CARAVAN/SONY 2015
«Tradurre Dylan è stata una grande avventura, in tutti i sensi – racconta Francesco De Gregori – E credo che non avrei mai potuto nemmeno pensare ad un progetto del genere se non avessi amato da sempre il suo straordinario repertorio e il suo incredibile talento di musicista. Per questo motivo il mio disco ha questo titolo: "AMORE E FURTO", rubato a un disco di Dylan in cui lui stesso dichiarava esplicitamente le sue passioni musicali e le influenze che aveva subito. Furto, quindi, ma soprattutto amore per un grandissimo artista e per alcune delle sue più belle canzoni, forse non le più conosciute qui in Italia».
Registrato da Davide Abruzzese, GROOVE FARM RECORDING Missato da Lorenzo Tommasini, MACINARINO RECORDING Master di Fabrizio De Carolis, REFERENCE STUDIO Ufficio Stampa: Riccardo Vitanza – Parole e Dintorni Un ringraziamento speciale a Jessica Russell e Stefano Pistolini “Via della povertà” è la rielaborazione di una traduzione firmata da De Gregori e De Andrè e incisa nel 1974 sull’LP “Canzoni”.
Artwork e foto di copertina: Flora Sala_studio Anastasia «L’effigie della cover mi piace, l’ha trovata Flora Sala mentre cercava un possibile sfondo che potesse andare bene; alla fine abbiamo scelto questo».
Disponibile in versione doppio vinile o in un box cd + doppio vinile. Un doveroso ringraziamento al capitano di coperta Samuele Romano, per la realizzazione di questa cabina. (Il Nostromo)
PREFERISCO NON SAPERE
«Mi aspettavo una vecchia signora», mi dice Francesco De Gregori. Da uno che fa molto poco per compiacere il prossimo, lo prendo come un complimento. Siamo in una saletta fumatori di un ristorante romano. Dopo una pausa di vent'anni, da qualche tempo ha «felicemente » ripreso a fumare. Gauloises senza filtro. «Non sono salutista. Una volta, al ristorante con Gianni Morandi, ho ordinato una mozzarella. "Ma che fai?", mi ha detto. "Io non mangio più latticini, fanno male"». Sulle tovaglie di ristoranti come questo ha composto molte delle sue canzoni. «Non mi vedrà mai reclino a scrivere nel mio studio. Il mio è un lavoro di osservazione, meditazione, autoflagellazione che si svolge nell'arco delle 24 ore senza regole. Il che mi porta a riuscire a lavorare anche nel mezzo del casino più efferato» . Il 5 marzo ripartirà in tour. Dice che ogni concerto sarà un po' un unicum: la scaletta cambierà di sera in sera. «Cinque, sei canzoni del nuovo album, non di più perché non sono sicuro che la gente voglia ascoltarle tutte. E anche i pezzi dei dischi precedenti li sceglierò di volta in volta. Se ogni sera so che dopo Generale verrà Rimmel, diventa una routine». Che ricordi ha delle primissime volte su palco? «Be', per esempio, la soddisfazione di superare le aspettative. Come quando feci una tournée con un gruppo che si chiamava 11 Volo. Partimmo che io facevo la spalla, aprivo i loro concerti. Ma, alla fine, i ruoli si erano invertiti, perché veniva più gente per me che per loro. Sembra cattivo dirlo, ma è la verità. Per uno che pensava di essere avviato a una vita professionale più seria, che so, diventare professore o giornalista, fu piacevole e stupefacente». Le sarebbe piaciuto fare l'insegnante? «Sì. Mia madre era una professoressa di italiano, latino, storia e geografia alle medie. Mio padre, un bibliotecario». Per Borie, la migliore virtù in un uomo era la capacità di restituire i libri presi in prestito. Lei è bravo a renderli? «Per non correre il rischio di non farlo, evito il più possibile di farmeli prestare. E poi mi scatta la molla del "possesso". Se un disco o un libro mi interessano, mi piace averli». Non è bizzarro che, con una famiglia come ]a vostra, sia lei che suo fratello Luigi siate finiti a fare musica? «Ci piaceva molto. Lui, che è più grande di me di sette anni, aveva vissuto in pieno il periodo di Elvis. Quando avevo 18 anni io, c'erano Dylan e i Beatles. A un certo punto mi sono messo anche a scrivere le mie canzoni. Mi son detto: "Se lo fa De André, posso farlo anch'io"». Il che dice molto del suo carattere. Quasi chiunque altro avrebbe pensato: «Se lo fa lui, è meglio che lasci perdere». «Lo so, un pazzo. Ma non pensavo che, poi, le avrei cantate in pubblico. Lo facevo per me». Molti suoi colleghi hanno cominciato anche per far colpo sulle ragazze. Alle feste, quello con la chitarra acchiappa sempre. «Sì, forse c'entrava anche quello. Ma non era fondamentale». In una delle prime immagini del libro fotografico "Francesco De Gregori. Guarda che sono sono io", la si vede al leggendario al Chelsea Hotel di New York nel 1976. «Con mia moglie, che all'epoca non lo era ancora (si sposarono due anni dopo ndr), eravamo andati a New York pensando che il padre di un amico ci avrebbe ospitato. Invece, arriviamo, ci offre un tè e ci dice che non possiamo stare da lui. "Dove cazzo andiamo?". Fu lui a proporcelo. "Chelsea Hotel?", chiesi. Ho bellissimi ricordi. Per me l'America era un luogo letterario, cinematografico. Scoprire che era esattamente come lo raccontavano creava ancora più stupore. I taxi, i grattacieli. Uguale». Incontrò qualche musicista noto? «L'unico che avrei riconosciuto, forse, era Bob Dylan. E lui non c'era». Dylan ha detto che per amare qualcuno non bisogna per forza sapere tutto e capire tutto. Vale anche nella vita? «Capire gli altri è un'impresa folle, e anche una pretesa arrogante. Non si conosce mai un altro essere umano. Voler spiegare qualcuno lo trovo un atto di violenza. E invece, siccome io non voglio appropriarmi di te, rinuncio anche a voler sapere tutto. Quello che appare mi basta, oppure no, e allora non mi interessi. Sembra un po' altisonante a dirlo ma, in un certo senso, non conosciamo neanche noi stessi. Ognuno di noi ogni tanto fa qualcosa che non si sarebbe mai aspettato». Lei si sarebbe aspettato un matrimonio che si avvia verso i quarant'anni? «Non mi sono mai chiesto quanto potesse durare. E, comunque, non va neppure bene che uno si sposi pensando: "Che sorpresa se va avanti per tanto". L'ho fatto perché ero innamorato. Quindi, ero assolutamente convinto che saremmo rimasti insieme. È così strano?». Di matrimoni finiti in giro ce ne sono parecchi. «In effetti, tra i miei amici molti non stanno più insieme. Diciamo che, dal punto di vista statistico, dovrei stupirmi». Tanto più uno come lei, che sarà stato esposto a tentazioni. «Mi sa che lei ha un'idea mitologica del cantante circondato da ammiratrici. Capita se "cavalchi" la situazione. Ma io non sono quel tipo di uomo. Lo troverei troppo prevedibile». Che rapporto ha con i selfie? «Non cattivo, a meno che non ti venga richiesto in un momento inopportuno. Tipo che stai tornando da un viaggio faticoso, con le valigie e la chitarra in mano, e uno ti chiede: "Facciamo un selfie?". Ma lo vedi in che condizioni sono? Sennò va bene, in qualche modo fa parte dei miei doveri. A volte, è anche piacevole. E se vengo brutto, chi se ne frega». La sua pagina Facebook suona molto istituzionale: solo notizie sull'uscita dei dischi, le date del tour. «Non la curo io. Anche perché mi sembra di capire che molte cose che vengono pubblicate sono insignificanti, tipo: "Questa mattina ho mangiato due uova al tegamino". Uno: non mi va di far sapere al mondo cosa cazzo mangio a colazione. Due: che senso ha che il mondo lo sappia?». Alcuni suoi colleghi ritengono sia un modo di comunicare più immediato. «Ma io non ho niente da dire in modo così apodittico. "Sono De Gregori e ti dico che cosa penso del crollo della Borsa". Ma chi se ne frega». Apodittico in un'intervista non me l'aveva mai detto nessuno. A questo punto, nella saletta, si spengono le luci. «È segno che dobbiamo andar via». Ci spostiamo a un tavolino fuori. Tornando a sua moglie, che cosa vi unisce? «Fin dall'inizio è stato molto importante tenersi compagnia». Ha detto: «Insieme non ci annoiamo mai». «Così è banale. Ho detto: "Senza mia moglie mi annoio". Che è diverso. Questo lo posso sottoscrivere anche adesso. La noia è una delle cose che mi fa più paura. Un'altra è dover parlare per forza con qualcuno». Quindi le feste non le piacciono. «Le detesto. La conversazione è nulla, tutt'al più si parla di argomenti vaghi. Disolito,se c'è una libreria in casa, mi metto a guardare i titoli, e se c'è anche una poltrona in disparte vado lì con la scusa che fumo. Ho vari trucchi» . Deduco che non organizzerà un party per i suoi 65 anni ad aprile. «No. Posso fare un cena con quattro, al massimo dieci amici». Ho appena letto un articolo sul fatto che a breve potremmo vivere 150 anni, le piacerebbe? «Non mi dispiacerebbe vivere molto a lungo. Bene. Anzi, forse persino male. Ma non vorrà mica farmi un'intervista sulla morte?». No. Le chiedo invece di Sanremo: lei è tra i pochissimi che non c'è mai andato. «Sembra che sia maniaco, e probabilmente lo sono. Ma perché il mio lavoro e quello dei colleghi deve essere giudicato dal televoto? Al festival del cinema di Venezia i film vengono premiati così? Non mi sembra una cosa seria». A Sanremo, come ospite, c'è andato, e anche lì il vincitore lo vota il pubblico. «Be', ma sono giovani, è la loro occasione per farsi conoscere. Lo so che sembra un'incoerenza. Però è vero che è diverso. E, comunque, continuerò a essere "incoerente": a Sanremo non ci vado, ma magari tornerò a X Factor. ».
