista", con evidente
riferimento alle diciture che si usano sui contratti discografici. Ma,
sempre per brevità, ognuno potrà invece continuare a definire il
Principe come meglio gli aggrada.
Ai fans vengono offerti, sul sito, i video di due canzoni, la
title-track e <Finestre Rotte>. La prima suona come una sorta di
decadente e malinconica autobiografia, sottolineata da un mandolino; la
seconda odora di country-rock e naturalmente di Bob Dylan. De Gregori si
è pure fatto intervistare - da qualcuno evidentemente con il brevetto
in regola sull'argomento da affrontare - e spiega di aver voluto mettere
nel titolo la parola "arte": "nel senso romantico del
termine....qualcosa che intende consapevolmente lasciare un segno
poetico e intellettuale..."; gli preme sottolineare che c'è una
canzone, "L'angelo di Lione", scritta da suo fratello Luigi
Grechi, già autore di "Il bandito e il campione".
L'intervistatore definisce l'album "ormai lontano, distaccato dalle
urgenze politiche che spesso hanno segnato le sue canzoni", come se
non ci fosse una via di ritorno; De Gregori ribatte: "Lo potrei
definire un'autobiografia fantasticata. Questo forse comprende anche
l'amore e la politica, ma il gioco non è sempre dichiarato". Ho
trovato questo sito un po' tanto austero, un po' tanto scuro: come il
suo protagonista del resto, in alcuni periodi della vita almeno.
Marinella Venegoni - La Stampa, 22.4.08
Il
nuovo album di De Gregori "E' un'autobiografia fantastica"
Da angelacamurri
PER BREVITA' CHIAMATO ARTISTA'
Il nuovo album di De Gregori
"E' un'autobiografia fantastica"
Uscirà
il 23 maggio. "È un disco dove ci sono dentro pezzi di vita ma
anche delle visioni e delle 'pre-visioni'. Lo potrei definire
un'autobiografia fantastica. Questo forse comprende anche l'amore e la
politica, ma il gioco non è sempre dichiarato", spiega il
cantautore
Francesco
De Gregori Roma, 21 aprile 2008 - È un'autobiografia fantastica. Così
Francesco de Gregori descrive 'Per brevità chiamato artista', il nuovo
album in uscita il 23 maggio.
"È un disco - spiega il cantautore in un'intervista che compare
sul suo sito ufficiale francescodegregori.net da oggi in linea - dove ci
sono dentro pezzi di vita ma anche delle visioni e delle 'pre-visioni'.
Lo potrei definire un'autobiografia fantastica. Questo forse comprende
anche l'amore e la politica, ma il gioco non è sempre dichiarato".
Di certo, questo album "è molto diverso da quello che passano di
solito le radio".
E spiega anche perchè abbia scelto 'Per brevità chiamato artista'
quale titolo del disco. "Sul mio primo contratto discografico c'era
questa definizione legale che mi riguardava. Era un po' agghiacciante e
un po' divertente e credo di aver pensato di fin da allora che prima o
poi l'avrei usata in una canzone. Comunque, mi interessava mettere al
centro del mio lavoro la parola 'arte' nel senso romantico del termine, qualcosa
che consapevolmente intende lasciare un segno poetico e intellettuale
non solo un mestiere che ha a che fare con una distribuzione o un
mercato".
Quanto alle canzoni, i brani sono stati scritti nel corso del 2007 e
hanno preso forma a gennaio in studio durante una pausa nella tournee
teatrale. Sonorità teatrali che emergono dal lavoro: "Abbiamo
suonato più pensando di stare in un piccolo club che non in un campo
sportivo".
Tra le canzoni che compongono l'album c'è 'L'angelo di Lyon', un brano
scritto dal fratello Luigi Grechi. "È la seconda volta - spiega De
Gregori - che canto una canzone di mio fratello dopo 'Il bandito e il
campione'. Questa è una canzone diversa che mi ha affascinato per il
suo testo impenetrabile. La definirei una canzone sull'impenetrabilità,
la trascendenza dei misteri d'amore: riascoltandola ho notato che forse
è l'unica canzone veramente d'amore di tutto il disco".
Il
nuovo De Gregori punta tutto su ironia e leggerezza
di
Simone Mercurio
«Si
potrebbe definire un disco più cool, da piano bar, in qualche modo più
sofisticato degli altri, soffice... ecco». A pochi giorni dal concerto
romano, Francesco De Gregori parla del suo prossimo disco in uscita a
maggio. Due canzoni nuove, il cantautore romano le ha suonate proprio in
un Auditorium Conciliazione carico di entusiasmo e tutto esaurito. Un
gustoso aperitivo per un disco già pronto e registrato nato fra una
data e l’altra del tour teatrale.
Lei propone live delle nuove canzoni prima che il disco esca… non
dovrebbe essere il contrario?
«E perché mai! Mi andava di sentire come suonavano live, volevo la
risposta del pubblico, e poi non mi è mai piaciuto seguire delle regole
in questo senso. Anche le mie tournèe non sono mai state consecutive a
dei dischi nuovi».
Un tour infinito, con una band con la quale dà l’idea di divertirsi
parecchio.
«Assolutamente sì, se non ci divertissimo sarebbe davvero la fine! Mi
fa piacere quando si sottolinea la bravura della mia band. Al di là del
vestito che decidiamo di far indossare ai pezzi, penso si senta quando i
musicisti sono affiatati».
Palasport, stadi, teatri, auditorium, ma anche piazze o centri sociali
lei ha fatto concerti davvero ovunque. Tornerebbe
oggi a qualche
esibizione da pianobar?
«Perché no? Amo suonare davvero ovunque ed è anche quello che
consiglio ai giovani: suonare senza risparmiarsi. È quello il principio
per arrivare al pubblico, più di quello di cercare a tutti i costi un
contratto discografico».
Tornando
al disco in
uscita a maggio, due canzoni inedite nel live romano
«Finestre rotte» e «Per brevità chiamato artista»: la prima è un
rock ’n’ roll molto sixty ed è più diretta, la seconda ha bisogno
di qualche ascolto ed è nel testo forse più criptica. A cominciare dal
titolo.
«Quando mi dicono che i miei testi sono ermetici sorrido un po’, è
stato così anche per altre canzoni ma poi nel tempo si capiscono.
Finestre rotte è una canzone su quello che circonda, su quello che non
va. Non mi piace spiegare i miei brani, si comprendono ascolto dopo
ascolto. Per brevità chiamata artista prende spunto invece dalla
curiosa formula burocratica che si usa nei contratti discografici.
Questa cosa mi faceva sorridere per la sua freddezza».
Ha già deciso il titolo del disco?
«Ho in mente un paio di titoli a dire il vero. Ma preferisco non dirli
perché magari poi cambio idea. Sarà un disco fatto di canzoni e
atmosfere diverse una dall'altra, con brani nati dal clima teatrale
della tournèe, meno palasport, meno rock, più cool, più con atmosfera
da pianobar, brani con sonorità sofisticate… soffici, è forse questo
il giusto aggettivo. Si tratta di un disco che si è suonato da solo,
nella pausa fra un concerto e l'altro della tournèe».
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De
Gregori: il '68 in Italia non ha creato classe dirigente. Importante e'
modernizzare l'Italia, se lo fa Berlusconi..
La
scure del Principe sui sessantottini. "Ci sono cose della mia vita
che io rifiuto. E insieme a queste rifiuto anche alcune cose del '68 che
invece vengono celebrate". Francesco De Gregori, ospite questa
mattina a 'Omnibus' su La7, ribadisce la sua visione critica di alcuni
retaggi del movimento del '68, una presa di posizione che nel recente
passato ha irritato molti simpatizzanti di sinistra innamorati del
cantautore romano.
"Forse
la responsabilità maggiore del '68 in Italia è quella di non aver
contribuito a creare la classe dirigente degli anni successivi", ha
continuato il cantautore. "Si può dire anche che ha screditato la
scuola, che ha interrotto il principio di autorità e che ha eliminato
totalmente la meritocrazia. Ma se ne possono dire anche di positive. Ma
mentre in altri Paesi vediamo gente con responsabilità di governo che
è venuta da quella cultura e che grazie a quella cultura è diventata
classe dirigente e ha modernizzato le proprie società, non credo si
possa dire lo stesso per quanto riguarda l'Italia".
"Non
si può dire 'Berlusconi mi piace o non mi piace'. E' un atteggiamento
quanto mai semplicistico e un po' rozzo", ha proseguito De Gregori
nell'intervista ad Antonello Piroso, che gli ha ricordato un recente
titolo di stampa che attribuiva al cantautore romano un appoggio al
presidente del Consiglio. "Io argomento semplicemente il fatto che,
rimanendo un uomo di sinistra ma che alla sinistra non 'appartiene' -
nel senso che verifica giorno per giorno quanto questo essere di
sinistra sia suffragato dai fatti, e finora non ho mai avuto smentite -
dico che se il centrodestra ha vinto le elezioni con tanta larghezza di
voti - ha detto ancora De Gregori -, se più di metà del Paese ha
votato compatta per i suoi rappresentanti, non possiamo considerarli dei
barbari che vengono e ci torchiano e quindi aspettarci cinque anni di
cupa controriforma. Dobbiamo sperare e cercare di cogliere quanto piu'
possibile dei lati di positività in quello che faranno".
Secondo
De Gregori la questione è "modernizzare il Paese: che lo faccia
Berlusconi o qualcun altro... l'importante è che qualcuno lo faccia. E
questo, per le persone in buona fede che sanno ascoltare quando uno
parla, non vuol dire che essere diventato 'berlusconiano"'.
De
Gregori ha concluso: "Ma poi è così importante se io sono di
sinistra o di destra? Il valore di quello che ho fatto sta nelle cose
che ho scritto. Il mio problema è che quando mi chiedono come la penso
io non mi sottraggo e l'ho sempre detto, da quando avevo vent'annni fino
ad oggi, e continuerò a fare cosi'. Qui ci sono dei dischi che cantano.
Facciamo cantare quelli"
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17/05/2008
- - "PER BREVITA' CHIAMATO ARTISTA
era scritto sul mio primo
contratto discografico" - ha detto Francesco De Gregori spiegando
così in un'intervista, sul sito www.francescodegregori.net, il titolo
del suo nuovo cd di inediti, in uscita il 23 maggio.
"Oggi - ha aggiunto - mi sembra giusto ricollocare al centro del
mio lavoro e delle canzoni in generale, la parola 'arte' nel senso
romantico del termine; arte come qualcosa che vuole consapevolmente
lasciare un segno intellettuale e poetico e non semplicemente avere a
che fare con una distribuzione e con un mercato".
Il disco contiene nove brani inediti, registrati a Gennaio di quest'anno,
in una pausa della fortunata tournèe appena conclusa.
"Abbiamo lavorato in studio, con l'intento di ottenere delle
sonorità immediate… e credo che questo venga fuori.
Dal punto di vista dei contenuti non ci sono canzoni politiche in senso
stretto e forse neanche vere e proprie canzoni d'amore".
"Comunque - ha concluso De Gregori - è difficile parlare di
qualcosa che hai appena finito di fare, se dovessi azzardare una
definizione, direi che è una specie di autobiografia fantasticata: c'è
dentro qualcosa di narrativo, dei pezzi di vita ma anche delle visioni o
delle 'pre-visioni'."
Disponibile
dal 23 maggio in CD, Digital Download e Vinile edizione limitata
numerata
DE
GREGORI GRATIS ON LINE
Da venerdì fino a giovedì 22 maggio, su Repubblica.it si potrà
scaricare il brano di Francesco De Gregori intitolato Celebrazione, in
anteprima sull'uscita, che avverrà il 23 maggio, del suo nuovo album
Francesco De Gregori, per brevità chiamato artista. Per poter scaricare
gratuitamente il brano gli utenti di Repubblica.it dovranno registrarsi.
L'album è un'"autobiografia fantasticata", una sorta di
"ritratto" di un uomo vicino ai 60 anni. Nel tour che si è
concluso poche settimane fa De Gregori ha presentato dal vivo in
anteprima al suo pubblico tre brani del nuovo album: Finestre rotte,
Celebrazione e Per brevità chiamato artista.
|
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Per
brevità chiamato artista, tutta una vita ad arrampicare
Come una scimmia sulla schiena di qualcuno, come un uccello sul filo
o un ubriaco per le scale che quando cade sa cadere e non si fa male o non lo fa vedere
Doppio come una medaglia. S fosse d'oro sarebbe cartone.
Il cieco con la voce buona e il muto che ci vede bene.
Invitami stasera a cena, arriveremo insieme
Per
brevità chiamato artista, tutta una vita a girare intorno come uno stupido o un ballerino,
Giovane illuminista o cattolico di ritorno che insegue il mattino alla fine del giorno
e
E dice pane al pane e al vino.
Doppio come l'innocenza.
Se fosse Abele sarebbe Caino
Antidoto senza veleno ed alibi senza assasino.
Perdonami se sto lontano e cercami vicino
Per
brevità chiamato artista, come un gatto dentro a un canile, come un ladro tra i truffatori
Martire da palcoscenico e vittima d'Aprile che macina i cuori, che calcola i cani
e dà la buonanotte ai fiori.
Doppio come un doppio gioco, se fosse oggi intendeva domani
Lo zoppo che cammina dritto e il pittore senza mani
Invitali stasera a cena.
Basta che mi chiami
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Francesco
De Gregori: "Non facevo una vita dissoluta"
Francesco
De Gregori: "Viva l'Italia"Francesco De Gregori torna con un
disco nuovo e parole nuove. Sull'amore libero e il '68, su De André,
Grillo... E su questo governo
di Andrea Scarpa su Vanity Fair n. 22/2008. Servizio Nicoletta Ferrari
All'appuntamento
per parlare del nuovo disco, Per brevità chiamato artista, De Gregori
arriva vestito da De Gregori: jeans chiari, Superga bianche, giaccone
scuro, maglia a righe bianche e blu e cappello da marinaio...
Questo nuovo disco "passerà" in radio?
"Non credo proprio. Nelle mie canzoni ci sono troppe parole e le
regole della radio di oggi le parole le mettono al bando..."
...In passato si era ribellato all'etichetta di
"cantautore"... Ci ha fatto pace?
"Assolutamente sì. ...I cantautori hanno fatto grandi cose che
vanno recuperate e rivalutate ".
...è poesia la sua?
"...Sarebbe più giusto descrivere il mio modo di fare canzoni come
parte della letteratura del mondo di oggi..."
Altri equivoci sul suo conto?
"...Quello della politica è di sicuro il più delicato. Sono di
sinistra... però in più occasioni ci sono state appropriazioni
indebite, fraintendimenti e collocazioni che non mi sono piaciute...
"
È ancora di sinistra?
"Sono di sinistra, ma non le appartengo... Voglio avere la libertà
di poter verificare sempre le mie scelte e quelle degli altri...".
"Per scrivere un disco bisogna farsi un po' prendere la mano",
disse anni fa. È andata così anche stavolta?
"No... Da anni, ormai, accumulo idee... E poi le scrivo su qualche
foglietto... Spesso le perdo o le dimentico, quindi quelle che restano
sono sicuramente le più significative. Lavoro su queste..."
... "Ci sono posti dove sono stato/ Posti dove non tornare... O
certe stanche stanze/ Dove discutono di poesia, di architettura o di
democrazia... Dove il Piave mormorava/ E la sinistra era paralizzata/la
destra lavorava". Questa è Celebrazione, terza canzone del nuovo
album. Dove lei parla di '68, salotti e terrazze radical chic. E ne
parla in maniera critica.
"È vero. C'è una parte della mia vita: persone e luoghi che ho
frequentato consapevolmente e che, con il tempo, ho
riconsiderato..."
In quello che dà il titolo al disco, invece, parla di sé?
"Sì. "Per brevità chiamato artista" era la formula con
cui ero descritto nel mio primo contratto discografico...
...che ricordo ha del viaggio in Ungheria fatto con Antonello Venditti
nel 1972? "Piacevolissimo. Era un viaggio-premio per aver
partecipato a un servizio della Tv ungherese sull'Italia..."...Era
l'epoca dell'amore libero.
"...Ma non facevo una vita dissoluta. O, almeno, non me lo
ricordo..."
Si ricorda invece di quando, davanti a De André, trasformò la sua
Guerra di Piero nella Cacca di Piero?
"Certo. Era il 1973 e lui venne a sentirmi al Folkstudio... Ero
emozionatissimo... Per gioco, e per fargli vedere come sapevo usare
parole e metrica, rifeci il suo pezzo in versione goliardica... Nel 1975
realizzammo anche un disco insieme, Volume VIII. Mi invitò per un mese
in Sardegna, nella sua casa in Gallura. Ma ci vedemmo solo due volte: io
dormivo di notte, lui di giorno..."
Nel 2003 ha recitato in un film di Franco Battiato, Perduto amor: farà
il bis?
"Non credo, non sono un attore... Prima l'avevo chiesto a Nanni
Moretti".
Inutilmente?
"Sì... Non c'è stato verso di convincerlo. "Sei l'uomo più
impacciato d'Europa", era la sua risposta".
...Che cosa pensa del fenomeno Grillo?
"...L'antipolitica ha sempre attraversato le democrazie, non vedo
niente di nuovo in quello che fa".
Nel 2005 disse che "la Costituzione è il Kamasutra della
democrazia": come li vede i prossimi anni?
"Berlusconi ha una solida maggioranza e speriamo che la usi per
modernizzare il Paese. Se ci riuscisse, non farebbe una politica di
destra o di sinistra, ma soltanto il bene di tutti..."
In Viva l'Italia, nel 1979, cantava di un'"Italia che
resiste": oggi li scriverebbe quei versi?
"Allora ero molto più manicheo: da una parte i buoni, dall'altra i
cattivi. Oggi ...mi piace pensare a un unico Paese che, insieme, può
trovare un modo per migliorare le cose"...
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C'è
gente senza cuore in giro per la città
C'è gente senza cuore in giro per la città
Di notte bruciano persone e cose solo per vedere che effetto fa
Portami
la giacca ed il coltello
Portami la giacca portami il coltello
E vivi da lupo e vestiti come un agnello
I
vetri alle finestre sono rotti e il tetto è da rifare (2 vlt.)
La pioggia sta salendo lentamente dalla tromba delle scale
C'è
gente senza cuore in giro per la città (2 vlt.)
Alcuni fanno i soldi con i soldi alcuni chiedono la carità
C'è
sangue sulla luna e il sole sta per tramontare (2 vlt.)
Due uomini seduti sotto un ponte non si stancano di aspettare
E'
tutto a posto, non c'è niente che non va (2 vlt.)
Tornatevene tutti a casa cje nessuno se ne pentirà
Stammi
a sentire bene quando devo parlare (2 vlt.)
Lavati le orecchie e togliti l'auricolare
C'è
gente senza cuore in giro per la città (2 vlt.)
Alcuni pensano liberamente alcuni pensano in cattività
La
vita è come un gioco da vivere perdutamente (2 vlt.)
A volte vinci il primo premio e poi ti accorgi che non serve a niente
E
i figli sono uguali ai padri non c'è niente da fare (2 vlt.)
ed io vorrei cambiare la mia faccia ma non so da dove cominciare
Ci
sono tre scalini sulla porta della galera (2 vlt.)
E un diavolo che grida e un angelo che si dispera
C'è
gente senza cuore in giro per la città (2 vlt.)
Alcuni bruciano persone e cose per vedere che effetto fa
Un
occhio per un occhio, per una testa una croce (2 vlt.)
Gli amanti a mezzanotte sono stanchi e i cani abbaiano sottovoce
i
vetri alle finestre sono rotti e il tetto è da buttare (2 vlt.)
