Formato: CD Anno: 2008 Label: Caravan / Columbia 88697321982

Formato: LP Anno: 2008 Label: Caravan / Columbia 88697321981

 

 

   

 

Prodotto da Francesco De Gregori e  Guido Guglielminetti. Fonico: Gianmario Lussana Assistente tecnico: Dario Arianti. foto di copertina e del libretto di  Alessandro Arianti e Marco Anelli. Registrato e missato da Gianmario Lussana  (Forward Studios - Grottaferrata) Mastering di Fabrizio De Carolis (Reference Studios Mastering - Roma) Progetto grafico di Spazio360  Grazie a Dario Arianti

 

 

 

dal forum del www.rimmelclub.it 21 luglio 2008

 

Ormeggio qui, accanto alla barca di Caucaso, perché trovo il suo post l’imbarcazione più bella, più commovente, più coerente e più sincera che sia attraccata a questo molo. Ho cercato negli altri pontili, ma li ho tovati abbastanza “intasati”. Sarà il periodo.....
Ma è stato anche questo mare che mi ha spinto a scrivere nuovamente al Rimmel Club, il mare della mia casa a Furci con quello Jonio che, visto quanto è straripante, a stento sono riuscito ad allegare a questo file. Tutto il resto non entrava in cartolina e l’ho dovuto lasciare fuori sulla spiaggia, peccato; la colpa è di quella vasca azzurra e mascalzona, così luminosa che abbaglia i miei occhi nascosti nell’ombra del fresco Levante e che, trascinandosi dentro il sole di Ponente, indora tutta la costa calabra davanti. L’Italia direbbe qualcuno, viva l’Italia!
Ma è dall’Italia tutta intera che questo pomeriggio mi sono convinto ad imbucare questa cartolina, spedita da un vostro amico che non si fa sentire da tempo. Quindi vi invio i migliori saluti siculi…. e qualche considerazione sull’ultimo disco di Ciccio, sì proprio di lui. Altrimenti di che vi parlavo, di come ho cucinato il pesce spada a pranzo?
Tanti anni fa, quando ci capitava fra le mani un disco (dico disco ma potrei dire quadro, film, libro, opera d’arte in genere) accadeva che l’interesse per quel prodotto era dettato da semplici regole: io ho creato questo e te lo propongo. Puoi ascoltarlo con calma, non c’è fretta e soprattutto non nascondo trappole. Se ci piaceva impiegavamo oltre due ore a registralo sulla musicassetta, facendo attenzione alle pause, stop (troppo stop, torna indietro, troppo indietro, vai avanti….). 

Al contrario di Emule (che lo lasciamo tutta la notte acceso e al mattino dopo troviamo le sorprese nella calza della Befana), in passato dovevamo essere presenti, costretti ad ascoltare il disco dalla prima all’ultima nota. Ad ascoltarlo come si deve, e ci faceva pure bene. Una volta con Francesco abbiamo parlato proprio di questo.
Oggi non è più così. La sezione del nostro intelletto deputata a “ricevere, selezionare, scegliere” viene bombardata da innumerevoli offerte: guarda questo, scarica quello, dai un voto da uno a dieci e se clicchi potrai prelevare la demo di questo. Tante sono le richieste di esame che il nostro tempo dedicato alla valutazione di ogni prodotto si sta riducendo al lumicino. Quando finalmente ci capita di ascoltare qualcosa di bello, convinti di perdere del tempo veniamo colti da un inspiegabile rimorso perché potremmo prestare la nostra attenzione ad altre cose.
Forse abbiamo perduto la vera concezione di ozio, o meglio, non riusciamo più a capire cosa sia l’ozio, o perlomeno a distinguere quello cattivo da quello benevolo. Non siamo più capaci di scaraventarci sul letto di camera nostra, accendere l’Hi-Fi e goderci un bel disco per un’ora solo per il gusto di ascoltarlo, solo per ricevere benessere senza l’ansia e la fretta di formulare e decretare giudizi belli o brutti che siano. Belle, ascoltare tutte le tracce dall’inizio scordandoci il tasto FFww, senza lo scrupolo di pensare che quell’ora di musica e di relax ci faccia perdere del tempo che noi riteniamo prezioso e convincerci che preziosa, invece, è soltanto quella “perdita di tempo”.
Stavolta non mi sono fatto fregare come per Calypsos. Lì mi era capitata una cosa del genere, al punto da non conoscere nemmeno i finali di ogni canzone perché le troncavo con quella maledetta freccia elettronica, passando con frenesia da una traccia all’altra. Dove sei, carissima puntina dell’H-fi di Readest Digest che, per i tuoi ben noti limiti di manovra, passare all’altro brano significava rovinare l’Lp e quindi mi costringevi a sentire ma proprio tutto! Lp, che bella sigla! Un termine che mi ricorda luci soffuse, sana ed egoistica goduria fino all’ultimo colpo di rullante.
Perché sono qui? Ah, già, per l’ultimo disco di Ciccio….. Non sarò Antonio Piccolo, ma farò del mio meglio (considerate che grazie a quello che ho davanti, per scrivere ho rinunciato all’abbiocco pomeridiano, quindi se è venuta un po’ “ad minchiam” non è colpa mia ma sempre del mare).
All’inizio, devo ammettere di aver avuto un giudizio negativo di tutta l’opera. Stavo per metterlo da parte, e pensare che, forse, De Gregori era realmente alla frutta e già lo vedevo curvato su se stesso a raschiare il fondo del barile. L’ho ascoltato la prima, la seconda volta, ed avevo ritrovato delle cose già dette, delle cose già scritte, poltroncine a forma di fiore e gabbie di cardellini, refrain già sentiti; mi pareva di risentire Bambini venite parvulos, Bellamore, Numeri da scaricare, Stelutis alpinis, Disastro aereo.
Cazzo, possibile che Francesco si ripeta così? E poi è così ingenuo a pensare che il suo pubblico ci caschi? Ma cos’è sta cosa simile a un canto del cigno? Sembra che quel giochetto di scrivere canzoni non gli venga più bene. Tutti tipici pezzi degregoriani suddivisi per categoria: ci sono quelli appartenenti a Sempre per sempre, quelli appartenenti all’Uomo ragno, quelli appartenenti a Bellamore, quelli appartenenti a Penthatlon.
In quella settimana, quante volte avrei voluto scrivere qui dentro e dichiarare, dopo più di trent’anni, che finalmente c’era un disco di Francesco de Gregori che a Rapisarda non piaceva affatto. Quante volte. Ma mi sono frenato, perché innanzi tutto ho un grandissimo rispetto per un mito al quale devo dire mille volte grazie per tutto ciò che mi ha regalato (al contrario del sottoscritto che invece non gli ha dato proprio nulla) e poi perchè ho preferito starmene zitto anziché uscirmene con un giudizio negativo che non so fino a che punto sarebbe potuto servire.
Ho voluto prendere l’ultima opera di De Gregori, portarmela dentro di me ed usarla come si fa per i compiti a casa; quasi come un dovere: mattina, mezzogiorno e sera prima e dopo i pasti. Proprio per esprimere un giudizio mio, personale, da fan, da umilissimo consumatore di musica. Certamente non da critico musicale, anche perché non faccio questo di mestiere.
Da premettere che per tutto questo tempo le tracce del CD sono state lasciate volutamente e perennemente nell’HI-FI, nella pen-drive sotto l’ombrellone, dentro il PC, nel notebook, nel lettore MP3 al cesso invece della radio mattutina, addirittura nel palmare. Insomma, mancava che sentissi questo disco anche sottoforma di sigla del Tg….. L’ho ascoltato, l’ho riascoltato, ho superato l’empasse del terzo, quarto ascolto. Al quinto, quando stavo cominciando a pensare “fra poco lo butto”, ho percepito qualcosa di strano, l’assenza di qualcosa, ma cosa?
Con dischi di altri artisti capita di dire subito “che bel disco, bellissimo, un capolavoro”. Però, perché dopo averlo ascoltato 5-6 volte, dopo non l’ascoltiamo più? Ma come, un disco acquistato 20 euro, che sembrava destinato ad essere una perla di disco, adesso me lo ritrovo messo da parte e inutilizzabile soltanto dopo 5-6 volte? E’ durato poco, veramente poco. Economicamente sconveniente, peggio di una Fiat. Un prodotto di breve durata. Se anche nella musica esistesse la garanzia avrei chiesto indietro i miei 20 euro.
Anzi, a risentirlo mi veniva quasi un senso di nausea.
Ecco cos’era che mancava! La nausea! Eppure, per come si era presentato “Francesco De Gregori, per brevità chiamato artista” la nausea me l’aspettavo, inesorabile; viste le aspettative del primo acchitto era imminente, incalzante, era dietro l’angolo. Invece era una parola che avevo dimenticata, e come mai non arrivava? Come mai il gesto di gettare il disco dal finestrino dell’auto, atteso da un momento all’altro, non è mai scattato in me? Perché la nausea non c’era? Tardava, respirava, eppure si muoveva…..
Con le cuffie alle mie orecchie l’ho aspettata fin troppo tempo. Poi un giorno non è arrivata più e mi la lasciato di sasso col CD in mano, pronto per essere inserito nel vassoio dell’HI-Fi, nuovamente, nuovamente, nuovamente…. Quella nausea, come sabbia nel tempo, si trasformava e si incarnava, e poi …. meravigliava, e produceva, ed espelleva suoni che rubava.
Così me ne sono andato in giro con De Gregori, dentro il suo ultimo colpo di genio: quale? Quello di infilare un’opera d’arte dentro uno scarabocchio sfidando quasi il tuo interesse a scoprire ancora di più, stuzzicando la tua curiosità a sentire quel che c’è oltre quello che le tue orecchie ritengono scadente; lasciare a te ogni iniziativa per abbattere ogni pedina di quella complessa scacchiera, alfieri, torri e cavalli ed arrivare finalmente al Re.
Vi chiederete, ma perché tutto questo? Che senso ha affaticare la mente, fare scacco matto, se esistono delle stradine più comode?
Prima di tutto perché scoprire che c’era una bellissima donna nascosta sotto le vesti di una racchia è molto più divertente della certezza di vivere con una racchia che non potrà mai cambiare; toglierle gli occhiali da sette decimi e scoprire occhi stupendi è stuzzicante, divertente. In una recente intervista Francesco ha detto che stare con una donna che ti ha già spiegato tutto, sarebbe un amore che durerebbe poco. In quella donna devi scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo, il contrario sarebbe la fine.
E poi questo disco a lunga durata è anche economicamente conveniente; cioè, rispetto ad altri dischi che già “ti spiegano tutto e subito” questo ti stuzzica, lo senti l’ennesima volta e scopri cose nuove. Quindi, tirando le somme, dura molto ma molto di più. E’ quasi una Wolkswagen!
Mi sono affezionato a queste canzoni, quando voglio suonarle entro in crisi nello scoprire che, per caso, le ho cancellate dal PC. Mi rivesto, scendo e mi riprendo il CD di copia per l’auto. Lo infilo nel drive, imbraccio la chitarra, regolo il barrè artificiale, attacco il jack e finalmente mi sento bene.
Quando ascolto Celebrazione mi immagino in una buia stradina della grande Mela americana, però nella parte bacata, quella coi vermi che ci vivono dentro e che piace tanto a Bruce Springsteen, con quell’Hammond dylaniano che entra subito all’inizio e che ti mette addosso un brivido come quello che avverti quando vedi un toro infilzare quei pazzi a RTV. Del testo di questa canzone si è parlato abbastanza e non me ne frega niente, è la musica e l’arrangiamento che mi intrippano.
Volavola e l’Infinito, al primo ascolto, assomigliano parecchio ad altre canzoni di Francesco, ma dopo tempo ti accorgi che non è così, a conferma che questo disco ha delle doti nascoste: ognuno di questi pezzi ha una storia a se stante ed è un piacere constatare che quel tipico suono di vecchio pianoforte con un effetto studio-RCA Francesco lo sa ancora produrre, lo sa proporre ancora in vesti diverse e così ti accorgi che nuove Bellamore, nuove Semprepersempre, nuove Rimmel e nuove Lacrimedinemo ti passano davanti di nuovo, senza mai annoiarti.

Salviamone un’altra: Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra. Quando l’ho conosciuta mi ricordava una di quelle canzoni che si cantano ai collegi salesiani, che so…"grazie Signore, grazie" oppure “Resta con noi Signore la sera” che se non la cantavi e non ti sciroppavi tutta la messa i preti non ti davano il pallone per giocare nell’oratorio. Poi dentro di me si è trasformata in un canto di evangelisti stonati che suonano per le piazze della città. Pian piano, quegli evangelisti sono diventati mormoni anglosassoni e che, dopo altri ascolti, sono stati trasferiti negli States a St. George, nello Utah. Il tempo è passato, ed oggi quando la risento faccio qualche chilometro in più in Arizona, e li rivedo trasformati in guide Navajo e Cowboy che affogano le loro serate in fiumi di musica e Budweiser ghiacciata al Country Cafè “El Charro” a Tucson. Ragazzi, che voglia di ballare! E pensare che tutto era cominciato all’Istituto Don Bosco!
E quando siete usciti fuori dal locale, mentre albeggia, avete provato ad ascoltare L’imperfetto in auto mentre da Tucson imboccate le Interstates 8 e 5 in direzione Ovest verso la 17th Mile Drive? Provateci (se proprio “non potete”, usate almeno la vostra fantasia). Io mi ci sono virtualmente imbarcato e aggrappato alla scia che lasciavano i violini elettrici della Cirillo sono arrivato fino a San Francisco!
Tirando le somme e facendo un po’ di calcoli, direi che con queste ultime produzioni noi degregoriani (o talebani, come ci chiama lui) ci abbiamo guadagnato.
Se ripassiamo disco per disco la sua carriera ci accorgiamo che Francesco, in media, ne pubblica uno ogni quattro anni. Se dopo l’uscita di Pezzi avesse saltato completamente il 2006 ripubblicando qualcosa solo nel 2008 con un album contenente Cardiologia, Mayday, La linea della vita, L’amore comunque, Le lacrime di Nemo, Celebrazione, l’Angelo di Lyon, Volavola, l’Imperfetto, l’Infinito, ne sarebbe uscito fuori un capolavoro coi contromarroni, in linea con gli standard di pubblicazione dei suoi dischi, sia in termini di qualità che di tempi di uscita. E nessuno avrebbe detto niente. Anzi, staremmo tutti qui a dire che De Gregori è l’unico vero autentico cantautore rimasto, che al contrario di tanti altri suoi colleghi non è ancora finito; un evergreen che ancora per molto tempo può dare tanto alla musica d’autore italiana.
Ma non l’ha fatto. E così facendo si è esposto fin troppo, dandosi in pasto ai più svariati giudizi. Fra live e studio, ha sfornato qualcosa come cinque dischi in quattro anni. Cosa che non gli accadeva in passato.
Perché ha agito così? Forse perché a questo monumento della musica italiana, a una certa età non gliene frega proprio più niente di quello che potrebbe dire la gente o la critica. A questo punto della carriera può permettersi di fare ciò che vuole, senza pensarci due volte. Dite che l’ultimo disco non va bene? Embè? Può piacere, non piacere ma io lo faccio lo stesso perché lo posso fare, perché sono innamorato di questo mestiere, perché poi me ne vado in giro per l’Italia a suonarlo con la mia band. E mi divertirò, ci divertiremo, e chi si vuol divertire con noi mi segua. Venderò poco? Non me ne frega una mazza!
Questo è, oggi, il Sig. De Gregori. E sembra spiegarcelo lui stesso nella traccia che dà il titolo all’album. Un’emozionante ballata in cui viene dichiarato apertamente chi sia quel ragazzo coi capelli rossi che tanti anni fa smascherò lo zingaro che gli predisse il futuro. Oggi solo i suoi capelli sono cambiati, che da rossi sono diventati bianchi, ma Francesco è rimasto lo stesso: un visionario che gioca ancora con lo Zingarelli sulla tastiera del piano, che racconta di verità e di bugie e che si inventa storie di personaggi mai esistiti per emozionarsi ancora una volta, per emozionarci ancora una volta. Forse per questo è un’imbroglione come tutti gli artisti, contraddittorio e menzognero come loro.
Il funzionario che redisse quel contratto non poteva azzeccare migliore postilla legale: “Francesco De Gregori, per brevità chiamato artista”. Poteva etichettare diversamente uno che ancor oggi, a quasi sessant’anni, è perennemente alla ricerca di favole per andare a dormire serenamente e che prima di farlo dà la buonanotte ai fiori?
Francesco non farmi più scherzetti del genere. Quali? Camuffare un cigno da brutto anatroccolo. Come faccio a capire che intendevi domani se dici oggi? Se fossi stato un po’ più giovane l’avrei distrutto con la fantasia… ma con l’eta che avanza ci impiego di più a stanarti.
Però quando ti trovo, finalmente, ogni volta è una gran cosa. Sempre.

Mimmo Rapisarda

 

P.S. Scusate il numero di pagine…. ma la colpa è stata sua, di questo mare.
Il problema, ora, è cercare qualcuno che mi aiuti a trasmettere da qui. Wireless, Wi-Fi, Lan, Wap, come cazzo si chiamano tutte quelle diaboliche sigle che mi permettono di arrivare a voi? Aiuto, ci sarà almeno una presa telefonica per casa?
Ecco, l’ho trovato. Sta per arrivare…. buona serata a tutti.

 

 

 

AUTORITRATTO D’ARTISTA CON CHITARRA

Repubblica,  18.5.2008

 

Francesco De Gregori è un uomo riservato e curioso. A suo modo un ossimoro. Cammina come un’ombra lunga tra le ombre di Roma, ha un fisico asciutto, aristocratico e va all’Auditorium per ascoltare la musica popolare, ha mani da musicista e lo sguardo del giocatore di poker che si diverte per qualsiasi bluff, i suoi come quelli degli altri. Non sono un grande artista, dice, ma un artista sì. Prende a prestito Totò:  non ci tengo né ci tesi mai. «Ma, e lo rivendico senza pudore, canto per lasciare un segno, come un regista fa un film, il pittore un quadro. Ho avuto periodi più o meno felici, ma ho sempre cercato di restare me stesso dentro una vita piena di errori». Arrivederci maestro, il cameriere della trattoria toscana lo saluta così. Lui sorride. E racconta:

«Da parte di padre ho antenati piemontesi. Vercelli, credo. Qualche goccia di sangue nobile, per questo motivo qualcuno ancora mi chiama il Principe. È un modo per pigliarmi in giro».

Quando se ne va, sulle sue scarpe bianche, il cappello bianco, la cintura bianca e con la schiena dritta, e attraversa piazza Mazzini sotto il sole di maggio e il cielo pulito, quartiere Prati, le sue strade da quand’era ragazzino, mi accorgo che mi ha regalato parole da conservare perché potranno tornare utili più tardi, come le carezze non accettate che si mettono da parte in previsione di tempi scuri e solitari.

Francesco De Gregori ha fatto un nuovo disco. Si intitola Per brevità chiamato artista . Uscirà tra pochi giorni. Nove canzoni bellissime, nessuna sperimentazione musicale, questa volta nessuna fascinazione rocchettara, la voce migliore da  Rimmel in poi. Un ritorno da cantautore a cinquantasette anni, lungo il sentiero della sua esistenza fino a qui, nelle mani un timone per aprirsi, forse, un’altra rotta ma senza sapere da che parte svolterà. Da qualche tempo ama il mare, la barca a vela, la velocità degli antichi. Da sempre predilige la buona educazione, qualità divenuta merce rara in Italia. Dice:

«È un disco realizzato in assoluta libertà che chiude un contratto con una casa discografica, la Sony-Bmg, e che mi lascia davanti a una prateria, a una tela bianca. Torno a interpretare storie rotonde, con il rischio di risultare noioso e autoreferenziale. Guardo il tempo che passa, cerco di riflettere sulla dolce decadenza e sugli errori che ho commesso. In un certo senso ho tracciato il mio autoritratto. Ho scritto la mia biografia. Non ho più nulla da dimostrare, non sono più un grande venditore di dischi e adesso potrei anche smettere di fare questo mestiere. Mi piacerebbe molto trasformarmi in un pittore, ma sarebbero necessari un rigore e una fatica che non si possono improvvisare e che forse non mi posso permettere. Quand’ero giovane avrei voluto diventare architetto, ma a venticinque anni ho cominciato ad andare in giro con la chitarra».

Parliamo a tavola, in un angolo tranquillo che si capisce essere riservato a lui. Davanti ha un’insalata che alla fine non mangerà e un bicchiere di vino bianco. Nessuna sperimentazione musicale, nessuna fascinazione rocchettara nei nove brani di “Per brevità chiamato artista

 

 

” Un disco da cantautore a cinquantasette anni, per “cercare di riflettere sulla dolce decadenza e sugli errori che ho commesso”

Cominciamo dal titolo, Per brevità chiamato artista.  Che cosa significa?

«Era la formula che veniva usata quando firmavi un contratto con una casa discografica: Francesco De Gregori, per brevità chiamato artista. Come dire, non sappiamo bene che cosa sei, qual è la tua carta d’identità. Mi è sempre piaciuta la distanza che c’è tra le due parole. Brevità e artista. Le ho incamerate tanti anni fa. Ora, finalmente, le ho utilizzate».

Sembra un brano autocritico, non tenero. Un elogio amaro della doppiezza d’animo.

«Non del tutto. È un avviso ai naviganti. Difende da una parte la libertà dell’artista e dall’altra il suo diritto all’incoerenza. Può essere illuminista e cattolico, Caino e Abele, uno stupido o un ballerino. Io sono davvero uno che conta i cani per strada e dà la buonanotte ai fiori. Metto le mani avanti. E vi dico: attenzione, la nostra risma è questa, abbiamo vite disordinate. Sappiatelo, prima di invitarci a cena».

Le piace l’immagine dell’artista maledetto?

«Mi affascina l’immagine, anche se io ne sono lontanissimo. Pensi che non mi sono mai fatto una canna, né l’ho mai cantata.

Sono stato e resto contrario alle droghe. È ciò che ho cercato di insegnare ai miei figli».

Nel brano c’è anche una richiesta di maggiore rispetto nei confronti di chi fa musica.

«Sì. La canzone è considerata arte di serie B, e questa cosa più si va avanti e più mi stanca. Se al Quirinale ci va il cinema per i David di Donatello, non capisco perché non ci possa andare anche la musica. Fossati, Ligabue, Battiato, Dalla... Non tutta la musica, come non tutti i film. In Italia manca la critica, mancano le occasioni. Noi non abbiamo mai avuto un Ferroni, un Longhi, un

Argan. E dovremmo chiederci più spesso se il Festival di Sanremo non restituisca un’immagine deforme e sgraziata del nostro mondo».

Quanto ha lavorato all’ultimo album?

«Un anno per pensarlo e scriverlo, un mese in sala di incisione. Molto di più per costruirlo nella mia testa. L’identico processo che può stare dietro al “segnaccio” di un pittore su di un muro».

Picasso diceva che in uno scarabocchio su un tovagliolo di carta vergato in pochi secondi c’è una vita intera. È così anche per lei?

«Negli anni raccolgo foglietti, accordi, idee, melodie, suggestioni letterarie. Metto appunti nel portafoglio, arrivo a casa e li infilo in una cartellina, uno zibaldone appoggiato sul pianoforte. Stanno lì come la madre nell’aceto. Un giorno prendono forma compiuta. Non ho canzoni nel cassetto e non mi piace riascoltare i miei vecchi dischi. Mi fanno male. Dopo cinque anni mi sembrano terribilmente invecchiati. Nei con certi, infatti, cambio le mie canzoni».

Il terzo brano dell’album si intitola  Celebrazione. Il Sessantotto quarant’anni dopo. Un atto d’accusa.

«Racconta di un posto in cui sono stato e che non mi è piaciuto. Un posto nel quale non voglio tornare. Sono contrario alla sua celebrazione e a chi, come Capanna, si sente un suo orfano. Il ‘68 italiano è diventato come il giorno delle mimose, mentre invece a me sembra una data così poco identificabile, imparagonabile all’assassinio di Martin Luther King, al Vietnam, al Maggio francese. Noi, purtroppo, abbiamo avuto la scalinata di Valle Giulia. È quello il nostro ‘68? E allora io sto con Pasolini che simpa-

tizzava per i poliziotti perché erano figli dei poveri».