Enrico Brocardo Vanity Fair - febbraio 2016
Un tempo grande schivo, oggi il cantautore romano appare meno riservato del passato e sembra rivolgersi al pubblico e ai giornalisti con tono più confidenziale; lo dimostra anche un suo recente intervento ai microfoni di Radio Radio: De Gregori è intervenuto in veste di tifoso della Roma per dire la sua in merito alla fine della carriera del Capitano Francesco Totti e al futuro del calciatore. Per il cantautore, la carriera agonistica di Totti è da considerarsi praticamente "finita": "Quando diciamo che Totti è a fine carriera diciamo una cosa sbagliata, perché la carriera di Totti appartiene all'uomo e non al calciatore, lui è tutt'altro che alla fine. Ha dimostrato di essere un grande uomo di calcio e per motivi anagrafici ovviamente ora non può più esserlo, non potrà più esserlo. Ma il suo attaccamento alla maglia, allo sport e anche il suo senso dell'umorismo sono cose che continueranno ad accompagnarlo e ad accompagnare noi tifosi. Io ho molto apprezzato di Totti, in questi ultimi tempi, la sua leggerezza nello stare in panchina, il suo non creare problemi, non dire mezza parola sbagliata". Il Principe ha poi aggiunto: "Io sarò grato a Totti non solo per i gol che ha fatto, per le partite che ci ha fattop vincere, ma anche di questo atteggiamento da intellettuale. Inconsapevolmente lo è stato e lo sarà sempre di più man mano che andrà avanti. E' finita la sua carriera agonistica ma non nel calcio". L'intervento di De Gregori è stato chiuso con la frase "Il ragazzo si farà", una citazione di "La leva calcistica della classe '68", la canzone che De Gregori scrisse nel 1980 e inserì all'interno dell'album "Titanic": il brano, un classico del cantautorato italiano, racconta la storia di un ragazzino di dodici anni che effettua un provino per entrare a far parte di una squadra di calcio. Potete ascoltarla di seguito: http://www.rockol.it/news-653499/de-gregori-totti-carriera-finita
“Amore e furto”, Francesco De Gregori omaggia Bob Dylan e stupisce ancora
Tradurre è anche un po’ tradire. Eppure Francesco De Gregori nell’incidere “Amore e furto”, album in cui traduce, appunto, e interpreta 11 brani di Bob Dylan, non ha tradito se stesso né il suo punto di riferimento, genio assoluto della musica mondiale. Un’impresa nella quale sarebbe stato facile cadere in inopportune banalità, ma non per il Principe, che dall’alto della sua ormai quarantennale carriera ha ‘masticato’ tanto Dylan ed ora ha saputo, con amore e fedeltà, trasportare dall’inglese all’italiano i contenuti di queste 11 canzoni, rispettandone il significato originario nei limiti concessigli dalle regole metriche, dal suono e dalla imprescindibile adattabilità semantica che un lavoro di traduzione comporta. Amore e passione per il suo ‘faro’ trasudano da questo lavoro musicale, che considerare mero album di cover sarebbe grave prova di superficialità. Dylan per de Gregori - e in “Amore e furto” lo si evince come non mai - è sempre stato fonte di spunti, un modello da cui partire e dal quale nel contempo sapersi distinguere sapientemente, nel bene e nel male, mantenendo sempre un’autonomia artistica che ha reso De Gregori autore e musicista unico nel suo genere, per stile compositivo, penna e personalità, a prescindere dai suoi modelli ispiratori. Anche per chi come la sottoscritta, da tempo immemore estimatrice di Francesco De Gregori, non conosce il repertorio di Dylan, diventa operazione piacevole scovare cosa in queste undici tracce è opera del genio dylaniano e cosa, invece, è il frutto dell’immenso e complesso lavoro filologico compiuto dal cantautore romano, che ha mutuato da Dylan alcuni tra i brani meno conosciuti del suo repertorio, ora rivestiti di una nuova identità, destinati ad essere conosciuti da chi, non seguendo pedissequamente l’artista statunitense, li scopre adesso, armato dello stupore tipico di chi apprende qualcosa per la prima volta. Il risultato? Un amalgama di suoni, ritmi e parole, puro piacere per l’intelletto, l’anima e gli orecchi. C’è poco da spiegare e tanto da ‘sentire’ (soprattutto con il cuore) dinnanzi ad un’opera musicale di siffatta forgia. È sufficiente inserire il cd nel lettore: d’improvviso si esce dal tempo e dallo spazio terreni e si viene catapultati in un mondo di immagini, personaggi, e storie sospesi in una dimensione a metà tra l’onirico e il reale. Passano davanti ai nostri occhi, mentre ascoltiamo questi brani, i protagonisti delle storie di Bob Dylan-De Gregori, usciti dalla letteratura, dal nostro immaginario, dalla cronaca quotidiana, dai sogni fatti o che faremo. Undici canzoni che a partire dalla prima, Un angioletto come te (Sweetheart like you), fino all’ultima, Dignità (Dignity), sono una fotografia lucida – mi si conceda l’antitesi – e visionaria della realtà. Dentro le parole di Bob Dylan cantate da De Gregori è possibile cogliere sfumature di significati mai finiti, mai appresi integralmente, e magicamente legati tra loro da un sound che funge da collante, reso tale dalla magistrale bravura di una band strepitosa. Un gruppo di artisti che lavora in totale sintonia e simbiosi, ne è prova il suono – e che suono! - di questo disco. Ascoltare per credere. “Amore e furto” è passione, amore per la musica, “un’ammissione di colpa” – com’è lo stesso Francesco De Gregori a confessare ironicamente - un “riconoscimento di paternità” da parte di un artista che non ha reticenza nel dichiarare gli innesti nel suo repertorio che sono figli di prelievi e citazioni fatti ad altri colleghi, come anche Bob Dylan fece, titolando appunto “Amore e furto” un disco in cui dichiarava le influenze musicali subite e le fonti alle quali aveva