Se non lo fanno subito fra un po non ci sarà più niente da aggiustare
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De
Gregori, il sinistro dal volto umano
«Sono
di sinistra, ma non le appartengo. Voglio avere la libertà di poter
verificare sempre le mie scelte e quelle degli altri. Non temo l'arrivo
dei barbari. Berlusconi ha una solida maggioranza e speriamo che la usi
per modernizzare il paese. Se ci riuscisse, non farebbe una politica di
destra o di sinistra, ma soltanto il bene di tutti. Grillo? Non lo dico
con cattiveria, ma né il comico né il banditore mi hanno mai
incuriosito. L'antipolitica ha sempre attraversato le democrazie, non
vedo niente di nuovo in quello che fa».
Hanno fatto rumore le parole di Francesco De Gregori, in occasione
dell'uscita dell'album «Per brevità chiamato artista» (la canzone che
dà il titolo - sulla doppiezza di chi si offre, con il suo lavoro, al
giudizio del pubblico; oppure, di chi è condannato a ricercare il
consenso, vai a sapere - è un piccolo gioiellino). Uomo di sinistra,
sì. Ma non "de sinistra", cioè iscritto a quelle
conventicole da terrazza romana in cui i partecipanti sono selezionati
sulla base della loro presunta superiorità morale e collegati dall'antiberlusconismo
a prescindere. A sinistra, insomma, da spirito libero.
Al dunque i suoi giudizi sono davvero così dirompenti? Il De Gregori di
oggi è così diverso da quello che nel 2006 dichiarava «Se ripenso a
Craxi credo che intellettualmente fosse superiore a tanti politici
d'oggi»? È così distante dal se medesimo che ad Aldo Cazzullo nel
2003 spiegò il suo posizionamento non come un vincolo ideologico, ma
come una questione di sensibilità (disse proprio così:
«sensibilità», un parametro che, è facile immaginare, provocò un
sobbalzo nei duri e puri del Sol dell'Avvenir)? O dalla persona che
raccontò dello zio partigiano di cui porta il nome, ucciso dai
comunisti a Porzus, dopo aver firmato un affresco minimalista del
crepuscolo repubblichino con Il cuoco di Salò ?
De Gregori non fa che ribadire il suo punto di vista, con quel
divertissement un po' aristocratico di voler spiazzare l'interlocutore,
i fan, il colto e l'inclita. Di non voler compiacere l'immagine
pregiudiziale che di lui hanno in molti. Di concedersi alla copertina di
Vanity Fair (no, dico: Vanity Fair . Francesco, ma che dirà il
proletariato?). Come quando, un anno fa, sparò in piena estate un colpo
di bazooka su Walter Veltroni, in corsa per le primarie del Pd,
un'intervista in cui lo faceva a brandelli pur dichiarandosi suo amico
da trent'anni, «gli voglio un bene dell'anima, sono stato suo testimone
di nozze» (e tu per riflesso pavloviano intonavi: «Lo sposo è
impazzito oppure ha bevuto», Alice). È importante, semmai, che De
Gregori lo ribadisca oggi, in un'epoca cioè in cui si pretenderebbe, da
parte di alcuni, di dare la linea. Con i soliti noti che si vorrebbero
arrogare il diritto di decidere da che parte sia la ragione, accusando
immediatamente di intelligenza con il nemico chi, pur schierato dalla
stessa parte, non si pieghi alla logica dell'«o con noi o contro di
noi». E se non ti inginocchi davanti al totem dell'antiberlusconismo,
sei un venduto. De Gregori smonta il giocattolo a modo suo. Non è
saltato sul carro del vincitore. Non si è precipitato alla corte di
Arcore. Ha solo espresso un concetto di sano buonsenso: speriamo che
alla fine il governo agisca nell'interesse generale.
De Gregori è questo, «e non c'è niente da capire». La sua
riottosità a non voler essere inchiodato alla categoria dei chierici
che cantano in coro si appalesò una volta per tutte a Primo Piano .
Ospite di Maurizio Mannoni, gli fu chiesto di commentare la chiusura
traumatica di Raiot di Sabina Guzzanti. Con voce bassa e molta
educazione, De Gregori spiegò di avere un problema: «In genere i
comici non mi fanno ridere, è un problema mio, a meno che non si
tratti, che so, di Tognazzi e Vianello a Un, due, tre». Quindi
aggiunse: «Intendiamoci, la Guzzanti è bravissima e la censura è
sempre da biasimare». Pausa. «Però va anche detto che non ti devi
mettere nella condizione di farti censurare». Tradotto: se te la vai a
cercare, poi non lamentarti e non vestire i panni del martire.
All'ottimo Mannoni, basito, non rimase che concludere: «Bene. E con
questo è tutto. Buonanotte». Sì, fiorellino. |
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Ci
sono posti dove sono stato
Posti dove non tornare
Isole di madreperla
O tropici nel temporale
O certe stanche stanze
Dove discutono di poesia
Di architettura o di democrazia
Ascoltami
Parlare e lacrimare insieme
Ci
sono posti dove sono stato
Come una casa o una stazione
Dove la vita ha fatto bingo
Tra una ferita e una mutilazione
E dove portano quelle scale
Ma tu davvero lo vuoi vedere?
Chi vuole scendere scenda pure
Ma chi c'è stato non ne vuole più sapere
Ci
sono posti dove sono stato
Dove il Piace mormorava
E la sinistra era paralizzata
la destra lavorava
In certe stanche stanze
Dove discutono di psichiatria
Di terrorismo e di fotografia
Ascoltami
Parlare e razzolare insiem
Ci
sono posti dove sono stato
Mi ci volevano inchiodare
Ai loro anni ciechi e sordi
Ai loro amori raccontati male
A una canzone di quattro accordi
Ad una stupida cantilena
Ma tu davvero non te lo ricordi
Quando cantavi e sbadigliavi in scena?
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Vola
il pavone e vola il cardellino,
Vola il pavone e vola il cardellino
Se vai cercando un sassolino d'oro, vedi che nel mio cuore ce n'è uno
che se lo trovi non ti pare vero, se vai cercando d'oro un sassolino
Vola il pavone e vola il cardellino
E
vola vola vola vola vola vola, solo per un'ora per un'ora sola
E vola come le parole e le sciocchezze
E vola come i baci e le carezze
e vola come i baci e le carezze
Se
risalisse il fiume alla forestam se risalisse il fiume alla foresta.
Se ritornasse l'acqua alla montagna, se rivenisse l'ora della festa
Sarebbe ancora grano la farina
Se ritornasse l'acqua alla montagna, se si tenesse il mare in una cesta
E vola vola vola...
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Vulesse
fa' 'rvenì pe' n'ora sole
lu tempe belle de la cuntentezze,
quande pazzijavame a "vola vola"
e te cupre' de vasce e de carezze.
E
vola vola vola vola e vola lu pavone;
si tiè lu core bbone, mo fammece arpruva'.
'Na
vote pe' spegna' lu fazzulette,
so' state cundannate de vasciarte.
Tu te scì fatte rosce e me scì ditte
di 'nginucchiarme prima e d'abbracciarte.
E
vola vola vola vola e vola lu gallinacce; mo si ti guarde 'n facce
mi pare di sugna'.
Come
li fiure nasce a primavere, l'amore nasce da la citilanze.
Marì, si mi vuò bbene accome jere,
nè mi luvà stu sogne e sta speranze.
E
vola vola vola vola e vola lu cardille; nu vasce a pizzichille
nè mi le può nega'...
'Na
vota 'r'na pupuccia capricciosa,
purtive trecci appese e lu fruntine; mo ti si fatte serie e vruvignose,
ma ss'ucchie me turmente e me trascine.
E
vola vola vola vola vola la ciaramelle;
pe' 'n'ore cuscì belle vulesse sprufunna'
(da
un canto popolare abbruzzese).
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Ogni
giorno c'è un pezzo di strada da macinare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E una lacrima che sa di pioggia e che sa di sale
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
Ti
aspetterò così come si dice che si deve fare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E non sarò mai troppo stanco di stare a aspettare
Un altro giorno di pioggia che Dio manda in terra
E
non c'è niente di stabilito tutto può cambiare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E non esiste un cavallo sicuro su cui puntare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
Ogni
giorno metto in tavola qualcosa da mangiare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E certe volte non trovo parole per ringraziare
Per ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E
ognuno cerca di fermare il tempo e il tempo non si fa fermare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
Ognuno cerca di passare il tempo e il tempo si vede passare
In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
A
volte mi sento come un prigioniero da liberare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
Ma non ci sono sbarre e non c'è modo di scappare
I ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
Ogni
giorno c'è un pezzo di strada da ritrovare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E una lacrima da benedire e conservare
Per tutti i giorni di pioggia che Dio manda in terra
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Dio
non c’entra proprio un cubo
Secondo il critico d’arte Vittorio Sgarbi è «una grottesca scatola
scambiata per chiesa». Camillo Langone (autore di una Guida alle messe
italiane, appena pubblicata da Mondadori), sul Foglio, fa notare che c’è
un “dettaglio” piuttosto importante per un edificio sacro: «Non si
vede il Crocifisso». In rete, i cittadini la definiscono
«incredibile», «orrenda» e «mostruosa». Qualcuno, forse
esagerando, butta lì: «È l’edificio più brutto del mondo».
È
la nuova chiesa di Foligno presentata ieri dall’architetto
Massimiliano Fuksas, che domani alle 17 verrà consacrata a San Paolo
dal vescovo folignate Gualtiero Sigismondi.
La
comunità di Foligno non sembra entusiasta del cubo di cemento (perché
non sarà selvaggio, ma è proprio cemento) realizzato da Fuksas.
Qualche tempo fa un gruppo di cittadini ha anche presentato una
petizione per fermare l’opera, come spiega Carlo Ceraso, direttore del
quotidiano online di Foligno Tuttoggi.info. «Questa chiesa ha fatto
molto discutere», dice, «perché all’interno è minimale e in parte
gradevole, con giochi di luce naturale, ma l’esterno lascia davvero
perplessi: ci si trova di fronte a un cubo e a un parallelepipedo che
sembrano due scatole e mal si addicono alla campagna umbra. Anche se
Francesco De Gregori, che abita qui, l’ha apprezzata molto».
Il
cantautore infatti ha partecipato alla presentazione e ha dichiarato:
«Ero da tempo incuriosito dall’opera. Quando sono entrato ho provato
un’emozione fortissima».
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(Tom Russel, Steve Young, Luigi Grechi)
Fu
la visione di Anna Maria con il rosario tra le dita
Ad incantare lo stregone e fargli cambiar vita
Lasciò la scena un vestito grigio, lasciò un messaggio con un sorriso
Diceva "parto per Lione e cerco un angelo del Paradiso"
Salì
sul treno che portava a Bruxelles, ordinò cogna e croissants
Fece l'elenco delle cose futili nella carrozza restaurant
Pensò alle ville e alle piscine, ai pezzi rari da collezione
E fece un voto come San Francesco per il suo angelo di Lione
E
canto l'Ave Maria, almeno i versi che ricordava
Mentre guardava dal finestrino l'ombra del treno che lo portava
e ad occhi chiusi sognò quei due fiumi, il Rodano e la Saòne
Simbolo eterno delle due anime maschio e femmina di Lyon
Restò
ad aspettare sul vecchio ponte, pensò all'incontro di un anno fa
Ma i giorni vanno e diventano mesi, quattro stagioni son passate già
Ora il suo abito è tutto stracciato, somiglia proprio ad un barbone
Gira le strade e cerca ad ogni passop il suo angelo di Lione
stanotte
nella cattedrale mille candele stanno bruciando
Le tiene accese Suor Eva Maria a mano a mano che si van consumando
E dentro i vicoli come in sogno trascina il passo lo straccione
Il vecchio scemo fuori di testa per il suo angelo di Lione
E
cantò l'Ave Maria, almeno i versi che ricordava
mentre fissava sui vecchi muri la propria ombra che lo seguiva
E attraversò quei due sacri fiumi, il Rodano e la Saòne
E l'acqua scura come il mistero di quell'angelo di Lyon
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Angel
of Lyon
He
had a vision of anne marie with a rosary in her hand
So its exit the rainmaker,- that old grey flannel man...
With a closet full of buisness suites, and a letter by the phone,
He said "i'm on my way to paridise, to see the angel of lyon......."
Then he caught a train in brussels, he ordered cognac and croissants,
And he made a mental list of things he owned but did not want,
All the buildings and the real estate, the antique glass and stone,
He'd take a vow of poverty to see the angel of lyon...
And he sang ava maria, at least the parts he knew...
And he watched the shadow of the train
On the towns that they rolled through...
And he closed hid eyes and saw two rivers
The rhone and the sonne..
The male and female sspirit of the city of lyon.......
Then he waited on the bridge, where they met the year before...
And the days turned into weeks til the seasons numbere four,
And his clothes grew worn and ragged as through the streets he roamed,
Searching every open window, for his angel of lyon.....
And he sang "ava maria", at least the parts he knew,
And he watched his shadow on the walls of the streets he walked through,
And he crossed those sacred rivers, the rhone and the sonne,
But they would not give him the secret, of the angel of lyon.....
Now theres a thousand candles burning in the basilica tonight,
Where sister eve maria is the keeper of the light....
And down a dream of alleyways walks a saint of rag and bone,
A madman torn asunder, by the angel of lyon......
And he sang "ava maria", at least the parts he knew,
And he watched his shadow on the walls of the streets that he walked
through....
And he crossed those sacred rivers, the rhone and the sonne,
But they never gave up the secret of the angel of lyon.......
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FRANCESCO
DE GREGORI AL PREMIO MASSIMO TROISI
(PRIMA)
SAN GIORGIO A CREMANO, Napoli - Sarà Francesco De Gregori il
protagonista del tradizionale concerto che caratterizza ogni anno il
Premio Massimo Troisi: un evento, quello in programma il prossimo 1
luglio alle 21 nell'Arena Viviani di Villa Bruno a San Giorgio a
Cremano, che rappresenta il coronamento di un percorso che il Consiglio
d'Amministrazione dell'Istituzione Comunale - Premio Massimo Troisi,
presieduto da Angela Viola, ha intrapreso sin dal giorno
dell'insediamento.
Francesco De Gregori terrà a Villa Bruno l'unica tappa in Campania del
suo tour estivo.
Dopo la decisione di intitolare la XIII edizione del Premio Massimo
Troisi, in programma dal 30 giugno al 6 luglio a San Giorgio a Cremano,
ad Anna Magnani, nel centenario della nascita, la scelta di Francesco De
Gregori come protagonista musicale della kermesse rappresenta un altro
tassello di un mosaico organico, quello che vuole rappresentare il
fortissimo legame tra il pubblico e gli artisti capaci più di tutti gli
altri di incarnare e intercettare il sentimenti popolari, le passioni,
le emozioni, le difficoltà, i sogni e le delusioni delle donne e degli
uomini.
Amato sia dalla critica che dal grande pubblico, considerato uno dei
più grandi cantautori italiani di tutti i tempi, Francesco De Gregori
ha appena pubblicato il suo ultimo album, Francesco De Gregori Per
brevità chiamato artista, e la sua disponibilità a partecipare al
Premio Massimo Troisi è stata accolta con gioia e soddisfazione
dall'intera città: il suo concerto costituirà infatti un evento
indimenticabile, una vera e propria gemma che andrà ad impreziosire
l'album di famiglia del Premio Massimo Troisi, manifestazione che si è
affermata nel corso degli anni come uno dei più importanti appuntamenti
italiani nel settore della valorizzazione di nuovi talenti.
Il Premio, dopo una prima fase dedicata esclusivamente al
"cortometraggio comico" ha assunto infatti i caratteri di
"Osservatorio sulla comicità" a 360 gradi aprendosi ad altre
forme di espressione artistica che hanno dato vita a 3 concorsi
riservati al Migliore Attore Comico, alla Migliore Scrittura Comica, al
Migliore Cortometraggio Studentesco, che vedono la partecipazione di
concorrenti provenienti da ogni regione d'Italia.
E quest'anno c'è una importantissima novità: il concorso "Cinema
Commedia Italia", che vedrà la partecipazione di 6 pellicole che
si contenderanno il premio per il miglior film ed il miglior attore.
I film che parteciperanno al concorso, e che verranno proiettati nel
corso della kermesse, sono:
Grande, Grosso e Verdone, di Carlo Verdone;
Ci sta un francese, un inglese e un napoletano, di Eduardo Tartaglia;
Una moglie bellissima, di Leonardo Pieraccioni;
La seconda volta non si scorda mai, di Alessandro Siani;
Non pensarci, di Gianni Zanasi;
Amore, bugie e calcetto, di Luca Lucini.
Dunque, il grande cinema comico italiano torna ad essere protagonista di
una manifestazione nata per ricordare uno dei più grandi talenti della
cinematografia nazionale di tutti i tempi, l'indimenticabile Massimo
Troisi.
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Ehi,
probabilmente non si deve fare
Però lo stanno facendo già
Correttamente e politicamente
E poi magari diventerà
Qualcosa che divertirà la gente
Un nuovo tipo di televisione
Una vacanza intelligente
O un campionato di liposuzione
Hei, c'è una nuova specialità
Carne umana per colazione
Ehi,
non ti devi preoccupare
Prendi la cosa con tranquillità
E' garantito che non fa male
Non è nemmeno una novità
E' acqua che si fa pesante
La fotocopia di un'esplosione
Calce viva in un ristorante
O fumo in una stazione
Ehi, non senti che stanno cucinando già
Carne umana per colazione
C'è
una luce in mezzo al cielo
Proprio dove stai guardando tu
C'era una volta un mondo intero
E adesso non esiste più
Però esisteva veramente
ed è finito non si sa come
Non ne è rimasto quasi niente
A parte l'eco di una radiazione
Ehi, da qui all'etenità
Carne umana per colazione
Ehi, c'è qualcosa sul
giornale
Stanno facendogli pubblicità
Non te la devi lasciar scappare
E' una scheggia di modernità
E' un eroe dell'altra guerra
Chiuso dentro ad una prigione
Sarà impiccato domattina
O sarà libero su cauzione
Ehi, qualcuno ha scommesso già
Carne umana per colazione
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"Il
Piccolo" di Trieste - lunedì 2 giugno 2008
di Carlo Muscatello
È
possibile scriver male dell’ultimo disco di Francesco De Gregori senza
incorrere nel reato di lesa maestà? Dopo quattro decenni trascorsi a
incensare il cantautore romano («Theorius Campus», a quattro mani con
Venditti, è del ’72; il debutto solista, con «Alice con lo sa»,
dell’anno successivo), temiamo sia arrivato il momento di superare l’imbarazzo
e interrompere una tradizione positiva. Dicendo chiaro e tondo che «Per
brevità chiamato artista» (Columbia SonyBmg), già generosamente
immortalato da una nota firma del Tg1 come «uno dei più belli e
importanti della sua carriera», è in realtà un brutto disco.
Peggio: un disco inutile, nel quale il cinquantasettenne De Gregori -
che in passato ha scritto alcune delle pagine, quelle sì, più belle e
importanti ed emozionanti della canzone d’autore italiana - dà l’impressione
di raschiare il fondo del barile. Lo si capisce già dal titolo, che lui
stesso ammette di aver ripreso da un’espressione usata nel primo
contratto discografico da lui firmato. «Credo di aver pensato fin da
allora - ammette - che prima o poi l'avrei usata in una canzone...».
Era l’alba degli anni Settanta, il momento è arrivato.