È una condanna assoluta e senza rimedio, la sua?

«No. Il ‘68 ha disseminato tracce positive sugli anni successivi, ma il suo massimalismo verbale ha avuto pesanti ricadute nel terrorismo politico degli anni Settanta. Chi lo nega lo fa arrampicandosi sugli specchi. Non si può parlare di rivoluzione senza definirne i contorni e le conseguenze deleterie. Io penso semplicemente che il Sessantotto non sia stato un anno mitico, uno spartiacque della storia italiana. Allora lo è stato di più il ‘78, con l’omicidio Moro. Lì il Paese ha cominciato davvero a cambiare, lì è successo qualcosa di veramente storico. Oggi molti rimpiangono il Sessantotto perché rimpiangono la loro giovinezza, un po’ come se mio padre avesse rimpianto le leggi razziali perché a quel tempo aveva vent’anni. Lo so, è un paradosso esagerato. Chiedo scusa».

Le riporto un passaggio di Finestre rotte: «C’è gente senza cuore in giro per la città, di notte bruciano persone e cose solo per vede re che effetto fa». È l’Italia di questi giorni?

«È ciò che vediamo tutti. Il problema è che subito dopo aver guardato chiudiamo gli occhi. Quello che sta accadendo in queste ore nei confronti degli extracomunitari e dei Rom è il sintomo di una democrazia bloccata e in crisi. La colpa è di tutti, anche mia. Siamo un Paese triste, arretrato e incattivito che ha bisogno di essere modernizzato in fretta. Dandosi allegria, rigore, giustizia sociale. Dovremmo prendere esempio dalla Spagna».

Mai accarezzata la tentazione di fuggire?

«Più di una volta. Ci penso spesso. Non è detto che siccome sei nato in un certo posto, in quel posto tu debba anche morire. Alla fine resto qui, non so bene perché. Potrei prendermi una pausa, un anno o due in un’altra città. Sceglierei Atene, splendida e caotica culla di tutte le civiltà moderne».

Esistono ancora la destra e la sinistra?

«È una contrapposizione ormai vecchia, come ha dimostrato l’esito delle ultime elezioni. Esistono i conservatori e i riformisti. Ogni altra definizione appartiene al passato».

Lei è andato a votare?

«Sì. Il voto è un diritto importante. Ed è uno schiaffo in faccia al grillismo».

Non le piace la deriva politica di Grillo?

«No. Quando lo incrocio in tv, cambio canale».

Per chi ha votato?

«Per Veltroni».

Nonostante le critiche mosse nei suoi confronti alla vigilia delle primarie del Partito democratico?

«Quelle critiche restano, le ribadisco. Aggiungo che non mi è piaciuto il metodo con cui sono stati scelti alcuni candidati, compreso Rutelli per Roma, all’interno di una bottega oscura di altri tempi, in spregio allo strumento delle primarie che invece hanno avuto il grande merito di portare in piazza la politica».

I denigratori di Veltroni dicono che Veltroni è l’unico italiano che crede nel veltronismo. Lei che ne pensa?

«Non sono d’accordo su alcune delle cose che Walter fa. Il pullman, un certo tipo di linguaggio, il desiderio di piacere, certe mitologie letterarie. Di Veltroni sono amico, non gli risparmio nulla, lui si arrabbia, mi telefona, lo farà anche questa volta. Ma è il suo carattere, non si può cambiarlo, come io non posso modificare il mio. Ma oggi a Walter riconosco il merito di un progetto che mi piace molto. Ha avuto il coraggio di andare da solo, di tagliare con la sinistra radicale. Ha rivoluzionato lo schema della politica

italiana. Doveva recuperare molto svantaggio, ha cercato di prendere tempo e di anticipare la riforma della legge elettorale, nelle condizioni in cui si è andati a votare la vittoria era impossibile. Adesso si potranno fare cose importanti anche dall’opposizione.

Il Pd ha avuto poco tempo, l’errore è avere aspettato troppo. Doveva nascere prima, non si doveva attendere che la figura e il governo di Prodi fossero così consumati. È come se il Partito democratico fosse nato in contrapposizione a Prodi stesso. Peccato».

Ancora Berlusconi a Palazzo Chigi, Schifani al Senato, il postfascista Fini alla Camera. È preoccupato?

«Io vivo d’istinto anche la politica. Non temo l’arrivo dei barbari, non sto con chi si straccia le vesti. Non possiamo pensare che ci governino sempre quelli che ci sono simpatici, a volte ci capita di trovarci a dover fare i conti con chi viene da una cultura opposta alla nostra. Ho apprezzato il messaggio di Berlusconi per il 25 aprile e il discorso di Fini il giorno dell’insediamento alla Camera. Mi piace l’idea del dialogo sulle riforme.

Spero nella condivisione, non nell’inciucio e nello scambio di fiori, naturalmente. Siamo agli inizi, aspetto di vedere i fatti prima di giudicare. Non ho mai amato l’antiberlu sconismo a prescindere della sinistra, un atteggiamento che chiudeva così la porta a qualsiasi altra analisi. La pregiudiziale dell’antiberlusconismo ha condizionato l’opposizione, è stata un limite alla sua intelligenza politica e alla sua crescita culturale».

Torniamo alla musica. Quanto amore c’è in questo ultimo disco?

«Spero molto, e mi auguro non declinato in maniera zuccherosa. Considero l’amore, il poter amare, un grande privilegio. Non bisogna vergognarsi di amare, è l’unico campo nel quale va evitato il pudore dei sentimenti. L’amore è la vita. E l’amore è spesso

incomprensibile. Nell’album c’è una canzone, L’angelo di Lyon, scritta da un artista statunitense, Tom Russel, e tradotta da mio fratello, Luigi Grechi, che è un inno alla trascendenza dell’amore. È la storia misteriosa di un americano che abbandona tutto per seguire il volto di una donna intravisto tra la folla. Gli occhi di una donna di cui non conosce neppure il nome e per la quale viaggia fino a Lione, un posto esotico per un americano, no? Per amore, solo per amore.

È una canzone meravigliosa e incomprensibile. Sono sempre stato un difensore dell’incomprensibilità delle canzoni. Questa volta mi sono tolto il lusso di cantarne una senza averla scritta io».

A cinquantasette anni come si sente? Un po’ più grande o un po’ più vecchio?

«Un po’ più sereno, ma domani chissà. A trent’anni vai veloce, vuoi tutto e spesso anche il tutto non ti basta, dai risposte sbagliate, confondi gli indirizzi. Oggi mi sento quasi saggio, mi godo l’estetica della rinuncia. Conduco una vita riservata e pochissimo bizzarra, frequento un piccolo branco di amici, una pattuglia di coraggiosi, cerco di vedere il bene negli altri, mi fido del prossimo fino a prova contraria, a volte non me ne bastano sei, di indizi, per accettare la delusione di un incontro. Sto molto in casa, ascolto pochissima musica, mai la mia, leggo Charles Wilford, Philip Dick e soprattutto Cormac McCarthy, il mio autore preferito di cui sono riuscito a recuperare proprio nei giorni scorsi anche Il guardiano del frutteto,  l’unico suo romanzo che mi mancava. Mi sarebbe piaciuto un film di Stanley Kubrick da un suo libro,  Cavalli selvaggi, per esempio. Sento la morte più vicina, come è naturale, ma non la temo. Mi spaventa il cerimoniale della morte, questo sì».

E crede in Dio?

«Certamente non sono un ateo, credo in qualche forma di trascendenza, ma non nel Dio con la barba bianca. Non mi sento di fa re scommesse su nulla, credo che non avere sicurezze sia una dimostrazione di laicità. E c’è un’altra cosa».

Quale?

«Ogni tanto ho paura».

Il brano che chiude l’album si chiama L’infinito. La voce di De Gregori, la sua voce più bella, canta così: «Ho viaggiato fino in fondo nella notte, e stava nevicando, e ho visto un grande albergo con le luci spente, e ho avuto un po’ paura, ma nemmeno tanto, la strada andava avanti, ed io slittavo dolcemente». Come capita a tutti colo ro che hanno ancora la voglia e il coraggio di camminare dentro la vita.

 

DARIO CRESTO-DINA

http://download.repubblica.it/pdf/domenica/2008/18052008.pdf

 

 

Parla Francesco De Gregori: «Le mie canzoni appartengono a tutti»

TORINO 16/07/2008 - Il titolo dell’ultimo album “Per brevità chiamato artista”, si attaglia bene allo stile di Francesco De Gregori che questa sera sarà al teatro della Concordia di Venaria (corso Puccini 1), per la tappa torinese del suo tour. Trentatrè dischi realizzati, tra album inediti, live e raccolte. Insomma, una bella fetta della canzone italiana d’autore. Una storia personale fatta di successi da “Alice (1972) a “Rimmel” (1975) a “Generale” (1978), passando per “La donna cannone” (1983) e la più recente “Per brevità chiamato artista” che dà il titolo all’ultimo cd. Brani entrati nella leggenda che sono diventati patrimonio comune per almeno tre generazioni. Vincendo la sua abituale ritrosia De Gregori si racconta in questa intervista.
Allora Francesco, quali sono le novità di questo ultimo tour?

«Ho inserito canzoni che non facevo da tempo come “Capo d’Africa” del 1979 e devo dire che sono riuscito a fare un bel mix tra brani vecchi e nuovi, come dovrebbe essere ogni concerto. Altrimenti se fosse solo una raccolta di successi non avrebbe molto senso».

Come si è trovato a ripescare questi brani poco noti?

«Il fatto stesso di poter rimettere mano alle tue composizioni è sempre emozionante. La musica non è mai qualcosa di definitivo».

È in tour ormai da molti anni. Perché questa scelta?

«Sento che non ne posso fare a meno. Ormai è come se fossi il cantante di un gruppo. Finché il fisico me lo permetterà voglio continuare a suonare dal vivo».

Molti suoi fan nel corso del tempo hanno cercato di interpretare il significato dei suoi testi. Che effetto le fa?

«Mi piace lasciare libertà d’interpretazione. In alcune, come ad esempio “La leva calcistica della classe 68”, il testo è talmente chiaro che non dovrebbero esserci dubbi».

C’ è una canzone che rappresenta lo stato d’animo attuale di Francesco De Gregori?

«È impossibile scegliere, sono legato a tutte le mie canzoni allo stesso modo. Il fatto stesso di portale con me in tour e cantarle ogni sera in modo diverso mi aiuta a vederle crescerle».

Il suo collega Antonello Venditti minaccia le vie legali per l’uso improprio delle sue canzoni. Condivide questa scelta?

«Non sono d’accordo è successo anche a me con “La storia”, ma credo che le canzoni una volta scritte appartengano a tutti».

È più difficile scrivere canzoni adesso o quando era giovane?

«Non è una questione di età. In passato sono stato anche tre anni senza scrivere. Quando arriva l’ispirazione bisogna essere pronti a coglierla».

In una sua canzone dice: “Quello che non so lo so cantare”...

«Fare musica è una condizione privilegiata e ti permette di vedere aspetti della realtà che altri non possono cogliere».

Dunque non c’è niente da capire?

«Quella canzone era un paradosso per dire a chi mi ascolta di non cercare significati nascosti nelle mie canzoni oltre al testo».

A questo punto della carriera c’è un’esperienza che le manca e che vorrebbe fare?

«No, la musica è il mio mondo. Un’arte che mi completa, lasciandomi il tempo per il mio hobby preferito che è la lettura».

Un autore da portare in tournée?

«Adesso sto leggendo i romanzi di Simenon».

Francesco De Gregori e Torino...

«È una città che mi ha sempre incuriosito per la sua vivacità culturale. Dopo le Olimpiadi l’ho vista trasformata».
Gerardo Mirarchi

 


"Per brevità chiamatelo Maestro"

di Federico Resta
Rispescia: Spesso "Festambiente" appare come una tranquilla festa invasa da tante persone desiderose di divertimento. Il concerto, le bancarelle, gli stage, sembrerebbe un modo per passare il tempo molto controllato ed ordinario. Ma quello che la gente ha vissuto ieri sera, durante l'esibizione magnifica di Francesco De Gregori, è di sicuro un momento che verrà ricordato nella storia di tutto il festival maremmano. Per due ore intere (grandi artisti musicali dovrebbero imparare...) il maestro romano è riuscito ad intrattenere il pubblico con canzoni piene di attualità e sincerità. Vedere ragazzi di 14 anni cantare brani come "Il bandito e il Campione" , "Rimmel" o "La donna cannone" è una sensazione veramente strana.
Come diceva Sinatra: "...quando il pubblico vuole i vecchi pezzi significa che quelli nuovi non sono buoni..." Ma nel caso di De Gregori questa cosa è vera solo a metà.
Sebbene i vecchi successi siano sempre i più richiesti dal suo pubblico, canzoni come "Per brevità chiamato artista" e "Celestino", non fanno certo brutta figura in panorama musicale (italiano su tutti...) sempre più vuoto e spento.
Inoltre, gli arrangiamenti del cantautore romano non sono affatto antiquati.
Sfumature country alla Gram Parsons, punte di un blues caustico e ironico associate ad una vena poetica che non solo riesce ad aprirti le orecchie, ma allo stesso tempo, riesce ad incantarti come il canto delle sirene di Ulisse.
Un momento magico per tutti insomma; bravi e cattivi ascoltatori compresi.
In fondo cosa importa se qualcuno dopo "La leva calcistica del 77" ha lasciato il concerto dicendo che era venuto solo per quella canzone o se qualcuno ha storto il naso perchè De Gregori e la sua fantastica band non hanno eseguito "Pablo".
E' vero che "Pablo" è considerata da molti come la miglior canzone italiana di sempre, ma non si può obbligare un artista a cantare una canzone che per lui, attualmente, non ha nessun valore. Magari fra qualche anno saremo ancora lì, a sentire quello che Francesco De Gregori deve ancora dire e, molto probabilmente, lui con il suo cappello di paglia e la sua giacca di velluto non ci deluderà affatto.
"E un applauso del pubblico pagante...lo sottolineerà..."

 

"Il Tempo" - 22.5.2008
Se affondate gli occhi dentro questo disco vedrete pezzi di vetro, e un uomo che conta i cani, e augura la buonanotte ai fiori. C'è tanta  pioggia, ed enigmi sentimentali, e vaghe ombre della politica, persino una "sinistra paralizzata e una destra che lavorava".

È un De Gregori «classic», quello che torna in questo «Per brevità chiamato artista», titolo scaturito non da una sorta di indomabile spocchia, bensì ispirato alla formula che identifica i cantanti in margine al contratto discografico. Con un occhio, spiega lo stesso Francesco, al concetto nobile e volatile dell'"arte", «per lasciare con questa frase un segno poetico e letterario».
Il disco è nato tra foglietti, appunti e idee scaturite nelle notti della tournée teatrale dello scorso anno, e poi materializzato in studio, a gennaio, con la levità e la naturalezza di chi sa che è inutile interstardirsi sulla forma definitiva delle canzoni, «che sono roba viva, non foto da conservare nell'album di famiglia del salotto buono», e che quindi, come insegna Dylan, una volta registrate verranno modificate in mille sembianze diverse durante i concerti. Qui sono suonate a mezzo volume, tra gioia e disincanto, e un'altissima ispirazione narrativa: su tutte, la conclusiva "L'infinito", elegiaca e solitaria, sequel mascherato della "Donna cannone", quando ti rendi conto che la tua compagna, volata via per avventura, non tornerà dalle tue parti, e dovrai "viaggiare fino in fondo nella notte/senza guardarci dentro".
È un disco, questo, di tenerezze cifrate, come il sensuale, andante "L'imperfetto", o la dolce ninnananna "Volavola", ricalcata su un modello della tradizione popolare italiana, o l'inquieta "Finestre rotte", un allarme metropolitano in stile rockabilly, dove "c'è gente senza cuore in giro per la città/di notte bruciano persone e cose solo per vedere che effetto fa". C'è il dolore trattenuto e virile (semmai affidato al lamento dell'armonica) nel folk rock di "Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra" e lo stomp comico e feroce di una società ridotta ai minimi etici in "Carne umana per colazione".
Come altre rare volte nella sua carriera, il cantautore De Gregori prende in prestito un gioiellino altrui, quell'"Angelo di Lyon" scritto da Tom Russel e tradotto dal fratello Luigi Grechi, dove un americano intraprende un viaggio sentimentale dal West verso l'Europa, tra cattedrali gotiche, voti ed epifanie del cuore, alla ricerca di una donna idealizzata e forse perduta.
Quanto al brano che dà il titolo alla collezione, è buon compendio alla "Valigia dell'attore". Qui c'è un artista che spende "tutta una vita ad arrampicare/come una scimmia sulla schiena di qualcuno", e che "quando cade sa cadere/e non si fa male/o non lo fa vedere". Versi che come pochi altri tratteggiano la divorante ansia e l'orgoglio esaltato di chi passa una vita tra palco e realtà, costretto a dare corpo ai sogni di tutti.

Stefano Mannucci

Francesco de Gregori per la prima volta apre una finestra sul suo panorama artistico offrendo al suo pubblico un canale diretto ed ufficiale on line in cui trovare informazioni riguardanti il nuovo album, in uscita il 23 maggio, Per brevità chiamato artista e la registrazione di due video live, contenenti due tracce inedite del nuovo disco, registrati durante il tour 2008. Consultando la sezione foto, è possibile condividere con l’artista momenti catturati durante la registrazione del nuovo video a Roma ed accompagnati da materiale inedito. La prossima tournée deI cantautore è prevista in estate per promuovere il nuovo album. 

 

E' on-line il sito di De Gregori
(per brevità chiamato artista)

Così più o meno compare, in una austera mise nera, sul suo nuovo sito che ha aperto oggi 21 aprile, (www.francescodegregori.net) il cantautore romano che fra un mese (il 23 maggio) darà al popolo il nuovo album di inediti, "Per brevità chiamato artista", con evidente riferimento alle diciture che si usano sui contratti discografici. Ma, sempre per brevità, ognuno potrà invece continuare a definire il Principe come meglio gli aggrada.
Ai fans vengono offerti, sul sito, i video di due canzoni, la title-track e <Finestre Rotte>. La prima suona come una sorta di decadente e malinconica autobiografia, sottolineata da un mandolino; la seconda odora di country-rock e naturalmente di Bob Dylan. De Gregori si è pure fatto intervistare - da qualcuno evidentemente con il brevetto in regola sull'argomento da affrontare - e spiega di aver voluto mettere nel titolo la parola "arte": "nel senso romantico del termine....qualcosa che intende consapevolmente lasciare un segno poetico e intellettuale..."; gli preme sottolineare che c'è una canzone, "L'angelo di Lione", scritta da suo fratello Luigi Grechi, già autore di "Il bandito e il campione".
L'intervistatore definisce l'album "ormai lontano, distaccato dalle urgenze politiche che spesso hanno segnato le sue canzoni", come se non ci fosse una via di ritorno; De Gregori ribatte: "Lo potrei definire un'autobiografia fantasticata. Questo forse comprende anche l'amore e la politica, ma il gioco non è sempre dichiarato". Ho trovato questo sito un po' tanto austero, un po' tanto scuro: come il suo protagonista del resto, in alcuni periodi della vita almeno.
Marinella Venegoni - La Stampa, 22.4.08

 

 

 

Il nuovo album di De Gregori "E' un'autobiografia fantastica"  Da angelacamurri

PER BREVITA' CHIAMATO ARTISTA' Il nuovo album di De Gregori
"E' un'autobiografia fantastica"

Uscirà il 23 maggio. "È un disco dove ci sono dentro pezzi di vita ma anche delle visioni e delle 'pre-visioni'. Lo potrei definire un'autobiografia fantastica. Questo forse comprende anche l'amore e la politica, ma il gioco non è sempre dichiarato", spiega il cantautore

Francesco De Gregori Roma, 21 aprile 2008 - È un'autobiografia fantastica. Così Francesco de Gregori descrive 'Per brevità chiamato artista', il nuovo album in uscita il 23 maggio.
"È un disco - spiega il cantautore in un'intervista che compare sul suo sito ufficiale francescodegregori.net da oggi in linea - dove ci sono dentro pezzi di vita ma anche delle visioni e delle 'pre-visioni'. Lo potrei definire un'autobiografia fantastica. Questo forse comprende anche l'amore e la politica, ma il gioco non è sempre dichiarato".
Di certo, questo album "è molto diverso da quello che passano di solito le radio".
E spiega anche perchè abbia scelto 'Per brevità chiamato artista' quale titolo del disco. "Sul mio primo contratto discografico c'era questa definizione legale che mi riguardava. Era un po' agghiacciante e un po' divertente e credo di aver pensato di fin da allora che prima o poi l'avrei usata in una canzone. Comunque, mi interessava mettere al centro del mio lavoro la parola 'arte' nel senso romantico del termine, qualcosa che consapevolmente intende lasciare un segno poetico e intellettuale non solo un mestiere che ha a che fare con una distribuzione o un mercato".
Quanto alle canzoni, i brani sono stati scritti nel corso del 2007 e hanno preso forma a gennaio in studio durante una pausa nella tournee teatrale. Sonorità teatrali che emergono dal lavoro: "Abbiamo suonato più pensando di stare in un piccolo club che non in un campo sportivo".
Tra le canzoni che compongono l'album c'è 'L'angelo di Lyon', un brano scritto dal fratello Luigi Grechi. "È la seconda volta - spiega De Gregori - che canto una canzone di mio fratello dopo 'Il bandito e il campione'. Questa è una canzone diversa che mi ha affascinato per il suo testo impenetrabile. La definirei una canzone sull'impenetrabilità, la trascendenza dei misteri d'amore: riascoltandola ho notato che forse è l'unica canzone veramente d'amore di tutto il disco".

 

 

Il nuovo De Gregori punta tutto su ironia e leggerezza

di Simone Mercurio

«Si potrebbe definire un disco più cool, da piano bar, in qualche modo più sofisticato degli altri, soffice... ecco». A pochi giorni dal concerto romano, Francesco De Gregori parla del suo prossimo disco in uscita a maggio. Due canzoni nuove, il cantautore romano le ha suonate proprio in un Auditorium Conciliazione carico di entusiasmo e tutto esaurito. Un gustoso aperitivo per un disco già pronto e registrato nato fra una data e l’altra del tour teatrale.
Lei propone live delle nuove canzoni prima che il disco esca… non dovrebbe essere il contrario?
«E perché mai! Mi andava di sentire come suonavano live, volevo la risposta del pubblico, e poi non mi è mai piaciuto seguire delle regole in questo senso. Anche le mie tournèe non sono mai state consecutive a dei dischi nuovi».
Un tour infinito, con una band con la quale dà l’idea di divertirsi parecchio.
«Assolutamente sì, se non ci divertissimo sarebbe davvero la fine! Mi fa piacere quando si sottolinea la bravura della mia band. Al di là del vestito che decidiamo di far indossare ai pezzi, penso si senta quando i musicisti sono affiatati».
Palasport, stadi, teatri, auditorium, ma anche piazze o centri sociali lei ha fatto concerti davvero ovunque. Tornerebbe
oggi a qualche esibizione da pianobar?
«Perché no? Amo suonare davvero ovunque ed è anche quello che consiglio ai giovani: suonare senza risparmiarsi. È quello il principio per arrivare al pubblico, più di quello di cercare a tutti i costi un contratto discografico».
Tornando al disco in  uscita a maggio, due canzoni inedite nel live romano «Finestre rotte» e «Per brevità chiamato artista»: la prima è un rock ’n’ roll molto sixty ed è più diretta, la seconda ha bisogno di qualche ascolto ed è nel testo forse più criptica. A cominciare dal titolo.
«Quando mi dicono che i miei testi sono ermetici sorrido un po’, è stato così anche per altre canzoni ma poi nel tempo si capiscono. Finestre rotte è una canzone su quello che circonda, su quello che non va. Non mi piace spiegare i miei brani, si comprendono ascolto dopo ascolto. Per brevità chiamata artista prende spunto invece dalla curiosa formula burocratica che si usa nei contratti discografici. Questa cosa mi faceva sorridere per la sua freddezza».
Ha già deciso il titolo del disco?
«Ho in mente un paio di titoli a dire il vero. Ma preferisco non dirli perché magari poi cambio idea. Sarà un disco fatto di canzoni e atmosfere diverse una dall'altra, con brani nati dal clima teatrale della tournèe, meno palasport, meno rock, più cool, più con atmosfera da pianobar, brani con sonorità sofisticate… soffici, è forse questo il giusto aggettivo. Si tratta di un disco che si è suonato da solo, nella pausa fra un concerto e l'altro della tournèe».