attinto. Perché l’arte è così, in ogni sua forma: si nutre di altra arte che l’ha preceduta. Prende, rielabora, partorisce nuove forme e così ad libitum, senza soluzione di continuità, ogni qualvolta un artista dà spazio alla sua creatività. Via della povertà (Desolation Row), già tradotta nel 1974 (“Al tempo l’avevo tradotta inserendo nel testo significati che non c’erano, convinto che fosse un’operazione ‘innocente’, poi negli anni mi resi conto che non era così” cit. Francesco De Gregori) insieme a Fabrizio De André, torna in questo disco ad avere un testo più fedele all’originale. Non è buio ancora (Not Dark Iet), tanto bella da togliere il fiato, acquista profondità anche per come il Principe la interpreta, riempiendola del calore della sua voce, ed imprimendole significati sempre nuovi che solo la sensibilità dell’ascoltatore può dettare. L’incipit della narrazione in media res, ci accompagna appunto dentro una storia già iniziata: noi che ascoltiamo possiamo solo immaginare cosa l’ha preceduta e in quale destino si imbatterà. Succede anche ascoltando Una serie di sogni (Series of dreams), ad esempio, dove un turbinio di immagini si rincorrono e ci sfuggono, senza mai farsi raggiungere, suggerendo emozioni impossibili da spiegare: “Pensavo a una serie di sogni/Dove tutto diventava realtà/ Tutto resta dove è stato ferito/Fino al punto di non muoversi più”. Canzoni senza risposte, quelle contenute in questo album: ne è esempio eccellente Dignità (Dignity), una continua ricerca che sa di non potere mai ottenere ciò cui anela: “Dov’è che abita la dignità?”, o Come il giorno (I Shall be released) e Non dirle che non è così (If you see her, say hello), già incise tempo addietro da De Gregori, ma che in questo disco trovano una più pertinente ragion d’essere e che, rispetto alle altre 9 tracce, appartengono in parte anche al Principe, che la ha già fatte sue, riplasmandole con il suo stile. Questo disco è un omaggio da maestro a maestro, dove il mondo linguistico e poetico di due grandi della Musica con la ‘emme’ maiuscola si mescolano alla perfezione pur conservando le proprie peculiarità. Un disco di amore e rispetto, in cui il cantautore romano riesce a stupirci. Ancora una volta.
Michela Becciu.
Zampogna in premio a Francesco De Gregori al Festival di Maranola
LATINA - Un inedito Francesco De Gregori che imbraccia la zampogna. E' l'immagine simbolo della giornata conclusiva della XXIII edizione de "La Zampogna - Festival di musica e cultura tradizionale” che ha richiamato a maranola domenica scorsa oltre 5000 persone . Al festival, coordinato da Ambrogio Sparagna e Erasmo Treglia, ha partecipato Francesco De Gregori. Il cantautore romano ha ricevuto il Premio La Zampogna 2016 per la grande attenzione da sempre dedicata alla musica popolare e al folk. De Gregori ha piantumato un sorbo nel giardino Alberi di Canto di Maranola e ha ricevuto in premio una zampogna realizzata dalla liuteria di Marco Tomassi. «La sua presenza al Festival, il suo stare insieme a zampognari e voci popolari, ha dato certamente un grande valore agli sforzi di quanti difendono, valorizzano e praticano l’arte delle zampogne», spiegano gli organizzatori. «Ho sempre amato il folk - ha spiegato De Gregori nel ricevere il riconoscimento - ma questo premio è un invito a me e a tutti a conoscere più da vicino le storie di questi straordinari musicisti e a condividere le passioni che animano un mondo di suoni affascinante».
Martedì 19 Gennaio 2016 http://www.ilmessaggero.it/latina/latina_de_gregori_premiato_festival_zampogna_maranola-1493004.html
Festa 40 anni di Repubblica – gen 2016 Siparietto inedito tra Francesco De Gregori e Antonello Venditti nel backstage, quando Venditti si propone come fotografo per immortalare De Gregori. Tra i due cantautori romani si inserisce anche Fiorello che improvvisa un'imitazione di Venditti suscitando l'ilarità di tecnici e operatori "Non sempre ne ho condiviso la linea editoriale, sarebbe impossibile per 40 anni, ma Repubblica entra in casa mia dal primo numero". Così Francesco De Gregori racconta il suo rapporto con il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Con il quale condivide un importante anniversario: nel 1976, infatti, uscì anche "Rimmel" il suo lavoro più importante, festeggiato all'Arena di Verona
Francesco De Gregori sarà in tour da marzo nei principali club e teatri italiani, queste le date: il 5 marzo all’Atlantico Live di ROMA, l’8 marzo al Teatro Augusteo di NAPOLI, il 9 marzo al Teatro Team di BARI, l’11 marzo al Teatro Metropolitan di CATANIA, il 12 marzo al Teatro Golden di PALERMO, il 15 marzo al Teatro Colosseo di TORINO, il 17 marzo all’Obihall di FIRENZE, il 19 marzo al Teatro Carlo Felice di GENOVA, il 20 marzo al Teatro Regio di PARMA e il 23 marzo all’Alcatraz di MILANO. I biglietti saranno in vendita a partire dalle ore 16.00 di oggi, giovedì 29 ottobre, su www.ticketone.it e nei punti vendita abituali (per info: www.fepgroup.it).
RTL 102.5 è la radio media partner ufficiale dell’“AMORE E FURTO tour 2016” (prodotto e organizzato da Caravan e F&P Group) di Francesco De Gregori.
È disponibile in tutte le librerie e nei book store digitali la riedizione del volume fotografico “FRANCESCO DE GREGORI. GUARDA CHE NON SONO IO” (Edizioni SVPRESS), arricchita di contenuti multimediali inediti. Questa nuova edizione, a cura di Silvia Viglietti e Alessandro Arianti, è infatti impreziosita da un documentario esclusivo con immagini e contenuti backstage direttamente dal “VIVAVOCE tour” di Francesco De Gregori. Uno sguardo originale e inaspettato sull’artista attraverso il racconto di viaggi, dischi, concerti, backstage, incontri. Foto: Daniele Barraco.