Eccola, allora, la canzone che apre e dà il titolo al disco. Una ninna
nanna nel classico stile De Gregori, con tutti i suoi luoghi comuni
(zoppi che camminano dritti, pittori senza mani...), che ti aspetti
sempre stia per aprirsi su un inciso, un guizzo, insomma un qualche
cosa, e invece prosegue per cinque minuti e mezzo, sempre uguale a se
stessa, in un piattume ottimo solo per conciliare il sonno.
«Finestre rotte» ha il pregio di interrompere l’incipiente abbiocco,
ma non va oltre. Un rockettino debole debole, che non lascia traccia.
«Celebrazione» si fa ascoltare, è passabile, ci fa quasi credere di
aver pensato male troppo presto, ma poi - già al quarto brano - arriva
la mazzata finale: «Volavola» è un brano al di là del bene e del
male, «vola il pavone e vola il cardellino, se vai cercando un
sassolino d’oro vedi che nel mio cuore ce n’è uno...». Aleggia un’inquietante
atmosfera tipo Heidi che fa temere di aver sbagliato disco da inserire
nel lettore.
Si prosegue così, fra una «Ogni giorno di pioggia che Dio manda in
terra», che ricorda da lontano la vecchia «Ballata dell'uomo ragno»,
e una quasi dignitosa «L’angelo di Lyon», firmata però dal fratello
Luigi Grechi (cognome della madre, adottato tanti anni fa dal
primogenito per non essere accusato di voler brillare di luce
riflessa...). Concludono il disco «Carne umana per colazione»,
«L'imperfetto» e «L’infinito»: l’impressione è quella di un
tentativo di rifare, a volte con indubbio mestiere e persino una punta d’ispirazione,
canzoni che lo stesso De Gregori ha già scritto. Molto meglio.
Lo dimostrano anche i concerti e le rare comparsate televisive (l’ultima
dinanzi all’adorante Fazio...), dove lo spazio per le cose nuove è
ridotto allo stretto indispensabile. Poi, per alzare il livello
qualitativo e magari tirare l’applauso, si punta sugli antichi
capolavori. Tutti ormai vecchi di almeno un quarto di secolo. Peccato.
Davvero peccato. |
SCIACCA - 15 AGOSTO 2008
Più che smemorato....indaffarato
sugnu!!!!
Comunque, eccomi qua. Non potevo venir meno
all'accordo stipulato tra le parti prima del concerto. Il "recensore" dovevo
essere io e così sarà.
Inizio col dire che la cosa più bella è stata
rivedere i miei amici di sempre del Rimmelclub e cioè Antonetti Puma e Rapisarda
(in ordine rigorosamente alfabetico). Questa è la magia del Rimmelclub al di là
dell'aspetto musicale che è comunque importante. Il filo che lega le persone che
scrivono su queste pagine non si è spezzato nonostante questo forum non sia più
quello di una volta.
Che i sampientoni osservino!! Amen....
Al concerto di Sciacca era presente la seguente
formazione: Rapisarda (da Catania), Marcellone (da Cefalù), Puma (da Agrigento)
ed il sottoscritto (dalla provincia Iblea). Ovviamente erano presenti anche
alcune signore, Elisa e Michela per la precisione.
L'incontro è avvenuto nel pomeriggio e, dopo una
piccola sosta al bar, comincia l'attesa dell'evento. Attesa che è durata quasi 4
ore visto che ci siamo incollati alle transenne intorno alle 18, manco fossimo
fan della Spears!! Ovviamente si è disquisito di tutto, delle nostre vite
private, del Rimmelclub, dell'ultimo disco, delle vacanze in corso di
svolgimento e del concerto che stavamo vedere.
Ecco che quelle 4 ore sono volate via, come il
pavone e come il cardellino ed il sassolino d'oro è arrivato......alle 22 in
punto a regalarmi(ci) uno dei concerti più belli dei circa 50 ai quali ho
assistito.
Questo signore quasi sessantenne non finisce mai di
stupirmi. E' inutile! Ogni volta tira fuori dal proprio cilindro un asso. Ed è
sempre quello giusto. Questo signore quasi sessantenne conosce il lavoro che fa.
E lo fa con serietà. E lo fa con amore. E lo fa per se stesso. E tira fuori
FESTIVAL riarrangiata così. E tu rimani là incollato e stregato da quel "fiume
di parole e musica" che ti ammaliano. E vorresti che quel pezzo non finisse mai.
Ma finisce, purtroppo. Per fortuna che sul palco c'è lui a regalarti altre
perle. Il concerto scorre, senza intoppi. I nostri sguardi di "degregoriani" si
incrociano contenti. Ed ascoltano LA STORIA. Da solo al pianoforte con una voce
poderosa che arriva lontano. Altri brani. E poi che fa? Chiude con VIVA
L'ITALIA. Ancora mi suona dentro quel meraviglioso arrangiamento con cui ha
vestito una splendida canzone. Pianoforte nella strofa. Che trovata fantastica.
Questo è Francesco. E solo per questo mi aspetterei
più rispetto verso di lui. Soprattutto qua dentro.
Chiudo qui questo post. Gli impegni mi chiamano.
Aggiungo solo che quelle ore trascorse insieme agli amici di sempre sono tra le
cose più belle che questa estate mi ha regalato. Mi auguro che tutto ciò
continui a ripetersi.
Abbracci a tutti.
P.S. Avevo scritto tempo fa un post molto incazzato
sulla "querelle" ultimo disco! Alcuni dei moderatori hanno pensato di
eliminarlo. Questo (anche) è diventato il rimmelclub.
Santa pacienza.....
Saluti, Salvo
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Stavo sotto Ciccio, a circa tre metri, e con lui
Deriva l’ho cantata fino alla fine, quasi assieme a lui, fino a…… na-na na, na
na na …. na na na na na…
Con i ragazzi ero in pima fila davanti alle
transenne fin dalle 18. Che bello fare i pazzi come i ragazzini, cinque ore in
piedi escluso il concerto!
Ma potevo non farlo? Non avrei rivisto gli amici,
quelli che per un giorno mi hanno fatto proprio sentire “a casa mia”. Erano
quelli del Rimmel Club; quelli, come mi ha scritto Frank, con tipiche facce da
RIMMELCLAB!
250 chilometri da Catania avrei potuto evitarmeli,
ma mi sarei perso il caloroso abbraccio di Marcellone che per vederci è arrivato
fin da Cefalù mentre era in vacanza e da dove sarebbe ripartito alle prime ore
del mattino per ritornare in sede; grande, grande Marcello! (ma quando me la
presenterai Charlize Theron?); e poi non avrei rivisto il sorriso di quella
coccolona di Michela, non avrei udito la sua risata argentina che mi
accompagnava nei corridoi dell’unico posto che abbiamo trovato per dormire: il
Grand Hotel delle Terme, dal sottoscritto subito soprannominato Geriatric Park
Hotel per l’eta media dei suoi ospiti: 75-80 anni! Non avrei rivisto “Salvo da
Ragusa” che ogni volta, con la sua innata gentilezza, si prodiga in tutti i modi
per metterti a tuo agio, sempre. Per chi non lo conoscesse, garantisco che
Salvo3 è un gran signore; è che a volte l’apparenza, credetemi, inganna. Fa così
perché…… a Catania diciamo che “è lisciu”.
E poi il piacere di rivedere il Prof. Giovanni Puma
e la sua Elisa, e infine la grande Martina Cirino che non vedevo dal raduno di
Roma.
Un concerto che per me, dando ragione a Salvo, è
stato uno dei più belli che ho visto.
Francesco a Sciacca era in gran forma, forse è stato
in forma per tutto questo tour. Mettendo da parte quelle elettriche, ha suonato
le sue acustiche Martin D42 Black custom e una nuova chitarra simile alla Gibson
J45 (io sostenevo fosse quella, ma poi ho dovuto dar ragione a Marcello, dopo
averlo appreso da Ale Valle che saluto in diretta); non ricordo la marca, ma
devo indagare per l’aggiornamento dell’apposito poster sul Titanic.
La scaletta è simile a tutte quelle che hanno
accompagnato De Gregori & Band per tutta l’estate. Grandi le interpretazioni de
La Donna cannone al piano, La valigia dell’attore, Pezzi di vetro,
L’abbigliamento di un fuochista con arrangiamento alla fisarmonica (con Puma ci
speravamo e siamo stati accontentati), Cercando, La storia e appunto Deriva.
Quella che non mi sarei aspettato di sentire a un suo concerto è Capo D’Africa.
Grande, grande interpretazione da parte di tutta la band!
A distanza di quasi un mese ricordo ancora quel
giorno con i miei fratelloni, alla mattina seguente quando ci siamo salutati. A
quando per strada, dalle parti di Caltanissetta, mi sono fermato in un bar per
chiedere un Biancosarti e Gin, con ghiaccio e senza limone. Sono stato servito
con un Biancosarti liscio, caldissimo e affogato in fette di limone. Il barman
stava per ricevere un cazziatone, ma è stato salvato da un sms di Marcellone:
“tutto bene?”.
Sì Marcello, sto bene, sempre benone, benissimo
insieme a voi. Grazie.
Il biancosarti l’ho bevuto così com’era.
Praticamente una ciofeca!
Mi sono fermo un attimo per salutarvi. Quando si
parte per un posto lontano, specialmente per un uno di quelli che sogni fin da
bambino, bisogna salutare i parenti stretti. E voi questo siete.
Mimmo Rapisarda
|
Era,
pioveva, c'era qualcosa che non si vedeva
Respirava, qualcosa respirava
Nella stanza della sposa si nascondeva
Eppure si muoveva, ancora
Dimmelo ancora che tutto ritornava così com'era
Come bruciava e si disperdeva
E come tornava gni volta che partiva
Piangeva e si stancava
Come sabbia nel tempo si trasformava
E però esisteva e si incarnava
E a volte ero sicuro che nasceva e che ricominciava
Che saliva e scendeva, chiamava e si rispondeva
Meravigliava e produceva ed espelleva suoni,
suoni che rubava
Era, pioveva ma così piano che nessuno se la prendeva
Così per poco, che poco ci mancava
mentre guardava un telefono che suonava
e che non la smetteva
Non parlava perchè sapeva tutto quello che gli bastava
Quello che credeva, quello che non vedeva
Così preciso ed imperfetto che nessuno lo incastrava
Se non voleva ringraziava
con un inchino da domatore li salutava
E poi chiedeva e chiedeva o prendeva
E come un Messicano si allontanava...
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25.06.08
Marina di Leporano (TA) - 30.06.08 Roma (RM) Ippodromo Le Capannelle -
01.07.08 San Giorgio A Cremano (NA) Villa
Bruno - 02.07.08 Monza - (MB)
Villa Reale - 16.07.08 Venaria (TO) Area Concordia - 18.07.08
Lignano Sabbiadoro (UD) Arena
Alpe Adria - 19.07.08 Savignano sul Rubicone (FC)
Piazza Borghesi - 26.07.08 Casoni
(RE) Parco Filippini -
31.07.08 Rosciano (PE)
Stadio Comunale - 02.08.08 Portoferraio (LI)
Polo Sportivo Le Ghiaie - 09.08.08 Paliano (FR)
Area Le Mole - 10.08.08 Bojano (CB) Matese Friends Festival -
Stadio Comunale Colalillo - 11.08.08 Rispescia (GR) Festambiente -
13.08.08 Ostuni (BR) Foro Boario - 15.08.08 Sciacca (AG) Piazza
Scandaliato - 16.08.08 Campofelice
di Roccella (PA) Arena del Mare - 17.08.08 Mazara del Vallo (TP) Area
Porto - 19.08.08 Paola (CS) Campo sportivo - 27.08.08 Macerata (MC)
Sferisterio - 30.08.08 Carbonia (CI) Miniera di Serbaiu - 06.09.08
Spoleto (PG) Piazza Duomo - 12.09.08 Molfetta (BA) Anfiteatro di
Ponente - 16.09.08 Modena -
Loc. Pontealto (MO) Festa dell'Unita - 20.09.08 San Giuliano Milanese (MI)
Parco Giardino Cavour - 21.09.08 Brienza (PZ) Piazzale Marconi - 28.09.08
Santa Maria Capua Vetere (CE) Area Incremento Ippico
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2009
E’
un consiglio che dò a tutti i miei amici appassionati di Ciccio: non
portatemi con voi ai concerti di De Gregori. Con me ci si perde per le
strade di campagna, di notte, o si rimane bloccati per contrattempi.
Praticamente sono una sfiga per i miei compagni di viaggio!
Ma soprattutto con me pioverà, pioverà a dirotto. Qualche giorno prima
qualcuno si lamentava nel forum per le cattive previsioni meteo di
Foggia. Poi la sera è filato tutto per il verso giusto, non ha pioviuto
e ho letto che la gente si è divertita, all’aperto. Ma io non c’ero!
Nonostante l’amico Maurizio Arena mi confermasse rosee aspettative per
il 23 settembre a Messina, io ero già convinto del contrario: no, non è
possibile che sarà sereno, pioverà, ne sono certo. Mi rovinerà anche
questa. L’avevo già scritto l’altro giorno: in vita mia la pioggia mi ha
rovinato di tutto; una sorta di nuvoletta fantozziana mi cerca dall’alto
come un satellite quando sto per uscire di casa. Infatti, appena l’ha
saputo si è messa in moto e puntualmente è arrivato il cambio di
location.
Con gli amici di Ragusa (fra i quali un noto Salvo3) ci avviamo a
Messina dove incontriamo Mauro Arena e signora, sua madre e il mitico
padre chiamato dal sottoscritto Mr. Zimmy per via della sua leggendaria
passione per Bob Dylan.
Quattro chiacchiere con Alex Valle, un saluto a Guido e poi, “sempre
sotto la pioggia”, all’interno del Vittorio Emanuele, storico teatro sul
lungomare messinese rimasto in piedi dopo il terremoto del 1908, il cui
interno è stato completamente sventrato, ricostruito e ristrutturato. Un
piccolo gioiello acustico con 1.000 poltroncine tutte raccolte sotto un
grande soffitto dipinto dal grande Renato Guttuso nel 1985.
Vi risparmio l’avventura del viaggio di ritorno a Catania e a Ragusa
(c’era presente il sottoscritto, quindi poteva capitare di tutto) sotto
un nubifragio abbattutosi sulla A18, così violento ed abbondante da non
farci vedere niente oltre il parabrezza. Alle tre del mattino, due ore
dopo il nostro passaggio a 40 km. orari, su quelle strade si è abbattuta
la nota frana che ha scollegato Catania e Messina per due giorni.
Adesso che siamo all’asciutto….. passiamo al concerto.
In perfetto orario, alle 21.30, entra Francesco fra gli applausi. In
gran forma, con un abbigliamento che mi ricorda vagamente certi jazzisti
che facevano la spola fra Cuba e la Florida suonando Porter e Miller o,
che so, una figurina che fuma le Camel impressa sulle scatole di latta
americane degli anni Quaranta.
Dopo l’inchino di benvenuto, un faro si adagia su di lui, ed è da solo.
Si intravedono soltanto le linee della sua dinoccolata figura che
alterna le due Gibson con l’armonica a bocca. E con questo piccolo
quadretto si comincia la prima parte, tutta acustica.
“Questa è una canzona dedicata a una grande cantante, che molto tempo fa
accompagnai in giro per l’Italia come chitarrista. La canzone si chiama
Caterina.”
Poi Quattro Cani e Pezzi di vetro, suonate e cantate in modo magistrale,
senza nessun accenno di svogliatezza, di noia, di fretta. Quel signore
con il Borsalino in testa sa ancora suonare eccome, come una volta; sa
ancora cantare eccome, come una volta. E, non me ne voglia, me lo sono
goduto da buon Talebano eccome, come una volta.
Le due canzoni, che sembravano uscite direttamente dall’LP della RCA,
sono state interpretate come ai tempi di Rimmel, con quell’arpeggio
particolare di cui mi innamorai 35 anni fa e grazie al quale sono ancor
oggi qui a parlare di colui che lo ha manovrato, quell’arpeggio. Anche
Francesco sa bene che queste due perle, quegli accordi, quelle dita
posizionate in un certo punto della testiera, sono il frutto di quel
miracolo avvenuto quando lui era aveva intorno a vent’anni e le geniali
molecole della sua fantasia giravano a mille sulla maccina da scrivere e
sul pentagramma. Allora pensò che dovevano essere suonate così; col
tempo si è divertito ad arrangiare, a rocckettare, stravolgere, a
capovolgere; insomma, il giovanotto si è divertito. Con la maturità ha
capito che il prodotto migliore è sempre quello costruito da giovani,
quando a volte certe emozioni ti fanno produrre autentici capolavori.
Puoi modificarli, arrangiarli diversamente, svuotar loro le tasche
mettendoli a testa in giù, ma alla fine si torna sempre al passato.
”Quest’altra canzone parla di un ricco stregone, che era innamorato di
una donna……..”
Mentre Francesco spiega, dalla sala arriva una voce “L’Angelo di Lyon”!
“Bravo!!! Il nostro amico ha vinto….. cinque minuti di silenzio!” la
risposta di Francesco. Risata generale (tranne lui).
Arriva tutta la band. I loro volti, i loro strumenti, i loro movimenti
mi sono ormai familiari; è un piacere rivedere questi ragazzi almeno una
volta all’anno come quando si salutano i compagni di classe a settembre.
Con questa straordinaria band che ormai da anni suona a memoria, che è
ormai capace dl leggere gli spartiti pure dentro la testa del Capo, che
è addirittura in condizioni di anticipare anche le sue bizzarre
interruzioni, il concerto continua con Finestre rotte e poi, tutte d’un
fiato, un’incantevole Atlantide, Viva l'italia, Compagni di viaggio,
Caldo e Scuro, Vai In Africa Celestino e una soroprendente Capo
d’Africa, con atmosfere, colori e arrangiamenti che sembrava di essere
all’Avana.
“La leva calcistica della classe '68”. Ciccio arriva fino a “….un
giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia” e una piccolissima pausa. Non gli è
stato più possibile proseguire perché viene anticipato dal solito
signore in sala che si mette a cantare a squarciagola: “……..e chissà
quanti ne hai visti, quanti ne vedrai……”.
A quel punto Francesco interrompe la canzone e dice “Eh, no! Legatelo!
Lo chiedo, per favore, a chi gli è seduto vicino!” Altra risata, tranne
noi che, conoscendo il Maestro, sapevamo che in quel momento stava per
esplodere e che sarebbe sceso in sala prendendolo a calci sulle gengive.
Ma la serata non è nervosa, qualcosa rimane, e infatti arriva Rimmel e
Festival con uno straordinario assolo di Bardi che mette i brividi
addosso. Lucio si ripete durante l’esecuzione di Battere e levare,
stavolta con intensi virtuosismi country al violino elettrico. Poi
Titanic e Deriva che arrivano di colpo assieme, come un omaggio al
Nostromo.
Poi Francesco si siede al pianoforte. E’ di buon umore, guarda la sala
per cinque secondi e dice “mbè”? E si mette a ridere. E quindi ci
racconta una storia che dà i brividi, che entra dentro le stanze, le
brucia. Che dà torto e dà ragione, perchè nessuno la può fermare.
Ma che bel racconto, che concerto, che bello … come mi sto divertendo
beato e seduto in seconda fila, senza muovermi da destra a sinistra come
un dannato. Al contrario dello scorso anno a Sciacca, questa volta non
ho voluto portare la fotocamera per godermi al meglio lo spettacolo,
senza avere l’ansia del risultato, esposizioni, tempi di apertura, iso e
diaframmi. Ho fatto il semplice spettatore, anche se devo ammettere che
l’altra sera sarebbero venute fuori fotografie spettacolari perché chi
ha progettato le luci di questo tour è stato davvero bravo:
affascinanti, colori bellissimi che assieme alle musiche avvolgono i
musicisti sul palco in un tutt’uno davvero magico. Complimenti al
tecnico.