 

 

De Gregori: il '68 in Italia non ha creato classe dirigente. Importante e' modernizzare l'Italia, se lo fa Berlusconi..

La scure del Principe sui sessantottini. "Ci sono cose della mia vita che io rifiuto. E insieme a queste rifiuto anche alcune cose del '68 che invece vengono celebrate". Francesco De Gregori, ospite questa mattina a 'Omnibus' su La7, ribadisce la sua visione critica di alcuni retaggi del movimento del '68, una presa di posizione che nel recente passato ha irritato molti simpatizzanti di sinistra innamorati del cantautore romano.

"Forse la responsabilità maggiore del '68 in Italia è quella di non aver contribuito a creare la classe dirigente degli anni successivi", ha continuato il cantautore. "Si può dire anche che ha screditato la scuola, che ha interrotto il principio di autorità e che ha eliminato totalmente la meritocrazia. Ma se ne possono dire anche di positive. Ma mentre in altri Paesi vediamo gente con responsabilità di governo che è venuta da quella cultura e che grazie a quella cultura è diventata classe dirigente e ha modernizzato le proprie società, non credo si possa dire lo stesso per quanto riguarda l'Italia".

"Non si può dire 'Berlusconi mi piace o non mi piace'. E' un atteggiamento quanto mai semplicistico e un po' rozzo", ha proseguito De Gregori nell'intervista ad Antonello Piroso, che gli ha ricordato un recente titolo di stampa che attribuiva al cantautore romano un appoggio al presidente del Consiglio. "Io argomento semplicemente il fatto che, rimanendo un uomo di sinistra ma che alla sinistra non 'appartiene' - nel senso che verifica giorno per giorno quanto questo essere di sinistra sia suffragato dai fatti, e finora non ho mai avuto smentite - dico che se il centrodestra ha vinto le elezioni con tanta larghezza di voti - ha detto ancora De Gregori -, se più di metà del Paese ha votato compatta per i suoi rappresentanti, non possiamo considerarli dei barbari che vengono e ci torchiano e quindi aspettarci cinque anni di cupa controriforma. Dobbiamo sperare e cercare di cogliere quanto piu' possibile dei lati di positività in quello che faranno".

Secondo De Gregori la questione è "modernizzare il Paese: che lo faccia Berlusconi o qualcun altro... l'importante è che qualcuno lo faccia. E questo, per le persone in buona fede che sanno ascoltare quando uno parla, non vuol dire che essere diventato 'berlusconiano"'.

De Gregori ha concluso: "Ma poi è così importante se io sono di sinistra o di destra? Il valore di quello che ho fatto sta nelle cose che ho scritto. Il mio problema è che quando mi chiedono come la penso io non mi sottraggo e l'ho sempre detto, da quando avevo vent'annni fino ad oggi, e continuerò a fare cosi'. Qui ci sono dei dischi che cantano. Facciamo cantare quelli"

 

 

 

17/05/2008 - - "PER BREVITA' CHIAMATO ARTISTA

 era scritto sul mio primo contratto discografico" - ha detto Francesco De Gregori spiegando così in un'intervista, sul sito www.francescodegregori.net, il titolo del suo nuovo cd di inediti, in uscita il 23 maggio.
"Oggi - ha aggiunto - mi sembra giusto ricollocare al centro del mio lavoro e delle canzoni in generale, la parola 'arte' nel senso romantico del termine; arte come qualcosa che vuole consapevolmente lasciare un segno intellettuale e poetico e non semplicemente avere a che fare con una distribuzione e con un mercato".
Il disco contiene nove brani inediti, registrati a Gennaio di quest'anno, in una pausa della fortunata tournèe appena conclusa.
"Abbiamo lavorato in studio, con l'intento di ottenere delle sonorità immediate… e credo che questo venga fuori.
Dal punto di vista dei contenuti non ci sono canzoni politiche in senso stretto e forse neanche vere e proprie canzoni d'amore".
"Comunque - ha concluso De Gregori - è difficile parlare di qualcosa che hai appena finito di fare, se dovessi azzardare una definizione, direi che è una specie di autobiografia fantasticata: c'è dentro qualcosa di narrativo, dei pezzi di vita ma anche delle visioni o delle 'pre-visioni'."

Disponibile dal 23 maggio in CD, Digital Download e Vinile edizione limitata numerata

DE GREGORI GRATIS ON LINE

Da venerdì fino a giovedì 22 maggio, su Repubblica.it si potrà scaricare il brano di Francesco De Gregori intitolato Celebrazione, in anteprima sull'uscita, che avverrà il 23 maggio, del suo nuovo album Francesco De Gregori, per brevità chiamato artista. Per poter scaricare gratuitamente il brano gli utenti di Repubblica.it dovranno registrarsi.
L'album è un'"autobiografia fantasticata", una sorta di "ritratto" di un uomo vicino ai 60 anni. Nel tour che si è concluso poche settimane fa De Gregori ha presentato dal vivo in anteprima al suo pubblico tre brani del nuovo album: Finestre rotte, Celebrazione e Per brevità chiamato artista.

 

 

 

Per brevità chiamato artista, tutta una vita ad arrampicare
Come una scimmia sulla schiena di qualcuno, come un uccello sul filo
o un ubriaco per le scale che quando cade sa cadere e non si fa male o non lo fa vedere
Doppio come una medaglia. S fosse d'oro sarebbe cartone.
Il cieco con la voce buona e il muto che ci vede bene. Invitami stasera a cena, arriveremo insieme

Per brevità chiamato artista, tutta una vita a girare intorno come uno stupido o un ballerino,
Giovane illuminista o cattolico di ritorno che insegue il mattino alla fine del giorno e

E dice pane al pane e al vino. Doppio come l'innocenza. Se fosse Abele sarebbe Caino
Antidoto senza veleno ed alibi senza assasino. Perdonami se sto lontano e cercami vicino

Per brevità chiamato artista, come un gatto dentro a un canile, come un ladro tra i truffatori
Martire da palcoscenico e vittima d'Aprile che macina i cuori, che calcola i cani e dà la buonanotte ai fiori.
Doppio come un doppio gioco, se fosse oggi intendeva domani
Lo zoppo che cammina dritto e il pittore senza mani
Invitali stasera a cena. Basta che mi chiami

 

 

Francesco De Gregori: "Non facevo una vita dissoluta"

Francesco De Gregori: "Viva l'Italia"Francesco De Gregori torna con un disco nuovo e parole nuove. Sull'amore libero e il '68, su De André, Grillo... E su questo governo
di Andrea Scarpa su Vanity Fair n. 22/2008. Servizio Nicoletta Ferrari

All'appuntamento per parlare del nuovo disco, Per brevità chiamato artista, De Gregori arriva vestito da De Gregori: jeans chiari, Superga bianche, giaccone scuro, maglia a righe bianche e blu e cappello da marinaio...
Questo nuovo disco "passerà" in radio?
"Non credo proprio. Nelle mie canzoni ci sono troppe parole e le regole della radio di oggi le parole le mettono al bando..."
...In passato si era ribellato all'etichetta di "cantautore"... Ci ha fatto pace?
"Assolutamente sì. ...I cantautori hanno fatto grandi cose che vanno recuperate e rivalutate ".
...è poesia la sua?
"...Sarebbe più giusto descrivere il mio modo di fare canzoni come parte della letteratura del mondo di oggi..."
Altri equivoci sul suo conto?
"...Quello della politica è di sicuro il più delicato. Sono di sinistra... però in più occasioni ci sono state appropriazioni indebite, fraintendimenti e collocazioni che non mi sono piaciute... "
È ancora di sinistra?
"Sono di sinistra, ma non le appartengo... Voglio avere la libertà di poter verificare sempre le mie scelte e quelle degli altri...".
"Per scrivere un disco bisogna farsi un po' prendere la mano", disse anni fa. È andata così anche stavolta?
"No... Da anni, ormai, accumulo idee... E poi le scrivo su qualche foglietto... Spesso le perdo o le dimentico, quindi quelle che restano sono sicuramente le più significative. Lavoro su queste..."
... "Ci sono posti dove sono stato/ Posti dove non tornare... O certe stanche stanze/ Dove discutono di poesia, di architettura o di democrazia... Dove il Piave mormorava/ E la sinistra era paralizzata/la destra lavorava". Questa è Celebrazione, terza canzone del nuovo album. Dove lei parla di '68, salotti e terrazze radical chic. E ne parla in maniera critica.
"È vero. C'è una parte della mia vita: persone e luoghi che ho frequentato consapevolmente e che, con il tempo, ho riconsiderato..."
In quello che dà il titolo al disco, invece, parla di sé?
"Sì. "Per brevità chiamato artista" era la formula con cui ero descritto nel mio primo contratto discografico...
...che ricordo ha del viaggio in Ungheria fatto con Antonello Venditti nel 1972? "Piacevolissimo. Era un viaggio-premio per aver partecipato a un servizio della Tv ungherese sull'Italia..."...Era l'epoca dell'amore libero.
"...Ma non facevo una vita dissoluta. O, almeno, non me lo ricordo..."
Si ricorda invece di quando, davanti a De André, trasformò la sua Guerra di Piero nella Cacca di Piero?
"Certo. Era il 1973 e lui venne a sentirmi al Folkstudio... Ero emozionatissimo... Per gioco, e per fargli vedere come sapevo usare parole e metrica, rifeci il suo pezzo in versione goliardica... Nel 1975 realizzammo anche un disco insieme, Volume VIII. Mi invitò per un mese in Sardegna, nella sua casa in Gallura. Ma ci vedemmo solo due volte: io dormivo di notte, lui di giorno..."
Nel 2003 ha recitato in un film di Franco Battiato, Perduto amor: farà il bis?
"Non credo, non sono un attore... Prima l'avevo chiesto a Nanni Moretti".
Inutilmente?
"Sì... Non c'è stato verso di convincerlo. "Sei l'uomo più impacciato d'Europa", era la sua risposta".
...Che cosa pensa del fenomeno Grillo?
"...L'antipolitica ha sempre attraversato le democrazie, non vedo niente di nuovo in quello che fa".
Nel 2005 disse che "la Costituzione è il Kamasutra della democrazia": come li vede i prossimi anni?
"Berlusconi ha una solida maggioranza e speriamo che la usi per modernizzare il Paese. Se ci riuscisse, non farebbe una politica di destra o di sinistra, ma soltanto il bene di tutti..."
In Viva l'Italia, nel 1979, cantava di un'"Italia che resiste": oggi li scriverebbe quei versi?
"Allora ero molto più manicheo: da una parte i buoni, dall'altra i cattivi. Oggi ...mi piace pensare a un unico Paese che, insieme, può trovare un modo per migliorare le cose"...

 

 

 

 

C'è gente senza cuore in giro per la città
C'è gente senza cuore in giro per la città
Di notte bruciano persone e cose solo per vedere che effetto fa

Portami la giacca ed il coltello
Portami la giacca portami il coltello
E vivi da lupo e vestiti come un agnello

I vetri alle finestre sono rotti e il tetto è da rifare (2 vlt.)
La pioggia sta salendo lentamente dalla tromba delle scale

C'è gente senza cuore in giro per la città (2 vlt.)
Alcuni fanno i soldi con i soldi alcuni chiedono la carità

C'è sangue sulla luna e il sole sta per tramontare (2 vlt.)
Due uomini seduti sotto un ponte non si stancano di aspettare

E' tutto a posto, non c'è niente che non va (2 vlt.)
Tornatevene tutti a casa cje nessuno se ne pentirà

Stammi a sentire bene quando devo parlare (2 vlt.)
Lavati le orecchie e togliti l'auricolare

C'è gente senza cuore in giro per la città (2 vlt.)
Alcuni pensano liberamente alcuni pensano in cattività

La vita è come un gioco da vivere perdutamente (2 vlt.)
A volte vinci il primo premio e poi ti accorgi che non serve a niente

E i figli sono uguali ai padri non c'è niente da fare (2 vlt.)
ed io vorrei cambiare la mia faccia ma non so da dove cominciare

Ci sono tre scalini sulla porta della galera (2 vlt.)
E un diavolo che grida e un angelo che si dispera

C'è gente senza cuore in giro per la città (2 vlt.)
Alcuni bruciano persone e cose per vedere che effetto fa

Un occhio per un occhio, per una testa una croce (2 vlt.)
Gli amanti a mezzanotte sono stanchi e i cani abbaiano sottovoce

i vetri alle finestre sono rotti e il tetto è da buttare (2 vlt.)
Se non lo fanno subito fra un po non ci sarà più niente da aggiustare

 

 

 

 

De Gregori, il sinistro dal volto umano

«Sono di sinistra, ma non le appartengo. Voglio avere la libertà di poter verificare sempre le mie scelte e quelle degli altri. Non temo l'arrivo dei barbari. Berlusconi ha una solida maggioranza e speriamo che la usi per modernizzare il paese. Se ci riuscisse, non farebbe una politica di destra o di sinistra, ma soltanto il bene di tutti. Grillo? Non lo dico con cattiveria, ma né il comico né il banditore mi hanno mai incuriosito. L'antipolitica ha sempre attraversato le democrazie, non vedo niente di nuovo in quello che fa».
Hanno fatto rumore le parole di Francesco De Gregori, in occasione dell'uscita dell'album «Per brevità chiamato artista» (la canzone che dà il titolo - sulla doppiezza di chi si offre, con il suo lavoro, al giudizio del pubblico; oppure, di chi è condannato a ricercare il consenso, vai a sapere - è un piccolo gioiellino). Uomo di sinistra, sì. Ma non "de sinistra", cioè iscritto a quelle conventicole da terrazza romana in cui i partecipanti sono selezionati sulla base della loro presunta superiorità morale e collegati dall'antiberlusconismo a prescindere. A sinistra, insomma, da spirito libero.

 

 

 

 

Al dunque i suoi giudizi sono davvero così dirompenti? Il De Gregori di oggi è così diverso da quello che nel 2006 dichiarava «Se ripenso a Craxi credo che intellettualmente fosse superiore a tanti politici d'oggi»? È così distante dal se medesimo che ad Aldo Cazzullo nel 2003 spiegò il suo posizionamento non come un vincolo ideologico, ma come una questione di sensibilità (disse proprio così: «sensibilità», un parametro che, è facile immaginare, provocò un sobbalzo nei duri e puri del Sol dell'Avvenir)? O dalla persona che raccontò dello zio partigiano di cui porta il nome, ucciso dai comunisti a Porzus, dopo aver firmato un affresco minimalista del crepuscolo repubblichino con Il cuoco di Salò ?
De Gregori non fa che ribadire il suo punto di vista, con quel divertissement un po' aristocratico di voler spiazzare l'interlocutore, i fan, il colto e l'inclita. Di non voler compiacere l'immagine pregiudiziale che di lui hanno in molti. Di concedersi alla copertina di Vanity Fair (no, dico: Vanity Fair . Francesco, ma che dirà il proletariato?). Come quando, un anno fa, sparò in piena estate un colpo di bazooka su Walter Veltroni, in corsa per le primarie del Pd, un'intervista in cui lo faceva a brandelli pur dichiarandosi suo amico da trent'anni, «gli voglio un bene dell'anima, sono stato suo testimone di nozze» (e tu per riflesso pavloviano intonavi: «Lo sposo è impazzito oppure ha bevuto», Alice). È importante, semmai, che De Gregori lo ribadisca oggi, in un'epoca cioè in cui si pretenderebbe, da parte di alcuni, di dare la linea. Con i soliti noti che si vorrebbero arrogare il diritto di decidere da che parte sia la ragione, accusando immediatamente di intelligenza con il nemico chi, pur schierato dalla stessa parte, non si pieghi alla logica dell'«o con noi o contro di noi». E se non ti inginocchi davanti al totem dell'antiberlusconismo, sei un venduto. De Gregori smonta il giocattolo a modo suo. Non è saltato sul carro del vincitore. Non si è precipitato alla corte di Arcore. Ha solo espresso un concetto di sano buonsenso: speriamo che alla fine il governo agisca nell'interesse generale.
De Gregori è questo, «e non c'è niente da capire». La sua riottosità a non voler essere inchiodato alla categoria dei chierici che cantano in coro si appalesò una volta per tutte a Primo Piano . Ospite di Maurizio Mannoni, gli fu chiesto di commentare la chiusura traumatica di Raiot di Sabina Guzzanti. Con voce bassa e molta educazione, De Gregori spiegò di avere un problema: «In genere i comici non mi fanno ridere, è un problema mio, a meno che non si tratti, che so, di Tognazzi e Vianello a Un, due, tre». Quindi aggiunse: «Intendiamoci, la Guzzanti è bravissima e la censura è sempre da biasimare». Pausa. «Però va anche detto che non ti devi mettere nella condizione di farti censurare». Tradotto: se te la vai a cercare, poi non lamentarti e non vestire i panni del martire. All'ottimo Mannoni, basito, non rimase che concludere: «Bene. E con questo è tutto. Buonanotte». Sì, fiorellino.

 

 

 

 

Ci sono posti dove sono stato
Posti dove non tornare
Isole di madreperla
O tropici nel temporale
O certe stanche stanze
Dove discutono di poesia
Di architettura o di democrazia
Ascoltami
Parlare e lacrimare insieme

Ci sono posti dove sono stato
Come una casa o una stazione
Dove la vita ha fatto bingo
Tra una ferita e una mutilazione
E dove portano quelle scale
Ma tu davvero lo vuoi vedere?
Chi vuole scendere scenda pure
Ma chi c'è stato non ne vuole più sapere

Ci sono posti dove sono stato
Dove il Piace mormorava
E la sinistra era paralizzata
la destra lavorava
In certe stanche stanze
Dove discutono di psichiatria
Di terrorismo e di fotografia
Ascoltami
Parlare e razzolare insiem

Ci sono posti dove sono stato
Mi ci volevano inchiodare
Ai loro anni ciechi e sordi
Ai loro amori raccontati male
A una canzone di quattro accordi
Ad una stupida cantilena
Ma tu davvero non te lo ricordi
Quando cantavi e sbadigliavi in scena?

 

 

 

 

 

Vola il pavone e vola il cardellino, Vola il pavone e vola il cardellino
Se vai cercando un sassolino d'oro, vedi che nel mio cuore ce n'è uno
che se lo trovi non ti pare vero, se vai cercando d'oro un sassolino
Vola il pavone e vola il cardellino

E vola vola vola vola vola vola, solo per un'ora per un'ora sola
E vola come le parole e le sciocchezze
E vola come i baci e le carezze e vola come i baci e le carezze

Se risalisse il fiume alla forestam se risalisse il fiume alla foresta.
Se ritornasse l'acqua alla montagna, se rivenisse l'ora della festa
Sarebbe ancora grano la farina
Se ritornasse l'acqua alla montagna, se si tenesse il mare in una cesta
E vola vola vola...

 

 

 

 

Vulesse fa' 'rvenì pe' n'ora sole
lu tempe belle de la cuntentezze,
quande pazzijavame a "vola vola"
e te cupre' de vasce e de carezze.

E vola vola vola vola e vola lu pavone;
si tiè lu core bbone, mo fammece arpruva'.

'Na vote pe' spegna' lu fazzulette,
so' state cundannate de vasciarte.
Tu te scì fatte rosce e me scì ditte
di 'nginucchiarme prima e d'abbracciarte.

E vola vola vola vola e vola lu gallinacce; mo si ti guarde 'n facce
mi pare di sugna'.

Come li fiure nasce a primavere, l'amore nasce da la citilanze.
Marì, si mi vuò bbene accome jere,
nè mi luvà stu sogne e sta speranze.

E vola vola vola vola e vola lu cardille; nu vasce a pizzichille
nè mi le può nega'...

'Na vota 'r'na pupuccia capricciosa,
purtive trecci appese e lu fruntine; mo ti si fatte serie e vruvignose,
ma ss'ucchie me turmente e me trascine.

E vola vola vola vola vola la ciaramelle;
pe' 'n'ore cuscì belle vulesse sprufunna'

 

(da un canto popolare abbruzzese).

 

 

 

 

 

Ogni giorno c'è un pezzo di strada da macinare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E una lacrima che sa di pioggia e che sa di sale
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra

Ti aspetterò così come si dice che si deve fare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E non sarò mai troppo stanco di stare a aspettare
Un altro giorno di pioggia che Dio manda in terra

E non c'è niente di stabilito tutto può cambiare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E non esiste un cavallo sicuro su cui puntare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra

Ogni giorno metto in tavola qualcosa da mangiare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E certe volte non trovo parole per ringraziare
Per ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra

E ognuno cerca di fermare il tempo e il tempo non si fa fermare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
Ognuno cerca di passare il tempo e il tempo si vede passare
In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra

A volte mi sento come un prigioniero da liberare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
Ma non ci sono sbarre e non c'è modo di scappare
I ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra

Ogni giorno c'è un pezzo di strada da ritrovare
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra
E una lacrima da benedire e conservare
Per tutti i giorni di pioggia che Dio manda in terra

 

 

 

 

 

 

Dio non c’entra proprio un cubo


Secondo il critico d’arte Vittorio Sgarbi è «una grottesca scatola scambiata per chiesa». Camillo Langone (autore di una Guida alle messe italiane, appena pubblicata da Mondadori), sul Foglio, fa notare che c’è un “dettaglio” piuttosto importante per un edificio sacro: «Non si vede il Crocifisso». In rete, i cittadini la definiscono «incredibile», «orrenda» e «mostruosa». Qualcuno, forse esagerando, butta lì: «È l’edificio più brutto del mondo».

È la nuova chiesa di Foligno presentata ieri dall’architetto Massimiliano Fuksas, che domani alle 17 verrà consacrata a San Paolo dal vescovo folignate Gualtiero Sigismondi.

La comunità di Foligno non sembra entusiasta del cubo di cemento (perché non sarà selvaggio, ma è proprio cemento) realizzato da Fuksas. Qualche tempo fa un gruppo di cittadini ha anche presentato una petizione per fermare l’opera, come spiega Carlo Ceraso, direttore del quotidiano online di Foligno Tuttoggi.info. «Questa chiesa ha fatto molto discutere», dice, «perché all’interno è minimale e in parte gradevole, con giochi di luce naturale, ma l’esterno lascia davvero perplessi: ci si trova di fronte a un cubo e a un parallelepipedo che sembrano due scatole e mal si addicono alla campagna umbra. Anche se Francesco De Gregori, che abita qui, l’ha apprezzata molto».

Il cantautore infatti ha partecipato alla presentazione e ha dichiarato: «Ero da tempo incuriosito dall’opera. Quando sono entrato ho provato un’emozione fortissima».