L'arte di tradurre canzoni di Paolo Vites
Narrano le leggende dylaniane (tante, la maggior parte delle quali appunto leggende) che nel 1966 Mogol si fosse presentato a Parigi per incontrare Bob Dylan che nella capitale francese doveva tenere un concerto. Il futuro autore di testi di Lucio Battisti aveva avuto l'incarico di tradurre in italiano la più grande hit del cantautore americano del momento, Like a Rolling Stone. Sempre secondo la leggenda, Dylan dopo aver letto la traduzione, strappò il foglio e rilasciò qualche insulto assortito proibendo che quella traduzione venisse utilizzata. Leggende appunto, anche perché pare difficile che Dylan conoscesse così bene l'italiano o che si fosse fatto fare la traduzione della traduzione con chissà quale risultato e anche perché la traduzione di Mogol venne usata dal gruppo italiano The Wretched che la incisero in quell'anno così come anche dai Juniors, il gruppo che accompagnava Gianni Pettenati. E non era poi neanche quella schifezza che avrebbe potuto imbestialire Dylan… Per la cronaca, il brano venne anche tradotto dagli Articolo 31 quarant'anni dopo usando anche un sample del brano originale e finì nella colonna sonora del film di Dylan "Masked and Anonymous". Comunque siano andate le cose, la canzone italiana specie negli anni 60, presenta una lunghissima serie di brani stranieri tradotti nella nostra lingua, spesso scadenti o comunque di brani che già nell'originale presentavano testi molto semplici, canzoncine cioè d'amore. Le cose cambiano quando Fabrizio De André mette le mani su Suzanne e Joan of Arc, tutti e due brani di Leonard Cohen, adattandoli in italiano e pubblicandoli su un 45 giri nel 1972. Il risultato è notevole data la cultura letteraria del cantautore genovese e dimostra, se se ne hanno i mezzi, che si può tentare esperimenti del genere. Più o meno nello stesso periodo in cui De André scopriva il fascino di Cohen, un ragazzo romano si dannava l'anima a cercare di tradurre e capire le canzoni del suo primo (e ultimo) idolo. "Avevo un registratorino e passavo i pomeriggi a mandare avanti e indietro il nastro. Cercavo di capire e impossessarmi di ogni singola parola". Quel ragazzo si chiamava Francesco De Gregori e passava i suoi pomeriggi cercando di tradurre Desolation Rowdi Bob Dylan. Quella "faticaccia" sarebbe finita nel disco di De André "Canzoni" del 1974 e oggi la ritroviamo su "Amore e furto", in una versione che musicalmente cerca di riprendere l'approccio live che Dylan le ha dato negli ultimi anni, suonando forse troppo rock e sopra le righe, perdendo in parte il fascino obliquo e oscuro che aveva l'originale. Ma sulla traduzione niente da dire. Sempre Francesco De Gregori nei primissimi anni 90 all'allora Palatrussardi apriva il suo concerto con una sorpresa cantando The Boxer di Simon and Garfunkel, in inglese. Tempo dopo ricordandogli quell'episodio, il sottoscritto gli suggerì di incidere un disco di cover di cantautori americani, vista la sua passione per quel tipo di canzone, da Dylan in giù, che lo aveva sempre caratterizzato e in un certo senso influenzato lo stile compositivo: "Non è possibile, la mia pronuncia dell'inglese è scarsa" commentò. Avrebbe fatto bene oggi De Gregori a incidere un disco di cover, cioè canzoni di Dylan in inglese, o accettare la sfida di tradurre il più grande autore di canzoni del Novecento? Il sottoscritto non ama le "traduzioni da" perché il rischio è sempre quello per comodità vista l'enorme differenza tra inglese e italiano nel significato stesso delle parole di inserire significati altri dall'originale mettendoci dunque del proprio tradendo il contenuto dell'autore. D'altro canto il sottoscritto non ama neanche gli italiani che storpiano e si sforzano di cantare in inglese, il risultato è quasi sempre al limite dell'ascoltabilità. Che fare allora? Probabilmente per De Gregori come quando aveva 17 anni, tradurre queste canzoni più che interpretarle è stata una necessità. Chiunque ha provato a tradurre una canzone o una poesia sa che è una possibilità intima e unica per immergersi nel lavoro di chi le ha composte, si finisce quasi per immedesimarsi con l'autore, se ne colgono i respiri, i dubbi e gli affanni di quando le componeva. Per un autore di testi colto e raffinato come è De Gregori, tradurre queste canzoni di un autore che ha sempre amato e che lo ha influenzato grandemente, deve essere stato non solo un divertimento, ma una sorta di immersione umana e spirituale necessaria come l'aria che respira, un modo per comprendere e ricomprendere le fondamenta dello scrivere canzoni, quasi si fosse trovato a conversare con l'autore stesso dei brani di questo disco. D'altro canto le canzoni dicono molto di più di quanto possa dirne l'autore (provate intervistare Dylan o De Gregori e capirete cosa intendo). In questo modo ha chiuso un cerchio cominciato ai tempi della sua adolescenza, quando faceva andare avanti e indietro quel registratorino. In "Amore e furto" l'approccio di De Gregori è di assoluta fedeltà al testo originale, nei limiti del possibile ovviamente, con rispetto e senza la minima manipolazione. Nessuno come lui o suo fratello Luigi che di traduzioni ne ha fatte anche lui diverse, sa rendere così bene in italiano canzoni scritte in inglese. Canzoni di Bob Dylan poi, complicate anche per un madrelingua. C'è qualche inevitabile libertà, come nell'ultima divertente strofa di Servire qualcuno (Gotta Serve Somebody): "Puoi chiamarmi Ferdi, puoi chiamarmi Vale, puoi chiamarmi Fede, puoi chiamarmi Ale, puoi chiamarmi Ciccio, puoi chiamarmi Generale, chiamami come credi, chiamami come ti pare". La scelta dei brani può sembrare un po' snob, molti di essi sono poco conosciuti dal grande pubblico, a volte scarti dei dischi dello stesso Dylan (i cui scarti, va sempre detto, potrebbero essere un magnifico repertorio per qualunque altro cantautore), ma in realtà così facendo De Gregori ha coperto ogni decennio della lunghissima carriera di Dylan dandone un ritratto esaustivo e dimostrando quante gemme poco conosciute ai più ci siano in quel repertorio. Alcuni si conoscevano già, perché interpretati dal vivo diverse volte o nel caso di Non dirle che è così perché apparsa nella colonna sonora del film Masked and Anonymous o Una serie di sogni che era stata incisa anni fa da Mimmo Locasciulli. foto di Domenico Ferrante
De Gregori non fa l'imitatore come fanno tutti o quasi quelli che cantano Dylan, non ne ha bisogno. La sua è una voce talmente originale che marchia di suo ogni brano che canta, una voce che invecchiando poi diventa sempre più bella, piena di sfumature e di controllo tonale come pochi. Buon esempio è Tweedle Dum & Tweedle Dee, uno dei pezzi cosiddetti minori di Dylan, che fa completamente suo, con una autorità nella voce che la dice lunga di quanto il cantautore romano si sia calato in questi brani non per farne una imitazione, ma per farli suoi. Impossibile con Dylan? Impossibile per molti, possibile per pochi. Tutto il disco allora funziona molto bene, anche gli arrangiamenti musicali sono fedeli in linea di massima con gli originali, e la band di De Gregori è una rodata rock blues band che farebbe il suo figurone anche negli States. Appaiono forzati solo gli arrangiamenti della già citata Via della povertà, che si sarebbe potuto rendere in un modo più intimo e delicato dato il mistero che circonda questa canzone, quello di Come il giorno (I Shall Be Released), di cui se ne ricordano migliori versioni dal vivo. Il coro di voci femminili è fastidioso e abbassa la drammaticità del brano mentre le chitarre elettriche riempiono ogni spazio in modo esagerato. Di Dignità (Dignity) chi scrive avrebbe preferito si fosse usato il demo per sola voce e pianoforte invece di quello full band che non brillava neanche nella versione di Dylan. Ma sono tutti peccati veniali. C'è solo un brano in realtà che non funziona per niente ed è Acido seminterrato (Subterranean Homesick Blues) ma era impossibile vincere la scommessa. E' uno dei massimi capolavori vocali di Dylan, è l'invenzione del rap, è un rock'n'roll suonato da un Chuck Berry in acido, è un vorticoso fiume di parole in slang hipster anni 60 che De Gregori non riesce a catturare, trasformandolo in un banale boogie blues rallentato e con evidente fatica nel cantato e nelle rime. Sono invece versioni magistralmente belle Non è buio ancora (Not Dark Yet), Mondo politico (Political world), Un angioletto come te (Sweetheart Like You), Servire qualcuno (Gotta Serve Somebody), la già citata Non dirle che non è così (If You See Her Say Hello) e anche una Serie di sogni (Series of Dreams) fa la sua bella figura. Sarà allora divertente per chi ascolta De Gregori rintracciare sfumature, colori, parole, accordi che sono sparsi qua e là nel suo repertorio e che sono innegabilmente dylaniani. Per dirla in modo adeguato, questo disco è un po' "un riportare tutto a casa". Il ragazzino che impazziva a tradurre Desolation Row è oggi un uomo maturo che guarda indietro la sua e la nostra storia e ci dice che niente in fondo è cambiato. C'è sempre tempo e bisogno di una bella canzone di Bob Dylan. Non è mai abbastanza, e fosse solo per questo allora vale la pena ringraziare Francesco De Gregori per il lavoro fatto.