Dal buio si alza una lira: “Eccomi qua!”. Più il tempo passa e più
questa grande canzone, anziché cantata è recitata, narrata in ogni riga,
riferita agli ascoltatori, spiegata in ogni dettaglio. Ormai Francesco
la mima in una maniera così teatrale che chiunque riuscirebbe a capire
il significato del testo. Ogni volta lo vedo muoversi con una gestualità
ancora più raffinata, più professionale. Più che cantante, sta
diventando sempre di più attore e sembra essere proprio lui il
protagonista della canzone. Accompagna le parole con mosse ed
espressioni che ti proiettano dall’ultima fila dritto fino al camerino
già vecchio, facendoti vedere tutto in home theater: il lavandino, lo
specchio, il manifesto, il padre, la figlia.
Siamo incantati sulle note finali, si entra quasi nel mondo irreale di
Francesco, la sua musica ci scardina dalle poltrone e ci solleva fino al
soffitto dove è raffigurato il canto delle sirene dipinto del grande
pittore siciliano. Quasi in catalessi, come tritoni volteggiamo attorno
a quelle figure nel mare azzurro, sostenuti dalle note che il mito che
sta otto metri più sotto, ci lancia continuamente.
Ma non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà, noi lo conosciamo
bene, l'abbiamo sentito già! Infatti veniamo bruscamente svegliati dalle
squillanti chitarre di Giovenchi, che da dietro la curva ci preannuncia
la volata country di un ciclista chiamato Pollastri. Ed è festa!
Appena lasciato quel briccone di Sante, Ciccio presenta la sua band,
quindi si avvicina al microfono, si toglie il cappello mettendolo al
petto, si inchina e dandoci la buonanotte ci confessa l’emozione
particolare che prova ogni qualvolta mette piede in Sicilia. “Bravi,
complimenti per questa vostra bella terra!”. E se ne va, ma non è vero.
Eh no, caro mio, esci. Esci, che qui ti reclamano a gran voce (non
capirò mai il significato dei bis)
Al rientro, con al piano Arianti, esegue la Donna cannone come solo lui
sa fare. Poi l’Agnello di Dio ed infine una Buonanotte fiorellino
suonata come negli anni Settanta, in modo classico. Però siccome il Capo
ha voglia di scherzare, manda in tilt la band quando deve riattaccare a
cantare. Tutti i musicisti ridono per le sue birichinate, compreso il
capobanda che, a detta di Ciccio, stupisce sempre di più.
Fra le bellissime note di questo immortale walzer, il Maestro getta il
plettro ancora bollente davanti a sé e si allontana definitivamente
dietro le quinte.
Ah, questo pubblico pagante, quante ne deve subire!
Tempo fa, Francesco storceva la bocca quando un applauso del pubblico
sottolineava la passione per lui proprio al punto della famosa strofa.
Oggi, forse perché è ormai consapevole di essere un monumento della
canzone italiana, quell’applauso quasi lo pretende, e lo chiede con
forza incitando la platea con le sue lunghe braccia, perché ha capito
che non si può più trattenerlo, quell’applauso; non si possono tenere le
mani ferme nè davanti a una bellissima canzone, né davanti a una
leggenda del genere.
Quel pubblico pagante ha voglia di sottolinearlo sempre, con un
applauso, il tuo nome che scintillerà. Per tanto tempo ancora.
Grazie ancora una volta, Francesco! E che Dio ti benedica.
Mimmo Rapisarda (pubblicato su Rimmelclub.it 25.9.2009)
FRANCESCO
DE GREGORI - RITORNO ALLE ORIGINI
(Gigi
Vesigna)
Con
il suo 19° album in carriera, Per brevità chiamato artista, il
cantautore vola di nuovo alto. In una specie di "autobiografia
fantasticata" che piace subito.
Questa volta "il Principe" - è il soprannome che i colleghi
hanno affibbiato a Francesco De Gregori - ha pubblicato il suo nuovo
album, il 19°, usando parsimonia, la consueta eleganza stilistica,
qualcosa di criptico, nessuna (apparente) concessione alla politica. È
nato così Per brevità chiamato artista, frase che era, e lo è ancora,
una formula che figura nei contratti discografici.
"Sì",
conferma De Gregori, "sul mio primo contratto discografico (era la
fine degli anni '70, ndr) c'era questa definizione legale che mi
riguardava: "Francesco De Gregori, d'ora in avanti per brevità
chiamato artista". La trovai prima agghiacciante e poi divertente.
Era rimasta in un angolo della memoria, forse devo aver pensato fin da
allora che prima o poi l'avrei usata in una canzone".
Detta
così può anche sembrare una battuta o uno scherzo della memoria, ma
Francesco precisa: "Comunque, per quanto riguarda il titolo del
disco, mi interessava mettere al centro la parola "arte",
qualcosa che intende lasciare un segno polemico e intellettuale, non
solo un mestiere che ha a che fare con una distribuzione e con un
mercato".
Al
mercato De Gregori proprio non ci ha pensato: sono solo nove le canzoni
- tutte inedite - che ci propone. Otto sono farina del suo sacco, la
nona, L'angelo di Lyon, l'ha scovata Luigi Grechi (suo fratello
maggiore, che porta il cognome della madre): è un pezzo inglese di Tom
Russell, una struggente ballata che racconta di una giovane donna, Anna
Maria, che con il rosario tra le dita appare a uno stregone e gli fa
cambiare vita. La redenzione comincia con il verso: "Parto per
Lione e cerco un angelo del Paradiso", e si compie trasformando lo
stregone in una specie di san Francesco.
Un'immagine recente di Francesco De Gregori, nato a Roma il 4 aprile
1951 (foto Ansa).
Questo
nuovo disco propone un De Gregori che sembra tornare alle origini:
"Durante l'ultima tournée teatrale, nelle ore di pausa, abbiamo
messo "in bella" pezzi che avevo buttato giù e che hanno
preso forma quasi da soli in studio. Era gennaio e abbiamo lavorato come
se dovessimo semplicemente provare per uno spettacolo".
Pensando
più ai teatri che ai palazzetti dello sport?
"Sì, nel senso che abbiamo suonato pensando di stare in un piccolo
club e non in un campo sportivo. E credo che questo venga fuori. Con la
band ho lavorato rilassato, perché abbiamo condiviso tutti l'idea che
la versione discografica di una canzone non sia per forza l'unica
possibile, e per forza la migliore".
L'ascolto
comunque scaraventa in una musica totale: dal valzerino di Per brevità
al boogie-woogie di Finestre rotte, ma il testo è tutt'altro che quello
che penseresti di abbinare a una danza sfrenata. Poi arrivano le
ballate, c'è uno scacciapensieri, e un organo Hammond torna dal passato
per arricchire gli arrangiamenti. In Vola vola ci imbattiamo in una
filastrocca che ha profumi medievali, poi, in Ogni giorno che Dio manda
in terra, c'è un'eco di country o, se preferite, di folk; in Carne
umana per colazione c'è la cronaca allarmante dei giorni nostri, con la
mania della liposuzione, della vacanza intelligente, dell'andare in Tv a
tutti i costi e, chissà mai, l'abitudine di mangiare "carne umana
per colazione".
L'album
prosegue con L'imperfetto, dove si sviluppano concetti che scopri solo
se non caschi nel gioco dei verbi tutti "all'imperfetto", e
quindi si conclude con L'infinito, dove la musica si allarga e ti
riempie di speranza, perché "Domani sarà il tempo di cose
nuove".
Francesco,
il tuo precedente album, Calypso (2006), era un bellissimo disco di
canzoni d'amore, mentre qui non ne ho trovate, almeno di esplicite…
Che disco è questo?
"È un disco dove si racconta qualcosa, ci sono pezzi di vita, ma
anche delle visioni e delle "pre-visioni". Lo potrei definire
un'autobiografia fantasticata. Questo forse comprende anche l'amore e la
politica, ma il gioco non è sempre dichiarato… È certo molto diverso
da quello che passano di solito le radio".
È
vero, stavolta Francesco è tornato a volare alto, ma quando parla di
un'autobiografia, seppur fantasticata, non posso non ricordare che mai
ho conosciuto un artista, mediocre o sommo, che sia riuscito a tenere
così nascosta la sua vita privata.
Quando,
nel 1978, De Gregori diventò padre di due gemelli, la notizia non fu
praticamente diffusa. Qualche mese dopo mi arrivarono in redazione
alcune foto che mostravano Francesco in un supermercato che trascinava
un carrozzino doppio, dove sonnecchiavano Marco e Federico, i famosi
gemelli. Lo chiamai e lo informai e lui, gentilmente e fermamente, mi
pregò di non pubblicarle. Gliele spedii per il suo album di famiglia
(chissà se ne ha uno).
Oggi
i due ragazzi hanno trent'anni ma non ho mai più visto circolare una
loro immagine. Caro "Principe", tanto di cappello!
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Lascia
che cada il foglio dove sta scritto il nome
Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume
E un riflesso sull'acqua, una bolla di sapone
E alla fine del libro non c'è spiegazione
Ho
viaggiato fino in fondo nella notte
E stava nevicando
E ho visto un grande albergo con le luci spente
E ho avuto un po' paura ma nemmeno tanto
La strada andava avanti ed io slittavo dolcemente
Lascia
che cada il foglio dove sta scritto il nome
E metti un palio al mio dolore
E non guardare il tempo, il tempo non ha senso
Domani sarà tempo di cose nuove
Ho
viaggiato fino in fondo nella notte
Senza guardarci dentro
Senza sapere dove stavo andando
e alle mie spalle il giorno si stava consumando
Ed ho provato un poco di tristezza
Ma nemmeno tanto.
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De
Gregori racconta le sue visioni "La mia autobiografia fantasticata"
di Antonio Lodetti - ilGiornale.it
«Per
brevità chiamato artista... doppio come una medaglia/Se fosse d’oro sarebbe
di cartone/Il cieco con la voce buona e il muto che ci vede bene... Doppio come
l’innocenza/Se fosse Abele sarebbe Caino/Antidoto senza veleno ed alibi senza
assassino». Si apre così, con il brano Per brevità chiamato artista, l’album
dall’omonimo titolo di Francesco De Gregori, da domani nei negozi. De Gregori
lo definisce «un’autobiografia fantasticata», una serie di visioni e
previsioni assorte e pensose nei testi e variegate nei suoni (basti confrontare
i ritmi bizzosi di Finestre rotte e gli splendidi profumi di antica ballata
popolare di Volavola col pianoforte, il banjo di Lucio Bardi, la voce di Chiara
Quaglia e un sottofondo d’archi).
Il
più dylaniano dei nostri cantautori per impeto folkie, per visione poetica ma
anche per atteggiamento nei confronti della vita e dell’arte torna a
raccontarsi; gettando il guanto della sfida alla musica commerciale «per
portare al centro del discorso la parola arte, per fare qualcosa che lasci un
segno poetico e intellettuale». Non a caso il cd s’intitola Per brevità
chiamato artista. «È la formula che si usava quando firmai il primo contratto,
una frase assurda che è un inno alla libertà e all’incoerenza espressiva».
E così De Gregori torna a fare il cantautore con sonorità semplici, con voce
spoglia ma ricca di tensione lirica e anche di un pizzico di acredine (come
nella forza di Carne umana per colazione). C’è lo spazio per i ricordi e gli
errori in Celebrazione («Ci sono posti dove son stato/Mi ci volevano
inchiodare/Ai loro anni ciechi e sordi/Ai loro amori raccontati male/A una
canzone di quattro accordi/Ad una stupida cantilena/Ma tu davvero non te lo
ricordi/Quando cantavi e sbadigliavi in scena») e quello per la speranza che
dà la forza di andare avanti in L’infinito («Ho viaggiato fino in fondo alla
notte/Senza guardarci dentro/Senza sapere dove stavo andando/E alle mie spalle
il giorno si stava consumando/Ed ho provato un po’ di tristezza/Ma nemmeno
tanto»).
Canzoni
schiette e sincere perché riflettono vita vissuta («Le canzoni son robe vere,
non quadri da appendere al muro») in un lavoro spoglio di colpi di scena ma
ricco di preziosi sobbalzi e sorprese. Tra cui il cameo L’angelo di Lyon
scritta da Luigi Grechi, il fratello di Francesco già autore di Il bandito e il
campione, e tratta da un classico del folksinger Tom Russell
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ROMA:
1 MAGGIO ALL'AUDITORIUM CON DE GREGORI
(IRIS) - ROMA, 25 MAR - E’ stata presentata oggi all’Auditorium di
Roma la seconda edizione di 'Si Canta Maggio', la festa del lavoro
celebrata al Parco della Musica in compagnia dell’Orchestra Popolare
Italiana e di molti ospiti. Dopo i saluti del Presidente di Musica per
Roma Gianni Borgna, che ha sottolineato il successo della passata
edizione e i numerosi riscontri conseguiti dall’ensemble di Ambrogio
Sparagna in diversi paesi del mondo, il maestro concertatore ha
descritto questa seconda edizione della grande festa dedicata al canto
sociale italiano, divisa come lo scorso anno in due parti.
Alle
21 il grande concerto finale con la partecipazione straordinaria di
Francesco De Gregori scelto non "perché la sua musica è entrata
di tutto diritto nel grande repertorio dei canti sociali italiani".
La sua voce sarà accompagnata dal suono delle zampogne, degli organetti
e degli altri strumenti popolari.
Un
concerto molto bello, a mio parere. Anche se forse non preparato alla
perfezione. Tanti ritmi popolari, pizzica, taranta, divertimento.
Sparagna in grandissima forma, accompagnato da musicisti e cantanti di
ottimo talento (in particolare un contrabbassista virtuoso e un cantante
potente, di cui cercherò di scoprire i nomi). Ospiti dell'Ambrogio
diversi artisti, un gruppo popolare abruzzese (i Discanto) ha aperto il
concerto, dedicato, oltre che alla festa del lavoro, alla regione
vittima del terremoto. Poi un mandolinista salentino (i nomi delle
presentazioni di Sparagna non si sentivano bene, fra i problemi
tecnici), un gruppo valdostano che cantava in provenzale, due cantanti
siciliani molto molto bravi (da brividi un pezzo chitarra e voce sulla
strage di Portella della Ginestra). Poi Andrea Satta dei Tetes de Bois
che canta un pezzo commovente di Matteo Salvatore (in cui un contadino
chiede al proprio padrone di essere sfruttato fino alla morte per
garantire il bene e il riscatto dei suoi figli).
A seguire Cristicchi, che ha sfoderato una voce adatta ai pezzi popolari
e una notevole presenza scenica. Gli hanno affidato due pezzi molto
coinvolgenti (fra cui poi il pezzo finale corale) e non si è provato
con cose sue, ma sono rimasto favorevolmente colpito.
Suo lo slogano che condivido appieno: "il vero primo maggio rock è
quello di Ambrogio Sparagna!".
Entrano in scena quindi 4 "poeti improvvisatori" che alternano
ottave ed endecasillabi dedicate ai lavoratori e alle loro sofferenze di
sempre.
De Gregori entra in scena a metà concerto con un'ovazione del pubblico,
preceduto dai 40 elementi di un coro popolare. Attacca deciso
L'abbigliamento di un fochista, armonica in pugno. La gente ascolta
quelle parole, ha ragione Sparagna a dire che sono entrate di diritto
nel repertorio della musica popolare italiana.
Poi Viva l'Italia, in una versione molto simile all'originale, con le
fisarmoniche e i fiati a suonare il giro fra le strofe come su disco.
Nota stonata l'ultima strofa, affidata al coro, che sbaglia intonazione,
attacco, qualcuno sbaglia pure le parole...Poi i 40 componenti non hanno
microfoni personali, ma solo 3 microfoni panoramici, quindi si sente
pochissimo, insomma un mezzo disastro Ma si vede che non sono
professionisti e va benissimo così.
De Gregori resta sul palco per un pezzo popolare salentino (non saprei
dire quale), di cui canta a tratti le strofe alternandosi con altri,
sembra molto coinvolto, saluta tutti ed esce fra gli applausi.
Poi è la volta addirittura di Sparagna a cantare, si chiude in
crescendo fra assoli di mandolino e contrabbasso, fino al pezzo corale
cantato da Cristicchi.
Acustica
della sala da rivedere, microfoni settati malissimo, coro disastroso,
una certa improvvisazione...non guastano certo un concerto che alla fine
ci vede sotto al palco a zompettare. De Gregori non esce a salutare,
forse è già a cena, forse non vuole rubare applausi a tutti gli ottimi
musicisti e all'amico Sparagna.
Il 29 di giugno Sparagna sarà nuovamente all'auditorium per una serata
dedicata alla taranta, sarebbe bello poterci tornare.
Antonio
Perillo (www.rimmelclub.it)
|
FRANCESCO
OSPITE DA FIORELLO......!!!!!!
Spettacolo
interessante quello di Fiorello che prima scherza con Lamberto Sposini e
poi, richiamando i 5 ritornelli musicali piu' belli d'Italia mettendo al
primo posto "La donna Cannone", introduce la presenza di
Francesco De GREGORI!!!
Prima di farlo salire sul palco Fiorello imita (n modo pessimo) Ciccio
sulla canzone "Finche' la barca va' " ( lo aveva gia' fatto
negli incontri precedenti)
Il Principe sale sul palco senza cappello,maglietta sbracciata e canta
" A chi ",un po' diversa ma non molto da quella che troviamo
nel cd Mix (meno marcata), e subito dopo decide di fare "Per le
strade di Roma" da solo con la chitarra e seduto sullo sgabello con
Fiorello che coadiuvava con l'armonica a bocca....!!!!
Fiorello entusiasta per la presenza del Cantautore lo ringrazia......
Cosi termina lo spettacolo....
Bella esibizione del Nostro, si notava la sua voglia di suonare e
cantare e questo è importante visto l'inizo dell'estate e l'imminente
tour estivo...!!!!
Andrea
(Rimmelclub)
Rai
Radio2, capofila di un “Sentiero di pace” fatto di musica
Roma,
21 mag (Velino) - “Per il secondo anno, musicisti di tutta Europa si
incontrano nel nome della pace su convocazione delle loro radio
pubbliche. È un modo per ricordare e anche per affermare che dagli anni
della Prima e della Seconda Guerra Mondiale molta strada è stata fatta
nel nostro continente. Popoli che si consideravano nemici, negando le
profonde somiglianze che li univano, hanno saputo valorizzarle in un
progetto di sviluppo comune e di rifiuto della violenza, come sancito
dalla nostra Carta Costituzionale. Quella di Radio2 è una piccola voce,
ma è soddisfatta di farsi sentire in questo modo, in questa occasione e
in questi luoghi. Dove rintocca la Campana della Pace”. Così Sergio
Valzania, direttore dei programmi Radio Rai, che oggi a Roma ha
presentato la due giorni - sabato 27 e domenica 28 giugno - di “Sentiero
di pace”: otto ore di diretta radiofonica – ogni sera dalle 20 alle
24 – in onda dal Mart, il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di
Rovereto per rinnovare la cultura della fratellanza. L’evento è
organizzato in collaborazione con il Trentino e l’Ebu (European
Broadcasting Union). “Siamo felici e onorati di contribuire all’evento
– ha detto Raina Konstantinova, direttore dell’Ebu -. Il festival si
differenzia dalle altre rassegne di tutta Europa per il suo carattere
innovativo, un progetto che esprime i migliori talenti di Radio Rai.