 


(Tom Russel, Steve Young, Luigi Grechi)

 

Fu la visione di Anna Maria con il rosario tra le dita
Ad incantare lo stregone e fargli cambiar vita
Lasciò la scena un vestito grigio, lasciò un messaggio con un sorriso
Diceva "parto per Lione e cerco un angelo del Paradiso"

Salì sul treno che portava a Bruxelles, ordinò cogna e croissants
Fece l'elenco delle cose futili nella carrozza restaurant
Pensò alle ville e alle piscine, ai pezzi rari da collezione
E fece un voto come San Francesco per il suo angelo di Lione

E canto l'Ave Maria, almeno i versi che ricordava
Mentre guardava dal finestrino l'ombra del treno che lo portava
e ad occhi chiusi sognò quei due fiumi, il Rodano e la Saòne
Simbolo eterno delle due anime maschio e femmina di Lyon

Restò ad aspettare sul vecchio ponte, pensò all'incontro di un anno fa
Ma i giorni vanno e diventano mesi, quattro stagioni son passate già
Ora il suo abito è tutto stracciato, somiglia proprio ad un barbone
Gira le strade e cerca ad ogni passop il suo angelo di Lione

stanotte nella cattedrale mille candele stanno bruciando
Le tiene accese Suor Eva Maria a mano a mano che si van consumando
E dentro i vicoli come in sogno trascina il passo lo straccione
Il vecchio scemo fuori di testa per il suo angelo di Lione

E cantò l'Ave Maria, almeno i versi che ricordava
mentre fissava sui vecchi muri la propria ombra che lo seguiva
E attraversò quei due sacri fiumi, il Rodano e la Saòne
E l'acqua scura come il mistero di quell'angelo di Lyon

 

 

 

 

Angel of Lyon

He had a vision of anne marie with a rosary in her hand
So its exit the rainmaker,- that old grey flannel man...
With a closet full of buisness suites, and a letter by the phone,
He said "i'm on my way to paridise, to see the angel of lyon......."
Then he caught a train in brussels, he ordered cognac and croissants,
And he made a mental list of things he owned but did not want,
All the buildings and the real estate, the antique glass and stone,
He'd take a vow of poverty to see the angel of lyon...
And he sang ava maria, at least the parts he knew...
And he watched the shadow of the train
On the towns that they rolled through...
And he closed hid eyes and saw two rivers
The rhone and the sonne..
The male and female sspirit of the city of lyon.......
Then he waited on the bridge, where they met the year before...
And the days turned into weeks til the seasons numbere four,
And his clothes grew worn and ragged as through the streets he roamed,
Searching every open window, for his angel of lyon.....
And he sang "ava maria", at least the parts he knew,
And he watched his shadow on the walls of the streets he walked through,
And he crossed those sacred rivers, the rhone and the sonne,
But they would not give him the secret, of the angel of lyon.....
Now theres a thousand candles burning in the basilica tonight,
Where sister eve maria is the keeper of the light....
And down a dream of alleyways walks a saint of rag and bone,
A madman torn asunder, by the angel of lyon......
And he sang "ava maria", at least the parts he knew,
And he watched his shadow on the walls of the streets that he walked through....
And he crossed those sacred rivers, the rhone and the sonne,
But they never gave up the secret of the angel of lyon.......

 

 

FRANCESCO DE GREGORI AL PREMIO MASSIMO TROISI
 

(PRIMA) SAN GIORGIO A CREMANO, Napoli - Sarà Francesco De Gregori il protagonista del tradizionale concerto che caratterizza ogni anno il Premio Massimo Troisi: un evento, quello in programma il prossimo 1 luglio alle 21 nell'Arena Viviani di Villa Bruno a San Giorgio a Cremano, che rappresenta il coronamento di un percorso che il Consiglio d'Amministrazione dell'Istituzione Comunale - Premio Massimo Troisi, presieduto da Angela Viola, ha intrapreso sin dal giorno dell'insediamento.
Francesco De Gregori terrà a Villa Bruno l'unica tappa in Campania del suo tour estivo.
Dopo la decisione di intitolare la XIII edizione del Premio Massimo Troisi, in programma dal 30 giugno al 6 luglio a San Giorgio a Cremano, ad Anna Magnani, nel centenario della nascita, la scelta di Francesco De Gregori come protagonista musicale della kermesse rappresenta un altro tassello di un mosaico organico, quello che vuole rappresentare il fortissimo legame tra il pubblico e gli artisti capaci più di tutti gli altri di incarnare e intercettare il sentimenti popolari, le passioni, le emozioni, le difficoltà, i sogni e le delusioni delle donne e degli uomini.
Amato sia dalla critica che dal grande pubblico, considerato uno dei più grandi cantautori italiani di tutti i tempi, Francesco De Gregori ha appena pubblicato il suo ultimo album, Francesco De Gregori Per brevità chiamato artista, e la sua disponibilità a partecipare al Premio Massimo Troisi è stata accolta con gioia e soddisfazione dall'intera città: il suo concerto costituirà infatti un evento indimenticabile, una vera e propria gemma che andrà ad impreziosire l'album di famiglia del Premio Massimo Troisi, manifestazione che si è affermata nel corso degli anni come uno dei più importanti appuntamenti italiani nel settore della valorizzazione di nuovi talenti.
Il Premio, dopo una prima fase dedicata esclusivamente al "cortometraggio comico" ha assunto infatti i caratteri di "Osservatorio sulla comicità" a 360 gradi aprendosi ad altre forme di espressione artistica che hanno dato vita a 3 concorsi riservati al Migliore Attore Comico, alla Migliore Scrittura Comica, al Migliore Cortometraggio Studentesco, che vedono la partecipazione di concorrenti provenienti da ogni regione d'Italia.
E quest'anno c'è una importantissima novità: il concorso "Cinema Commedia Italia", che vedrà la partecipazione di 6 pellicole che si contenderanno il premio per il miglior film ed il miglior attore.
I film che parteciperanno al concorso, e che verranno proiettati nel corso della kermesse, sono:
Grande, Grosso e Verdone, di Carlo Verdone;
Ci sta un francese, un inglese e un napoletano, di Eduardo Tartaglia;
Una moglie bellissima, di Leonardo Pieraccioni;
La seconda volta non si scorda mai, di Alessandro Siani;
Non pensarci, di Gianni Zanasi;
Amore, bugie e calcetto, di Luca Lucini.
Dunque, il grande cinema comico italiano torna ad essere protagonista di una manifestazione nata per ricordare uno dei più grandi talenti della cinematografia nazionale di tutti i tempi, l'indimenticabile Massimo Troisi.

 

Ehi, probabilmente non si deve fare
Però lo stanno facendo già
Correttamente e politicamente
E poi magari diventerà
Qualcosa che divertirà la gente
Un nuovo tipo di televisione
Una vacanza intelligente
O un campionato di liposuzione
Hei, c'è una nuova specialità
Carne umana per colazione

Ehi, non ti devi preoccupare
Prendi la cosa con tranquillità
E' garantito che non fa male
Non è nemmeno una novità
E' acqua che si fa pesante
La fotocopia di un'esplosione
Calce viva in un ristorante
O fumo in una stazione
Ehi, non senti che stanno cucinando già
Carne umana per colazione

C'è una luce in mezzo al cielo
Proprio dove stai guardando tu
C'era una volta un mondo intero
E adesso non esiste più
Però esisteva veramente
ed è finito non si sa come
Non ne è rimasto quasi niente
A parte l'eco di una radiazione
Ehi, da qui all'etenità
Carne umana per colazione

Ehi, c'è qualcosa sul giornale
Stanno facendogli pubblicità
Non te la devi lasciar scappare
E' una scheggia di modernità
E' un eroe dell'altra guerra
Chiuso dentro ad una prigione
Sarà impiccato domattina
O sarà libero su cauzione
Ehi, qualcuno ha scommesso già
Carne umana per colazione

 

"Il Piccolo" di Trieste - lunedì 2 giugno 2008
di Carlo Muscatello

 

È possibile scriver male dell’ultimo disco di Francesco De Gregori senza incorrere nel reato di lesa maestà? Dopo quattro decenni trascorsi a incensare il cantautore romano («Theorius Campus», a quattro mani con Venditti, è del ’72; il debutto solista, con «Alice con lo sa», dell’anno successivo), temiamo sia arrivato il momento di superare l’imbarazzo e interrompere una tradizione positiva. Dicendo chiaro e tondo che «Per brevità chiamato artista» (Columbia SonyBmg), già generosamente immortalato da una nota firma del Tg1 come «uno dei più belli e importanti della sua carriera», è in realtà un brutto disco.
Peggio: un disco inutile, nel quale il cinquantasettenne De Gregori - che in passato ha scritto alcune delle pagine, quelle sì, più belle e importanti ed emozionanti della canzone d’autore italiana - dà l’impressione di raschiare il fondo del barile. Lo si capisce già dal titolo, che lui stesso ammette di aver ripreso da un’espressione usata nel primo contratto discografico da lui firmato. «Credo di aver pensato fin da allora - ammette - che prima o poi l'avrei usata in una canzone...». Era l’alba degli anni Settanta, il momento è arrivato.
Eccola, allora, la canzone che apre e dà il titolo al disco. Una ninna nanna nel classico stile De Gregori, con tutti i suoi luoghi comuni (zoppi che camminano dritti, pittori senza mani...), che ti aspetti sempre stia per aprirsi su un inciso, un guizzo, insomma un qualche cosa, e invece prosegue per cinque minuti e mezzo, sempre uguale a se stessa, in un piattume ottimo solo per conciliare il sonno.
«Finestre rotte» ha il pregio di interrompere l’incipiente abbiocco, ma non va oltre. Un rockettino debole debole, che non lascia traccia. «Celebrazione» si fa ascoltare, è passabile, ci fa quasi credere di aver pensato male troppo presto, ma poi - già al quarto brano - arriva la mazzata finale: «Volavola» è un brano al di là del bene e del male, «vola il pavone e vola il cardellino, se vai cercando un sassolino d’oro vedi che nel mio cuore ce n’è uno...». Aleggia un’inquietante atmosfera tipo Heidi che fa temere di aver sbagliato disco da inserire nel lettore.
Si prosegue così, fra una «Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra», che ricorda da lontano la vecchia «Ballata dell'uomo ragno», e una quasi dignitosa «L’angelo di Lyon», firmata però dal fratello Luigi Grechi (cognome della madre, adottato tanti anni fa dal primogenito per non essere accusato di voler brillare di luce riflessa...). Concludono il disco «Carne umana per colazione», «L'imperfetto» e «L’infinito»: l’impressione è quella di un tentativo di rifare, a volte con indubbio mestiere e persino una punta d’ispirazione, canzoni che lo stesso De Gregori ha già scritto. Molto meglio.
Lo dimostrano anche i concerti e le rare comparsate televisive (l’ultima dinanzi all’adorante Fazio...), dove lo spazio per le cose nuove è ridotto allo stretto indispensabile. Poi, per alzare il livello qualitativo e magari tirare l’applauso, si punta sugli antichi capolavori. Tutti ormai vecchi di almeno un quarto di secolo. Peccato. Davvero peccato.

 

 

 

SCIACCA - 15 AGOSTO 2008https://www.iltitanic.com/2023/nos.jpg

Più che smemorato....indaffarato sugnu!!!!

Comunque, eccomi qua. Non potevo venir meno all'accordo stipulato tra le parti prima del concerto. Il "recensore" dovevo essere io e così sarà.

Inizio col dire che la cosa più bella è stata rivedere i miei amici di sempre del Rimmelclub e cioè Antonetti Puma e Rapisarda (in ordine rigorosamente alfabetico). Questa è la magia del Rimmelclub al di là dell'aspetto musicale che è comunque importante. Il filo che lega le persone che scrivono su queste pagine non si è spezzato nonostante questo forum non sia più quello di una volta.

Che i sampientoni osservino!! Amen....

Al concerto di Sciacca era presente la seguente formazione: Rapisarda (da Catania), Marcellone (da Cefalù), Puma (da Agrigento) ed il sottoscritto (dalla provincia Iblea). Ovviamente erano presenti anche alcune signore, Elisa e Michela per la precisione.

L'incontro è avvenuto nel pomeriggio e, dopo una piccola sosta al bar, comincia l'attesa dell'evento. Attesa che è durata quasi 4 ore visto che ci siamo incollati alle transenne intorno alle 18, manco fossimo fan della Spears!! Ovviamente si è disquisito di tutto, delle nostre vite private, del Rimmelclub, dell'ultimo disco, delle vacanze in corso di svolgimento e del concerto che stavamo vedere.

Ecco che quelle 4 ore sono volate via, come il pavone e come il cardellino ed il sassolino d'oro è arrivato......alle 22 in punto a regalarmi(ci) uno dei concerti più belli dei circa 50 ai quali ho assistito.

 

Questo signore quasi sessantenne non finisce mai di stupirmi. E' inutile! Ogni volta tira fuori dal proprio cilindro un asso. Ed è sempre quello giusto. Questo signore quasi sessantenne conosce il lavoro che fa. E lo fa con serietà. E lo fa con amore. E lo fa per se stesso. E tira fuori FESTIVAL riarrangiata così. E tu rimani là incollato e stregato da quel "fiume di parole e musica" che ti ammaliano. E vorresti che quel pezzo non finisse mai. Ma finisce, purtroppo. Per fortuna che sul palco c'è lui a regalarti altre perle. Il concerto scorre, senza intoppi. I nostri sguardi di "degregoriani" si incrociano contenti. Ed ascoltano LA STORIA. Da solo al pianoforte con una voce poderosa che arriva lontano. Altri brani. E poi che fa? Chiude con VIVA L'ITALIA. Ancora mi suona dentro quel meraviglioso arrangiamento con cui ha vestito una splendida canzone. Pianoforte nella strofa. Che trovata fantastica.

Questo è Francesco. E solo per questo mi aspetterei più rispetto verso di lui. Soprattutto qua dentro.

Chiudo qui questo post. Gli impegni mi chiamano. Aggiungo solo che quelle ore trascorse insieme agli amici di sempre sono tra le cose più belle che questa estate mi ha regalato. Mi auguro che tutto ciò continui a ripetersi.

Abbracci a tutti.

P.S. Avevo scritto tempo fa un post molto incazzato sulla "querelle" ultimo disco! Alcuni dei moderatori hanno pensato di eliminarlo. Questo (anche) è diventato il rimmelclub. Santa pacienza.....

Saluti, Salvo

 -------------------------------------------------------------------

Stavo sotto Ciccio, a circa tre metri, e con lui Deriva l’ho cantata fino alla fine, quasi assieme a lui, fino a…… na-na na, na na na …. na na na na na…

Con i ragazzi ero in pima fila davanti alle transenne fin dalle 18. Che bello fare i pazzi come i ragazzini, cinque ore in piedi escluso il concerto!

Ma potevo non farlo? Non avrei rivisto gli amici, quelli che per un giorno mi hanno fatto proprio sentire “a casa mia”. Erano quelli del Rimmel Club; quelli, come mi ha scritto Frank, con tipiche facce da RIMMELCLAB!  

250 chilometri da Catania avrei potuto evitarmeli, ma mi sarei perso il caloroso abbraccio di Marcellone che per vederci è arrivato fin da Cefalù mentre era in vacanza e da dove sarebbe ripartito alle prime ore del mattino per ritornare in sede; grande, grande Marcello! (ma quando me la presenterai Charlize Theron?); e poi non avrei rivisto il sorriso di quella coccolona di Michela, non avrei udito la sua risata argentina che mi accompagnava nei corridoi dell’unico posto che abbiamo trovato per dormire: il Grand Hotel delle Terme, dal sottoscritto subito soprannominato Geriatric Park Hotel per l’eta media dei suoi ospiti: 75-80 anni! Non avrei rivisto “Salvo da Ragusa” che ogni volta, con la sua innata gentilezza, si prodiga in tutti i modi per metterti a tuo agio, sempre. Per chi non lo conoscesse, garantisco che Salvo3 è un gran signore; è che a volte l’apparenza, credetemi, inganna. Fa così perché…… a Catania diciamo che “è lisciu”.

E poi il piacere di rivedere il Prof. Giovanni Puma e la sua Elisa, e infine la grande Martina Cirino che non vedevo dal raduno di Roma.

Un concerto che per me, dando ragione a Salvo, è stato uno dei più belli che ho visto.

Francesco a Sciacca era in gran forma, forse è stato in forma per tutto questo tour. Mettendo da parte quelle elettriche, ha suonato le sue acustiche Martin D42 Black custom e una nuova chitarra simile alla Gibson J45 (io sostenevo fosse quella, ma poi ho dovuto dar ragione a Marcello, dopo averlo appreso da Ale Valle che saluto in diretta); non ricordo la marca, ma devo indagare per l’aggiornamento dell’apposito poster sul Titanic.

La scaletta è simile a tutte quelle che hanno accompagnato De Gregori & Band per tutta l’estate. Grandi le interpretazioni de La Donna cannone al piano, La valigia dell’attore, Pezzi di vetro, L’abbigliamento di un fuochista con arrangiamento alla fisarmonica (con Puma ci speravamo e siamo stati accontentati), Cercando, La storia e appunto Deriva. Quella che non mi sarei aspettato di sentire a un suo concerto è Capo D’Africa. Grande, grande interpretazione da parte di tutta la band!

A distanza di quasi un mese ricordo ancora quel giorno con i miei fratelloni, alla mattina seguente quando ci siamo salutati. A quando per strada, dalle parti di Caltanissetta, mi sono fermato in un bar per chiedere un Biancosarti e Gin, con ghiaccio e senza limone. Sono stato servito con un Biancosarti liscio, caldissimo e affogato in fette di limone. Il barman stava per ricevere un cazziatone, ma è stato salvato da un sms di Marcellone: “tutto bene?”.

Sì Marcello, sto bene, sempre benone, benissimo insieme a voi. Grazie.

Il biancosarti l’ho bevuto così com’era. Praticamente una ciofeca!

Mi sono fermo un attimo per salutarvi. Quando si parte per un posto lontano, specialmente per un uno di quelli che sogni fin da bambino, bisogna salutare i parenti stretti. E voi questo siete.

Mimmo Rapisarda

 

 

 

 

 

Era, pioveva, c'era qualcosa che non si vedeva
Respirava, qualcosa respirava
Nella stanza della sposa si nascondeva
Eppure si muoveva, ancora
Dimmelo ancora che tutto ritornava così com'era
Come bruciava e si disperdeva
E come tornava gni volta che partiva
Piangeva e si stancava
Come sabbia nel tempo si trasformava
E però esisteva e si incarnava
E a volte ero sicuro che nasceva e che ricominciava
Che saliva e scendeva, chiamava e si rispondeva
Meravigliava e produceva ed espelleva suoni,
suoni che rubava
Era, pioveva ma così piano che nessuno se la prendeva
Così per poco, che poco ci mancava
mentre guardava un telefono che suonava
e che non la smetteva
Non parlava perchè sapeva tutto quello che gli bastava
Quello che credeva, quello che non vedeva
Così preciso ed imperfetto che nessuno lo incastrava
Se non voleva ringraziava 

con un inchino da domatore li salutava
E poi chiedeva e chiedeva o prendeva
E come un Messicano si allontanava...

 

 

 

 

 

 

 25.06.08 Marina di Leporano (TA) - 30.06.08 Roma (RM) Ippodromo Le Capannelle - 01.07.08 San Giorgio A Cremano (NA)  Villa Bruno - 02.07.08  Monza - (MB) Villa Reale - 16.07.08 Venaria (TO) Area Concordia - 18.07.08  Lignano Sabbiadoro (UD)  Arena Alpe Adria - 19.07.08 Savignano sul Rubicone (FC)  Piazza Borghesi - 26.07.08  Casoni (RE)  Parco Filippini - 31.07.08  Rosciano (PE)  Stadio Comunale - 02.08.08 Portoferraio (LI)  Polo Sportivo Le Ghiaie - 09.08.08 Paliano (FR)  Area Le Mole - 10.08.08 Bojano (CB) Matese Friends Festival - Stadio Comunale Colalillo - 11.08.08 Rispescia (GR) Festambiente - 13.08.08 Ostuni (BR) Foro Boario - 15.08.08 Sciacca (AG) Piazza Scandaliato - 16.08.08  Campofelice di Roccella (PA) Arena del Mare - 17.08.08 Mazara del Vallo (TP) Area Porto - 19.08.08 Paola (CS) Campo sportivo - 27.08.08 Macerata (MC) Sferisterio - 30.08.08 Carbonia (CI) Miniera di Serbaiu - 06.09.08  Spoleto (PG) Piazza Duomo - 12.09.08 Molfetta (BA) Anfiteatro di Ponente - 16.09.08  Modena - Loc. Pontealto (MO) Festa dell'Unita - 20.09.08 San Giuliano Milanese (MI) Parco Giardino Cavour - 21.09.08 Brienza (PZ) Piazzale Marconi - 28.09.08 Santa Maria Capua Vetere (CE) Area Incremento Ippico

 

 

 

 

 

2009

 

 

 

 