Amore e furto, Francesco De Gregori omaggia Bob Dylan e stupisce ancora
Tradurre è anche un po’ tradire. Eppure Francesco De Gregori nell’incidere “Amore e furto”, album in cui traduce, appunto, e interpreta 11 brani di Bob Dylan, non ha tradito se stesso né il suo punto di riferimento, genio assoluto della musica mondiale. Un’impresa nella quale sarebbe stato facile cadere in inopportune banalità, ma non per il Principe, che dall’alto della sua ormai quarantennale carriera ha ‘masticato’ tanto Dylan ed ora ha saputo, con amore e fedeltà, trasportare dall’inglese all’italiano i contenuti di queste 11 canzoni, rispettandone il significato originario nei limiti concessigli dalle regole metriche, dal suono e dalla imprescindibile adattabilità semantica che un lavoro di traduzione comporta. Amore e passione per il suo ‘faro’ trasudano da questo lavoro musicale, che considerare mero album di cover sarebbe grave prova di superficialità. Dylan per de Gregori - e in “Amore e furto” lo si evince come non mai - è sempre stato fonte di spunti, un modello da cui partire e dal quale nel contempo sapersi distinguere sapientemente, nel bene e nel male, mantenendo sempre un’autonomia artistica che ha reso De Gregori autore e musicista unico nel suo genere, per stile compositivo, penna e personalità, a prescindere dai suoi modelli ispiratori. Anche per chi come la sottoscritta, da tempo immemore estimatrice di Francesco De Gregori, non conosce il repertorio di Dylan, diventa operazione piacevole scovare cosa in queste undici tracce è opera del genio dylaniano e cosa, invece, è il frutto dell’immenso e complesso lavoro filologico compiuto dal cantautore romano, che ha mutuato da Dylan alcuni tra i brani meno conosciuti del suo repertorio, ora rivestiti di una nuova identità, destinati ad essere conosciuti da chi, non seguendo pedissequamente l’artista statunitense, li scopre adesso, armato dello stupore tipico di chi apprende qualcosa per la prima volta. Il risultato? Un amalgama di suoni, ritmi e parole, puro piacere per l’intelletto, l’anima e gli orecchi. C’è poco da spiegare e tanto da ‘sentire’ (soprattutto con il cuore) dinnanzi ad un’opera musicale di siffatta forgia. È sufficiente inserire il cd nel lettore: d’improvviso si esce dal tempo e dallo spazio terreni e si viene catapultati in un mondo di immagini, personaggi, e storie sospesi in una dimensione a metà tra l’onirico e il reale. Passano davanti ai nostri occhi, mentre ascoltiamo questi brani, i protagonisti delle storie di Bob Dylan-De Gregori, usciti dalla letteratura, dal nostro immaginario, dalla cronaca quotidiana, dai sogni fatti o che faremo. Undici canzoni che a partire dalla prima, Un angioletto come te (Sweetheart like you), fino all’ultima, Dignità (Dignity), sono una fotografia lucida – mi si conceda l’antitesi – e visionaria della realtà. Dentro le parole di Bob Dylan cantate da De Gregori è possibile cogliere sfumature di significati mai finiti, mai appresi integralmente, e magicamente legati tra loro da un sound che funge da collante, reso tale dalla magistrale bravura di una band strepitosa. Un gruppo di artisti che lavora in totale sintonia e simbiosi, ne è prova il suono – e che suono! - di questo disco. Ascoltare per credere. “Amore e furto” è passione, amore per la musica, “un’ammissione di colpa” – com’è lo stesso Francesco De Gregori a confessare ironicamente - un “riconoscimento di paternità” da parte di un artista che non ha reticenza nel dichiarare gli innesti nel suo repertorio che sono figli di prelievi e citazioni fatti ad altri colleghi, come anche Bob Dylan fece, titolando appunto “Amore e furto” un disco in cui dichiarava le influenze musicali subite e le fonti alle quali aveva attinto. Perché l’arte è così, in ogni sua forma: si nutre di altra arte che l’ha preceduta. Prende, rielabora, partorisce nuove forme e così ad libitum, senza soluzione di continuità, ogni qualvolta un artista dà spazio alla sua creatività. Via della povertà (Desolation Row), già tradotta nel 1974 (“Al tempo l’avevo tradotta inserendo nel testo significati che non c’erano, convinto che fosse un’operazione ‘innocente’, poi negli anni mi resi conto che non era così” cit. Francesco De Gregori) insieme a Fabrizio De André, torna in questo disco ad avere un testo più fedele all’originale. Non è buio ancora (Not Dark Iet), tanto bella da togliere toglie il fiato, acquista profondità anche per come il Principe la interpreta, riempiendola del calore della sua voce, ed imprimendole significati sempre nuovi che solo la sensibilità dell’ascoltatore può dettare. L’incipit della narrazione in media res, ci accompagna appunto dentro una storia già iniziata: noi che ascoltiamo possiamo solo immaginare cosa l’ha preceduta e in quale destino si imbatterà. Succede anche ascoltando Una serie di sogni (Series of dreams), ad esempio, dove un turbinio di immagini si rincorrono e ci sfuggono, senza mai farsi raggiungere, suggerendo emozioni impossibili da spiegare: “Pensavo a una serie di sogni/Dove tutto diventava realtà/ Tutto resta dove è stato ferito/Fino al punto di non muoversi più”. Canzoni senza risposte, quelle contenute in questo album: ne è esempio eccellente Dignità (Dignity), una continua ricerca che sa di non potere mai ottenere ciò cui anela: “Dov’è che abita la dignità?”, o Come il giorno (I Shall be released) e Non dirle che non è così (If you see her, say hello), già incise tempo addietro da De Gregori, ma che in questo disco trovano una più pertinente ragion d’essere e che, rispetto alle altre 9 tracce, appartengono in parte anche al Principe, che la ha già fatte sue, riplasmandole con il suo stile. Questo disco è un omaggio da maestro a maestro, dove il mondo linguistico e poetico di due grandi della Musica con la ‘emme’ maiuscola si mescolano alla perfezione pur conservando le proprie peculiarità. Un disco di amore e rispetto, in cui il cantautore romano riesce a stupirci. Ancora una volta.