Siamo pronti a partecipare anche in futuro”.
Ma
perché “Sentiero di pace” ha luogo in Trentino? Perché fu di un
roveretano, il sacerdote Antonio Rossaro, l’idea di farsi donare i
cannoni da tutte le nazioni che avevano preso parte alla Grande Guerra,
a fonderli e costruirvi una campana, la più grande del mondo, che suona
a distesa sul Colle Miravalle di Rovereto ogni sera alle 21.30 come
monito di concordia tra popoli, fedi e culture. Questo messaggio di pace
nel segno della musica coinvolgerà a fine giugno le radio pubbliche di
Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Svezia. Hanno risposto
all’appello: Radio France FIP e Radio France Le Mouv per la Francia,
BBC RADIO1 per l’Inghilterra, SR P3 per la Svezia, ARD per la
Germania, RSR Couleur 3 per la Svizzera e Cadena SER per la Spagna.
Insieme le emittenti hanno ideato due serate live che vedranno
alternarsi sul palco, allestito nel piazzale del Mart: The Sweet Vandals
(Spagna), Bonaparte (Germania), Pete & The Pirates (Inghilterra),
The Dynamics (Francia), First Aid Kit (Svezia) e Hugh Coltman (Francia).
Radio2, per l’Italia, ha scelto artisti sensibili al tema che fa da
sfondo alla manifestazione: Francesco De Gregori, in un live acustico in
esclusiva per “Sentiero di Pace”; Cesare Cremonini, il giovane
cantautore italiano interprete dei sogni, dei disagi, dei conflitti e
delle speranze della sua generazione; Malika Ayane, la rivelazione
musicale e discografica dell’ultimo Festival di Sanremo; e The Bastard
Sons of Dioniso, i tre giovani che dal Trentino sono arrivati alla
finalissima di “X Factor”.
Accanto
alla musica camminano le parole, affidate quest’anno a sei narratori
italiani che hanno scelto “Sentiero di Pace” come terreno di scambio
per declinare in modi diversi la cultura della pace, nella convinzione
comune che le parole possano essere lanciate come ponti verso gli altri.
Nell’Aula Magna del Palazzo dell’Istruzione ci saranno Ascanio
Celestini, Aram Kian, Mario Perrotta, David Riondino, Serena Sinigaglia
e Filippo Timi, tutti con esperienze di teatro, recitazione e scrittura:
insieme proveranno a descrivere le inquietudini del presente muovendo le
proprie riflessioni dalla memoria. Speaker di Radio2 per l’evento
saranno: Federica Gentile, voce di “Hit Parade”, con Massimo Cirri e
Filippo Solibello di “Caterpillar”.
concerto
di rovereto La scaletta del concerto è stata questa :
1
Caterina 2 La casa di Hilde 3 Pezzi di vetro 4 Vai in Africa, celestino !
5 Atlantide 6 Rimmel 7 Generale
Cavea
Auditorium Parco della Musuca - Roma, 4 luglio 2009
by
Farmeni
Oramai
Francesco De Gregori ha un repertorio tale, che abbraccia un periodo di
40 anni di discografia, che ogni concerto diventa una scommessa – da
parte dell’artista e del pubblico – su che set list andra’ in
scena. E’ chiaro che solo a fare i grandi classici, da Pablo a Rimmel,
da La Donna Cannone a La Storia, da Leva Calcistica a Titanic, e cosi’
via, ci vorrebbe un concerto a tema, di almeno 25 brani, solo per
parlare di quel passato che ha raccontato l’Italia, l’amore e molte
storie della gente comune.
Dall’altra
parte, anche solo l’esecuzione dei brani da album di grande successo
appartenenti al recente passato, richiederebbe un altro concerto a
parte: da Compagni di Viaggio a L’agnello di Dio, da Il Cuoco di Salo’
a Rosa Rosae, da Tempo Reale a Un Guanto, eseguire tutti i brani che
hanno abbracciato anche un nuovo pubblico, e giovane, sarebbe
impossibile.
E’
quindi normale che anche con uno bello sforzo Francesco De Gregori
cerchi il compromesso, innanzitutto con il pubblico. C’e’ un inizio
in acustico che lo mette a tu per tu con il pubblico, c’e’ un
intramezzo Rock che porta al riarrangiamento di vecchi classici, c’e’
un momento di solo al pianoforte per altri classici, e ancora un’altra
parentesi Rock, Folk e Blues.
Sul palco possiamo identificare piu’ o meno 5 fasi dello spettacolo,
in cui 2 sono dedicate all’esecuzione standard di canzoni del passato,
una al riarrangiamento di questi gloriosi pezzi, e 2 dedicate al passato
recente e al presente.
Il
mix, che De Gregori ha sempre amato, non e’ sempre vincente, perche’
deconcentra e riconcentra l’audience, lo porta su un binario per
riprenderne un altro, e troppo spesso lo spettatore viene messo nella
condizione di avere fame.
Se
sul palco vanno alla fine in scena La Donna Cannone, Sempre e’ per
Sempre, Titanic, Rimmel, Generale, La Storia, La Leva Calcistica e
Buonanotte Fiorellino, in tanti rimangono a bocca asciutta di Pablo o di
Alice.
E se e’ vero che De gregori accontenta i giovani con L’agnello di
Dio, Battere e Levare, LA Valigia dell’attore e Vai in Africa, Celestino!,
in tanti rimangono a chiedersi dove siano Tempo Reale, Compagni di
Viaggio e Il Cuoco di Salo’.
Insomma,
un concerto che ha filato liscio e con grande partecipazione del
pubblico e una costante esecuzione di qualita’ dei musicisti e della
voce del grande cantautore romano, ma certo sembra ormai prossima l’ora
della scelta di De Gregori di concerti a tema, a periodi, in modo tale
che il pubblico che viene possa soddisfare la sua personale fame venga
soddisfatto. Un doppio tour all’interno dello stesso tour potrebbe
essere una bella idea, e magari se ne potrebbe finalmente cavare un bel
dvd, di quelli completi, che tutti stiamo aspettando.
Onore
a un artista che ha saputo unire generazioni lontane, che ha saputo
trovare formule nuove e fette di pubblico diverso, e che ha questo
problema che tutti gli artisti vorrebbero avere: come soddisfare tutti
quanti e cercare la soluzione per unire i vari tipi di pubblico che
grazie al proprio lavoro e alla propria musica, ai cambiamenti fatti e
alle nuove formule e suoni trovati, oggi De Gregori ha.
A
FRANCESCO DE GREGORI IL 'PIEVE 2009'
Firenze, 8 set. - (Adnkronos) - E' il cantautore Francesco De Gregori il
vincitore dell'edizione 2009 del Premio Pieve, la rassegna che da 25
anni, con il lavoro di Saverio Tutino, ha fatto di Pieve Santo Stefano
(Arezzo) il luogo privilegiato nella raccolta di diari, memorie,
epistolari scritti dalla gente comune (negli scaffali dell'Archivio si
sono accumulate oltre 6 mila storie).
Il programma della manifestazione (11-13 settembre) prevede vari
momenti, fra cui la consegna della quinta edizione del 'Premio Citta'
del Diario', in passato attribuito a Mario Perrotta, Rita Borsellino,
Ascanio Celestini, Marco Paolini. Il premio sara' consegnato domenica 13
settembre a Francesco De Gregori di cui gli organizzatori hanno preso in
prestito una fra le piu' celebri canzoni ('La storia siamo noi').
Alla conferenza stampa di Firenze, in cui e' stata comunicata la notizia
della vittoria di De Gregori, sono anche intervenuti l'assessore
regionale alla Cultura, Paolo Cocchi, il sindaco di Pieve Albano
Bragagni e l'assessore alla cultura della Provincia di Arezzo, Rita
Mezzetti.
Francesco
De Gregori ancora in tour riceve il prestigioso Premio Pieve 2009
Pippo
Augliera
L'artista romano ha
ricevuto il premio Fondazione Archivio Diaristico Nazionale durante la
rassegna Diari svoltasi a Pieve Santo Stefano (Arezzo)con la seguente
motivazione...aver dedicato la carriera alla conservazione della memoria...
L'artista romano ha ricevuto il premio Fondazione Archivio Diaristico
Nazionale durante la rassegna Diari svoltasi a Pieve Santo Stefano (Arezzo)con
la seguente motivazione...aver dedicato la carriera alla conservazione della
memoria...
Premio
arrivato grazie a suoi brani celebri come Viva L’Italia e La Storia Siamo
Noi. Il prestigioso premio, che esiste da ben 25 anni e raccoglie oltre 6 mila
storie sotto forma di diari, memorie, lettere, è stato assegnato domenica 13
settembre.
Il
cantautore sarà presente il 6 e 7 novembre al teatro degli Arcimboldi di
Milano al Festival Identità e Musica dedicato alla cultura musicale dei
territori. Si esibiranno anche Enrico Ruggeri, i Tazenda, Teresa De Sio,
Simone Cristicchi e il coro dei minatori di S.Fiora, Andrea Miro', Luigi
Maieron e Lou Dalfin. Tutti pronti a cantare nel proprio dialetto d'origine
sotto la direzione artistica di Davide Van De Sfroos. Prosegue, intanto, con
successo, senza tanti clamori pubblicitari, il suo tour di qualità
registrando la presenza di un pubblico eterogeneo.‘Il principe’ dei
cantautori regala concerti di ‘nicchia’, proponendo un live di vecchie e
nuove canzoni, riarrangiate e proposte in un mix di rock, funky e ritmi
latino-americani. Racconta le sue poesie e favole, espresse in chiave di
metafora, passando dai testi più appassionati e romantici dei primi anni, a
quelli forse più duri dell’ultimo periodo. Non possono mancare i classici
come “Rimmel”, “Bufalo Bill”, “Alice”, “La donna cannone”.
Ben
supportato dai musicisti che da alcuni anni lo affiancano sia nelle esibizioni
dal vivo sia nelle registrazioni discografiche: Stefano Parenti alla batteria,
Alessandro Arianti alle tastiere, Alessandro Valle alla chitarra e pedal steel
guitar, Lucio Bardi e Paolo Giovenchi alle chitarre e Guido Guglielminetti,
storico capobanda, al basso.
Sul
palco, con un gioco di luci semplice ma efficace, De Gregori domina il
palcoscenico con disinvoltura e maestria affascinando sia il pubblico maturo
che quello giovanile, con arrangiamenti ricercati e parole cariche di
significato. Un concerto senza scaletta, perché a detta del protagonista... i
concerti non sono piatti preconfezionati, si organizzano al momento... Sono le
poche dichiarazioni che si possono ascoltare direttamente da lui, dal momento
che non rilascia interviste e non ama farsi fotografare.
Su
questa ritrosia, nota anche per il suo prendere le distanze dal glamour della
Tv, trasformandolo un suo punto di forza, sorprende la notizia della sua
probabile partecipazione al reality “X Factor”. L’anno scorso è
arrivato Ivano Fossati, quest’ anno tocca a lui, un segno che i tempi stanno
cambiando e che la formula del talent show ormai abbraccia liberamente più
livelli.
L'intervista
a Francesco. La Repubblica, 11.9.2009
VIDEO
Viva
l'Italia che onora i suoi padri
Il cantautore riceve domani a
Pieve Santo Stefano il premio «Città del diario» che festeggia i 25
anni prendendo in prestito «La storia siamo noi»
GABRIELE FERRARIS
Signor De Gregori, penso che il premio che riceve domani a Pieve Santo
Stefano sia un premio all’autore di canzoni della e sulla memoria; per
dirne due, Bufalo Bill è la memoria di una vita, Rimmel la memoria di
un attimo, di un amore, di una fotografia. E La Storia, Scacchi e
tarocchi, brandelli della nostra memoria collettiva...
Quando
parliamo di memoria, parliamo in realtà di infinite memorie; c'è la
memoria che ci consente di affrontare in scioltezza la Settimana
Enigmistica, quella che ci mette ogni mattina in condizione di
riconoscere la nostra faccia allo specchio, e quella che sta alla base
di ogni forma d'arte, di ogni narrazione, eccettuate forse - e ripeto
forse - la fantascienza e la fiaba. Certo, è facile dire che Bufalo
Bill, o Rimmel, sono canzoni nate in qualche modo dalla memoria; ma mi
chiedo se possa veramente esserci qualcosa di totalmente indipendente
dalla memoria e dall'autobiografia nelle creazioni di qualsiasi
artista».
Questo
è evidente per la memoria personale. Ma non è autobiografia d’ogni
individuo pure la Storia? La Storia siamo noi, no?
«Si dice comunemente che l’artista lavora sulla memoria, che se ne
nutre. E’ senz’altro vero, e in realtà accade a tutti. Però la
nostra memoria non si limita a fotografare i fatti, ma li rielabora in
continuazione; ci accorgiamo di questo ogni volta che la memoria
personale s'interseca con la memoria del mondo, con la Storia. La nostra
generazione ormai ne ha vista tanta, di Storia. Woodstock e la caduta
del Muro, l'uomo sulla Luna e il sequestro Moro, piazza Fontana e le
Twin Towers e il Vietnam e la morte di Pasolini. Eppure i miei ricordi -
e immagino pure i suoi - non coincidono mai del tutto con le
ricostruzioni “ufficiali”. Esse a volte possono sembrarci
addirittura fuorvianti proprio per un eccesso di “storicizzazione”:
lo storico inserisce il fatto in un “contesto”, e lo legge con la
coscienza del dopo; noi abbiamo invece vissuto quello stesso fatto senza
tanti collegamenti, semplicemente c'eravamo; e dunque la nostra è una
memoria individuale, un po' sconnessa: magari ricordiamo noi stessi in
quel momento storico, più che il momento in sé».
Una
memoria orgogliosamente non condivisa né condivisibile.
«La memoria soggettiva - e quella dei diari, di cui si occupa il
premio che ricevo, è la più soggettiva fra le memorie - è
interessante proprio perché scompagina ogni oggettivizzazione del
passato: nel diario un individuo scrive un pezzo della sua storia, e
della Storia attorno a sé, col suo linguaggio, dall'alto o dal basso
della sua cultura, con dichiarata parzialità, implicitamente affermando
e rivendicando la non oggettività dell’operazione. Il contrario di
ciò che si pretende dalla storiografia, che giustamente diffida
dell'attendibilità delle testimonianze personali».
Lo
storico dovrebbe, dicono, dare garanzie di oggettività...
«Lo storico ha certamente dei doveri di obiettività, ma il mondo è
sempre oggetto di interpretazione, mica lo scopriamo noi oggi
pomeriggio! E credo che questo debba valere anche per gli storici, in
una certa misura. E ogni interpretazione, in quanto soggettiva, può
essere sgradita a qualcuno. Prenda un esempio “leggero”, Woodstock.
Se si prova a uscire da tutta quella retorica sul potere dei fiori e dei
tre giorni di pace amore e musica e dire, che so, che Woodstock fu anche
un formidabile spot pubblicitario per il consumo di droghe, ecco che
già lì qualcuno si potrebbe offendere e si rischia di essere
etichettati come “di destra”».
Ho
presente... E mi vengono in mente idee che non condivido...
«E questo accade con qualcosa di lieve. Ma sostituiamo a “Woodstock”
altre parole. Ad esempio “resistenza”. O “fascismo”...».
Ed
eccoci al revisionismo. Ho idea che ci stiamo cacciando in un
ginepraio...
«La parola revisionismo è in effetti rischiosa. Ma è davvero
negativa? Mi sembra ovvio che la Storia sia “revisionabile”. Secondo
lei sarebbe possibile, ad esempio, scrivere oggi un libro sulla
Rivoluzione francese basandosi soltanto sui materiali - documentari e
ideologici - di cui si disponeva ad inizio secolo? Lo storico deve
sentire in sé la necessità di rinnovare il proprio archivio, anche
intellettuale. E quanto all'oggettività assoluta, o è una pura chimera
oppure è qualcosa di più pericoloso, è il tentativo di inventare una
Storia paradigmatica, ispirata alle esigenze dei gruppi dominanti. Che
cosa c'è di più “oggettivo” delle fotografie dell'epoca stalinista
“epurate” con un fotomontaggio dei personaggi caduti in
disgrazia?».
La
Storia la scrivono i vincitori, o quelli che sanno scrivere: la brutta
fama di Nerone dipende da Tacito e Svetonio, che stavano all'opposizione
e sapevano scrivere. Però oggi possiamo dire che Nerone non era così
fetente, e non urtiamo nervi scoperti; ma se ci occupiamo di fatti e
persone più vicini a noi...
«Certo, la revisione della Storia può spiazzare, disturbare: sono
convinto che perfino una rivalutazione eccessiva di Nerone ancora oggi
potrebbe dispiacere a qualcuno. E c'è chi si è irritato per Il cuoco
di Salò, probabilmente senza ascoltare la canzone, solo perché vi si
narra del periodo repubblichino con un linguaggio non troppo allineato
alla lettura tradizionale della Resistenza, a quella che De Felice
chiamava “la vulgata resistenziale”... Ma di fatto, quanto più ci
avviciniamo all'oggi, tanto più è difficile una storiografia
oggettiva: i dati in nostro possesso cambiano velocemente, non sono
ancora stabilizzati e sono diciamo così, “inquinati” dalle
polemiche contemporanee».
Il
pensiero corre a «Si atteggia a Mitterrand ma è peggio di Nerone»,
celebre ritratto di Craxi in una sua canzone del ’93.
«Ho già detto anni fa che oggi non riscriverei quei versi su
Bettino Craxi, perché mi sono reso conto che è stato comunque un
politico intellettualmente superiore a molti di quelli di oggi, uno che
almeno una visione ed un progetto di rinnovamento ce l'aveva... Ma un
conto è ripensare il passato alla luce dell'oggi, altro è abbellire i
propri ricordi fino a cancellare, magari in buona fede, tutto quello che
non ci piace più... Chissà però se davvero è sempre negativo tutto
ciò. C'è una mia vecchia canzone, Gesù Bambino e la guerra, dove un
bambino dice “quando questa guerra sarà finita, fa’ che non la
ricordi nessuno”. A volte non ricordare tutto può essere un bene. La
nostra memoria biologica funziona così, del resto: è capace di
rimuovere i traumi e in generale di minimizzare le cose sgradevoli».
E'
giusto dimenticare, allora? Ho sempre pensato che la memoria storica è
l'anima di un popolo... Invece, oggi ci sono pure quelli che si
innervosiscono al solo pensiero di commemorare l'Unità d'Italia. Stiamo
diventando per davvero un paese «senza più padri da ricordare», e
quindi senza neppure figli da rispettare.
«Sarebbe bello se si potessero dimenticare le guerre, o le stragi.
No, in realtà la memoria collettiva è qualcosa da cui una società non
può prescindere. Come la memoria personale di ciascuno di noi, del
resto: quando per età o malattia perdiamo la memoria se ne va anche
ogni nostra sicurezza, ogni capacità di orientamento nel futuro.
Proprio per questo l'Italia è un Paese che ha bisogno di ogni briciola
della sua memoria. A patto che questa memoria non diventi rituale, che
non si svuoti di significato, che non diventi materiale inerte. A patto
che si celebri il 25 Aprile in quanto lo si riconosce come momento
fondante - e unificante - della nostra democrazia, e non come semplice
occasione di scontro politico dove ancora una volta il problema si
riduce a essere pro o contro Berlusconi. Ma veramente gli italiani sono
morti per questo? Non mi piace la memoria storica brandita come una
clava contro l’avversario politico. I fischi e le contestazioni ai
rappresentanti del governo (di qualunque governo, si badi bene) che si
ripetono a Bologna ogni 2 di agosto non mi sembra che aiutino una
riflessione collettiva, né che valgano a consolare il lutto di una
città e di un Paese».