https://www.iltitanic.com/2023/nos.jpgE’ un consiglio che dò a tutti i miei amici appassionati di Ciccio: non portatemi con voi ai concerti di De Gregori. Con me ci si perde per le strade di campagna, di notte, o si rimane bloccati per contrattempi. Praticamente sono una sfiga per i miei compagni di viaggio!
Ma soprattutto con me pioverà, pioverà a dirotto. Qualche giorno prima qualcuno si lamentava nel forum per le cattive previsioni meteo di Foggia. Poi la sera è filato tutto per il verso giusto, non ha pioviuto e ho letto che la gente si è divertita, all’aperto. Ma io non c’ero!
Nonostante l’amico Maurizio Arena mi confermasse rosee aspettative per il 23 settembre a Messina, io ero già convinto del contrario: no, non è possibile che sarà sereno, pioverà, ne sono certo. Mi rovinerà anche questa. L’avevo già scritto l’altro giorno: in vita mia la pioggia mi ha rovinato di tutto; una sorta di nuvoletta fantozziana mi cerca dall’alto come un satellite quando sto per uscire di casa. Infatti, appena l’ha saputo si è messa in moto e puntualmente è arrivato il cambio di location.
Con gli amici di Ragusa (fra i quali un noto Salvo3) ci avviamo a Messina dove incontriamo Mauro Arena e signora, sua madre e il mitico padre chiamato dal sottoscritto Mr. Zimmy per via della sua leggendaria passione per Bob Dylan.
Quattro chiacchiere con Alex Valle, un saluto a Guido e poi, “sempre sotto la pioggia”, all’interno del Vittorio Emanuele, storico teatro sul lungomare messinese rimasto in piedi
dopo il terremoto del 1908, il cui interno è stato completamente sventrato, ricostruito e ristrutturato. Un piccolo gioiello acustico con 1.000 poltroncine tutte raccolte sotto un grande soffitto dipinto dal grande Renato Guttuso nel 1985.
Vi risparmio l’avventura del viaggio di ritorno a Catania e a Ragusa (c’era presente il sottoscritto, quindi poteva capitare di tutto) sotto un nubifragio abbattutosi sulla A18, così violento ed abbondante da non farci vedere niente oltre il parabrezza. Alle tre del mattino, due ore dopo il nostro passaggio a 40 km. orari, su quelle strade si è abbattuta la nota frana che ha scollegato Catania e Messina per due giorni.
Adesso che siamo all’asciutto….. passiamo al concerto.
In perfetto orario, alle 21.30, entra Francesco fra gli applausi. In gran forma, con un abbigliamento che mi ricorda vagamente certi jazzisti che facevano la spola fra Cuba e la Florida suonando Porter e Miller o, che so, una figurina che fuma le Camel impressa sulle scatole di latta americane degli anni Quaranta.
Dopo l’inchino di benvenuto, un faro si adagia su di lui, ed è da solo. Si intravedono soltanto le linee della sua dinoccolata figura che alterna le due Gibson con l’armonica a bocca. E con questo piccolo quadretto si comincia la prima parte, tutta acustica.
“Questa è una canzona dedicata a una grande cantante, che molto tempo fa accompagnai in giro per l’Italia come chitarrista. La canzone si chiama Caterina.”
Poi Quattro Cani e Pezzi di vetro, suonate e cantate in modo magistrale, senza nessun accenno di svogliatezza, di noia, di fretta. Quel signore con il Borsalino in testa sa ancora suonare eccome, come una volta; sa ancora cantare eccome, come una volta. E, non me ne voglia, me lo sono goduto da buon Talebano eccome, come una volta.
Le due canzoni, che sembravano uscite direttamente dall’LP della RCA, sono state interpretate come ai tempi di Rimmel, con quell’arpeggio particolare di cui mi innamorai 35 anni fa e grazie al quale sono ancor oggi qui a parlare di colui che lo ha manovrato, quell’arpeggio. Anche Francesco sa bene che queste due perle, quegli accordi, quelle dita posizionate in un certo punto della testiera, sono il frutto di quel miracolo avvenuto quando lui era aveva intorno a vent’anni e le geniali molecole della sua fantasia giravano a mille sulla maccina da scrivere e sul pentagramma. Allora pensò che dovevano essere suonate così; col tempo si è divertito ad arrangiare, a rocckettare, stravolgere, a capovolgere; insomma, il giovanotto si è divertito. Con la maturità ha capito che il prodotto migliore è sempre quello costruito da giovani, quando a volte certe emozioni ti fanno produrre autentici capolavori. Puoi modificarli, arrangiarli diversamente, svuotar loro le tasche mettendoli a testa in giù, ma alla fine si torna sempre al passato.
”Quest’altra canzone parla di un ricco stregone, che era innamorato di una donna……..”
Mentre Francesco spiega, dalla sala arriva una voce “L’Angelo di Lyon”!
“Bravo!!! Il nostro amico ha vinto….. cinque minuti di silenzio!” la risposta di Francesco. Risata generale (tranne lui).
Arriva tutta la band. I loro volti, i loro strumenti, i loro movimenti mi sono ormai familiari; è un piacere rivedere questi ragazzi almeno una volta all’anno come quando si salutano i compagni di classe a settembre. Con questa straordinaria band che ormai da anni suona a memoria, che è ormai capace dl leggere gli spartiti pure dentro la testa del Capo, che è addirittura in condizioni di anticipare anche le sue bizzarre interruzioni, il concerto continua con Finestre rotte e poi, tutte d’un fiato, un’incantevole Atlantide, Viva l'italia, Compagni di viaggio, Caldo e Scuro, Vai In Africa Celestino e una soroprendente Capo d’Africa, con atmosfere, colori e arrangiamenti che sembrava di essere all’Avana.
“La leva calcistica della classe '68”. Ciccio arriva fino a “….un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia” e una piccolissima pausa. Non gli è stato più possibile proseguire perché viene anticipato dal solito signore in sala che si mette a cantare a squarciagola: “……..e chissà quanti ne hai visti, quanti ne vedrai……”.
A quel punto Francesco interrompe la canzone e dice “Eh, no! Legatelo! Lo chiedo, per favore, a chi gli è seduto vicino!” Altra risata, tranne noi che, conoscendo il Maestro, sapevamo che in quel momento stava per esplodere e che sarebbe sceso in sala prendendolo a calci sulle gengive.
Ma la serata non è nervosa, qualcosa rimane, e infatti arriva Rimmel e Festival con uno straordinario assolo di Bardi che mette i brividi addosso. Lucio si ripete durante l’esecuzione di Battere e levare, stavolta con intensi virtuosismi country al violino elettrico. Poi Titanic e Deriva che arrivano di colpo assieme, come un omaggio al Nostromo.
Poi Francesco si siede al pianoforte. E’ di buon umore, guarda la sala per cinque secondi e dice “mbè”? E si mette a ridere. E quindi ci racconta una storia che dà i brividi, che entra dentro le stanze, le brucia. Che dà torto e dà ragione, perchè nessuno la può fermare.
Ma che bel racconto, che concerto, che bello … come mi sto divertendo beato e seduto in seconda fila, senza muovermi da destra a sinistra come un dannato. Al contrario dello scorso anno a Sciacca, questa volta non ho voluto portare la fotocamera per godermi al meglio lo spettacolo, senza avere l’ansia del risultato, esposizioni, tempi di apertura, iso e diaframmi. Ho fatto il semplice spettatore, anche se devo ammettere che l’altra sera sarebbero venute fuori fotografie spettacolari perché chi ha progettato le luci di questo tour è stato davvero bravo: affascinanti, colori bellissimi che assieme alle musiche avvolgono i musicisti sul palco in un tutt’uno davvero magico. Complimenti al tecnico.
Dal buio si alza una lira: “Eccomi qua!”. Più il tempo passa e più questa grande canzone, anziché cantata è recitata, narrata in ogni riga, riferita agli ascoltatori, spiegata in ogni dettaglio. Ormai Francesco la mima in una maniera così teatrale che chiunque riuscirebbe a capire il significato del testo. Ogni volta lo vedo muoversi con una gestualità ancora più raffinata, più professionale. Più che cantante, sta diventando sempre di più attore e sembra essere proprio lui il protagonista della canzone. Accompagna le parole con mosse ed espressioni che ti proiettano dall’ultima fila dritto fino al camerino già vecchio, facendoti vedere tutto in home theater: il lavandino, lo specchio, il manifesto, il padre, la figlia.
Siamo incantati sulle note finali, si entra quasi nel mondo irreale di Francesco, la sua musica ci scardina dalle poltrone e ci solleva fino al soffitto dove è raffigurato il canto delle sirene dipinto del grande pittore siciliano. Quasi in catalessi, come tritoni volteggiamo attorno a quelle figure nel mare azzurro, sostenuti dalle note che il mito che sta otto metri più sotto, ci lancia continuamente.
Ma non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà, noi lo conosciamo bene, l'abbiamo sentito già! Infatti veniamo bruscamente svegliati dalle squillanti chitarre di Giovenchi, che da dietro la curva ci preannuncia la volata country di un ciclista chiamato Pollastri. Ed è festa!
Appena lasciato quel briccone di Sante, Ciccio presenta la sua band, quindi si avvicina al microfono, si toglie il cappello mettendolo al petto, si inchina e dandoci la buonanotte ci confessa l’emozione particolare che prova ogni qualvolta mette piede in Sicilia. “Bravi, complimenti per questa vostra bella terra!”. E se ne va, ma non è vero.
Eh no, caro mio, esci. Esci, che qui ti reclamano a gran voce (non capirò mai il significato dei bis)
Al rientro, con al piano Arianti, esegue la Donna cannone come solo lui sa fare. Poi l’Agnello di Dio ed infine una Buonanotte fiorellino suonata come negli anni Settanta, in modo classico. Però siccome il Capo ha voglia di scherzare, manda in tilt la band quando deve riattaccare a cantare. Tutti i musicisti ridono per le sue birichinate, compreso il capobanda che, a detta di Ciccio, stupisce sempre di più.
Fra le bellissime note di questo immortale walzer, il Maestro getta il plettro ancora bollente davanti a sé e si allontana definitivamente dietro le quinte.
Ah, questo pubblico pagante, quante ne deve subire!
Tempo fa, Francesco storceva la bocca quando un applauso del pubblico sottolineava la passione per lui proprio al punto della famosa strofa. Oggi, forse perché è ormai consapevole di essere un monumento della canzone italiana, quell’applauso quasi lo pretende, e lo chiede con forza incitando la platea con le sue lunghe braccia, perché ha capito che non si può più trattenerlo, quell’applauso; non si possono tenere le mani ferme nè davanti a una bellissima canzone, né davanti a una leggenda del genere.
Quel pubblico pagante ha voglia di sottolinearlo sempre, con un applauso, il tuo nome che scintillerà. Per tanto tempo ancora.
Grazie ancora una volta, Francesco! E che Dio ti benedica.
Mimmo Rapisarda (pubblicato su Rimmelclub.it 25.9.2009)

 

 

FRANCESCO DE GREGORI - RITORNO ALLE ORIGINI

(Gigi Vesigna)

 

Con il suo 19° album in carriera, Per brevità chiamato artista, il cantautore vola di nuovo alto. In una specie di "autobiografia fantasticata" che piace subito.
Questa volta "il Principe" - è il soprannome che i colleghi hanno affibbiato a Francesco De Gregori - ha pubblicato il suo nuovo album, il 19°, usando parsimonia, la consueta eleganza stilistica, qualcosa di criptico, nessuna (apparente) concessione alla politica. È nato così Per brevità chiamato artista, frase che era, e lo è ancora, una formula che figura nei contratti discografici.

"Sì", conferma De Gregori, "sul mio primo contratto discografico (era la fine degli anni '70, ndr) c'era questa definizione legale che mi riguardava: "Francesco De Gregori, d'ora in avanti per brevità chiamato artista". La trovai prima agghiacciante e poi divertente. Era rimasta in un angolo della memoria, forse devo aver pensato fin da allora che prima o poi l'avrei usata in una canzone".

Detta così può anche sembrare una battuta o uno scherzo della memoria, ma Francesco precisa: "Comunque, per quanto riguarda il titolo del disco, mi interessava mettere al centro la parola "arte", qualcosa che intende lasciare un segno polemico e intellettuale, non solo un mestiere che ha a che fare con una distribuzione e con un mercato".

Al mercato De Gregori proprio non ci ha pensato: sono solo nove le canzoni - tutte inedite - che ci propone. Otto sono farina del suo sacco, la nona, L'angelo di Lyon, l'ha scovata Luigi Grechi (suo fratello maggiore, che porta il cognome della madre): è un pezzo inglese di Tom Russell, una struggente ballata che racconta di una giovane donna, Anna Maria, che con il rosario tra le dita appare a uno stregone e gli fa cambiare vita. La redenzione comincia con il verso: "Parto per Lione e cerco un angelo del Paradiso", e si compie trasformando lo stregone in una specie di san Francesco.
Un'immagine recente di Francesco De Gregori, nato a Roma il 4 aprile 1951 (foto Ansa).

Questo nuovo disco propone un De Gregori che sembra tornare alle origini: "Durante l'ultima tournée teatrale, nelle ore di pausa, abbiamo messo "in bella" pezzi che avevo buttato giù e che hanno preso forma quasi da soli in studio. Era gennaio e abbiamo lavorato come se dovessimo semplicemente provare per uno spettacolo".

Pensando più ai teatri che ai palazzetti dello sport?
"Sì, nel senso che abbiamo suonato pensando di stare in un piccolo club e non in un campo sportivo. E credo che questo venga fuori. Con la band ho lavorato rilassato, perché abbiamo condiviso tutti l'idea che la versione discografica di una canzone non sia per forza l'unica possibile, e per forza la migliore".

L'ascolto comunque scaraventa in una musica totale: dal valzerino di Per brevità al boogie-woogie di Finestre rotte, ma il testo è tutt'altro che quello che penseresti di abbinare a una danza sfrenata. Poi arrivano le ballate, c'è uno scacciapensieri, e un organo Hammond torna dal passato per arricchire gli arrangiamenti. In Vola vola ci imbattiamo in una filastrocca che ha profumi medievali, poi, in Ogni giorno che Dio manda in terra, c'è un'eco di country o, se preferite, di folk; in Carne umana per colazione c'è la cronaca allarmante dei giorni nostri, con la mania della liposuzione, della vacanza intelligente, dell'andare in Tv a tutti i costi e, chissà mai, l'abitudine di mangiare "carne umana per colazione".

L'album prosegue con L'imperfetto, dove si sviluppano concetti che scopri solo se non caschi nel gioco dei verbi tutti "all'imperfetto", e quindi si conclude con L'infinito, dove la musica si allarga e ti riempie di speranza, perché "Domani sarà il tempo di cose nuove".

Francesco, il tuo precedente album, Calypso (2006), era un bellissimo disco di canzoni d'amore, mentre qui non ne ho trovate, almeno di esplicite… Che disco è questo?
"È un disco dove si racconta qualcosa, ci sono pezzi di vita, ma anche delle visioni e delle "pre-visioni". Lo potrei definire un'autobiografia fantasticata. Questo forse comprende anche l'amore e la politica, ma il gioco non è sempre dichiarato… È certo molto diverso da quello che passano di solito le radio".

È vero, stavolta Francesco è tornato a volare alto, ma quando parla di un'autobiografia, seppur fantasticata, non posso non ricordare che mai ho conosciuto un artista, mediocre o sommo, che sia riuscito a tenere così nascosta la sua vita privata.

Quando, nel 1978, De Gregori diventò padre di due gemelli, la notizia non fu praticamente diffusa. Qualche mese dopo mi arrivarono in redazione alcune foto che mostravano Francesco in un supermercato che trascinava un carrozzino doppio, dove sonnecchiavano Marco e Federico, i famosi gemelli. Lo chiamai e lo informai e lui, gentilmente e fermamente, mi pregò di non pubblicarle. Gliele spedii per il suo album di famiglia (chissà se ne ha uno).

Oggi i due ragazzi hanno trent'anni ma non ho mai più visto circolare una loro immagine. Caro "Principe", tanto di cappello!

 

 

Lascia che cada il foglio dove sta scritto il nome
Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume
E un riflesso sull'acqua, una bolla di sapone
E alla fine del libro non c'è spiegazione

Ho viaggiato fino in fondo nella notte
E stava nevicando
E ho visto un grande albergo con le luci spente
E ho avuto un po' paura ma nemmeno tanto
La strada andava avanti ed io slittavo dolcemente

Lascia che cada il foglio dove sta scritto il nome
E metti un palio al mio dolore
E non guardare il tempo, il tempo non ha senso
Domani sarà tempo di cose nuove

Ho viaggiato fino in fondo nella notte
Senza guardarci dentro
Senza sapere dove stavo andando
e alle mie spalle il giorno si stava consumando
Ed ho provato un poco di tristezza
Ma nemmeno tanto.

 

 

 

 

 

 

De Gregori racconta le sue visioni "La mia autobiografia fantasticata"
di Antonio Lodetti - ilGiornale.it

 

«Per brevità chiamato artista... doppio come una medaglia/Se fosse d’oro sarebbe di cartone/Il cieco con la voce buona e il muto che ci vede bene... Doppio come l’innocenza/Se fosse Abele sarebbe Caino/Antidoto senza veleno ed alibi senza assassino». Si apre così, con il brano Per brevità chiamato artista, l’album dall’omonimo titolo di Francesco De Gregori, da domani nei negozi. De Gregori lo definisce «un’autobiografia fantasticata», una serie di visioni e previsioni assorte e pensose nei testi e variegate nei suoni (basti confrontare i ritmi bizzosi di Finestre rotte e gli splendidi profumi di antica ballata popolare di Volavola col pianoforte, il banjo di Lucio Bardi, la voce di Chiara Quaglia e un sottofondo d’archi).

Il più dylaniano dei nostri cantautori per impeto folkie, per visione poetica ma anche per atteggiamento nei confronti della vita e dell’arte torna a raccontarsi; gettando il guanto della sfida alla musica commerciale «per portare al centro del discorso la parola arte, per fare qualcosa che lasci un segno poetico e intellettuale». Non a caso il cd s’intitola Per brevità chiamato artista. «È la formula che si usava quando firmai il primo contratto, una frase assurda che è un inno alla libertà e all’incoerenza espressiva». E così De Gregori torna a fare il cantautore con sonorità semplici, con voce spoglia ma ricca di tensione lirica e anche di un pizzico di acredine (come nella forza di Carne umana per colazione). C’è lo spazio per i ricordi e gli errori in Celebrazione («Ci sono posti dove son stato/Mi ci volevano inchiodare/Ai loro anni ciechi e sordi/Ai loro amori raccontati male/A una canzone di quattro accordi/Ad una stupida cantilena/Ma tu davvero non te lo ricordi/Quando cantavi e sbadigliavi in scena») e quello per la speranza che dà la forza di andare avanti in L’infinito («Ho viaggiato fino in fondo alla notte/Senza guardarci dentro/Senza sapere dove stavo andando/E alle mie spalle il giorno si stava consumando/Ed ho provato un po’ di tristezza/Ma nemmeno tanto»).

Canzoni schiette e sincere perché riflettono vita vissuta («Le canzoni son robe vere, non quadri da appendere al muro») in un lavoro spoglio di colpi di scena ma ricco di preziosi sobbalzi e sorprese. Tra cui il cameo L’angelo di Lyon scritta da Luigi Grechi, il fratello di Francesco già autore di Il bandito e il campione, e tratta da un classico del folksinger Tom Russell

 

 

 

ROMA: 1 MAGGIO ALL'AUDITORIUM CON DE GREGORI
 

(IRIS) - ROMA, 25 MAR - E’ stata presentata oggi all’Auditorium di Roma la seconda edizione di 'Si Canta Maggio', la festa del lavoro celebrata al Parco della Musica in compagnia dell’Orchestra Popolare Italiana e di molti ospiti. Dopo i saluti del Presidente di Musica per Roma Gianni Borgna, che ha sottolineato il successo della passata edizione e i numerosi riscontri conseguiti dall’ensemble di Ambrogio Sparagna in diversi paesi del mondo, il maestro concertatore ha descritto questa seconda edizione della grande festa dedicata al canto sociale italiano, divisa come lo scorso anno in due parti.

Alle 21 il grande concerto finale con la partecipazione straordinaria di Francesco De Gregori scelto non "perché la sua musica è entrata di tutto diritto nel grande repertorio dei canti sociali italiani". La sua voce sarà accompagnata dal suono delle zampogne, degli organetti e degli altri strumenti popolari.

 

Un concerto molto bello, a mio parere. Anche se forse non preparato alla perfezione. Tanti ritmi popolari, pizzica, taranta, divertimento. Sparagna in grandissima forma, accompagnato da musicisti e cantanti di ottimo talento (in particolare un contrabbassista virtuoso e un cantante potente, di cui cercherò di scoprire i nomi). Ospiti dell'Ambrogio diversi artisti, un gruppo popolare abruzzese (i Discanto) ha aperto il concerto, dedicato, oltre che alla festa del lavoro, alla regione vittima del terremoto. Poi un mandolinista salentino (i nomi delle presentazioni di Sparagna non si sentivano bene, fra i problemi tecnici), un gruppo valdostano che cantava in provenzale, due cantanti siciliani molto molto bravi (da brividi un pezzo chitarra e voce sulla strage di Portella della Ginestra). Poi Andrea Satta dei Tetes de Bois che canta un pezzo commovente di Matteo Salvatore (in cui un contadino chiede al proprio padrone di essere sfruttato fino alla morte per garantire il bene e il riscatto dei suoi figli).
A seguire Cristicchi, che ha sfoderato una voce adatta ai pezzi popolari e una notevole presenza scenica. Gli hanno affidato due pezzi molto coinvolgenti (fra cui poi il pezzo finale corale) e non si è provato con cose sue, ma sono rimasto favorevolmente colpito.
Suo lo slogano che condivido appieno: "il vero primo maggio rock è quello di Ambrogio Sparagna!".
Entrano in scena quindi 4 "poeti improvvisatori" che alternano ottave ed endecasillabi dedicate ai lavoratori e alle loro sofferenze di sempre.
De Gregori entra in scena a metà concerto con un'ovazione del pubblico, preceduto dai 40 elementi di un coro popolare. Attacca deciso L'abbigliamento di un fochista, armonica in pugno. La gente ascolta quelle parole, ha ragione Sparagna a dire che sono entrate di diritto nel repertorio della musica popolare italiana.
Poi Viva l'Italia, in una versione molto simile all'originale, con le fisarmoniche e i fiati a suonare il giro fra le strofe come su disco. Nota stonata l'ultima strofa, affidata al coro, che sbaglia intonazione, attacco, qualcuno sbaglia pure le parole...Poi i 40 componenti non hanno microfoni personali, ma solo 3 microfoni panoramici, quindi si sente pochissimo, insomma un mezzo disastro Ma si vede che non sono professionisti e va benissimo così.
De Gregori resta sul palco per un pezzo popolare salentino (non saprei dire quale), di cui canta a tratti le strofe alternandosi con altri, sembra molto coinvolto, saluta tutti ed esce fra gli applausi.
Poi è la volta addirittura di Sparagna a cantare, si chiude in crescendo fra assoli di mandolino e contrabbasso, fino al pezzo corale cantato da Cristicchi.

Acustica della sala da rivedere, microfoni settati malissimo, coro disastroso, una certa improvvisazione...non guastano certo un concerto che alla fine ci vede sotto al palco a zompettare. De Gregori non esce a salutare, forse è già a cena, forse non vuole rubare applausi a tutti gli ottimi musicisti e all'amico Sparagna.
Il 29 di giugno Sparagna sarà nuovamente all'auditorium per una serata dedicata alla taranta, sarebbe bello poterci tornare.

Antonio Perillo (www.rimmelclub.it)

 

 

FRANCESCO OSPITE DA FIORELLO......!!!!!!

 

Spettacolo interessante quello di Fiorello che prima scherza con Lamberto Sposini e poi, richiamando i 5 ritornelli musicali piu' belli d'Italia mettendo al primo posto "La donna Cannone", introduce la presenza di Francesco De GREGORI!!!
Prima di farlo salire sul palco Fiorello imita (n modo pessimo) Ciccio sulla canzone "Finche' la barca va' " ( lo aveva gia' fatto negli incontri precedenti)
Il Principe sale sul palco senza cappello,maglietta sbracciata e canta " A chi ",un po' diversa ma non molto da quella che troviamo nel cd Mix (meno marcata), e subito dopo decide di fare "Per le strade di Roma" da solo con la chitarra e seduto sullo sgabello con Fiorello che coadiuvava con l'armonica a bocca....!!!!
Fiorello entusiasta per la presenza del Cantautore lo ringrazia......
Cosi termina lo spettacolo....
Bella esibizione del Nostro, si notava la sua voglia di suonare e cantare e questo è importante visto l'inizo dell'estate e l'imminente tour estivo...!!!!

Andrea (Rimmelclub)

 

 

 

Rai Radio2, capofila di un “Sentiero di pace” fatto di musica

Roma, 21 mag (Velino) - “Per il secondo anno, musicisti di tutta Europa si incontrano nel nome della pace su convocazione delle loro radio pubbliche. È un modo per ricordare e anche per affermare che dagli anni della Prima e della Seconda Guerra Mondiale molta strada è stata fatta nel nostro continente. Popoli che si consideravano nemici, negando le profonde somiglianze che li univano, hanno saputo valorizzarle in un progetto di sviluppo comune e di rifiuto della violenza, come sancito dalla nostra Carta Costituzionale. Quella di Radio2 è una piccola voce, ma è soddisfatta di farsi sentire in questo modo, in questa occasione e in questi luoghi. Dove rintocca la Campana della Pace”. Così Sergio Valzania, direttore dei programmi Radio Rai, che oggi a Roma ha presentato la due giorni - sabato 27 e domenica 28 giugno - di “Sentiero di pace”: otto ore di diretta radiofonica – ogni sera dalle 20 alle 24 – in onda dal Mart, il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto per rinnovare la cultura della fratellanza. L’evento è organizzato in collaborazione con il Trentino e l’Ebu (European Broadcasting Union). “Siamo felici e onorati di contribuire all’evento – ha detto Raina Konstantinova, direttore dell’Ebu -. Il festival si differenzia dalle altre rassegne di tutta Europa per il suo carattere innovativo, un progetto che esprime i migliori talenti di Radio Rai. Siamo pronti a partecipare anche in futuro”.

Ma perché “Sentiero di pace” ha luogo in Trentino? Perché fu di un roveretano, il sacerdote Antonio Rossaro, l’idea di farsi donare i cannoni da tutte le nazioni che avevano preso parte alla Grande Guerra, a fonderli e costruirvi una campana, la più grande del mondo, che suona a distesa sul Colle Miravalle di Rovereto ogni sera alle 21.30 come monito di concordia tra popoli, fedi e culture. Questo messaggio di pace nel segno della musica coinvolgerà a fine giugno le radio pubbliche di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Svezia. Hanno risposto all’appello: Radio France FIP e Radio France Le Mouv per la Francia, BBC RADIO1 per l’Inghilterra, SR P3 per la Svezia, ARD per la Germania, RSR Couleur 3 per la Svizzera e Cadena SER per la Spagna. Insieme le emittenti hanno ideato due serate live che vedranno alternarsi sul palco, allestito nel piazzale del Mart: The Sweet Vandals (Spagna), Bonaparte (Germania), Pete & The Pirates (Inghilterra), The Dynamics (Francia), First Aid Kit (Svezia) e Hugh Coltman (Francia). Radio2, per l’Italia, ha scelto artisti sensibili al tema che fa da sfondo alla manifestazione: Francesco De Gregori, in un live acustico in esclusiva per “Sentiero di Pace”; Cesare Cremonini, il giovane cantautore italiano interprete dei sogni, dei disagi, dei conflitti e delle speranze della sua generazione; Malika Ayane, la rivelazione musicale e discografica dell’ultimo Festival di Sanremo; e The Bastard Sons of Dioniso, i tre giovani che dal Trentino sono arrivati alla finalissima di “X Factor”.

Accanto alla musica camminano le parole, affidate quest’anno a sei narratori italiani che hanno scelto “Sentiero di Pace” come terreno di scambio per declinare in modi diversi la cultura della pace, nella convinzione comune che le parole possano essere lanciate come ponti verso gli altri. Nell’Aula Magna del Palazzo dell’Istruzione ci saranno Ascanio Celestini, Aram Kian, Mario Perrotta, David Riondino, Serena Sinigaglia e Filippo Timi, tutti con esperienze di teatro, recitazione e scrittura: insieme proveranno a descrivere le inquietudini del presente muovendo le proprie riflessioni dalla memoria. Speaker di Radio2 per l’evento saranno: Federica Gentile, voce di “Hit Parade”, con Massimo Cirri e Filippo Solibello di “Caterpillar”.

concerto di rovereto La scaletta del concerto è stata questa : 1 Caterina 2 La casa di Hilde 3 Pezzi di vetro 4 Vai in Africa, celestino ! 5 Atlantide 6 Rimmel 7 Generale

 

 

 

Cavea Auditorium Parco della Musuca - Roma, 4 luglio 2009

by Farmeni

 

Oramai Francesco De Gregori ha un repertorio tale, che abbraccia un periodo di 40 anni di discografia, che ogni concerto diventa una scommessa – da parte dell’artista e del pubblico – su che set list andra’ in scena. E’ chiaro che solo a fare i grandi classici, da Pablo a Rimmel, da La Donna Cannone a La Storia, da Leva Calcistica a Titanic, e cosi’ via, ci vorrebbe un concerto a tema, di almeno 25 brani, solo per parlare di quel passato che ha raccontato l’Italia, l’amore e molte storie della gente comune.