Michela Becciu
1) "Un angioletto come te" (Sweetheart like you, da Infidels, 1983, quello prodotto da Knopfler). Suono elettroacustico esemplare. La voce al centro ha un accento dylaniano ma senza nessuna tentazione parodistica. Il lavoro sul testo è sorvegliato ma creativo, filologicamente ineccepibile. De Gregori: "Angioletto è detto con ironia, quasi sarcasmo. Come Dylan secondo me usa Sweetheart"
Più amore che furto: De Gregori racconta Bob Dylan Gianni Sibilla
Francesco De Gregori ama profondamente Bob Dylan. Lo si capisce non solo da “Amore e furto”, l’album di reintrepretazioni e traduzioni che esce domani, 30 ottobre. Lo si capisce da come ne parla: lo ascolta da sempre, e l’idea di rifare le sue canzoni viene da lontano. Quando incontriamo il cantautore romano in un piccolo albergo milanese sui Navigli, è rilassato e contento del lavoro: cita versi e le canzoni che ama (e che non è riuscito a tradurre), racconta storie dei concerti che ha visto, apre orgoglioso una cartelletta con i manoscritti dei testi tradotti, pieni di annotazioni e correzioni, mostrando il lavoro certosino fatto. “Chiedimi quello che vuoi”, esordisce. De Gregori viene accostato a Dylan da sempre. Ma il suo non è l’amore acritico ed ossessivo del fan. Non può esserlo, visto il suo lavoro: racconta di averlo conosciuto anni fa, ma lo scorso luglio, quando lui e Dylan hanno suonato nello stesso concerto, ha volutamente evitato l’incontro - per non ripetere forse una scena come quella che lui stesso racconta in “Guarda che non sono io”, l’incontro con un fan fuori da un supermercato che gli chiede ragione di una vecchia canzone, e la sua risposta: “Se credi di conoscermi non è un problema mio”. Il suo è l’amore consapevole e rispettoso di chi conosce il mestiere, e apprezza la grandezza del Maestro da ogni punto di vista. A tal punto che, ci racconta, nel tour che partirà il 5 marzo da Roma (biglietti in vendita da oggi), sta pensando di cantare per intero queste canzoni - in sequenza: “perché questa è un’opera che va ascoltata nella sua unità”. C’è decisamente più amore che furto, in questo album il cui titolo richiama “Love and theft”, disco di Dylan del 2001. Un lavoro che unisce magistralmente la profondità delle versioni originali con la personalità di uno dei più grandi cantautori italiani. In questa lunga chiacchierata, De Gregori racconta non solo la storia dell’album, ma un suo rapporto con il Maestro che dura da più di 40 anni. Quando è nata l’idea di tradurre Dylan? Il progetto in quanto tale, il volerne fare un disco, è nato recentemente: ci sto pensando da meno di un anno. In realtà la mia voglia di tradurre, non solo Dylan ma anche Cohen e Neil Young c’è da quando avevo 18, 20 anni e questa musica così potente mi sbatteva addosso. Io non sapevo l’inglese, il mio era scolastico. Ma mi tramortiva quel suono, e mi torturava l’idea di non sapere cosa volessero dire le parole che ci stavano dentro. Da lì ho cominciato a prendere il vocabolario e senza neanche avere i testi stampati, che al tempo non si trovavano, inseguivo il senso della parole. Prima in maniera letterale, poi cercando di renderle cantabili, visto che suonavo la chitarra. Tutto questo quando succedeva? Parliamo del ’64 o giù di lì: andavo in questo locale di Roma dove ho cominciato a lavorare giovanissimo; ho tradotto molte canzono di Leonard Cohen, credo un LP intero che poi è andato perduto: per fortuna, c’erano anche cose molto ingenue. Questo disco ha un grande precedente, “Via della povertà”, tradotta assieme a De André, per il suo “Canzoni”, del ’74. Come nacque? “Desolation row” è stata la prima canzone di Dylan che ho tradotto. Credo fosse il ’71 o il ’72. La cantavo al Folk Studio tra le 5 o 6 canzoni che facevo ogni sera. Una volta capitò De André, che se ne innamorò. Mi disse che la voleva incidere, mi chiese di rivederla assieme. La versione di “Amore e furto” è stata ritradotta ed è più elettrica. Nell’entusiasmo della giovinezza io e Fabrizio inserimmo delle cose che non c’erano. Ci sentivamo talmente bravi a scrivere che mettemmo cose come i tre Re Magi o il caporale Adolfo, cose che Dylan non avrebbe mai usato. Per me è una canzone importantissima, ma non la potevo mettere in quella versione, così l’ho ritradotta, cercando di essere più vicino all’originale. L’arrangiamento di Dylan, quello cui si ispirò pure De André, è quello di una take irripetibile con una chitarra spagnoleggiante che venne improvvisata e tira avanti tutto il pezzo. Di fronte all’impossibilità di riprodurre una situazione del genere, ho elettrificato tutto, perché comunque la canzone arriva dal suo periodo elettrico. L’altro precedente è “Non dirle che non è così”, incisa per la colonna sonora di ”Masked and Anonymous”. Strana operazione, quella. Dylan fece quel film che a me è piaciuto, come quasi tutte le sue cose, anche le più strampalate. Lui volle per la colonna sonora una serie di cover fatte da artisti stranieri, pure uno giapponese… Ma io sono fiero possessore di un disco in cui sono in mezzo ai Los Lobos e a Jerry Garcia. Mi lascia supporre che Dylan sappia di uno che si chiama De Gregori che ha tradotto quella canzone. In “Amore e furto” c’è una fedeltà quasi filologica nelle versioni - sia nella traduzione che nella struttura musicale e negli arrangiamenti. Una fedeltà cercata e voluta? Sì, per due motivi: gli arrangiamenti sono talmente belli che sarebbe stupido andare a cambiare quello che ha fatto gente come Daniel Lanois o Mark Knopfler per quei brani. E l’altro è che invece nella traduzione inevitabilmente si perde qualcosa, quindi almeno negli arrangiamenti volevo essere più aderente. Nelle parole, il ritmo, la metrica ti impongono qualche cambiamento. C’è una ricerca della fedeltà che è sempre disattesa, perché non si può tradurre per filo e per segno. Per mantenere la bellezza e la gradevolezza della canzoni qualche cambiamento va fatto per forza. Questa ricerca della fedeltà è interessante perché una delle “accuse” che si fanno spesso ad entrambi voi, a te e a Dylan, è quello di stravolgere le proprie canzoni in concerto. Tradire se stessi… E’ roba mia, ci faccio quello che mi pare. Quando affronti il lavoro di un altro, invece, devi avere umiltà, disciplina. Chi ti dà il permesso di tradirlo? Cammini sulle sabbie mobili, facendo questo lavoro. Ti salvi perché lo ami, e io amo questo materiale: in nome di questo amore, accetto anche la sconfitta di non essere riuscito a tradurre tutto, Qualche graffio, qualche personalizzazione però c’è. Come è nata la citazione di “Pezzi di vetro” in “Un angioletto come te”? Non è una citazione: è incredibile, ma è così. Lui dice “You could be known as the most beautiful woman/Who ever crawled across cut glass to make a deal”. E’ una traduzione letterale. E poi quel “Puoi chiamarmi Generale” in “Servire qualcuno”... Perché lui canta “You may call me Bobby, you may call me Zimmy”: sta alludendo a se stesso. Non potevo cantare le stesse parole, dovevo anche io alludere a me stesso. Essendo versioni modificate degli originali, le hanno dovute approvare Dylan e il suo management? Sì, funziona così: tu le traduci, poi ritraduci in inglese la tua versione, e loro le approvano. Non è stato un processo lungo, credo che avvenga di default. Dylan è molto tradotto, credo sia contento e anche rassegnato alla non completa fedeltà. Quindi lascia fare. Come sono state scelte le canzoni da rielaborare? Si sono scelte da sole. Non dico che le conosco tutte, ma ho nella mia testa il corpus dylaniano. Quando ho deciso di fare questo disco, ho deciso di lasciarle navigare. E se mentre guidavo o guardavo la TV mi veniva in mente una canzone, se trovavo un aggancio plausibile andavo avanti. Se no, lasciavo perdere. Quali non sono riuscite, per esempio? “My back pages”, con quel meraviglioso “I was so much older then, I’m younger than that now”, che è forse il verso preferito di Dylan di tutti. Ma non si può tradurre, come fai su quella linea melodica? Alcuni pezzi sono minori anche per i fan, outtake degli anni ‘80 come “Dignity” e “Series of dreams”. C’è molto Dylan di quel periodo. Sì, ma è casuale - sono andato dopo a vedere da che disco provenivano. Sono stati anni forse infelici per lui, dal punto di visto del mercato, gli ’80 e i ’90. Ma lui ha scritto dei capolavori come “Not dark yet”, in quegli anni. “Gotta serve somebody” arriva dal periodo “cristiano” di Dylan, la fine degli anni ‘70. Come mai proprio quel brano e quel periodo? Tolta da quel contesto, ci si trova una canzone impressionante. Per noi, senza quei riferimenti biblici, diventa una canzone sul libero arbitrio, sul dover sempre servire qualcuno, appunto. Le canzoni di Dylan sono ricche di citazioni bibliche, così come quelle di