In
Italia manca una memoria storica condivisa.
«Mi domando - ma non lo so - se sia lo stesso altrove, se - per dire
- in Francia sia ancora così feroce il dibattito su Vichy, se in Spagna
si usi l'aggettivo franchista con la stessa prodigalità con cui nel
nostro dibattito politico si usa quello di fascista. Molte vecchie
categorie resistono ancora oggi nel nostro bagaglio culturale, e ciò
non contribuisce né a rasserenare gli animi né ad alimentare una
discussione seria sulle prospettive di questo Paese. Però avere una
memoria condivisa non vuol dire che si debba anche accettare come una
fatalità il mistero che avvolge fatti come la strage di Bologna,
appunto, o Piazza Fontana, quando a distanza di decenni non è emersa
ancora nessuna credibile verità giudiziaria. Ma questo ha poco a che
vedere con i diari e la memoria dei singoli, e anche con la memoria
degli artisti, quella che trasfigura la realtà eppure forse la racconta
meglio della cronaca».
Le
cose più definitive sulla Resistenza le ha scritte Fenoglio...
«Appunto: l’artista può “narrare” meglio di altri la verità
storica, proprio perché la può, in qualche misura, inventare. A questo
servono un quadro come Guernica o un libro come La storia di Elsa
Morante, questo è il patto che un artista sottoscrive col pubblico, e
tanto più rispetta questo patto quanto più riesce a emanciparsi dal
ruolo di notaio della memoria prevalente... O di grillo parlante. Un
artista dovrebbe avere ali, o almeno trampoli, che gli permettano una
visione diversa da quella scientifica, ma non per questo meno
essenziale».
Però
questo assolve l'artista da ogni responsabilità: viene facile dire le
peggiori cose, con il pretesto dell'arte. Passi il revisionismo, ma non
vorrei arrivare a giustificare il negazionismo... Magari Ahmadinejad si
considera un artista...
«Gli artisti non hanno la pretesa di scrivere i manuali di storia, e
anche chi, come me, considera Céline un grande scrittore si guarda bene
dal condividerne automaticamente le idee. Ma credo che anche uno
studioso serio debba in qualche misura diffidare dal concetto di verità
storica assoluta. Quanto al negazionismo, ci è odioso come la Donazione
di Costantino o i Protocolli dei savi di Sion. E’ un falso storico che
alimenta altre falsità: e tanto basti alle persone mediamente colte,
per bene e di buon senso. Ma è anche vero che nella ricerca
storiografica recente non devono esistere zone intoccabili, il
politicamente corretto non deve mai prevalere sul rigore scientifico e
sull'onestà intellettuale. Tornando, se permette, a cose più futili,
penso a Bob Dylan che per scrivere la sua autobiografia è andato in
giro a chiedere agli altri cosa si ricordavano di lui. Non so se poi ha
scritto proprio tutto quello che gli hanno raccontato ma trovo che il
suo sia stato un approccio fra i più onesti a una rivisitazione di se
stesso. Ecco un’altra cosa straordinaria della memoria: della tua
memoria non sempre ti puoi fidare, e allora diventa preziosa quella
degli altri».
Ancora
la memoria selettiva...
«La memoria selettiva è un grande dono per gli uomini: un computer
lavora per accumulo, ciecamente, finché è pieno, mentre l'uomo
continua all'infinito a selezionare i ricordi e ad organizzarli secondo
criteri suoi, profondi e misteriosi. E’ una cosa straordinaria. E'
questo che rende la vita una cosa poetica, è questo che ci consente di
raccontarla. Nemmeno il più grande degli scienziati avrebbe potuto
inventare un meccanismo così perfetto».
(fonte:
Tuttolibri, in edicola sabato 12 settembre 2009)
Ore
11, lezione di podcast
La
loro classe assomiglia tanto ad uno studio di registrazione. Sui banchi,
al posto dei libri, ci sono cd, cuffie e microfoni, mentre sulla
cattedra – accanto al tradizionale registro – spunta un mixer con
centinaia di levette. Sono le 11 e la campanella ha rispedito in aula
gli studenti della Terza media di Faloppio, piccolo paese del comasco
alle porte con la Svizzera.
"Prof – esordisce una ragazzina con i capelli nero corvino –
cosa ci fa ascoltare oggi"? "De Gregori", risponde l’insegnante
di Italiano, Luca Piergiovanni. "Voglio che ascoltiate attentamente
le parole di questa canzone, Generale, e poi le confrontiate con quelle
della poesia Veglia di Ungaretti".
All’Accademia della Crusca, l’istituto nazionale per la salvaguardia
e lo studio dell’Italiano, è molto probabile che arriccerebbero il
naso. Ma questa moderna forma di didattica sta sbancando il web: le
lezioni del "prof" Piergiovanni e dei suoi alunni sono
diventate un podcast che, in poche settimane, ha scalato la classifica
dei siti dedicati all’istruzione. Per scoprire come, bisogna andare
all’indirizzo http://chocolat3b.podomatic.com. Intanto Mondo Erre si
è fatto raccontare dal "prof" com’è nata questa avventura.
DE
GREGORI CANTERA' IN DIALETTO A FESTIVAL ID&M
(ASCA)
- Milano, 14 set - Ci sara' anche un big del calibro di Francesco De
Gregori al festival Identita' e Musica di Milano. La rassegna - che
porta la firma di un legista doc come l'assessore alla Cultura della
Regione Lombardia, Massimo Zanello, che l'ha fortemente voluta - e' di
fatto il primo festival italiano dedicato alla cultura musicale dei
territori.
Ed e' proprio per questo che tutti gli artisti canteranno in dialetto.
Si parte il 15 ottobre, quando dal palco del Teatro Dal Verme di Milano
si esibiranno 12 voci lombarde, per finire il 6 e 7 novembre: sara' il
teatro degli Arcimboldi ad offrire il proprio palcoscenico alle due
serte principali della rassegna. Oltre al cantautore romano, ci saranno
altri grandi nomi della musica italiana: Enrico Ruggeri, i Tazenda,
Teresa De Sio, Simone Cristicchi e il coro dei minatori di S.Fiora,
Andrea Miro'm Luigi Maieron e Lou Dalfin. Tutti pronti a cantare nel
proprio dialetto d'origine sotto la direzione artistica di Davide Van De
Sfroos.
''Il linguaggio musicale - ha spiegato Zanello presentando il festival
alla stampa - diventa l'occasione per offrire al pubblico la ricchezza
della lingua locale come espressione del legame alla terra, luogo di
identita' e partecipazione''.
La rassegna di musica 'dialettale' promossa a Milano dall'assessore
leghista arriva dopo le polemiche estive sollevate proprio come
conseguenza della proposta della Lega Nord di introdurre l'insegnamento
dei dialetti nelle scuole.
Sorprende, dunque, la partecipazione di De Gregori, cantautore romano
tradizionalemente paladino dei temi della sinistra: tra gli altri
successi di De Gregori spicca ''Viva l'Italia'', di fatto un inno
all'unita' nazionale che a un certo punto recita ''Viva l'Italia,
l'Italia tutta intera''
Il
Riciclo dei cantautori?
Milano,
lunedì 14 settembre 2009 (ludovico - ilgiornale.it)
Di
certo non se l’aspettava nessuno. Perciò non è passato inosservato l’annuncio
che Francesco De Gregori sarà ospite in una delle prossime puntate di X
Factor. Sul web, in tutta quella infinita sequela di siti e blog che
commentano le notizie, c’è chi si è stupito, chi ha nostalgicamente
sacramentato, chi invece si è rassegnato all’inevitabile ticchiettìo
del tempo. E senza dubbio De Gregori, il Principe da quarant’anni
maestro di parole austere e poetiche, che sale sul palco dove sono
sbocciate Giusy Ferreri o Noemi è il segno più clamoroso di una nuova
fase dei cantautori. Chiamiamola, se volete, riflusso. Oppure diaspora.
Oppure rifondazione. I cantautori come per decenni li ha riconosciuti l’immaginario
collettivo, quel plotone di artisti vocati alle canzoni e compatti anche
nei loro orientamenti sociali e comportamentali (la politica è motore
dell’arte, abbasso la tv, niente paillettes), non esistono più. Sono
rimasti nel passato, dove peraltro ancora molti li cercano. Loro ormai
sono diversi e basta darci un’occhiata per accorgersene. Altre strade,
altre ispirazioni, addirittura conversioni. Di De Gregori s’è detto:
continua il suo pellegrinaggio concertistico alla Bob Dylan, cui spesso
è avvicinato, suonando ovunque, anche nelle piazze periferiche e in
contesti una volta impensabili (lo conferma il titolo di qualche giorno
fa della Gazzetta di Parma: «Il re dei salumi “vuole” il principe
dei cantautori» riferito ai concerti del festival del Prosciutto).
Produce, De Gregori, album di vendite alterne, appesi a metriche anche
sublimi eppure sempre meno citate.
E
Francesco Guccini, quello che l’anno scorso, come anche Antonello
Venditti, ha benedetto X Factor? Scrittore talentuoso da oltre vent’anni,
si alterna tra i pugni che si chiudono quando ai concerti canta quel
famoso «trionfi la giustizia proletaria!» della Locomotiva e le
interviste in cui spiega che comprò l’eskimo solo perché proteggeva
dal freddo, facendo inorridire anche Ernesto Galli Della Loggia sul
Corriere («oggi c’è il tradimento dei cantautori»). L’impressione
è che, finito il propellente ideologico politico che giocoforza aveva
carburato una gioiosa macchina da guerra discografica e opinionistica,
ciascuno dei cantautori storici ora segua il proprio percorso solitario
e puro che talvolta li espone a compromessi da saltimbanco (il famoso
«non ho mai letto Marx e Marcuse» sempre di Guccini) ma spesso li
porta fino a frontiere egregie e nuovamente godibili. Prendiamo Lucio
Dalla, per esempio. Onnivoro e inarrestabile, forse il più lucido di
tutti i cantautori in questa fase, mescola la passione per il jazz con l’opera
lirica; non si fa scrupoli a far comparsate tv di ogni tipo con la
leggerezza necessaria; diventa regista della Tosca di cui modifica pure
una parte del libretto; porta in scena L’Opera del mendicante di John
Gay. E scrive addirittura quell’inno ufficiale degli italiani alle
Olimpiadi di Pechino che già nel titolo, Un uomo solo può vincere il
mondo, è già una piccola, magari inconsapevole, negazione di quei
versi che in Com’è profondo il mare dipingevano esattamente il
collettivismo del 1977: «Certo chi comanda non è disposto a fare
distinzioni poetiche / il pensiero è come l'oceano / non o puoi
bloccare, non lo puoi recintare». Poi c’è chi, come Enzo Jannacci,
negli anni è passato da un nichilismo poetico e utopistico e qualche
volta gozzoviglioso, all’innamoramento vendicativo per Gesù «che
oggi ci prenderebbe a sberle». Ben più inquieto Roberto Vecchioni,
ultimamente più fertile come scrittore che come autore di canzoni. La
forsennata cavalcata della sua Samarcanda del 1977 non ha solo dato il
titolo a un programma di Santoro ma era anche un elogio quasi stoico
dell’inevitabilità del destino (Seneca diceva: il fato guida chi lo
segue, trascina chi recalcitra). Facile intuire a quale destino politico
alludesse. Oggi Vecchioni ha scoperto la preghiera, si è avvicinato a
Dio, riconosce addirittura l’onestà della destra e dice che «il sei
politico è stato un orrore». Roba che se l’avesse detta trent’anni
figurarsi dove finiva il consenso degli intellettuali di cui ha sempre
goduto. Come passa il tempo. Insomma, quella dei cantautori è una
rinascita impensabile ma inevitabile che forse trova le sue ragioni in
quel verso di Giorgio Gaber, coraggioso perché doloroso e persino
implacabile: «La mia generazione ha perso».
In
parte con l'articolo sono d'accordo, in parte no.
Ognuno è libero di fare quello che vuole nella sua vita e nessuno deve
giudicarlo, ma è anche vero che come dice il
""""Giornalista"""" se queste
cose fossero state fatte tempo fa, sarebbero crollati subito quegli
ideali portati avanti dai cantastorie; Guccini e l'eskimo, il
giornalista raggelò... Qualche altra minchiata da aggiungere? Non era
stato lo stesso Francesco a dirlo nella sua canzone per cosa usava
l'Eskimo?
De Gregori a xFactor, bene è un cantante, va dove piglia soldi è la
morale di oggi purtroppo non ci si astiene più a fare queste cose per
questioni di ideali e politica.
Vecchioni e Dio, non vedo cosa c'è di male... Riconosce l'onesta della
destra, beh, chi ha mai detto che la destra sia più onesta della
sinistra? Qual'è il target di onesta oggi?
Articolo tanto inutile quanto ignorante, quando alla fine cita Giorgio
Gaber, intanto quella frase non si riferiva per nulla alla gente di cui
parla l'articolo, ma ai polli d'allevamento... Ma poi Gaber non cantava:
"Un'idea, un concetto, un'idea finchè resta un'idea è soltanto
un'astrazione...."?
De
Gregori, l’Italia raccontata da un «cronista» con la chitarra
Quattordici album per raccontare una grande storia. Quella di
Francesco De Gregori. È la nuova iniziativa targata Corriere della
Sera: da oggi, e a seguire ogni martedì fino al 5 gennaio, in edicola
troverete settimana dopo settimana i cd della collana «Contemporanea »
dedicata al cantautore romano. Ciascun album è in vendita a 10,90 euro
(più il prezzo del quotidiano) ed è accompagnato da un contributo
inedito di circa 40 pagine. Interviste esclusive nelle quali De Gregori
racconta la nascita e i retroscena di ogni cd, più una guida all’ascolto
e i testi di tutte le canzoni.Si comincia (e come poteva essere
differente?) con quello che è il suo album più celebre e (forse)
migliore: «Rimmel». Uscito nel 1975, mise l’allora giovane musicista
sotto le luci della ribalta. Non che De Gregori fosse uno sconosciuto
assoluto, aveva infatti alle spalle una discreta gavetta. Dal 1970 era
ospite fisso del Folkstudio, la mitica cantina di via Garibaldi a Roma
dove sono passate generazioni di musica popolare e autoriale italiana.
Era già stato in tour nel ’71 come chitarrista di Caterina Bueno. E
aveva registrato diversi dischi: «Theorius Campus» in duo con un’altra
giovane promessa della musica italiana (Antonello Venditti), il suo
primo da solista («Alice non lo sa», in vendita in questa collana dal
20 ottobre) e «Francesco De Gregori », album d’esordio con una major
discografica (la Rca italiana, dall’87 acquistata dal colosso Bmg) e
penultimo appuntamento di questa raccolta.
INTERVISTA
A PAOLO VITES
Walter
Gatti INT. Paolo Vites mercoledì 28 ottobre 2009
In
queste settimane il Corriere della Sera, seguendo un progetto ad ampio
respiro di ri-pubblicazione discografica (che ha toccato con il
cofanetto dedicato a Mogol-Battisti la sua punta di maggior successo di
vendite), sta offrendo ai lettori e agli amanti della canzone d'autore,
la discografia di Francesco De Gregori. Il cantautore romano, 58 anni,
musicista che ha legato il suo nome e la sua produzione ad album
fondamentali tra cui "Rimmel" (1975), "Buffalo Bill"
(1976), "Viva l'Italia" (1979) e "Canzoni d'amore"
(1992), ha scelto per questa operazione musical-editoriale di
raccontarsi a uno dei giornalisti musicali italiani più dotati di
sensibilità, intelligenza e capacità di narrazione personale. Stiamo
parlando di Paolo Vites, caro amico nonché giornalista di profondità
speciale.
Abbiamo chiesto a Paolo di raccontarci com'è andata con De Gregori, non
tanto per carpire inesistenti gossip, quanto per provare ad andare sotto
la pelle del suo incontro con l'autore di Alice. Ecco cosa ne è venuto
fuori.
Sei l'autore dell'intervista compresa nel cofanetto che il Corriere ha
dedicato a Francesco De Gregori. Un'intervista lunghissima... È stata
più una fatica o un piacere realizzarla?
P.V.
- È stato certamente più un piacere. Non capita tutti i giorni di
poter scavare a fondo nella vita e nel pensiero di un grande autore di
canzoni, famoso poi per come difende la sua privacy.
Quante ore di dialogo avete avuto per realizzarla? E dove è accaduto il
tutto?
P.V. -Abbiamo trascorso due interi weekend a chiacchierare a casa sua a
Roma. Più altre rifiniture avvenute via e-mail o nei camerini prima di
un suo concerto in un paio di occasioni.Con Francesco, come del resto
con qualunque artista, non è facile constringerlo a
"raccontarsi", bisogna saper cogliere la sua voglia di parlare
in qualunque momento questa gli scappi fuori, magari anche al ristorante
davanti a un bel piatto di bucatini alla romana...
Spesso si dice che De Gregori è "gelosissimo" della sua vita
personale e artistica. Ne consegue che con pochissimi giornalisti
"si conceda". È Vero? Cosa è scattato tra lui e te affinché
si decidesse in questo "dialogo senza rete"?
P.V. -È esattamente così. Francesco De Gregori custodisce la sua vita
fuori dal palcoscenico in modo molto serio e dignitoso. Spesso è stato
accusato di avere in antipatia i giornalisti, ma quello che gli dà
fastidio è la banalità, cosa in cui purtroppo si rischia di cadere
facendo il lavoro del giornalista. Lui, la banalità, la rifugge, per
cui non ama farsi intervistare.
P.V. -Tra me e lui è semplicemente scattata un'amicizia e una stima
reciproca, che durano ormai da quasi vent'anni, da quando ci siamo
conosciuti. Un'amicizia nata dalla nostra comune passione per Bob Dylan,
scambiandoci registrazioni live di concerti e opinioni. Una volta mi
chiese di fargli avere tutte le registrazioni live che avevo di un brano
di Dylan, If You See her Say Hello senza spiegarmi perché e un paio di
anni dopo in un suo disco vidi con sorpresa la sua versione proprio di
quella canzone. Credo che la sua stima nei miei confronti, che lo ha
portato a scegliermi per fare questo lavoro, nasca proprio dalla
discrezione con cui ho sempre gestito questa nostra amicizia.
Qual è il ritratto complessivo di De Gregori che secondo te emerge da
questa lunga intervista?
P.V. -Quello di un uomo libero come se ne trovano raramente oggi in
Italia e di un musicista che alla soglia dei 60 anni ama ancora fare
musica come quando iniziò da ragazzo. Ancora oggi De Gregori si
definisce uomo di sinistra, ma assolutamente lontano da qualunque
visione ideologica. Tante sue canzoni hanno affrontato il tema della
Seconda guerra mondiale visto dalla parte dei perdenti (lo zio di De
Gregori, partigiano cattolico, venne ucciso in un increscioso episodio
da parte di partigiani di sinistra), ad esempio Il cuoco di Salò,
facendo spesso scattare polemiche nei suoi confronti da parte di certi
intellettuali. Durante una delle nostre conversazioni, poi,
sottolineando la sua grande ammirazione per Pasolini, ha dichiarato di
condividere oggi - dopo che negli anni Settanta si era dichiarato
profondamente contro - la posizione dell'intellettuale scomparso a
proposito dell'aborto, che cioè esso non sia "un diritto
civile". E non dimentichiamo che l'anno scorso, durante le tante
celebrazioni dei 40 anni del 1968, lui è stato l'unico in Italia ad
andare… contro, con una canzone intitolata appunto Celebrazione che
faceva a pezzi i miti del '68.