Dall’altra parte, anche solo l’esecuzione dei brani da album di grande successo appartenenti al recente passato, richiederebbe un altro concerto a parte: da Compagni di Viaggio a L’agnello di Dio, da Il Cuoco di Salo’ a Rosa Rosae, da Tempo Reale a Un Guanto, eseguire tutti i brani che hanno abbracciato anche un nuovo pubblico, e giovane, sarebbe impossibile.

E’ quindi normale che anche con uno bello sforzo Francesco De Gregori cerchi il compromesso, innanzitutto con il pubblico. C’e’ un inizio in acustico che lo mette a tu per tu con il pubblico, c’e’ un intramezzo Rock che porta al riarrangiamento di vecchi classici, c’e’ un momento di solo al pianoforte per altri classici, e ancora un’altra parentesi Rock, Folk e Blues.
Sul palco possiamo identificare piu’ o meno 5 fasi dello spettacolo, in cui 2 sono dedicate all’esecuzione standard di canzoni del passato, una al riarrangiamento di questi gloriosi pezzi, e 2 dedicate al passato recente e al presente.

Il mix, che De Gregori ha sempre amato, non e’ sempre vincente, perche’ deconcentra e riconcentra l’audience, lo porta su un binario per riprenderne un altro, e troppo spesso lo spettatore viene messo nella condizione di avere fame.

Se sul palco vanno alla fine in scena La Donna Cannone, Sempre e’ per Sempre, Titanic, Rimmel, Generale, La Storia, La Leva Calcistica e Buonanotte Fiorellino, in tanti rimangono a bocca asciutta di Pablo o di Alice.
E se e’ vero che De gregori accontenta i giovani con L’agnello di Dio, Battere e Levare, LA Valigia dell’attore e Vai in Africa, Celestino!, in tanti rimangono a chiedersi dove siano Tempo Reale, Compagni di Viaggio e Il Cuoco di Salo’.

Insomma, un concerto che ha filato liscio e con grande partecipazione del pubblico e una costante esecuzione di qualita’ dei musicisti e della voce del grande cantautore romano, ma certo sembra ormai prossima l’ora della scelta di De Gregori di concerti a tema, a periodi, in modo tale che il pubblico che viene possa soddisfare la sua personale fame venga soddisfatto. Un doppio tour all’interno dello stesso tour potrebbe essere una bella idea, e magari se ne potrebbe finalmente cavare un bel dvd, di quelli completi, che tutti stiamo aspettando.

Onore a un artista che ha saputo unire generazioni lontane, che ha saputo trovare formule nuove e fette di pubblico diverso, e che ha questo problema che tutti gli artisti vorrebbero avere: come soddisfare tutti quanti e cercare la soluzione per unire i vari tipi di pubblico che grazie al proprio lavoro e alla propria musica, ai cambiamenti fatti e alle nuove formule e suoni trovati, oggi De Gregori ha.

 

 

A FRANCESCO DE GREGORI IL 'PIEVE 2009'
Firenze, 8 set. - (Adnkronos) - E' il cantautore Francesco De Gregori il vincitore dell'edizione 2009 del Premio Pieve, la rassegna che da 25 anni, con il lavoro di Saverio Tutino, ha fatto di Pieve Santo Stefano (Arezzo) il luogo privilegiato nella raccolta di diari, memorie, epistolari scritti dalla gente comune (negli scaffali dell'Archivio si sono accumulate oltre 6 mila storie).
Il programma della manifestazione (11-13 settembre) prevede vari momenti, fra cui la consegna della quinta edizione del 'Premio Citta' del Diario', in passato attribuito a Mario Perrotta, Rita Borsellino, Ascanio Celestini, Marco Paolini. Il premio sara' consegnato domenica 13 settembre a Francesco De Gregori di cui gli organizzatori hanno preso in prestito una fra le piu' celebri canzoni ('La storia siamo noi').
Alla conferenza stampa di Firenze, in cui e' stata comunicata la notizia della vittoria di De Gregori, sono anche intervenuti l'assessore regionale alla Cultura, Paolo Cocchi, il sindaco di Pieve Albano Bragagni e l'assessore alla cultura della Provincia di Arezzo, Rita Mezzetti.

 

Francesco De Gregori ancora in tour riceve il prestigioso Premio Pieve 2009

Pippo Augliera
L'artista romano ha ricevuto il premio Fondazione Archivio Diaristico Nazionale durante la rassegna Diari svoltasi a Pieve Santo Stefano (Arezzo)con la seguente motivazione...aver dedicato la carriera alla conservazione della memoria...
L'artista romano ha ricevuto il premio Fondazione Archivio Diaristico Nazionale durante la rassegna Diari svoltasi a Pieve Santo Stefano (Arezzo)con la seguente motivazione...aver dedicato la carriera alla conservazione della memoria...

Premio arrivato grazie a suoi brani celebri come Viva L’Italia e La Storia Siamo Noi. Il prestigioso premio, che esiste da ben 25 anni e raccoglie oltre 6 mila storie sotto forma di diari, memorie, lettere, è stato assegnato domenica 13 settembre.

Il cantautore sarà presente il 6 e 7 novembre al teatro degli Arcimboldi di Milano al Festival Identità e Musica dedicato alla cultura musicale dei territori. Si esibiranno anche Enrico Ruggeri, i Tazenda, Teresa De Sio, Simone Cristicchi e il coro dei minatori di S.Fiora, Andrea Miro', Luigi Maieron e Lou Dalfin. Tutti pronti a cantare nel proprio dialetto d'origine sotto la direzione artistica di Davide Van De Sfroos. Prosegue, intanto, con successo, senza tanti clamori pubblicitari, il suo tour di qualità registrando la presenza di un pubblico eterogeneo.‘Il principe’ dei cantautori regala concerti di ‘nicchia’, proponendo un live di vecchie e nuove canzoni, riarrangiate e proposte in un mix di rock, funky e ritmi latino-americani. Racconta le sue poesie e favole, espresse in chiave di metafora, passando dai testi più appassionati e romantici dei primi anni, a quelli forse più duri dell’ultimo periodo. Non possono mancare i classici come “Rimmel”, “Bufalo Bill”, “Alice”, “La donna cannone”.

Ben supportato dai musicisti che da alcuni anni lo affiancano sia nelle esibizioni dal vivo sia nelle registrazioni discografiche: Stefano Parenti alla batteria, Alessandro Arianti alle tastiere, Alessandro Valle alla chitarra e pedal steel guitar, Lucio Bardi e Paolo Giovenchi alle chitarre e Guido Guglielminetti, storico capobanda, al basso.

Sul palco, con un gioco di luci semplice ma efficace, De Gregori domina il palcoscenico con disinvoltura e maestria affascinando sia il pubblico maturo che quello giovanile, con arrangiamenti ricercati e parole cariche di significato. Un concerto senza scaletta, perché a detta del protagonista... i concerti non sono piatti preconfezionati, si organizzano al momento... Sono le poche dichiarazioni che si possono ascoltare direttamente da lui, dal momento che non rilascia interviste e non ama farsi fotografare.

Su questa ritrosia, nota anche per il suo prendere le distanze dal glamour della Tv, trasformandolo un suo punto di forza, sorprende la notizia della sua probabile partecipazione al reality “X Factor”. L’anno scorso è arrivato Ivano Fossati, quest’ anno tocca a lui, un segno che i tempi stanno cambiando e che la formula del talent show ormai abbraccia liberamente più livelli.

 

L'intervista a Francesco. La Repubblica, 11.9.2009

 

 

VIDEO



Viva l'Italia che onora i suoi padri

Il cantautore riceve domani a Pieve Santo Stefano il premio «Città del diario» che festeggia i 25 anni prendendo in prestito «La storia siamo noi»
GABRIELE FERRARIS

Signor De Gregori, penso che il premio che riceve domani a Pieve Santo Stefano sia un premio all’autore di canzoni della e sulla memoria; per dirne due, Bufalo Bill è la memoria di una vita, Rimmel la memoria di un attimo, di un amore, di una fotografia. E La Storia, Scacchi e tarocchi, brandelli della nostra memoria collettiva...

Quando parliamo di memoria, parliamo in realtà di infinite memorie; c'è la memoria che ci consente di affrontare in scioltezza la Settimana Enigmistica, quella che ci mette ogni mattina in condizione di riconoscere la nostra faccia allo specchio, e quella che sta alla base di ogni forma d'arte, di ogni narrazione, eccettuate forse - e ripeto forse - la fantascienza e la fiaba. Certo, è facile dire che Bufalo Bill, o Rimmel, sono canzoni nate in qualche modo dalla memoria; ma mi chiedo se possa veramente esserci qualcosa di totalmente indipendente dalla memoria e dall'autobiografia nelle creazioni di qualsiasi artista».

Questo è evidente per la memoria personale. Ma non è autobiografia d’ogni individuo pure la Storia? La Storia siamo noi, no?
«Si dice comunemente che l’artista lavora sulla memoria, che se ne nutre. E’ senz’altro vero, e in realtà accade a tutti. Però la nostra memoria non si limita a fotografare i fatti, ma li rielabora in continuazione; ci accorgiamo di questo ogni volta che la memoria personale s'interseca con la memoria del mondo, con la Storia. La nostra generazione ormai ne ha vista tanta, di Storia. Woodstock e la caduta del Muro, l'uomo sulla Luna e il sequestro Moro, piazza Fontana e le Twin Towers e il Vietnam e la morte di Pasolini. Eppure i miei ricordi - e immagino pure i suoi - non coincidono mai del tutto con le ricostruzioni “ufficiali”. Esse a volte possono sembrarci addirittura fuorvianti proprio per un eccesso di “storicizzazione”: lo storico inserisce il fatto in un “contesto”, e lo legge con la coscienza del dopo; noi abbiamo invece vissuto quello stesso fatto senza tanti collegamenti, semplicemente c'eravamo; e dunque la nostra è una memoria individuale, un po' sconnessa: magari ricordiamo noi stessi in quel momento storico, più che il momento in sé».

Una memoria orgogliosamente non condivisa né condivisibile.
«La memoria soggettiva - e quella dei diari, di cui si occupa il premio che ricevo, è la più soggettiva fra le memorie - è interessante proprio perché scompagina ogni oggettivizzazione del passato: nel diario un individuo scrive un pezzo della sua storia, e della Storia attorno a sé, col suo linguaggio, dall'alto o dal basso della sua cultura, con dichiarata parzialità, implicitamente affermando e rivendicando la non oggettività dell’operazione. Il contrario di ciò che si pretende dalla storiografia, che giustamente diffida dell'attendibilità delle testimonianze personali».

Lo storico dovrebbe, dicono, dare garanzie di oggettività...
«Lo storico ha certamente dei doveri di obiettività, ma il mondo è sempre oggetto di interpretazione, mica lo scopriamo noi oggi pomeriggio! E credo che questo debba valere anche per gli storici, in una certa misura. E ogni interpretazione, in quanto soggettiva, può essere sgradita a qualcuno. Prenda un esempio “leggero”, Woodstock. Se si prova a uscire da tutta quella retorica sul potere dei fiori e dei tre giorni di pace amore e musica e dire, che so, che Woodstock fu anche un formidabile spot pubblicitario per il consumo di droghe, ecco che già lì qualcuno si potrebbe offendere e si rischia di essere etichettati come “di destra”».

Ho presente... E mi vengono in mente idee che non condivido...
«E questo accade con qualcosa di lieve. Ma sostituiamo a “Woodstock” altre parole. Ad esempio “resistenza”. O “fascismo”...».

Ed eccoci al revisionismo. Ho idea che ci stiamo cacciando in un ginepraio...
«La parola revisionismo è in effetti rischiosa. Ma è davvero negativa? Mi sembra ovvio che la Storia sia “revisionabile”. Secondo lei sarebbe possibile, ad esempio, scrivere oggi un libro sulla Rivoluzione francese basandosi soltanto sui materiali - documentari e ideologici - di cui si disponeva ad inizio secolo? Lo storico deve sentire in sé la necessità di rinnovare il proprio archivio, anche intellettuale. E quanto all'oggettività assoluta, o è una pura chimera oppure è qualcosa di più pericoloso, è il tentativo di inventare una Storia paradigmatica, ispirata alle esigenze dei gruppi dominanti. Che cosa c'è di più “oggettivo” delle fotografie dell'epoca stalinista “epurate” con un fotomontaggio dei personaggi caduti in disgrazia?».

La Storia la scrivono i vincitori, o quelli che sanno scrivere: la brutta fama di Nerone dipende da Tacito e Svetonio, che stavano all'opposizione e sapevano scrivere. Però oggi possiamo dire che Nerone non era così fetente, e non urtiamo nervi scoperti; ma se ci occupiamo di fatti e persone più vicini a noi...
«Certo, la revisione della Storia può spiazzare, disturbare: sono convinto che perfino una rivalutazione eccessiva di Nerone ancora oggi potrebbe dispiacere a qualcuno. E c'è chi si è irritato per Il cuoco di Salò, probabilmente senza ascoltare la canzone, solo perché vi si narra del periodo repubblichino con un linguaggio non troppo allineato alla lettura tradizionale della Resistenza, a quella che De Felice chiamava “la vulgata resistenziale”... Ma di fatto, quanto più ci avviciniamo all'oggi, tanto più è difficile una storiografia oggettiva: i dati in nostro possesso cambiano velocemente, non sono ancora stabilizzati e sono diciamo così, “inquinati” dalle polemiche contemporanee».

Il pensiero corre a «Si atteggia a Mitterrand ma è peggio di Nerone», celebre ritratto di Craxi in una sua canzone del ’93.
«Ho già detto anni fa che oggi non riscriverei quei versi su Bettino Craxi, perché mi sono reso conto che è stato comunque un politico intellettualmente superiore a molti di quelli di oggi, uno che almeno una visione ed un progetto di rinnovamento ce l'aveva... Ma un conto è ripensare il passato alla luce dell'oggi, altro è abbellire i propri ricordi fino a cancellare, magari in buona fede, tutto quello che non ci piace più... Chissà però se davvero è sempre negativo tutto ciò. C'è una mia vecchia canzone, Gesù Bambino e la guerra, dove un bambino dice “quando questa guerra sarà finita, fa’ che non la ricordi nessuno”. A volte non ricordare tutto può essere un bene. La nostra memoria biologica funziona così, del resto: è capace di rimuovere i traumi e in generale di minimizzare le cose sgradevoli».

E' giusto dimenticare, allora? Ho sempre pensato che la memoria storica è l'anima di un popolo... Invece, oggi ci sono pure quelli che si innervosiscono al solo pensiero di commemorare l'Unità d'Italia. Stiamo diventando per davvero un paese «senza più padri da ricordare», e quindi senza neppure figli da rispettare.
«Sarebbe bello se si potessero dimenticare le guerre, o le stragi. No, in realtà la memoria collettiva è qualcosa da cui una società non può prescindere. Come la memoria personale di ciascuno di noi, del resto: quando per età o malattia perdiamo la memoria se ne va anche ogni nostra sicurezza, ogni capacità di orientamento nel futuro. Proprio per questo l'Italia è un Paese che ha bisogno di ogni briciola della sua memoria. A patto che questa memoria non diventi rituale, che non si svuoti di significato, che non diventi materiale inerte. A patto che si celebri il 25 Aprile in quanto lo si riconosce come momento fondante - e unificante - della nostra democrazia, e non come semplice occasione di scontro politico dove ancora una volta il problema si riduce a essere pro o contro Berlusconi. Ma veramente gli italiani sono morti per questo? Non mi piace la memoria storica brandita come una clava contro l’avversario politico. I fischi e le contestazioni ai rappresentanti del governo (di qualunque governo, si badi bene) che si ripetono a Bologna ogni 2 di agosto non mi sembra che aiutino una riflessione collettiva, né che valgano a consolare il lutto di una città e di un Paese».

In Italia manca una memoria storica condivisa.
«Mi domando - ma non lo so - se sia lo stesso altrove, se - per dire - in Francia sia ancora così feroce il dibattito su Vichy, se in Spagna si usi l'aggettivo franchista con la stessa prodigalità con cui nel nostro dibattito politico si usa quello di fascista. Molte vecchie categorie resistono ancora oggi nel nostro bagaglio culturale, e ciò non contribuisce né a rasserenare gli animi né ad alimentare una discussione seria sulle prospettive di questo Paese. Però avere una memoria condivisa non vuol dire che si debba anche accettare come una fatalità il mistero che avvolge fatti come la strage di Bologna, appunto, o Piazza Fontana, quando a distanza di decenni non è emersa ancora nessuna credibile verità giudiziaria. Ma questo ha poco a che vedere con i diari e la memoria dei singoli, e anche con la memoria degli artisti, quella che trasfigura la realtà eppure forse la racconta meglio della cronaca».

Le cose più definitive sulla Resistenza le ha scritte Fenoglio...
«Appunto: l’artista può “narrare” meglio di altri la verità storica, proprio perché la può, in qualche misura, inventare. A questo servono un quadro come Guernica o un libro come La storia di Elsa Morante, questo è il patto che un artista sottoscrive col pubblico, e tanto più rispetta questo patto quanto più riesce a emanciparsi dal ruolo di notaio della memoria prevalente... O di grillo parlante. Un artista dovrebbe avere ali, o almeno trampoli, che gli permettano una visione diversa da quella scientifica, ma non per questo meno essenziale».

Però questo assolve l'artista da ogni responsabilità: viene facile dire le peggiori cose, con il pretesto dell'arte. Passi il revisionismo, ma non vorrei arrivare a giustificare il negazionismo... Magari Ahmadinejad si considera un artista...
«Gli artisti non hanno la pretesa di scrivere i manuali di storia, e anche chi, come me, considera Céline un grande scrittore si guarda bene dal condividerne automaticamente le idee. Ma credo che anche uno studioso serio debba in qualche misura diffidare dal concetto di verità storica assoluta. Quanto al negazionismo, ci è odioso come la Donazione di Costantino o i Protocolli dei savi di Sion. E’ un falso storico che alimenta altre falsità: e tanto basti alle persone mediamente colte, per bene e di buon senso. Ma è anche vero che nella ricerca storiografica recente non devono esistere zone intoccabili, il politicamente corretto non deve mai prevalere sul rigore scientifico e sull'onestà intellettuale. Tornando, se permette, a cose più futili, penso a Bob Dylan che per scrivere la sua autobiografia è andato in giro a chiedere agli altri cosa si ricordavano di lui. Non so se poi ha scritto proprio tutto quello che gli hanno raccontato ma trovo che il suo sia stato un approccio fra i più onesti a una rivisitazione di se stesso. Ecco un’altra cosa straordinaria della memoria: della tua memoria non sempre ti puoi fidare, e allora diventa preziosa quella degli altri».

Ancora la memoria selettiva...
«La memoria selettiva è un grande dono per gli uomini: un computer lavora per accumulo, ciecamente, finché è pieno, mentre l'uomo continua all'infinito a selezionare i ricordi e ad organizzarli secondo criteri suoi, profondi e misteriosi. E’ una cosa straordinaria. E' questo che rende la vita una cosa poetica, è questo che ci consente di raccontarla. Nemmeno il più grande degli scienziati avrebbe potuto inventare un meccanismo così perfetto».

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 12 settembre 2009)

 

 

 

 

Ore 11, lezione di podcast

La loro classe assomiglia tanto ad uno studio di registrazione. Sui banchi, al posto dei libri, ci sono cd, cuffie e microfoni, mentre sulla cattedra – accanto al tradizionale registro – spunta un mixer con centinaia di levette. Sono le 11 e la campanella ha rispedito in aula gli studenti della Terza media di Faloppio, piccolo paese del comasco alle porte con la Svizzera.
"Prof – esordisce una ragazzina con i capelli nero corvino – cosa ci fa ascoltare oggi"? "De Gregori", risponde l’insegnante di Italiano, Luca Piergiovanni. "Voglio che ascoltiate attentamente le parole di questa canzone, Generale, e poi le confrontiate con quelle della poesia Veglia di Ungaretti".
All’Accademia della Crusca, l’istituto nazionale per la salvaguardia e lo studio dell’Italiano, è molto probabile che arriccerebbero il naso. Ma questa moderna forma di didattica sta sbancando il web: le lezioni del "prof" Piergiovanni e dei suoi alunni sono diventate un podcast che, in poche settimane, ha scalato la classifica dei siti dedicati all’istruzione. Per scoprire come, bisogna andare all’indirizzo http://chocolat3b.podomatic.com. Intanto Mondo Erre si è fatto raccontare dal "prof" com’è nata questa avventura.

 

 

 

 

DE GREGORI CANTERA' IN DIALETTO A FESTIVAL ID&M

 

(ASCA) - Milano, 14 set - Ci sara' anche un big del calibro di Francesco De Gregori al festival Identita' e Musica di Milano. La rassegna - che porta la firma di un legista doc come l'assessore alla Cultura della Regione Lombardia, Massimo Zanello, che l'ha fortemente voluta - e' di fatto il primo festival italiano dedicato alla cultura musicale dei territori.
Ed e' proprio per questo che tutti gli artisti canteranno in dialetto. Si parte il 15 ottobre, quando dal palco del Teatro Dal Verme di Milano si esibiranno 12 voci lombarde, per finire il 6 e 7 novembre: sara' il teatro degli Arcimboldi ad offrire il proprio palcoscenico alle due serte principali della rassegna. Oltre al cantautore romano, ci saranno altri grandi nomi della musica italiana: Enrico Ruggeri, i Tazenda, Teresa De Sio, Simone Cristicchi e il coro dei minatori di S.Fiora, Andrea Miro'm Luigi Maieron e Lou Dalfin. Tutti pronti a cantare nel proprio dialetto d'origine sotto la direzione artistica di Davide Van De Sfroos.
''Il linguaggio musicale - ha spiegato Zanello presentando il festival alla stampa - diventa l'occasione per offrire al pubblico la ricchezza della lingua locale come espressione del legame alla terra, luogo di identita' e partecipazione''.
La rassegna di musica 'dialettale' promossa a Milano dall'assessore leghista arriva dopo le polemiche estive sollevate proprio come conseguenza della proposta della Lega Nord di introdurre l'insegnamento dei dialetti nelle scuole.
Sorprende, dunque, la partecipazione di De Gregori, cantautore romano tradizionalemente paladino dei temi della sinistra: tra gli altri successi di De Gregori spicca ''Viva l'Italia'', di fatto un inno all'unita' nazionale che a un certo punto recita ''Viva l'Italia, l'Italia tutta intera''

 

 

 

Il Riciclo dei cantautori?

Milano, lunedì 14 settembre 2009 (ludovico - ilgiornale.it)

Di certo non se l’aspettava nessuno. Perciò non è passato inosservato l’annuncio che Francesco De Gregori sarà ospite in una delle prossime puntate di X Factor. Sul web, in tutta quella infinita sequela di siti e blog che commentano le notizie, c’è chi si è stupito, chi ha nostalgicamente sacramentato, chi invece si è rassegnato all’inevitabile ticchiettìo del tempo. E senza dubbio De Gregori, il Principe da quarant’anni maestro di parole austere e poetiche, che sale sul palco dove sono sbocciate Giusy Ferreri o Noemi è il segno più clamoroso di una nuova fase dei cantautori. Chiamiamola, se volete, riflusso. Oppure diaspora. Oppure rifondazione. I cantautori come per decenni li ha riconosciuti l’immaginario collettivo, quel plotone di artisti vocati alle canzoni e compatti anche nei loro orientamenti sociali e comportamentali (la politica è motore dell’arte, abbasso la tv, niente paillettes), non esistono più. Sono rimasti nel passato, dove peraltro ancora molti li cercano. Loro ormai sono diversi e basta darci un’occhiata per accorgersene. Altre strade, altre ispirazioni, addirittura conversioni. Di De Gregori s’è detto: continua il suo pellegrinaggio concertistico alla Bob Dylan, cui spesso è avvicinato, suonando ovunque, anche nelle piazze periferiche e in contesti una volta impensabili (lo conferma il titolo di qualche giorno fa della Gazzetta di Parma: «Il re dei salumi “vuole” il principe dei cantautori» riferito ai concerti del festival del Prosciutto). Produce, De Gregori, album di vendite alterne, appesi a metriche anche sublimi eppure sempre meno citate.