Springsteen. Cosa invece quasi completamente assente nella canzone italiana. Come mai? Noi non abbiamo la Bibbia come riferimento, abbiamo il Vangelo. La diffusione del Vecchio Testamento in America è stata molto più radicale e capillare, è quasi un abbecedario. Tanti riferimenti biblici per noi sono quasi incomprensibili, mentre il Vangelo entra nelle nostre vite personali, di cattolici o meno. Che reazione possono avere gli ascoltatori di De Gregori e di quelli di Dylan di fronte a un lavoro del genere? Mi sono ritrovato con un disco che molti dylaniani di primo pelo non riconosceranno. Per molti in Italia Dylan è soprattutto “Like a rolling stone” e “Blowin in the wind”. Qualcuno mi mi ha detto “sembrano canzoni tue” ed ovviamente mi fa piacere, ma è dovuto al fatto che gli originali non sono conosciuti. Dopo un lavoro certosino del genere, è possibile ancora ascoltare la musica di Dylan e godersela? Hai voglia! I testi di Dylan sono comunque fonte di gioia per la mia testa, anche se purtroppo non parlo così bene l’inglese da cogliere ogni sfumatura. L’ultimo album di Dylan, quello di reinterpretazioni di classici, mi piace - ma mi manca l’autore. Non ha mai scritto niente di banale. Ogni tanto mi leggo i suoi testi per il semplice piacere di farlo. C’è stato un momento in cui è sembrato che fosse meglio non fare un’operazione del genere? No. Il lavoro l’ho fatto di slancio e l’ho valutato alla fine, quando sono entrato in sala d’incisione. Perché finché stanno su carta e te le canti in camera è un conto. Quando le canti con la band, e capisci che c’è un suono… Fino a che non sono arrivato lì, c’è stato il rischio di buttare tutto. Ma non sarebbe stato buttare via, sarebbe stato comunque qualcosa che ho fatto. Lo scorso luglio eravate in cartellone assieme a Lucca: De Gregori e Dylan nello stessa serata. E’ stato comunicato chiaramente che non avreste cantato assieme, che non vi sareste incrociati sul palco, e che aprivi solo il concerto. Non vi siete neanche incontrati? No, non ho voluto. C’erano tutti i giornalisti che aspettavano di vedere se io andavo a bussare al camerino per vedere cosa sarebbe successo… Allora sono arrivato un minuto prima di salire sul palco, e un minuto dopo ero in macchina per andare in albergo. Non l’ho visto neanche in concerto, l’ho visto una settimana fa a Parigi. Sta facendo una serie di concerti bellissimi: sempre la stessa scaletta, ma suonata in maniera magistrale. L'ho incontrato invece tanti anni fa, nei camerini di un concerto a Roma, e abbiamo bevuto un bicchiere di vino rosso assieme. Come verrà portato questo repertorio in tour? Sto pensando di fare tutto questo album nella sua unità in sequenza, nella prima parte dello spettacolo. E’ un lavoro che va proposto tutto insieme, in maniera monolitica. Se qualcuno si annoierà sentendo 11 minuti di “Desolation row”, pazienza... http://www.rockol.it/news-648254/francesco-de-gregori-bob-dylan---amore-e-furto-intervista
2) "Servire qualcuno" (Gotta serve somebody da Slow train coming, il disco "evangelico" 1979 del Dylan che scopre e canta Cristo). Versione superba, fedele al beat dell'originale, col suo passo ossessivo e ipnotico, biblico più che evangelico (Forse sarà il diavolo, forse sarà Dio/Ma devi sempre servire qualcuno). Ma sottile nell'interpretazione, con exempla fedeli all'originale ma totalmente nostri. Chitarre raffinatissime e citazione dei Doors.
De Gregori canta Dylan: «Meriterebbe il Nobel, ma per la musica» di Francesco Prisco
«Non c'è stata nessuna riflessione particolare sulla scelta delle canzoni. Non ho preso il canzoniere di Dylan e mi sono detto “Questa sì, questa no”. Sono dylaniano da quando avevo 15 anni. La sua musica è stata la mia via di Damasco. Piuttosto che scegliere le canzoni, ho lasciato che le canzoni scegliessero me». Francesco De Gregori non vuole arrendersi alle ricostruzioni dietrologiche. A Milano, in un'evocativa Osteria del Treno che sa ancora di lotte sindacali, presenta il suo nuovo disco, «De Gregori canta Bob Dylan. Amore e Furto», in uscita venerdì 30 ottobre per la Caravan distribuito da Sony Music. Il concept si spiega da solo: è il Discepolo che omaggia il Maestro. Traducendo, re-interpretando e ri-arrangiandone 11 canzoni. E invita gli esegeti a non esagerare con le esegesi: «C'erano canzoni che mi piacevano moltissimo, come “My back pages”, quella che esprime il concetto di “Younger than yesterday”: “Oh ma io ero più vecchio allora/ di quanto sia giovane adesso”. Un capolavoro. Avrei voluto inserirla nell'album, ma in italiano non rendeva. Diciamo che ho cantato le canzoni di Dylan che mi sono capitate addosso». La versione del «dylaniato» Ma l'ascoltatore «dylaniato» (grado maniacale supremo per i fan di Dylan) farà una certa fatica a credere alla versione ufficiale dei fatti: qui ci si smarca, si vuole andare a parare da un'altra parte, è evidentissima una fuga dall'ovvio, da tutto ciò che ci saremmo aspettati da De Gregori che canta Dylan. Nell'omaggiare il Maestro, pare infatti che il Discepolo italiano faccia di tutto per evitare le scorciatoie. Niente (o quasi) superclassici, no alle pietre miliari - ché ricantate spesso e volentieri si sciolgono in sabbie mobili -, fuori dalla porta le «Mr. Tambourine Man», le «Like a Rolling Stone» o le ancora più scontate «Blowin' in the Wind» del caso. Gli unici capitoli «alti» del repertorio del Menestrello di Duluth ripresi dal Principe sono «If you see her, say hello», dal capolavoro Seventies «Blood on the Tracks» (la «Non dirle che non è così» già eseguita da De Gregori dal vivo da 20 anni e dal vivo incisa ne «La valigia dell'attore»), «Desolation Row»/«Via della Povertà» (una prima traduzione del brano fu affidata a Fabrizio De André nel 1974, ma qui il testo cambia in più di un punto, la ritmica si fa distorta, l'armonica lascia posto a una marchin' band con tanto di harmonium), «I shall be released»/«Come il giorno» (nota più per l'interpretazione di The Band che per quella di Dylan) e il proto-rap di «Subterranean Homesick Blues» che diventa la più compassata «Acido seminterrato» (lui dà la colpa alla «metrica della lingua italiana», ma i 24 anni del Dylan del '65 non sono i 64 del De Gregori di oggi). Grandi classici «ineseguibili» Gli altri sette pezzi sono attinti dalla produzione minore di Sua Bobbità: il singolo «Un angioletto come te», felice adattamento degli anni Ottanta di «Sweetheart like you», la cristiana «Gotta serve somebody»/«Servire qualcuno», ancora gli anni Ottanta di «Political World» («Mondo politico»), «Not Dark Yet» («Non è buio ancora»), «Tweedle dee & tweedle dum» da «Love and Theft», disco pubblicato nel fatidico 11 settembre 2001, addirittura lost and found del repertorio di Mr. Zimmerman («Series of Dream», «Dignity»). Una scelta per certi versi analoga a quella del Dylan di oggi che in concerto tutto fa, tranne quello che ci si aspetterebbe da lui. Niente armonica, siamo dylaniani Sempre per giocare sullo spiazzamento, De Gregori stavlta non usa mai l'armonica diatonica, strumento-feticcio che ha imparato/importato proprio dagli album del Maestro. Se glielo fai notare, gli scappa un sorriso: «È vero, ho deliberatamente rinunciato a suonare l'armonica, perché non puoi suonare l'armonica dopo Bob Dylan. Quanto ai grandi classici del suo songbook, pezzi come “Like a Rolling Stone” o “Just like a woman” per quanto mi riguarda sono ineseguibili», addirittura «qualcosa di sacro». Il disco, a partire da marzo 2016, sarà portato in tour dal cantautore romano, in uno spettacolo che si preannuncia in due tempi, così da «non mescolare le due produzioni». Ma Dylan meriterebbe il Nobel per la letteratura per il quale è ogni anno candidato? Il tema non appassiona il Principe: «Sapete come la penso: scrivere canzoni è diverso dalla letteratura. Se esistesse un Nobel per la musica, lo meriterebbe senza “se” e senza “ma”. Dargli quello per la letteratura sarebbe come dare un premio per la falegnameria a un idraulico». Dylan l'«impressionista» La devozione di De Gregori – del quale venerdì 30 per Sypress esce anche il libro fotografico con Dvd «Guarda che non sono io» - per Sua Bobbità è assoluta. Lo paragona a Courbet, «pittore alle origini dell'impressionismo, uno che ha cambiato la prospettiva. Pensiamo ai suoi assoli: a nessuno verrebbe in mente di suonare in quel modo, ma fatto da lui ha un senso. Per certi versi mi ricorda il mio amico Lucio Dalla quando improvvisava». Il senso più profondo di questa operazione è il titolo: «Amore e Furto», traduzione letterale di «Love and Theft» che «era un disco in cui Dylan dichiarava apertamente di aver rubato da pezzi che amava. Lo stesso che da oltre 40 anni faccio io col suo repertorio». Un disco onesto che suona benissimo.