Quali sono le "parole chiave" da seguire per comprendere
meglio De Gregori?
P.V. -Non credo ci siano delle parole chiave. O forse sì: "canzoni
d'amore". Riascoltando a fondo il suo repertorio sono rimasto
colpito di come il 90% delle sue canzoni tratti l'amore, in modo quasi
shakesperiano, quasi dantesco, cioè come mistero che rimanda ad altro
da noi. Lui stesso ha definito L'angelo di Lione "una canzone sulla
trascendenza dell'amore".
Credi che il cantautore romano sia il più grande autore della nostra
canzone? Se sì, perché?
P.V. -Non saprei. Si batte bene accanto a uno come Fabrizio De André.
Forse ciò che lo rende "grande" è che dopo 30 anni di
carriera è ancora vitale e inventivo, a differenza di tanti suoi
coetanei.
Fondamentale per un musicista, è capire le proprie radici, i propri
riferimenti. Dylan continua a essere il background dell'autore di
Rimmel?
P.V. -Assolutamente sì. Non tanto nell'aspetto musicale, quanto
nell'attitudine, quella dell'assoluta improvvisazione, dell'istinto a
discapito della programmazione, della voglia di suonare dal vivo più
che nel incidere dischi in studio. D'altro canto Bob Dylan, come De
Gregori, è un altro grande "uomo libero".
Come molti - o forse tutti i grandi autori italiani e anglo-americani -
dopo anni di produzione alacre, in questi ultimi anni anche De Gregori
ha di molto diradato i dischi di nuove canzoni. Mancanza di nuove idee,
vena non più feconda o nuove leggi di marketing?
P.V. -È un po' quel che ho già risposto: una volta durante le nostre
conversazioni mi ha detto di non voler più fare dischi, solo andare in
giro a cantare dal vivo. Non so se sia vero, ma anche Francesco, come
tutti gli artisti della sua generazione, è un po' spiazzato dai
mutamenti del mondo della musica di questi tempi recenti: le case
discografiche praticamente non esistono più, le televisioni e le radio
non sono più veicoli di promozione musicale ma solo vetrine dove
mettere in mostra finti talenti costruiti a tavolino. Certo sarebbe un
peccato se davvero smettesse di pubblicare dischi.
Per finire una domanda personale: quali sono le canzoni - o dischi
degregoriani - a cui sei più legato?
P.V. -La canzone Rimmel, ovviamente, una delle canzoni d'amore più
intense mai scritte in Italia; la canzone Cardiologia, una delle sue
più recenti, in cui l'amore viene descritto in termini di assoluta
poesia e di grande realismo.
La canzone Santa Lucia, che esprime il suo senso della religiosità,
altro elemento molto presente nella sua produzione. Un disco che amo
molto al momento tra i suoi è "Buffalo Bill" del 1976, in cui
c'è appunto Santa Lucia, che ho riscoperto andando a recuperarlo per
questo lavoro e che trovo contenga alcune delle sue composizioni più
belle, anche se molte di esse oggi quasi dimenticate da lui stesso.
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Addio
a Corrado Sannucci
di
FABRIZIO BOCCA
ROMA - Adesso che Corrado se ne è andato, non è il vuoto che si sente,
non ancora - la sua scrivania è qui davanti ricolma di libri - ma la
disperazione quella sì. Ci aveva davvero convinto che ce l'avrebbe
fatta e che anzi alla fine del suo viaggio avrebbe indicato la strada a
tutti quanti. Ci ha scritto un libro di successo sopra: "A parte il
cancro tutto bene" (video). Un titolo volutamente ottimista, ma
anche sarcastico come lo era lui. Quel titolo lo aveva rubato a un
simpatico ragazzo del bar sotto casa dove andava a prendere il
cappuccino tutte le mattine. E a cui Corrado si era affezionato per la
sua bonarietà: "Allora dotto', che si dice oggi di questa
Roma?". Messo al corrente però di quanto gli stava accadendo, il
barman aveva sorriso e risposto così, cercando di fargli forza alla sua
maniera: "Beh, a parte il cancro tutto bene, no?" "Beh...
sì, a parte questo tutto bene".
Per Corrado fu quasi un'illuminazione, ci aveva visto una profonda
filosofia di vita e la sintesi perfetta della sua stessa storia. In
quella singolare frase, così piena di vita, e nella sua famiglia, la
moglie Maresa e soprattutto l'adorata piccola Olimpia - cui un giorno
raccontò che i suoi globuli rossi avevano cominciato a starnutire e che
pertanto non poteva più viaggiare... - aveva trovato la forza di
lottare e di affrontare il cammino che lo aspettava.
Corrado Sannucci aveva cinquantanove anni - era nato nel 1950 a Roma -
troppo pochi per andarsene. Ma aveva già vissuto tre vite: il
cantautore, il giornalista, lo scrittore. Corrado aveva una cultura
sterminata, un paio di armadi pieni di volumi rari, almanacchi, vecchie
riviste. Sempre con un quotidiano aperto sotto il naso, divorava un
giornale sportivo dalla prima pagina all'ultima breve. E commentava:
"Ma guarda questo che tempo sui 400 ostacoli". Sannucci è
stato uno storico dello sport, conosceva personaggi e storie
incredibili, andava a caccia, che so, dei sopravvissuti al Mondiale del
1930. E più si andava indietro nel tempo, più lui sapeva. Bolt come
Dorando Pietri. Sulla sua scrivania ha lasciato di tutto, anche i volumi
"The complete book of Olympics" sempre pronti a essere
consultati.
Ma la prima vita di Corrado è stata quella di cantautore. Faceva parte
della generazione impegnata degli anni 60 e 70, pensava davvero che con
la chitarra si potesse cambiare il mondo. E lo credeva ancora. Da
giovane aveva prodotto e composto Lp. Tanti pezzi che cominciò a
cantare nel famosissimo Folkstudio di Roma; insieme a lui Pietrangeli,
De Gregori, Venditti, Locasciulli. Il suo brano più famoso "La
Caffettiera" dedicata al femminismo: una coppia sessantottina
litiga per chi deve fare il caffè. Alla fine marceranno entrambi in
corteo verso la cucina. La chitarra non l'aveva mai lasciata, continuava
a scrivere e a fare progetti con Giovanna Marini. Una notte di tanti
anni fa, chiuso il giornale, finimmo tutti in un buco trasteverino a
bere e cantare: lo costringemmo a venirci dietro e cantare una
canzonetta stupida, "Tropicana Ye" del Gruppo Italiano. Alla
fine manca poco ci sfascia la chitarra in testa. La sua cassettiera è
piena di cd e prove in studio.
Quando Sannucci non scriveva per il giornale o componeva musica, allora
scriveva libri. Cominciando dal suo impegno politico. Uno su Lotta
Continua, uno sulla decadenza del calcio italiano( La Notte del Calcio)
affrontata in maniera molto singolare: all'uscita di Corea-Italia il
protagonista si imbatte nella notte in un ubriaco con cui comincia a
vagare e perdersi per Seoul. E poi l'ultimo libro: "A parte il
cancro, tutto bene" era praticamente una missione. Il suo telefono
in redazione non smetteva mai di squillare, tanta gente nelle sue stesse
condizioni lo chiamava per avere un consiglio, per sapere come
affrontare il percorso. Gli ospedali gli chiedevano conferenze, i
convegni medici volevano che partecipasse. Nel libro racconta di essersi
fatto fare da un gioielliere una piccola spilletta che riproduceva il
minuscolo congegno di plastica che gli iniettava il medicinale.
"Una delle più incredibili invenzioni dell'uomo. Tutte le persone
nelle stesse condizioni dovrebbero portare questa spilletta. Per
riconoscersi". Considerava la malattia quasi un club esclusivo. Da
cui uscire a tutti i costi, ovviamente. Ma il sapere di poter aiutare
gli altri era una cura a sua volta, non l'abbiamo mai visto una volta
piangere o disperarsi o abbandonarsi. Tutti quando lo vedevano gli
dicevano "Allora Corrado, ce l'hai fatta". E lui non
disilludeva mai nessuno, forse nemmeno se stesso.
A maggio aveva voluto salutare tutti, alla sua maniera, allegramente,
nella sua bella casa romana prima di fare un altro pezzo di strada del
suo viaggio. Sembrava davvero indistruttibile. "A parte il cancro,
tutto bene" davvero.
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Un
concerto giocherellone in un teatro gremito
e
festante
di
Maria Lombardo - la Sicilia, 9.12.2009
Non
sono necessarie megainterviste per richiamare in teatro il pubblico di
Francesco De Gregori. Basta un fischio e sono tutti lì. Pubblico, non
fan, termine troppo leggero, modaiolo o superficiale, inadeguato a
significare l’attaccamento che chi ce l’ha, ce l’ha,
indissolubile, verso la musica di questo cantautore che resta a 58 anni
suonati una delle voci più nobili della musica italiana,
«trasversale» all’età della gente. Essere degregoriani è una
specie di fede, un modo d’essere e di sentire per poesia, per
metafora, per musica. Musica mai uguale, mai ripetitiva anche se le
canzoni sono quelle tradizionali del repertorio, con variazioni di
scaletta ma nella sostanza quelle. «Quattro cani» e «Compagni di
viaggio», «Per le strade di Roma» e «Pezzi di vetro», «L’angelo
di Lione» e «Titanic»: ora con accordi cambiati, ora con parole delle
strofe invertite. Perchè se il Principe è in forma, come lo era l’altra
sera al Metropolitan, per il concerto organizzato da Musica e Suoni di
Nuccio La Ferlita, si diverte a giocare. E con lui la band, la stessa di
sempre formata dagli strepitosi Paolo Giovenchi e Alessandro Valle,
Stefano Parenti e Alessandro Arianti, Guido Guglielminetti (capobanda
che cura gli arrangiamenti) e Lucio Bardi.
Catania è Catania e l’artista ha incredibilmente raddoppiato la sua
presenza rimanendo un giorno in più per una conversazione con il
pubblico del tutto insolita, un omaggio a questa città che gli sta a
cuore per il mare e per la gente. Perchè, dice, «il pubblico catanese
è uno dei più calorosi e competenti». «Non ci sono - aggiunge dietro
le quinte - che i siciliani e i pugliesi, e naturalmente i napoletani, i
romani giusto perchè Roma è Roma, a intendersi di musica». Così si
canta e si grida «Ciccio», si suggerisce e si fa il coro in un
concerto tutto di filato, senza intervallo, con una band straordinaria,
una scenografia fatta di fasci di luce in diagonale che
vanno dal verde al viola, dal giallo al rosso. «Quattro cani» sopra le
righe, «Capo d’Africa» stirata alla chitarra elettrica, «Nino» che
vola fra assolo di chitarre acustiche, Tenco nel segno del blues, e
mentre «Viva l’Italia» e «La storia siamo noi» suscitano fra la
platea un «Viva la democrazia», il ritmo di «Agnello di Dio» si fa
ossessivo. Con passo dinoccolato, in completo scuro, maglietta viola e
scarpe da tennis bianche, il Principe passeggia per il palco e al solo
piano canta «La donna cannone ». Una voce cambiata negli anni ma che
sa avvolgere le parole, mai uguale a se stessa. Fra i bis finali «Buona
notte fiorellino» non senza cantare tutti in coro «tra due giorni e
Natale» in un cliccare di luci similalbero.
De Gregori, un principe al Metropolitan
di Antonia Arrabito
Il tour di Francesco De Gregori ha fatto tappa a
Catania, lunedì scorso. Il cantautore romano e la sua band hanno offerto
due ore di buona musica, all'insegna di brani recenti e dei più celebri
classici, a metà tra tradizione e nuovi arrangiamenti
Il “principe” della musica leggera italiana - così
viene definito ormai da anni - torna a Catania. E lo fa al Teatro
Metropolitan, ad un anno dall'uscita del suo ultimo album, intitolato
“Per brevità chiamato artista” . “Artista”, infatti, è l'unico
appellativo che Francesco De Gregori riconosce, rinunciando volentieri a
quello di “poeta” o “cantautore”, che inevitabilmente gli vengono
attribuiti.
Il pezzo d'esordio della serata è “Quattro cani”. Un
brano soft ed evocativo (tratto dall'album Rimmel, 1975), basato sulla
metafora dei randagi. Metafora che introduce il pubblico al resto del
repertorio, fatto di melodie lineari ma quasi in contrasto con
significati di non immediata comprensione. E che ricorda «che è del
mondo che sono figli, i figli». Un concetto apparentemente elementare,
ma evocativo di un grande senso di libertà.
Si alternano poi pezzi “orchestrati” e pezzi da
solista.
E' la sola chitarra acustica ad accompagnare “Per le strade di Roma”
(2006), impietosa ed amara descrizione dei quartieri della capitale:
dalla Magliana all'Argentina, dalla Salaria alla Tiburtina, «sui cui
terrazzi spunta il sole» proprio perché situata ad est. Medesima scelta
strumentale per “L'angelo di Lyon” (2008), scritta dal fratello Luigi e
definita dallo stesso De Gregori «una canzone d'amore sull'amore»:
ritratto di un uomo che impazzisce e si perde alla ricerca della donna
perduta. E ancora è sempre e solo la chitarra del cantautore a far da
sottofondo a “Vai in Africa, Celestino”(2005), omaggio a Bob Dylan (con
stoccatina a W. Veltroni e alla sua vocazione differita) che induce alla
ricerca di una terra ancora incontaminata, come l'Africa, mentre nel
resto del mondo «ognuno è martire del suo destino».
L'ingresso della band segna anche l'atteso tuffo nel
passato del cantautore.
De Gregori ripercorre le pietre miliari della sua carriera cantautorale,
passando da “Titanic” (1982), la ballata ispirata alle diverse classi
sociali a bordo della famigerata nave, a “La leva calcistica della
classe '68” (1982), melodia dedicata al calcio e ai suoi valori. Da
“Rimmel” (1975), storia di un amore freddo e distaccato, riproposta con
un riff più ritmato e a tratti esotico, a “Viva l'Italia”, ritratto di
una nazione che, se alla fine degli anni sessanta era «colpita al
cuore», forse oggi sarebbe solo «da dimenticare».
Un viaggio nella storia della musica italiana, ma
anche in quella dell'intimità umana. Il che rende difficile considerare
solo una canzone un pezzo come “La donna cannone”: vera e propria poesia
- non ce ne voglia l'artista - sull'amore di una donna da circo che
rinuncia al suo numero per assecondare i sentimenti. O come “Sempre e
per sempre” (2001), che regala al pubblico un momento di rara intensità.
Forse perché accompagnata soltanto dal pianoforte. O forse perché è vero
che «il vero amore può nascondersi, confondersi, ma non può perdersi
mai».
La chiusura è d'eccellenza. Con “Buonanotte
fiorellino” ed una tenerezza trasformata in suono da una fisarmonica. E'
questa la peculiarità di De Gregori: l'incapacità di banalizzare i
sentimenti, persino i più elementari.
A dimostrarlo, i continui “Bravo Ciccio!” urlati dal pubblico per
ricambiare tutto il calore ricevuto. E per restituire quell'abbraccio,
che il riservato Francesco ha elargito sin dalla prima canzone, usando
la voce al posto delle braccia.
http://www.step1.it
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L’autonomia
inspiegabile della musica
di
Agata Pasqualino
All'indomani
della tappa catanese del suo tour, il cantautore Francesco De Gregori ha
incontrato un numeroso pubblico di ammiratori davanti ai quali ha
parlato di successo, musica e del perché le canzoni non si spiegano.
«L’idea
di avere successo è strettamente collegata alla voglia che si ha di
raccontare le cose, perché è normale che si voglia arrivare a quanta
più gente possibile», risponde così Francesco De Gregori alla domanda
su cosa lo abbia spinto a diventare un cantante, se la voglia di
successo o quella di comunicare qualcosa, che il vice direttore del
Corriere della Sera, Pierluigi Battista, gli ha rivolto all’inizio
dell’incontro che si è svolto martedì al Monastero dei Benedettini,
all’interno del ciclo di appuntamenti LibrinScena organizzati dal
teatro Stabile di Catania in collaborazione con l’Università etnea.
In
un Auditorium stracolmo di ammiratori, tra cui tantissimi giovani, a
testimonianza del fatto che la musica del cantautore romano si rivolge a
un pubblico senza limiti anagrafici, De Gregori ha parlato delle origini
della sua carriera rivelando il suo sogno di bambino. «Quando da
piccolo – racconta – vedevo il palco del cinema dove spesso andavo
con i miei genitori, sognavo tutte le volte di salirci». Spiega inoltre
di aver avuto come modello, con sorpresa dei presenti, Gianni Morandi:
«Ho imparato dalle cose che ho ascoltato. Ho avuto tanti modelli, come
Morandi, per esempio. È di una bravura straordinaria e poi aveva grande
popolarità perché stava completamente dentro la storia del nostro
paese».
Partendo
dagli esordi, si è arrivati alle riflessioni sulla musica degli anni
settanta e ottanta: «Il mio modo di cantare apparteneva a una terza
via: non a quella della canzone romantica alla Zanicchi o alla Morandi,
né a quella della canzone dell’impegno sociale. Anche se un giorno
dissi a Ivan Della Mea, un grande scrittore di canzoni di lotta e di
canzoni in generale, che in fondo io e lui stavamo sulla stessa barca
perché facevamo canzoni “fuori” Sanremo. Lui mi rispose un po’
infastidito che non era affatto vero. Poi, anni dopo, lo rincontrai e mi
disse che avevo ragione».
Non
poteva mancare, all’interno della discussione sul panorama attuale
della musica in Italia, un commento su Sanremo, che per il cantante
presenta solo una parte della canzone italiana trascurando quella d’autore,
e sul talent show X-Factor, in cui è stato ospite, al quale De Gregori
fa riferimento dichiarando la sua simpatia per i partecipanti al
programma, dei quali non giudica negativa la voglia di successo fine a
se stessa: «Mercato e successo non sono strade demoniache, conta come
ci cammini sopra».
È
scattata qualche risata quando Battista, nel sottolineare la differenza
tra i suoi punti di forza, basati sul contenuto dei suoi testi, e quelli
dei giovani protagonisti dei talent show, ha commentato che questi hanno
la bella voce che lui non ha, e quando, sempre parlando di successo, De
Gregori ha ricordato l’imitazione che di lui fa Fiorello nei “canti
degregoriani”: «Essere imitati è una consacrazione della
popolarità, però preferisco che vengano imitati gli altri. Provo
sempre un minimo di fastidio, anche se Fiorello mi piace molto. perché
è umile e rispettoso e non ridicolizza come fanno altri, di cui però
non vi dirò i nomi».
Alla
domanda del giornalista che gli chiede se dopo aver scritto “La donna
cannone” fosse già consapevole di aver creato un classico della
canzone italiana considerato poesia, De Gregori risponde che aveva
capito che era commovente e che ancora oggi quando la canta c’è un
passaggio che lo emoziona sempre, ma «la canzone d’autore – precisa
– non è poesia, semmai è poetica: è la musica che crea quel legame
strano con le parole che dà vita alla canzone che non ha debiti verso
nessun altra forma d’arte». E solo a un artista del suo spessore si
può perdonare l’essersi rifiutato di intonare il passaggio della
canzone che ancora lo commuove.