E Francesco Guccini, quello che l’anno scorso, come anche Antonello Venditti, ha benedetto X Factor? Scrittore talentuoso da oltre vent’anni, si alterna tra i pugni che si chiudono quando ai concerti canta quel famoso «trionfi la giustizia proletaria!» della Locomotiva e le interviste in cui spiega che comprò l’eskimo solo perché proteggeva dal freddo, facendo inorridire anche Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere («oggi c’è il tradimento dei cantautori»). L’impressione è che, finito il propellente ideologico politico che giocoforza aveva carburato una gioiosa macchina da guerra discografica e opinionistica, ciascuno dei cantautori storici ora segua il proprio percorso solitario e puro che talvolta li espone a compromessi da saltimbanco (il famoso «non ho mai letto Marx e Marcuse» sempre di Guccini) ma spesso li porta fino a frontiere egregie e nuovamente godibili. Prendiamo Lucio Dalla, per esempio. Onnivoro e inarrestabile, forse il più lucido di tutti i cantautori in questa fase, mescola la passione per il jazz con l’opera lirica; non si fa scrupoli a far comparsate tv di ogni tipo con la leggerezza necessaria; diventa regista della Tosca di cui modifica pure una parte del libretto; porta in scena L’Opera del mendicante di John Gay. E scrive addirittura quell’inno ufficiale degli italiani alle Olimpiadi di Pechino che già nel titolo, Un uomo solo può vincere il mondo, è già una piccola, magari inconsapevole, negazione di quei versi che in Com’è profondo il mare dipingevano esattamente il collettivismo del 1977: «Certo chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche / il pensiero è come l'oceano / non o puoi bloccare, non lo puoi recintare». Poi c’è chi, come Enzo Jannacci, negli anni è passato da un nichilismo poetico e utopistico e qualche volta gozzoviglioso, all’innamoramento vendicativo per Gesù «che oggi ci prenderebbe a sberle». Ben più inquieto Roberto Vecchioni, ultimamente più fertile come scrittore che come autore di canzoni. La forsennata cavalcata della sua Samarcanda del 1977 non ha solo dato il titolo a un programma di Santoro ma era anche un elogio quasi stoico dell’inevitabilità del destino (Seneca diceva: il fato guida chi lo segue, trascina chi recalcitra). Facile intuire a quale destino politico alludesse. Oggi Vecchioni ha scoperto la preghiera, si è avvicinato a Dio, riconosce addirittura l’onestà della destra e dice che «il sei politico è stato un orrore». Roba che se l’avesse detta trent’anni figurarsi dove finiva il consenso degli intellettuali di cui ha sempre goduto. Come passa il tempo. Insomma, quella dei cantautori è una rinascita impensabile ma inevitabile che forse trova le sue ragioni in quel verso di Giorgio Gaber, coraggioso perché doloroso e persino implacabile: «La mia generazione ha perso».

In parte con l'articolo sono d'accordo, in parte no.
Ognuno è libero di fare quello che vuole nella sua vita e nessuno deve giudicarlo, ma è anche vero che come dice il """"Giornalista"""" se queste cose fossero state fatte tempo fa, sarebbero crollati subito quegli ideali portati avanti dai cantastorie; Guccini e l'eskimo, il giornalista raggelò... Qualche altra minchiata da aggiungere? Non era stato lo stesso Francesco a dirlo nella sua canzone per cosa usava l'Eskimo?
De Gregori a xFactor, bene è un cantante, va dove piglia soldi è la morale di oggi purtroppo non ci si astiene più a fare queste cose per questioni di ideali e politica.
Vecchioni e Dio, non vedo cosa c'è di male... Riconosce l'onesta della destra, beh, chi ha mai detto che la destra sia più onesta della sinistra? Qual'è il target di onesta oggi?
Articolo tanto inutile quanto ignorante, quando alla fine cita Giorgio Gaber, intanto quella frase non si riferiva per nulla alla gente di cui parla l'articolo, ma ai polli d'allevamento... Ma poi Gaber non cantava: "Un'idea, un concetto, un'idea finchè resta un'idea è soltanto un'astrazione...."?

 

 

 

De Gregori, l’Italia raccontata da un «cronista» con la chitarra
Quattordici al­bum per raccontare una gran­de storia. Quella di Francesco De Gregori. È la nuova iniziativa targata Corriere della Sera: da oggi, e a seguire ogni marte­dì fino al 5 gennaio, in edicola troverete settimana dopo settimana i cd della collana «Contemporanea » dedicata al cantautore romano. Ciascun album è in vendita a 10,90 euro (più il prezzo del quotidiano) ed è accompagnato da un contributo inedito di circa 40 pagine. Interviste esclusive nelle quali De Gregori racconta la nascita e i retroscena di ogni cd, più una guida all’ascolto e i testi di tutte le canzoni.Si comincia (e come poteva essere differente?) con quello che è il suo album più celebre e (forse) migliore: «Rimmel». Uscito nel 1975, mise l’allora giovane musicista sotto le luci della ribalta. Non che De Gregori fosse uno sconosciuto assoluto, aveva infatti alle spalle una discreta gavetta. Dal 1970 era ospite fisso del Folkstudio, la mitica cantina di via Garibaldi a Roma dove sono passate generazioni di musica popolare e autoriale italiana. Era già stato in tour nel ’71 come chitarrista di Caterina Bueno. E aveva registrato diversi dischi: «Theorius Campus» in duo con un’altra giovane promessa del­la musica italiana (Antonello Venditti), il suo primo da solista («Alice non lo sa», in vendita in questa collana dal 20 ottobre) e «Francesco De Gregori », album d’esordio con una major discografica (la Rca italiana, dall’87 acquistata dal colosso Bmg) e penultimo appuntamento di questa raccolta.

 

INTERVISTA A PAOLO VITES

Walter Gatti INT. Paolo Vites mercoledì 28 ottobre 2009

In queste settimane il Corriere della Sera, seguendo un progetto ad ampio respiro di ri-pubblicazione discografica (che ha toccato con il cofanetto dedicato a Mogol-Battisti la sua punta di maggior successo di vendite), sta offrendo ai lettori e agli amanti della canzone d'autore, la discografia di Francesco De Gregori. Il cantautore romano, 58 anni, musicista che ha legato il suo nome e la sua produzione ad album fondamentali tra cui "Rimmel" (1975), "Buffalo Bill" (1976), "Viva l'Italia" (1979) e "Canzoni d'amore" (1992), ha scelto per questa operazione musical-editoriale di raccontarsi a uno dei giornalisti musicali italiani più dotati di sensibilità, intelligenza e capacità di narrazione personale. Stiamo parlando di Paolo Vites, caro amico nonché giornalista di profondità speciale.
Abbiamo chiesto a Paolo di raccontarci com'è andata con De Gregori, non tanto per carpire inesistenti gossip, quanto per provare ad andare sotto la pelle del suo incontro con l'autore di Alice. Ecco cosa ne è venuto fuori.
Sei l'autore dell'intervista compresa nel cofanetto che il Corriere ha dedicato a Francesco De Gregori. Un'intervista lunghissima... È stata più una fatica o un piacere realizzarla?

P.V. - È stato certamente più un piacere. Non capita tutti i giorni di poter scavare a fondo nella vita e nel pensiero di un grande autore di canzoni, famoso poi per come difende la sua privacy.
Quante ore di dialogo avete avuto per realizzarla? E dove è accaduto il tutto?
P.V. -Abbiamo trascorso due interi weekend a chiacchierare a casa sua a Roma. Più altre rifiniture avvenute via e-mail o nei camerini prima di un suo concerto in un paio di occasioni.Con Francesco, come del resto con qualunque artista, non è facile constringerlo a "raccontarsi", bisogna saper cogliere la sua voglia di parlare in qualunque momento questa gli scappi fuori, magari anche al ristorante davanti a un bel piatto di bucatini alla romana...
Spesso si dice che De Gregori è "gelosissimo" della sua vita personale e artistica. Ne consegue che con pochissimi giornalisti "si conceda". È Vero? Cosa è scattato tra lui e te affinché si decidesse in questo "dialogo senza rete"?
P.V. -È esattamente così. Francesco De Gregori custodisce la sua vita fuori dal palcoscenico in modo molto serio e dignitoso. Spesso è stato accusato di avere in antipatia i giornalisti, ma quello che gli dà fastidio è la banalità, cosa in cui purtroppo si rischia di cadere facendo il lavoro del giornalista. Lui, la banalità, la rifugge, per cui non ama farsi intervistare.
P.V. -Tra me e lui è semplicemente scattata un'amicizia e una stima reciproca, che durano ormai da quasi vent'anni, da quando ci siamo conosciuti. Un'amicizia nata dalla nostra comune passione per Bob Dylan, scambiandoci registrazioni live di concerti e opinioni. Una volta mi chiese di fargli avere tutte le registrazioni live che avevo di un brano di Dylan, If You See her Say Hello senza spiegarmi perché e un paio di anni dopo in un suo disco vidi con sorpresa la sua versione proprio di quella canzone. Credo che la sua stima nei miei confronti, che lo ha portato a scegliermi per fare questo lavoro, nasca proprio dalla discrezione con cui ho sempre gestito questa nostra amicizia.
Qual è il ritratto complessivo di De Gregori che secondo te emerge da questa lunga intervista?
P.V. -Quello di un uomo libero come se ne trovano raramente oggi in Italia e di un musicista che alla soglia dei 60 anni ama ancora fare musica come quando iniziò da ragazzo. Ancora oggi De Gregori si definisce uomo di sinistra, ma assolutamente lontano da qualunque visione ideologica. Tante sue canzoni hanno affrontato il tema della Seconda guerra mondiale visto dalla parte dei perdenti (lo zio di De Gregori, partigiano cattolico, venne ucciso in un increscioso episodio da parte di partigiani di sinistra), ad esempio Il cuoco di Salò, facendo spesso scattare polemiche nei suoi confronti da parte di certi intellettuali. Durante una delle nostre conversazioni, poi, sottolineando la sua grande ammirazione per Pasolini, ha dichiarato di condividere oggi - dopo che negli anni Settanta si era dichiarato profondamente contro - la posizione dell'intellettuale scomparso a proposito dell'aborto, che cioè esso non sia "un diritto civile". E non dimentichiamo che l'anno scorso, durante le tante celebrazioni dei 40 anni del 1968, lui è stato l'unico in Italia ad andare… contro, con una canzone intitolata appunto Celebrazione che faceva a pezzi i miti del '68.
Quali sono le "parole chiave" da seguire per comprendere meglio De Gregori?
P.V. -Non credo ci siano delle parole chiave. O forse sì: "canzoni d'amore". Riascoltando a fondo il suo repertorio sono rimasto colpito di come il 90% delle sue canzoni tratti l'amore, in modo quasi shakesperiano, quasi dantesco, cioè come mistero che rimanda ad altro da noi. Lui stesso ha definito L'angelo di Lione "una canzone sulla trascendenza dell'amore".
Credi che il cantautore romano sia il più grande autore della nostra canzone? Se sì, perché?
P.V. -Non saprei. Si batte bene accanto a uno come Fabrizio De André. Forse ciò che lo rende "grande" è che dopo 30 anni di carriera è ancora vitale e inventivo, a differenza di tanti suoi coetanei.
Fondamentale per un musicista, è capire le proprie radici, i propri riferimenti. Dylan continua a essere il background dell'autore di Rimmel?
P.V. -Assolutamente sì. Non tanto nell'aspetto musicale, quanto nell'attitudine, quella dell'assoluta improvvisazione, dell'istinto a discapito della programmazione, della voglia di suonare dal vivo più che nel incidere dischi in studio. D'altro canto Bob Dylan, come De Gregori, è un altro grande "uomo libero".
Come molti - o forse tutti i grandi autori italiani e anglo-americani - dopo anni di produzione alacre, in questi ultimi anni anche De Gregori ha di molto diradato i dischi di nuove canzoni. Mancanza di nuove idee, vena non più feconda o nuove leggi di marketing?
P.V. -È un po' quel che ho già risposto: una volta durante le nostre conversazioni mi ha detto di non voler più fare dischi, solo andare in giro a cantare dal vivo. Non so se sia vero, ma anche Francesco, come tutti gli artisti della sua generazione, è un po' spiazzato dai mutamenti del mondo della musica di questi tempi recenti: le case discografiche praticamente non esistono più, le televisioni e le radio non sono più veicoli di promozione musicale ma solo vetrine dove mettere in mostra finti talenti costruiti a tavolino. Certo sarebbe un peccato se davvero smettesse di pubblicare dischi.
Per finire una domanda personale: quali sono le canzoni - o dischi degregoriani - a cui sei più legato?
P.V. -La canzone Rimmel, ovviamente, una delle canzoni d'amore più intense mai scritte in Italia; la canzone Cardiologia, una delle sue più recenti, in cui l'amore viene descritto in termini di assoluta poesia e di grande realismo.
La canzone Santa Lucia, che esprime il suo senso della religiosità, altro elemento molto presente nella sua produzione. Un disco che amo molto al momento tra i suoi è "Buffalo Bill" del 1976, in cui c'è appunto Santa Lucia, che ho riscoperto andando a recuperarlo per questo lavoro e che trovo contenga alcune delle sue composizioni più belle, anche se molte di esse oggi quasi dimenticate da lui stesso.

 

 

 

 

Addio a Corrado Sannucci

 

di FABRIZIO BOCCA
ROMA - Adesso che Corrado se ne è andato, non è il vuoto che si sente, non ancora - la sua scrivania è qui davanti ricolma di libri - ma la disperazione quella sì. Ci aveva davvero convinto che ce l'avrebbe fatta e che anzi alla fine del suo viaggio avrebbe indicato la strada a tutti quanti. Ci ha scritto un libro di successo sopra: "A parte il cancro tutto bene" (video). Un titolo volutamente ottimista, ma anche sarcastico come lo era lui. Quel titolo lo aveva rubato a un simpatico ragazzo del bar sotto casa dove andava a prendere il cappuccino tutte le mattine. E a cui Corrado si era affezionato per la sua bonarietà: "Allora dotto', che si dice oggi di questa Roma?". Messo al corrente però di quanto gli stava accadendo, il barman aveva sorriso e risposto così, cercando di fargli forza alla sua maniera: "Beh, a parte il cancro tutto bene, no?" "Beh... sì, a parte questo tutto bene".
Per Corrado fu quasi un'illuminazione, ci aveva visto una profonda filosofia di vita e la sintesi perfetta della sua stessa storia. In quella singolare frase, così piena di vita, e nella sua famiglia, la moglie Maresa e soprattutto l'adorata piccola Olimpia - cui un giorno raccontò che i suoi globuli rossi avevano cominciato a starnutire e che pertanto non poteva più viaggiare... - aveva trovato la forza di lottare e di affrontare il cammino che lo aspettava.
Corrado Sannucci aveva cinquantanove anni - era nato nel 1950 a Roma - troppo pochi per andarsene. Ma aveva già vissuto tre vite: il cantautore, il giornalista, lo scrittore. Corrado aveva una cultura sterminata, un paio di armadi pieni di volumi rari, almanacchi, vecchie riviste. Sempre con un quotidiano aperto sotto il naso, divorava un giornale sportivo dalla prima pagina all'ultima breve. E commentava: "Ma guarda questo che tempo sui 400 ostacoli". Sannucci è stato uno storico dello sport, conosceva personaggi e storie incredibili, andava a caccia, che so, dei sopravvissuti al Mondiale del 1930. E più si andava indietro nel tempo, più lui sapeva. Bolt come Dorando Pietri. Sulla sua scrivania ha lasciato di tutto, anche i volumi "The complete book of Olympics" sempre pronti a essere consultati.
Ma la prima vita di Corrado è stata quella di cantautore. Faceva parte della generazione impegnata degli anni 60 e 70, pensava davvero che con la chitarra si potesse cambiare il mondo. E lo credeva ancora. Da giovane aveva prodotto e composto Lp. Tanti pezzi che cominciò a cantare nel famosissimo Folkstudio di Roma; insieme a lui Pietrangeli, De Gregori, Venditti, Locasciulli. Il suo brano più famoso "La Caffettiera" dedicata al femminismo: una coppia sessantottina litiga per chi deve fare il caffè. Alla fine marceranno entrambi in corteo verso la cucina. La chitarra non l'aveva mai lasciata, continuava a scrivere e a fare progetti con Giovanna Marini. Una notte di tanti anni fa, chiuso il giornale, finimmo tutti in un buco trasteverino a bere e cantare: lo costringemmo a venirci dietro e cantare una canzonetta stupida, "Tropicana Ye" del Gruppo Italiano. Alla fine manca poco ci sfascia la chitarra in testa. La sua cassettiera è piena di cd e prove in studio.
Quando Sannucci non scriveva per il giornale o componeva musica, allora scriveva libri. Cominciando dal suo impegno politico. Uno su Lotta Continua, uno sulla decadenza del calcio italiano( La Notte del Calcio) affrontata in maniera molto singolare: all'uscita di Corea-Italia il protagonista si imbatte nella notte in un ubriaco con cui comincia a vagare e perdersi per Seoul. E poi l'ultimo libro: "A parte il cancro, tutto bene" era praticamente una missione. Il suo telefono in redazione non smetteva mai di squillare, tanta gente nelle sue stesse condizioni lo chiamava per avere un consiglio, per sapere come affrontare il percorso. Gli ospedali gli chiedevano conferenze, i convegni medici volevano che partecipasse. Nel libro racconta di essersi fatto fare da un gioielliere una piccola spilletta che riproduceva il minuscolo congegno di plastica che gli iniettava il medicinale. "Una delle più incredibili invenzioni dell'uomo. Tutte le persone nelle stesse condizioni dovrebbero portare questa spilletta. Per riconoscersi". Considerava la malattia quasi un club esclusivo. Da cui uscire a tutti i costi, ovviamente. Ma il sapere di poter aiutare gli altri era una cura a sua volta, non l'abbiamo mai visto una volta piangere o disperarsi o abbandonarsi. Tutti quando lo vedevano gli dicevano "Allora Corrado, ce l'hai fatta". E lui non disilludeva mai nessuno, forse nemmeno se stesso.
A maggio aveva voluto salutare tutti, alla sua maniera, allegramente, nella sua bella casa romana prima di fare un altro pezzo di strada del suo viaggio. Sembrava davvero indistruttibile. "A parte il cancro, tutto bene" davvero.

 

 

 

 

Un concerto giocherellone in un teatro gremito e festante

di Maria Lombardo - la Sicilia, 9.12.2009

 

Non sono necessarie megainterviste per richiamare in teatro il pubblico di Francesco De Gregori. Basta un fischio e sono tutti lì. Pubblico, non fan, termine troppo leggero, modaiolo o superficiale, inadeguato a significare l’attaccamento che chi ce l’ha, ce l’ha, indissolubile, verso la musica di questo cantautore che resta a 58 anni suonati una delle voci più nobili della musica italiana, «trasversale» all’età della gente. Essere degregoriani è una specie di fede, un modo d’essere e di sentire per poesia, per metafora, per musica. Musica mai uguale, mai ripetitiva anche se le canzoni sono quelle tradizionali del repertorio, con variazioni di scaletta ma nella sostanza quelle. «Quattro cani» e «Compagni di viaggio», «Per le strade di Roma» e «Pezzi di vetro», «L’angelo di Lione» e «Titanic»: ora con accordi cambiati, ora con parole delle strofe invertite. Perchè se il Principe è in forma, come lo era l’altra sera al Metropolitan, per il concerto organizzato da Musica e Suoni di Nuccio La Ferlita, si diverte a giocare. E con lui la band, la stessa di sempre formata dagli strepitosi Paolo Giovenchi e Alessandro Valle, Stefano Parenti e Alessandro Arianti, Guido Guglielminetti (capobanda che cura gli arrangiamenti) e Lucio Bardi.
Catania è Catania e l’artista ha incredibilmente raddoppiato la sua presenza rimanendo un giorno in più per una conversazione con il pubblico del tutto insolita, un omaggio a questa città che gli sta a cuore per il mare e per la gente. Perchè, dice, «il pubblico catanese è uno dei più calorosi e competenti». «Non ci sono - aggiunge dietro le quinte - che i siciliani e i pugliesi, e naturalmente i napoletani, i romani giusto perchè Roma è Roma, a intendersi di musica». Così si canta e si grida «Ciccio», si suggerisce e si fa il coro in un concerto tutto di filato, senza intervallo, con una band straordinaria, una scenografia fatta di fasci di luce in diagonale che
vanno dal verde al viola, dal giallo al rosso. «Quattro cani» sopra le righe, «Capo d’Africa» stirata alla chitarra elettrica, «Nino» che vola fra assolo di chitarre acustiche, Tenco nel segno del blues, e mentre «Viva l’Italia» e «La storia siamo noi» suscitano fra la platea un «Viva la democrazia», il ritmo di «Agnello di Dio» si fa ossessivo. Con passo dinoccolato, in completo scuro, maglietta viola e scarpe da tennis bianche, il Principe passeggia per il palco e al solo piano canta «La donna cannone ». Una voce cambiata negli anni ma che sa avvolgere le parole, mai uguale a se stessa. Fra i bis finali «Buona notte fiorellino» non senza cantare tutti in coro «tra due giorni e Natale» in un cliccare di luci similalbero.

 

 

De Gregori, un principe al Metropolitan

di Antonia Arrabito

Il tour di Francesco De Gregori ha fatto tappa a Catania, lunedì scorso. Il cantautore romano e la sua band hanno offerto due ore di buona musica, all'insegna di brani recenti e dei più celebri classici, a metà tra tradizione e nuovi arrangiamenti

Il “principe” della musica leggera italiana - così viene definito ormai da anni - torna a Catania. E lo fa al Teatro Metropolitan, ad un anno dall'uscita del suo ultimo album, intitolato “Per brevità chiamato artista” . “Artista”, infatti, è l'unico appellativo che Francesco De Gregori riconosce, rinunciando volentieri a quello di “poeta” o “cantautore”, che inevitabilmente gli vengono attribuiti.

Il pezzo d'esordio della serata è “Quattro cani”. Un brano soft ed evocativo (tratto dall'album Rimmel, 1975), basato sulla metafora dei randagi. Metafora che introduce il pubblico al resto del repertorio, fatto di melodie lineari ma quasi in contrasto con significati di non immediata comprensione. E che ricorda «che è del mondo che sono figli, i figli». Un concetto apparentemente elementare, ma evocativo di un grande senso di libertà.

Si alternano poi pezzi “orchestrati” e pezzi da solista.
E' la sola chitarra acustica ad accompagnare “Per le strade di Roma” (2006), impietosa ed amara descrizione dei quartieri della capitale: dalla Magliana all'Argentina, dalla Salaria alla Tiburtina, «sui cui terrazzi spunta il sole» proprio perché situata ad est. Medesima scelta strumentale per “L'angelo di Lyon” (2008), scritta dal fratello Luigi e definita dallo stesso De Gregori «una canzone d'amore sull'amore»: ritratto di un uomo che impazzisce e si perde alla ricerca della donna perduta. E ancora è sempre e solo la chitarra del cantautore a far da sottofondo a “Vai in Africa, Celestino”(2005), omaggio a Bob Dylan (con stoccatina a W. Veltroni e alla sua vocazione differita) che induce alla ricerca di una terra ancora incontaminata, come l'Africa, mentre nel resto del mondo «ognuno è martire del suo destino».

L'ingresso della band segna anche l'atteso tuffo nel passato del cantautore.
De Gregori ripercorre le pietre miliari della sua carriera cantautorale, passando da “Titanic” (1982), la ballata ispirata alle diverse classi sociali a bordo della famigerata nave, a “La leva calcistica della classe '68” (1982), melodia dedicata al calcio e ai suoi valori. Da “Rimmel” (1975), storia di un amore freddo e distaccato, riproposta con un riff più ritmato e a tratti esotico, a “Viva l'Italia”, ritratto di una nazione che, se alla fine degli anni sessanta era «colpita al cuore», forse oggi sarebbe solo «da dimenticare».

Un viaggio nella storia della musica italiana, ma anche in quella dell'intimità umana. Il che rende difficile considerare solo una canzone un pezzo come “La donna cannone”: vera e propria poesia - non ce ne voglia l'artista - sull'amore di una donna da circo che rinuncia al suo numero per assecondare i sentimenti. O come “Sempre e per sempre” (2001), che regala al pubblico un momento di rara intensità. Forse perché accompagnata soltanto dal pianoforte. O forse perché è vero che «il vero amore può nascondersi, confondersi, ma non può perdersi mai».

La chiusura è d'eccellenza. Con “Buonanotte fiorellino” ed una tenerezza trasformata in suono da una fisarmonica. E' questa la peculiarità di De Gregori: l'incapacità di banalizzare i sentimenti, persino i più elementari.
A dimostrarlo, i continui “Bravo Ciccio!” urlati dal pubblico per ricambiare tutto il calore ricevuto. E per restituire quell'abbraccio, che il riservato Francesco ha elargito sin dalla prima canzone, usando la voce al posto delle braccia.

http://www.step1.it

 

 

 

L’autonomia inspiegabile della musica

di Agata Pasqualino

 

All'indomani della tappa catanese del suo tour, il cantautore Francesco De Gregori ha incontrato un numeroso pubblico di ammiratori davanti ai quali ha parlato di successo, musica e del perché le canzoni non si spiegano.

«L’idea di avere successo è strettamente collegata alla voglia che si ha di raccontare le cose, perché è normale che si voglia arrivare a quanta più gente possibile», risponde così Francesco De Gregori alla domanda su cosa lo abbia spinto a diventare un cantante, se la voglia di successo o quella di comunicare qualcosa, che il vice direttore del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, gli ha rivolto all’inizio dell’incontro che si è svolto martedì al Monastero dei Benedettini, all’interno del ciclo di appuntamenti LibrinScena organizzati dal teatro Stabile di Catania in collaborazione con l’Università etnea.

In un Auditorium stracolmo di ammiratori, tra cui tantissimi giovani, a testimonianza del fatto che la musica del cantautore romano si rivolge a un pubblico senza limiti anagrafici, De Gregori ha parlato delle origini della sua carriera rivelando il suo sogno di bambino. «Quando da piccolo – racconta – vedevo il palco del cinema dove spesso andavo con i miei genitori, sognavo tutte le volte di salirci». Spiega inoltre di aver avuto come modello, con sorpresa dei presenti, Gianni Morandi: «Ho imparato dalle cose che ho ascoltato. Ho avuto tanti modelli, come Morandi, per esempio. È di una bravura straordinaria e poi aveva grande popolarità perché stava completamente dentro la storia del nostro paese».

Partendo dagli esordi, si è arrivati alle riflessioni sulla musica degli anni settanta e ottanta: «Il mio modo di cantare apparteneva a una terza via: non a quella della canzone romantica alla Zanicchi o alla Morandi, né a quella della canzone dell’impegno sociale. Anche se un giorno dissi a Ivan Della Mea, un grande scrittore di canzoni di lotta e di canzoni in generale, che in fondo io e lui stavamo sulla stessa barca perché facevamo canzoni “fuori” Sanremo. Lui mi rispose un po’ infastidito che non era affatto vero. Poi, anni dopo, lo rincontrai e mi disse che avevo ragione».

Non poteva mancare, all’interno della discussione sul panorama attuale della musica in Italia, un commento su Sanremo, che per il cantante presenta solo una parte della canzone italiana trascurando quella d’autore, e sul talent show X-Factor, in cui è stato ospite, al quale De Gregori fa riferimento dichiarando la sua simpatia per i partecipanti al programma, dei quali non giudica negativa la voglia di successo fine a se stessa: «Mercato e successo non sono strade demoniache, conta come ci cammini sopra».

È scattata qualche risata quando Battista, nel sottolineare la differenza tra i suoi punti di forza, basati sul contenuto dei suoi testi, e quelli dei giovani protagonisti dei talent show, ha commentato che questi hanno la bella voce che lui non ha, e quando, sempre parlando di successo, De Gregori ha ricordato l’imitazione che di lui fa Fiorello nei “canti degregoriani”: «Essere imitati è una consacrazione della popolarità, però preferisco che vengano imitati gli altri. Provo sempre un minimo di fastidio, anche se Fiorello mi piace molto. perché è umile e rispettoso e non ridicolizza come fanno altri, di cui però non vi dirò i nomi».

Alla domanda del giornalista che gli chiede se dopo aver scritto “La donna cannone” fosse già consapevole di aver creato un classico della canzone italiana considerato poesia, De Gregori risponde che aveva capito che era commovente e che ancora oggi quando la canta c’è un passaggio che lo emoziona sempre, ma «la canzone d’autore – precisa – non è poesia, semmai è poetica: è la musica che crea quel legame strano con le parole che dà vita alla canzone che non ha debiti verso nessun altra forma d’arte». E solo a un artista del suo spessore si può perdonare l’essersi rifiutato di intonare il passaggio della canzone che ancora lo commuove.
Forse ha voluto evitare una reazione scontata dell’uditorio: «Dopo anni che suoni una canzone e fai concerti, alcune reazioni del pubblico diventano prevedibili. Quando la sensazione che mi dà questa prevedibilità comincia a darmi fastidio, per un periodo congelo la canzone che la provoca».

Oltre che a “La donna cannone”, si è fatto riferimento a “Viva l’Italia”, che raccoglie sempre grandi applausi ai concerti, mentre quando uscì fu negativamente percepita come una canzone di destra e in seguito fu usata anche da alcuni gruppi politici, con disappunto dell’autore: «I politici prendono le canzoni e pensano che sia un modo per avere consenso, ma non è vero. Non mi fa piacere quando le mie canzoni vengono connotate, anche se ho capito che il loro destino è quello di essere usate: appartengono non solo a chi le scrive ma anche a chi le applaude». E ancora, rispondendo all’accusa di revisionismo mossagli a causa della canzone “Il cuoco di Salò”, De Gregori afferma: «Mi scoccia molto spiegare le canzoni, le canzoni vanno scritte, cantate, ascoltate e mai spiegate».

Battista, nella sua intervista, è sembrato poco spontaneo, si ha avuto la sensazione troppo netta che nessuna delle domande sia nata sul momento e non si è lasciato spazio per quelle del pubblico, ma forse c’era da aspettarselo, visto che il giornalista aveva aperto l’incontro accennando ad una, solo alla fine pienamente compresa, metafora sul fatto che l’incontro fosse stato concepito dagli organizzatori come una pizza margherita e si augurava, quindi, che non ne venisse fuori una carbonara.

Prima della conclusione la parola è passata al direttore artistico dello Stabile, Pietrangelo Buttafuoco, che ha chiesto a De Gregori quale tra le sue canzoni e quale messaggio siano destinati a superare lo scoglio delle generazioni. «Io spero – ha risposto il cantautore – che la canzone destinata a durare sia Viva l’Italia. Le donne cannoni non si incontrano spesso, in Italia invece ci viviamo tutti i giorni. Riguardo al messaggio è più difficile rispondere, ma quello che voglio fare adesso davanti a questa bellissima platea è affermare l’autonomia della mia arte, dell’arte canzone».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In prima fila, il Nostromo di questa nave

 

 

A destra, mentre si intrattiene con gli ammiratori di Ciccio, il mio amico nonchè fondatore del RimmelClub, Avv. Daniele Di Grazia

 

fotografie di Michela Becciu

 

 

 

 

De Gregori, ovvero la «terza via» tra la canzone politica e Morandi

di Samatha Viva - La Sicilia, 9.12.2009

 

«Un incontro inedito, una sorpresa da regalare al pubblico»: l’aveva annunciato il presidente dello Stabile, Pietrangelo Buttafuoco, e così è stato. In un Auditorium gremito, incastonato tra i viali di pietra dei Benedettini, una folla di giovani, giovanissimi e "meno" giovani, ha aspettato in maniera composta che l’incontro "inedito" all’interno del ciclo LibrinScena, patrocinato dal Teatro Stabile in sinergia con l’Università di Catania, ospitasse non "un" cantautore, ma "il" cantautore, Francesco De Gregori. Intervistato per l’occasione dal vicedirettore del Corriere, Pierluigi Battista.
Il clima sobrio, il pubblico partecipe ma pacato, tutto ha contribuito a rendere sacro il rispetto che da sempre si respira attorno ad un’icona, che con la sua musica ha fatto la storia del cantautorato italiano, rendendo anche sommesso il tono, lontano da quei luoghi altri che non siano la musica, la cui assoluta estraneità di commistioni artistiche con altri generi ha ribadito più volte lo stesso De Gregori: «La musica d’autore non è poesia, e la sua particolarità è data dal particolare involucro musicale con cui il cantautore riesce a rivestire le parole che canta». Le sue canzoni e il modo di cantarle, un po’ la differenza che corre tra «il cinema d’autore e le commedie dei Vanzina» ma anche il concetto di successo - «che non può prescindere dal desiderio di voler comunicare qualcosa» - e di impegno sociale - «che fa leggere nelle mie canzoni messaggi che nascevano diversi in origine, ma le canzoni sono di tutti, di chi le canta e di chi le ascolta» -; queste alcune delle domande proposte da Battista, alle quali De Gregori ha risposto con sincerità e pochi preamboli, raccontando come già da bambino coltivasse il sogno di fare il cantante
«Quando a 10 anni mia madre mi portava al cinema io avevo voglia di salire, in una sorta di presagio o prefigurazione, su quel palco, ma poi dicevo di voler fare l’avvocato, per compiacere i miei».
Ma anche le parodie dei comici - «preferisco quando le fanno a qualcun altro, anche se mi piace Fiorello, perché non lo fa mai con cattiveria ed è bravo - o le riflessioni sul mondo dei talent-show -» a X Factor ho trovato dei ragazzi preparati - passando per Sanremo - «non lo amo e non lo trovo rappresentativo della realtà, anzi penso che trascuri la totalità del panorama musicale italiano, poi negli ultimi anni si misura col gradimento televisivo; questo non significa snobismo in alcun modo, non giudico chi ci va». «Ma gli anni del tuo apprendistato erano più anni dell’impegno politico. Come hai fatto ad affermarti?» incalza Battista, e De Gregori precisa: «Il pubblico di quegli anni era pronto per accogliere una terza via tra quel genere di canzoni e la linea morandiana (che poi è stato anche uno dei suoi idoli, come ha confessato al pubblico incredulo), ed era la linea mia e di qualche altro. E’ importante capire che il feedback con il pubblico è un crinale su cui tutti puntano, la differenza sta nel modo in cui ci si cammina».
E a Buttafuoco, che nel finale gli rigira la domanda di Maddalena Bonaccorsi, organizzatrice degli incontri, su quale delle sue canzoni sia destinata a durare negli anni, risponde: «Viva L’Italia, perché nel modo in cui la si canta, sento che aleggia qualcosa nell’aria, che la rende la canzone  di tutti; di donne cannoni non se ne incontrano tutti i giorni, ma in questo Paese, bene o male, ci stiamo tutti dentro».

 

 

 

scarica il file pdf della pagina

pubblicata su La Sicilia del

9 dic 2009

 

 

fotografie di SiciliaToday 

 

 

 

 

https://www.iltitanic.com/2023/nos.jpgMESSINA - 23 SETTEMBRE 2009

E’ un consiglio che dò a tutti i miei amici appassionati di Ciccio: non portatemi con voi ai concerti di De Gregori. Con me ci si perde per le strade di campagna, di notte, o si rimane bloccati per contrattempi. Praticamente sono una sfiga per i miei compagni di viaggio!
Ma soprattutto con me pioverà, pioverà a dirotto. Qualche giorno prima qualcuno si lamentava nel forum per le cattive previsioni meteo di Foggia. Poi la sera è filato tutto per il verso giusto, non ha pioviuto e ho letto che la gente si è divertita, all’aperto. Ma io non c’ero!
Nonostante l’amico Maurizio Arena mi confermasse rosee aspettative per il 23 settembre a Messina, io ero già convinto del contrario: no, non è possibile che sarà sereno, pioverà, ne sono certo. Mi rovinerà anche questa. L’avevo già scritto l’altro giorno: in vita mia la pioggia mi ha rovinato di tutto; una sorta di nuvoletta fantozziana mi cerca dall’alto come un satellite quando sto per uscire di casa. Infatti, appena l’ha saputo si è messa in moto e puntualmente è arrivato il cambio di location.

Con gli amici di Ragusa (fra i quali un noto Salvo3) ci avviamo a Messina dove incontriamo Mauro Arena e signora, sua madre e il mitico padre chiamato dal sottoscritto Mr. Zimmy per via della sua leggendaria passione per Bob Dylan.
Quattro chiacchiere con Alex Valle, un saluto a Guido e poi, “sempre sotto la pioggia”, all’interno del Vittorio Emanuele, storico teatro sul lungomare messinese rimasto in piedi dopo il terremoto del 1908, il cui interno è stato completamente sventrato, ricostruito e ristrutturato. Un piccolo gioiello acustico con 1.000 poltroncine tutte raccolte sotto un grande soffitto dipinto dal grande Renato Guttuso nel 1985.
Vi risparmio l’avventura del viaggio di ritorno a Catania e a Ragusa (c’era presente il sottoscritto, quindi poteva capitare di tutto) sotto un nubifragio abbattutosi sulla A18, così violento ed abbondante da non farci vedere niente oltre il parabrezza. Alle tre del mattino, due ore dopo il nostro passaggio a 40 km. orari, su quelle strade si è abbattuta la nota frana che ha scollegato Catania e Messina per due giorni.
Adesso che siamo all’asciutto….. passiamo al concerto.
In perfetto orario, alle 21.30, entra Francesco fra gli applausi. In gran forma, con un abbigliamento che mi ricorda vagamente certi jazzisti che facevano la spola fra Cuba e la Florida suonando Porter e Miller o, che so, una figurina che fuma le Camel impressa sulle scatole di latta americane degli anni Quaranta.
Dopo l’inchino di benvenuto, un faro si adagia su di lui, ed è da solo. Si intravedono soltanto le linee della sua dinoccolata figura che alterna le due Gibson con l’armonica a bocca. E con questo piccolo quadretto si comincia la prima parte, tutta acustica.
“Questa è una canzona dedicata a una grande cantante, che molto tempo fa accompagnai in giro per l’Italia come chitarrista. La canzone si chiama Caterina.”
Poi Quattro Cani e Pezzi di vetro, suonate e cantate in modo magistrale, senza nessun accenno di svogliatezza, di noia, di fretta. Quel signore con il Borsalino in testa sa ancora suonare eccome, come una volta; sa ancora cantare eccome, come una volta. E, non me ne voglia, me lo sono goduto da buon Talebano eccome, come una volta.
Le due canzoni, che sembravano uscite direttamente dall’LP della RCA, sono state interpretate come ai tempi di Rimmel, con quell’arpeggio particolare di cui mi innamorai 35 anni fa e grazie al quale sono ancor oggi qui a parlare di colui che lo ha manovrato, quell’arpeggio. Anche Francesco sa bene che queste due perle, quegli accordi, quelle dita posizionate in un certo punto della testiera, sono il frutto di quel miracolo avvenuto quando lui era aveva intorno a vent’anni e le geniali molecole della sua fantasia giravano a mille sulla maccina da scrivere e sul pentagramma. Allora pensò che dovevano essere suonate così; col tempo si è divertito ad arrangiare, a rocckettare, stravolgere, a capovolgere; insomma, il giovanotto si è divertito. Con la maturità ha capito che il prodotto migliore è sempre quello costruito da giovani, quando a volte certe emozioni ti fanno produrre autentici capolavori. Puoi modificarli, arrangiarli diversamente, svuotar loro le tasche mettendoli a testa in giù, ma alla fine si torna sempre al passato.
”Quest’altra canzone parla di un ricco stregone, che era innamorato di una donna……..”
Mentre Francesco spiega, dalla sala arriva una voce “L’Angelo di Lyon”!
“Bravo!!! Il nostro amico ha vinto….. cinque minuti di silenzio!” la risposta di Francesco. Risata generale (tranne lui).
Arriva tutta la band. I loro volti, i loro strumenti, i loro movimenti mi sono ormai familiari; è un piacere rivedere questi ragazzi almeno una volta all’anno come quando si salutano i compagni di classe a settembre. Con questa straordinaria band che ormai da anni suona a memoria, che è ormai capace dl leggere gli spartiti pure dentro la testa del Capo, che è addirittura in condizioni di anticipare anche le sue bizzarre interruzioni, il concerto continua con Finestre rotte e poi, tutte d’un fiato, un’incantevole Atlantide, Viva l'italia, Compagni di viaggio, Caldo e Scuro, Vai In Africa Celestino e una soroprendente Capo d’Africa, con atmosfere, colori e arrangiamenti che sembrava di essere all’Avana.
“La leva calcistica della classe '68”. Ciccio arriva fino a “….un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia” e una piccolissima pausa. Non gli è stato più possibile proseguire perché viene anticipato dal solito signore in sala che si mette a cantare a squarciagola: “……..e chissà quanti ne hai visti, quanti ne vedrai……”.
A quel punto Francesco interrompe la canzone e dice “Eh, no! Legatelo! Lo chiedo, per favore, a chi gli è seduto vicino!” Altra risata, tranne noi che, conoscendo il Maestro, sapevamo che in quel momento stava per esplodere e che sarebbe sceso in sala prendendolo a calci sulle gengive.

Ma la serata non è nervosa, qualcosa rimane, e infatti arriva Rimmel e Festival con uno straordinario assolo di Bardi che mette i brividi addosso. Lucio si ripete durante l’esecuzione di Battere e levare, stavolta con intensi virtuosismi country al violino elettrico. Poi Titanic e Deriva che arrivano di colpo assieme, come un omaggio al Nostromo.
Poi Francesco si siede al pianoforte. E’ di buon umore, guarda la sala per cinque secondi e dice “mbè”? E si mette a ridere. E quindi ci racconta una storia che dà i brividi, che entra dentro le stanze, le brucia. Che dà torto e dà ragione, perchè nessuno la può fermare.
Ma che bel racconto, che concerto, che bello … come mi sto divertendo beato e seduto in seconda fila, senza muovermi da destra a sinistra come un dannato. Al contrario dello scorso anno a Sciacca, questa volta non ho voluto portare la fotocamera per godermi al meglio lo spettacolo, senza avere l’ansia del risultato, esposizioni, tempi di apertura, iso e diaframmi. Ho fatto il semplice spettatore, anche se devo ammettere che l’altra sera sarebbero venute fuori fotografie spettacolari perché chi ha progettato le luci di questo tour è stato davvero bravo: affascinanti, colori bellissimi che assieme alle musiche avvolgono i musicisti sul palco in un tutt’uno davvero magico. Complimenti al tecnico.
Dal buio si alza una lira: “Eccomi qua!”. Più il tempo passa e più questa grande canzone, anziché cantata è recitata, narrata in ogni riga, riferita agli ascoltatori, spiegata in ogni dettaglio. Ormai Francesco la mima in una maniera così teatrale che chiunque riuscirebbe a capire il significato del testo. Ogni volta lo vedo muoversi con una gestualità ancora più raffinata, più professionale. Più che cantante, sta diventando sempre di più attore e sembra essere proprio lui il protagonista della canzone. Accompagna le parole con mosse ed espressioni che ti proiettano dall’ultima fila dritto fino al camerino già vecchio, facendoti vedere tutto in home theater: il lavandino, lo specchio, il manifesto, il padre, la figlia.
Siamo incantati sulle note finali, si entra quasi nel mondo irreale di Francesco, la sua musica ci scardina dalle poltrone e ci solleva fino al soffitto dove è raffigurato il canto delle sirene dipinto del grande pittore siciliano. Quasi in catalessi, come tritoni volteggiamo attorno a quelle figure nel mare azzurro, sostenuti dalle note che il mito che sta otto metri più sotto, ci lancia continuamente.
Ma non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà, noi lo conosciamo bene, l'abbiamo sentito già! Infatti veniamo bruscamente svegliati dalle squillanti chitarre di Giovenchi, che da dietro la curva ci preannuncia la volata country di un ciclista chiamato Pollastri. Ed è festa!
Appena lasciato quel briccone di Sante, Ciccio presenta la sua band, quindi si avvicina al microfono, si toglie il cappello mettendolo al petto, si inchina e dandoci la buonanotte ci confessa l’emozione particolare che prova ogni qualvolta mette piede in Sicilia. “Bravi, complimenti per questa vostra bella terra!”. E se ne va, ma non è vero.
Eh no, caro mio, esci. Esci, che qui ti reclamano a gran voce (non capirò mai il significato dei bis)
Al rientro, con al piano Arianti, esegue la Donna cannone come solo lui sa fare. Poi l’Agnello di Dio ed infine una Buonanotte fiorellino suonata come negli anni Settanta, in modo classico. Però siccome il Capo ha voglia di scherzare, manda in tilt la band quando deve riattaccare a cantare. Tutti i musicisti ridono per le sue birichinate, compreso il capobanda che, a detta di Ciccio, stupisce sempre di più.
Fra le bellissime note di questo immortale walzer, il Maestro getta il plettro ancora bollente davanti a sé e si allontana definitivamente dietro le quinte.
Ah, questo pubblico pagante, quante ne deve subire!
Tempo fa, Francesco storceva la bocca quando un applauso del pubblico sottolineava la passione per lui proprio al punto della famosa strofa. Oggi, forse perché è ormai consapevole di essere un monumento della canzone italiana, quell’applauso quasi lo pretende, e lo chiede con forza incitando la platea con le sue lunghe braccia, perché ha capito che non si può più trattenerlo, quell’applauso; non si possono tenere le mani ferme nè davanti a una bellissima canzone, né davanti a una leggenda del genere.
Quel pubblico pagante ha voglia di sottolinearlo sempre, con un applauso, il tuo nome che scintillerà. Per tanto tempo ancora.
Grazie ancora una volta, Francesco! E che Dio ti benedica.
Mimmo Rapisarda (pubblicato su Rimmelclub.it 25.9.2009)

 

 

ESTIVO

1 MAGGIO ROMA - Auditorium Parco della Musica - Sicantamaggio - 24 GIUGNO SOLFERINO (MN)  Piazza Castello - 27 GIUGNO ROVERETO Mart (Museo d'arte moderna) - 4 LUGLIO ROMA - Parco della Musica - 18 LUGLIO SAINT VINCENT (AO) Palais - 25 LUGLIO CASONI DI LUZZARA (RE) Parco Filippini (gratuito) -  26 LUGLIO PIAN CAVALLO (PN) Parco - 8 AGOSTO MASEN DI GIOVO (TN) - Parco - 13 AGOSTO TORTOLI' (NU) - Rocce rosse - 16 AGOSTO SORRENTO - Villa Fiorentino - 22 AGOSTO NOCI (BA) Arena Fiera di Noci - 23 AGOSTO TORRICELLA PELIGNA (CH) Stadio - 28 AGOSTO BENEVENTO - Piazza Roma - 4 SETTEMBRE LANGHIRANO (PR) - P.le Melli - 5 SETTEMBRE FOGGIA -Teatro Mediterraneo - 12 SETTEMBRE MILANO - PalaSharp - 18 SETTEMBRE - SAINT VINCENT (AO) - 23 SETTEMBRE - MESSINA - Teatro V. Eman. - 24 SETTEMBRE PALERMO - Teatro Golden - 26 SETTEMBRE GALLUCCIO (CE) - P. Umberto - 27 SETTEMBRE CASAL VELINO (SA) - Porto - 2 OTTOBRE VILLAFRANCA (VR) Palatenda

 

AUTUNNALE - TEATRI

03.12.09 Monteruscello (NA) Pala Butangas

07.12.09 Catania (CT) Teatro Metropolitan 

09.12.09 Avellino (AV) Teatro Carlo Gesualdo

11.12.09 Catanzaro (CZ) Teatro Le Fontane

18.12.09 Lonigo (VI) Teatro Comunale

20.12.09 Torino (TO) Teatro Colosseo

21.12.09 Genova (GE) Teatro Carlo Felice

22.12.09 S.Benedetto del Tronto (Palariviera)

28.12.09 Caramanico (PE) Palasport