Forse ha voluto evitare una reazione scontata dell’uditorio: «Dopo
anni che suoni una canzone e fai concerti, alcune reazioni del pubblico
diventano prevedibili. Quando la sensazione che mi dà questa
prevedibilità comincia a darmi fastidio, per un periodo congelo la
canzone che la provoca».
Oltre
che a “La donna cannone”, si è fatto riferimento a “Viva l’Italia”,
che raccoglie sempre grandi applausi ai concerti, mentre quando uscì fu
negativamente percepita come una canzone di destra e in seguito fu usata
anche da alcuni gruppi politici, con disappunto dell’autore: «I
politici prendono le canzoni e pensano che sia un modo per avere
consenso, ma non è vero. Non mi fa piacere quando le mie canzoni
vengono connotate, anche se ho capito che il loro destino è quello di
essere usate: appartengono non solo a chi le scrive ma anche a chi le
applaude». E ancora, rispondendo all’accusa di revisionismo mossagli
a causa della canzone “Il cuoco di Salò”, De Gregori afferma: «Mi
scoccia molto spiegare le canzoni, le canzoni vanno scritte, cantate,
ascoltate e mai spiegate».
Battista,
nella sua intervista, è sembrato poco spontaneo, si ha avuto la
sensazione troppo netta che nessuna delle domande sia nata sul momento e
non si è lasciato spazio per quelle del pubblico, ma forse c’era da
aspettarselo, visto che il giornalista aveva aperto l’incontro
accennando ad una, solo alla fine pienamente compresa, metafora sul
fatto che l’incontro fosse stato concepito dagli organizzatori come
una pizza margherita e si augurava, quindi, che non ne venisse fuori una
carbonara.
Prima
della conclusione la parola è passata al direttore artistico dello
Stabile, Pietrangelo Buttafuoco, che ha chiesto a De Gregori quale tra
le sue canzoni e quale messaggio siano destinati a superare lo scoglio
delle generazioni. «Io spero – ha risposto il cantautore – che la
canzone destinata a durare sia Viva l’Italia. Le donne cannoni non si
incontrano spesso, in Italia invece ci viviamo tutti i giorni. Riguardo
al messaggio è più difficile rispondere, ma quello che voglio fare
adesso davanti a questa bellissima platea è affermare l’autonomia
della mia arte, dell’arte canzone».
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In prima fila, il Nostromo di questa nave
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A destra, mentre si intrattiene con gli ammiratori
di Ciccio, il mio amico nonchè fondatore del RimmelClub, Avv. Daniele
Di Grazia |
fotografie
di Michela Becciu
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De
Gregori, ovvero la «terza via» tra la canzone politica
e Morandi
di
Samatha Viva - La Sicilia, 9.12.2009
«Un
incontro inedito, una sorpresa da regalare al pubblico»: l’aveva
annunciato il presidente dello Stabile, Pietrangelo Buttafuoco, e così è
stato. In un Auditorium gremito, incastonato tra i viali di pietra dei
Benedettini, una folla di giovani, giovanissimi e "meno"
giovani, ha aspettato in maniera composta che l’incontro
"inedito" all’interno del ciclo LibrinScena, patrocinato dal
Teatro Stabile in sinergia con l’Università di Catania, ospitasse non
"un" cantautore, ma "il" cantautore, Francesco De
Gregori. Intervistato per l’occasione dal vicedirettore del Corriere, Pierluigi Battista.
Il clima sobrio, il pubblico partecipe ma pacato, tutto ha contribuito a
rendere sacro il rispetto che da sempre si respira attorno ad un’icona, che con la sua
musica ha fatto la storia del cantautorato italiano, rendendo anche
sommesso il tono, lontano da quei luoghi altri che non siano la musica, la
cui assoluta estraneità di commistioni artistiche con altri generi ha
ribadito più volte lo stesso De Gregori: «La musica d’autore non è
poesia, e la sua particolarità è data dal particolare involucro musicale
con cui il cantautore riesce a rivestire le parole che canta». Le sue
canzoni e il modo di cantarle, un po’ la differenza che corre tra «il
cinema d’autore e le commedie dei Vanzina» ma anche il concetto di
successo - «che non può prescindere dal desiderio di voler comunicare
qualcosa» - e di impegno sociale - «che fa leggere nelle mie canzoni
messaggi che nascevano diversi in origine, ma le canzoni sono di tutti, di
chi le canta e di chi le ascolta» -; queste alcune delle domande proposte
da Battista, alle quali De Gregori ha risposto con sincerità e pochi
preamboli, raccontando come già da bambino coltivasse il sogno di fare il
cantante
«Quando a 10 anni mia madre mi portava al cinema io avevo voglia di
salire, in una sorta di presagio o prefigurazione, su quel palco, ma poi
dicevo di voler fare l’avvocato, per compiacere i miei».
Ma anche le parodie dei comici - «preferisco quando le fanno a qualcun
altro, anche se mi piace Fiorello, perché non lo fa mai con cattiveria ed
è bravo - o le riflessioni sul mondo dei talent-show -» a X Factor ho
trovato dei ragazzi preparati - passando per Sanremo - «non lo amo e non
lo trovo rappresentativo della realtà, anzi penso che trascuri la
totalità del panorama musicale italiano, poi negli ultimi anni si misura
col gradimento televisivo; questo non significa snobismo in alcun modo,
non giudico chi ci va». «Ma gli anni del tuo apprendistato erano più
anni dell’impegno politico. Come hai fatto ad affermarti?» incalza
Battista, e De Gregori precisa: «Il pubblico di quegli anni era pronto
per accogliere una terza via tra quel genere di canzoni e la linea
morandiana (che poi è stato anche uno dei suoi idoli, come ha confessato
al pubblico incredulo), ed era la linea mia e di qualche altro. E’
importante capire che il feedback con il pubblico è un crinale su cui
tutti puntano, la differenza sta nel modo in cui ci si cammina».
E a Buttafuoco, che nel finale gli rigira la domanda di Maddalena
Bonaccorsi, organizzatrice degli incontri, su quale delle sue canzoni sia
destinata a durare negli anni, risponde: «Viva L’Italia, perché nel
modo in cui la si canta, sento che aleggia qualcosa nell’aria, che la
rende la canzone di tutti; di donne cannoni non se ne incontrano
tutti i giorni, ma in questo Paese, bene o male, ci stiamo tutti dentro».
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su La Sicilia del
9
dic 2009
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fotografie
di SiciliaToday
MESSINA
- 23 SETTEMBRE 2009
E’ un consiglio che dò a tutti i
miei amici appassionati di Ciccio: non portatemi con voi ai concerti di De
Gregori. Con me ci si perde per le strade di campagna, di notte, o si rimane
bloccati per contrattempi. Praticamente sono una sfiga per i miei compagni di
viaggio!
Ma soprattutto con me pioverà, pioverà a dirotto. Qualche giorno prima qualcuno
si lamentava nel forum per le cattive previsioni meteo di Foggia. Poi la sera è
filato tutto per il verso giusto, non ha pioviuto e ho letto che la gente si è
divertita, all’aperto. Ma io non c’ero!
Nonostante l’amico Maurizio Arena mi confermasse rosee aspettative per il 23
settembre a Messina, io ero già convinto del contrario: no, non è possibile che
sarà sereno, pioverà, ne sono certo. Mi rovinerà anche questa. L’avevo già
scritto l’altro giorno: in vita mia la pioggia mi ha rovinato di tutto; una
sorta di nuvoletta fantozziana mi cerca dall’alto come un satellite quando sto
per uscire di casa. Infatti, appena l’ha saputo si è messa in moto e
puntualmente è arrivato il cambio di location.
Con gli amici di Ragusa (fra i quali un noto Salvo3) ci avviamo a Messina dove
incontriamo Mauro Arena e signora, sua madre e il mitico padre chiamato dal
sottoscritto Mr. Zimmy per via della sua leggendaria passione per Bob Dylan.
Quattro chiacchiere con Alex Valle, un saluto a Guido e poi, “sempre sotto la
pioggia”, all’interno del Vittorio Emanuele, storico teatro sul lungomare
messinese rimasto in piedi dopo il terremoto del 1908, il cui interno è stato
completamente sventrato, ricostruito e ristrutturato. Un piccolo gioiello
acustico con 1.000 poltroncine tutte raccolte sotto un grande soffitto dipinto
dal grande Renato Guttuso nel 1985.
Vi risparmio l’avventura del viaggio di ritorno a Catania e a Ragusa (c’era
presente il sottoscritto, quindi poteva capitare di tutto) sotto un nubifragio
abbattutosi sulla A18, così violento ed abbondante da non farci vedere niente
oltre il parabrezza. Alle tre del mattino, due ore dopo il nostro passaggio a 40
km. orari, su quelle strade si è abbattuta la nota frana che ha scollegato
Catania e Messina per due giorni.
Adesso che siamo all’asciutto….. passiamo al concerto.
In perfetto orario, alle 21.30, entra Francesco fra gli applausi. In gran forma,
con un abbigliamento che mi ricorda vagamente certi jazzisti che facevano la
spola fra Cuba e la Florida suonando Porter e Miller o, che so, una figurina che
fuma le Camel impressa sulle scatole di latta americane degli anni Quaranta.
Dopo l’inchino di benvenuto, un faro si adagia su di lui, ed è da solo. Si
intravedono soltanto le linee della sua dinoccolata figura che alterna le due
Gibson con l’armonica a bocca. E con questo piccolo quadretto si comincia la
prima parte, tutta acustica.
“Questa è una canzona dedicata a una grande cantante, che molto tempo fa
accompagnai in giro per l’Italia come chitarrista. La canzone si chiama
Caterina.”
Poi Quattro Cani e Pezzi di vetro, suonate e cantate in modo magistrale, senza
nessun accenno di svogliatezza, di noia, di fretta. Quel signore con il
Borsalino in testa sa ancora suonare eccome, come una volta; sa ancora cantare
eccome, come una volta. E, non me ne voglia, me lo sono goduto da buon Talebano
eccome, come una volta.
Le due canzoni, che sembravano uscite direttamente dall’LP della RCA, sono state
interpretate come ai tempi di Rimmel, con quell’arpeggio particolare di cui mi
innamorai 35 anni fa e grazie al quale sono ancor oggi qui a parlare di colui
che lo ha manovrato, quell’arpeggio. Anche Francesco sa bene che queste due
perle, quegli accordi, quelle dita posizionate in un certo punto della testiera,
sono il frutto di quel miracolo avvenuto quando lui era aveva intorno a
vent’anni e le geniali molecole della sua fantasia giravano a mille sulla
maccina da scrivere e sul pentagramma. Allora pensò che dovevano essere suonate
così; col tempo si è divertito ad arrangiare, a rocckettare, stravolgere, a
capovolgere; insomma, il giovanotto si è divertito. Con la maturità ha capito
che il prodotto migliore è sempre quello costruito da giovani, quando a volte
certe emozioni ti fanno produrre autentici capolavori. Puoi modificarli,
arrangiarli diversamente, svuotar loro le tasche mettendoli a testa in giù, ma
alla fine si torna sempre al passato.
”Quest’altra canzone parla di un ricco stregone, che era innamorato di una
donna……..”
Mentre Francesco spiega, dalla sala arriva una voce “L’Angelo di Lyon”!
“Bravo!!! Il nostro amico ha vinto….. cinque minuti di silenzio!” la risposta di
Francesco. Risata generale (tranne lui).
Arriva tutta la band. I loro volti, i loro strumenti, i loro movimenti mi sono
ormai familiari; è un piacere rivedere questi ragazzi almeno una volta all’anno
come quando si salutano i compagni di classe a settembre. Con questa
straordinaria band che ormai da anni suona a memoria, che è ormai capace dl
leggere gli spartiti pure dentro la testa del Capo, che è addirittura in
condizioni di anticipare anche le sue bizzarre interruzioni, il concerto
continua con Finestre rotte e poi, tutte d’un fiato, un’incantevole Atlantide,
Viva l'italia, Compagni di viaggio, Caldo e Scuro, Vai In Africa Celestino e una
soroprendente Capo d’Africa, con atmosfere, colori e arrangiamenti che sembrava
di essere all’Avana.
“La leva calcistica della classe '68”. Ciccio arriva fino a “….un giocatore lo
vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia” e una piccolissima pausa. Non gli è stato più
possibile proseguire perché viene anticipato dal solito signore in sala che si
mette a cantare a squarciagola: “……..e chissà quanti ne hai visti, quanti ne
vedrai……”.
A quel punto Francesco interrompe la canzone e dice “Eh, no! Legatelo! Lo
chiedo, per favore, a chi gli è seduto vicino!” Altra risata, tranne noi che,
conoscendo il Maestro, sapevamo che in quel momento stava per esplodere e che
sarebbe sceso in sala prendendolo a calci sulle gengive.
Ma la serata non è nervosa, qualcosa
rimane, e infatti arriva Rimmel e Festival con uno straordinario assolo di Bardi
che mette i brividi addosso. Lucio si ripete durante l’esecuzione di Battere e
levare, stavolta con intensi virtuosismi country al violino elettrico. Poi
Titanic e Deriva che arrivano di colpo assieme, come un omaggio al Nostromo.
Poi Francesco si siede al pianoforte. E’ di buon umore, guarda la sala per
cinque secondi e dice “mbè”? E si mette a ridere. E quindi ci racconta una
storia che dà i brividi, che entra dentro le stanze, le brucia. Che dà torto e
dà ragione, perchè nessuno la può fermare.
Ma che bel racconto, che concerto, che bello … come mi sto divertendo beato e
seduto in seconda fila, senza muovermi da destra a sinistra come un dannato. Al
contrario dello scorso anno a Sciacca, questa volta non ho voluto portare la
fotocamera per godermi al meglio lo spettacolo, senza avere l’ansia del
risultato, esposizioni, tempi di apertura, iso e diaframmi. Ho fatto il semplice
spettatore, anche se devo ammettere che l’altra sera sarebbero venute fuori
fotografie spettacolari perché chi ha progettato le luci di questo tour è stato
davvero bravo: affascinanti, colori bellissimi che assieme alle musiche
avvolgono i musicisti sul palco in un tutt’uno davvero magico. Complimenti al
tecnico.
Dal buio si alza una lira: “Eccomi qua!”. Più il tempo passa e più questa grande
canzone, anziché cantata è recitata, narrata in ogni riga, riferita agli
ascoltatori, spiegata in ogni dettaglio. Ormai Francesco la mima in una maniera
così teatrale che chiunque riuscirebbe a capire il significato del testo. Ogni
volta lo vedo muoversi con una gestualità ancora più raffinata, più
professionale. Più che cantante, sta diventando sempre di più attore e sembra
essere proprio lui il protagonista della canzone. Accompagna le parole con mosse
ed espressioni che ti proiettano dall’ultima fila dritto fino al camerino già
vecchio, facendoti vedere tutto in home theater: il lavandino, lo specchio, il
manifesto, il padre, la figlia.
Siamo incantati sulle note finali, si entra quasi nel mondo irreale di
Francesco, la sua musica ci scardina dalle poltrone e ci solleva fino al
soffitto dove è raffigurato il canto delle sirene dipinto del grande pittore
siciliano. Quasi in catalessi, come tritoni volteggiamo attorno a quelle figure
nel mare azzurro, sostenuti dalle note che il mito che sta otto metri più sotto,
ci lancia continuamente.
Ma non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà, noi lo conosciamo bene,
l'abbiamo sentito già! Infatti veniamo bruscamente svegliati dalle squillanti
chitarre di Giovenchi, che da dietro la curva ci preannuncia la volata country
di un ciclista chiamato Pollastri. Ed è festa!
Appena lasciato quel briccone di Sante, Ciccio presenta la sua band, quindi si
avvicina al microfono, si toglie il cappello mettendolo al petto, si inchina e
dandoci la buonanotte ci confessa l’emozione particolare che prova ogni
qualvolta mette piede in Sicilia. “Bravi, complimenti per questa vostra bella
terra!”. E se ne va, ma non è vero.
Eh no, caro mio, esci. Esci, che qui ti reclamano a gran voce (non capirò mai il
significato dei bis)
Al rientro, con al piano Arianti, esegue la Donna cannone come solo lui sa fare.
Poi l’Agnello di Dio ed infine una Buonanotte fiorellino suonata come negli anni
Settanta, in modo classico. Però siccome il Capo ha voglia di scherzare, manda
in tilt la band quando deve riattaccare a cantare. Tutti i musicisti ridono per
le sue birichinate, compreso il capobanda che, a detta di Ciccio, stupisce
sempre di più.
Fra le bellissime note di questo immortale walzer, il Maestro getta il plettro
ancora bollente davanti a sé e si allontana definitivamente dietro le quinte.
Ah, questo pubblico pagante, quante ne deve subire!
Tempo fa, Francesco storceva la bocca quando un applauso del pubblico
sottolineava la passione per lui proprio al punto della famosa strofa. Oggi,
forse perché è ormai consapevole di essere un monumento della canzone italiana,
quell’applauso quasi lo pretende, e lo chiede con forza incitando la platea con
le sue lunghe braccia, perché ha capito che non si può più trattenerlo,
quell’applauso; non si possono tenere le mani ferme nè davanti a una bellissima
canzone, né davanti a una leggenda del genere.
Quel pubblico pagante ha voglia di sottolinearlo sempre, con un applauso, il tuo
nome che scintillerà. Per tanto tempo ancora.
Grazie ancora una volta, Francesco! E che Dio ti benedica.
Mimmo Rapisarda (pubblicato su Rimmelclub.it 25.9.2009)
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ESTIVO
1
MAGGIO ROMA - Auditorium Parco della Musica - Sicantamaggio - 24 GIUGNO
SOLFERINO (MN) Piazza Castello
- 27 GIUGNO ROVERETO Mart (Museo d'arte moderna) - 4 LUGLIO ROMA - Parco
della Musica - 18 LUGLIO SAINT VINCENT (AO) Palais - 25 LUGLIO CASONI DI
LUZZARA (RE) Parco Filippini (gratuito) -
26 LUGLIO PIAN CAVALLO (PN) Parco - 8 AGOSTO MASEN DI GIOVO (TN) -
Parco - 13 AGOSTO TORTOLI' (NU) - Rocce rosse - 16 AGOSTO SORRENTO - Villa
Fiorentino - 22 AGOSTO NOCI (BA) Arena Fiera di Noci - 23 AGOSTO
TORRICELLA PELIGNA (CH) Stadio - 28 AGOSTO BENEVENTO - Piazza Roma - 4
SETTEMBRE LANGHIRANO (PR) - P.le Melli - 5 SETTEMBRE FOGGIA -Teatro
Mediterraneo - 12 SETTEMBRE MILANO - PalaSharp - 18 SETTEMBRE - SAINT
VINCENT (AO) - 23 SETTEMBRE - MESSINA - Teatro V. Eman. - 24 SETTEMBRE
PALERMO - Teatro Golden - 26 SETTEMBRE GALLUCCIO (CE) - P. Umberto - 27
SETTEMBRE CASAL VELINO (SA) - Porto - 2 OTTOBRE VILLAFRANCA (VR) Palatenda |
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AUTUNNALE
- TEATRI
03.12.09
Monteruscello (NA) Pala Butangas
07.12.09
Catania (CT) Teatro Metropolitan
09.12.09
Avellino (AV) Teatro Carlo Gesualdo
11.12.09
Catanzaro (CZ) Teatro Le Fontane
18.12.09
Lonigo (VI) Teatro Comunale
20.12.09
Torino (TO) Teatro Colosseo
21.12.09
Genova (GE) Teatro Carlo Felice
22.12.09
S.Benedetto del Tronto (Palariviera)
28.12.09
Caramanico (PE) Palasport
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