3) "Non dirle che non è così" (If you see her, say hello, brano del tutto laterale del capolavoro Blood on the tracks del 1975). Una traduzione che è un po' una riscrittura d'autore, un rivivere il testo alla De Gregori, coi propri accenti, con la propria via alla canzone d'amore distaccata e misteriosa. Acustica e mandolino in primo piano (Ma come si fa a scrivere di amori perduti non avendo mai perduto il proprio?)
De Gregori canta Dylan, un “Ti amo, tesoro” scritto sulla facciata del Duomo di Milano di Michele Monina
Francesco De Gregori ti odio. Odio la tua sfacciata antipatia. Odio il tuo fingerti superficiale. Odio il tuo aver scritto siffatti capolavori messi lì, nella stessa biografia a poche righe dai duetti con Ligabue e Fedez. Odio il fatto che non sei tu, ma in realtà sei tu, o forse sono io. Nei fatti, Francesco De Gregori ti odio. Appurato questo, passiamo alla mera cronaca musicale. Domani esce Francesco De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto. Oggi c’è stato l’ascolto per la stampa e la conferenza stampa di presentazione. Ci sono andato con ancora in mente la sua comparsata al concerto de Il Volo, e con al suo fianco Fedez e Elisa all’Arena di Verona, carico di pregiudizi e pronto a farmi giustizia da me. Fedez, Santo Dio Chiaro, stavolta c’era di mezzo Dylan, non Fedez, ma non potevo che rimanerne deluso, lo sapevo. L’album è stato anticipato da Un angioletto come te, traduzione di Sweetheart like you, prima traccia dell’album. Probabilmente il brano più significativo del lavoro. Non il migliore, intendiamoci, ma quello che meglio racchiude e esprime le intenzioni di De Gregori con questo lavoro. Una sorta di riproposizione pedissequa del mondo dylaniano, con traduzioni più letterali (la traducibilità dei testi è stata in parte determinante per la scelta dei brani, ci ha detto in conferenza stampa, stranamente logorroico, facendo esempi concreti, intrattenendosi nei dettagli) che libere interpretazioni poetiche. Con un cantato, addirittura, che tende alla mimesi con quello di Bob Dylan, stessi miagolii acuti, appoggiati su parole che, in questo De Gregori è stato gigantesco, permettono alla perfezione la mimesi, traduzioni letterali che suonano come onomatopee, magari sacrificando alcuni versi, ma sempre con coerenza e fedeltà, se vi sembra poco. Gli altri brani sono altrettanto dylaniani nella trasposizione poetica, un po’ meno imitativi nell’interpretazione, salvo rari casi, per quanto possa essere poco dylaniana l’interpretazione di uno che ha sempre dichiarato il proprio amore per il cantautore americano, e che se anche non lo avesse dichiarato a parole lo ha sempre dichiarato nei fatti, con una scrittura spesso altrettanto mimetica, al limite del furto ben dichiarato nel sottotitolo, a sua volta omaggio a Love and theft. Ecco, se Dylan è stato l’impressionista della musica rock, parole del Principe, lui lì a abbattere prospettive coi suoi accordi, De Gregori è stato il suo epigono italiano. Del resto la presenza in scaletta di un rifacimento della deandreiana Via della povertà, Desolation row, uscita nel 1974 in Canzoni del cantautore genovese, indica già in maniera precisa come di amore che arriva da lontanissimo si tratti. Un amore che ha spinto De Gregori a studiare a fondo il lavoro del menestrello di Duluth, fino a scegliere brani assolutamente non scontati, ricercati, improbabili. Niente superclassici, quindi. Nessuno dei brani che chi non conosce Dylan inserirebbe in un Greatest Hits (un Greatest Hits di Dylan, Dio mi fulmini), solo brani volutamente recuperati tra i cosiddetti minori (minori, Dio mi strafulmini). Sarà stata la classica mossa di un radical chic ormai stanco, mi ero detto prima di ascoltare l’album, affilando la punta alla matita rossa. Ecco, a leggere gli undici brani in tracklist, a sentire i suoni fedeli a De Gregori tanto quanto a Dylan, si capisce come di puro atto di amore si tratti, forse addirittura eccessivo, come a voler scrivere sulla parete del Duomo di Milano: “ti amo, tesoro”. Amo Dylan e lo rifaccio fedelmente, tranne le versioni distanti musicalmente dagli originali di Come il giorno e Via della povertà, in cui manca l’armonica, assente in tutto il disco, scegliendo brani che solo chi ama Dylan conosce, gente come me. Pubblicità “Ti amo, tesoro”, dove il tesoro in questione è Dylan, la tavolozza la facciata del Duomo di Milano, le canzoni di Dylan, ma a scriverlo non è un ragazzino armato di bomboletta, ma Michelangelo. Francesco De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto è un atto d’amore. Senza furto. L’ascolto potrebbe forse spingere verso la noia, se disattento, ma a coglierne il valore filologico, o anche solo a cogliere la sonorità delle parole scelte da De Gregori per rendere omaggio a chi della sonorità delle parole è un maestro indiscusso viene da rimanere disarmati. Ti odio, Francesco De Gregori, che mi disarmi quando ero sicuro di poter bruciare il tuo cadavere su una pira immerso nel Gange. Già pensavo cosa avrei scritto di fronte alle tue storpiature dylaniane. Per questo ti odio. Perché dopo aver vivacchiato negli ultimi anni con prove discografiche discontinue, quasi sempre sotto i tuoi standard di un tempo, dopo aver collaborato con gente che in un mondo giusto si occuperebbe d’altro, dopo aver associato la tua voce e la tua immagine a iniziative che ci hanno fatto rimpiangere il Palalido e il suo processo sommario, hai tirato fuori dal cilindro un album che, al pari di quello con Giovanna Marini di ormai diverso tempo fa, riconcilia con la tua storia. Ti odio Francesco De Gregori. No, in realtà ti amo, Francesco De Gregori. Ti amo, al punto che avrei preferito in passato inchiodarti su una tela, come si fa con le farfalle, per preservare dall’usura del tempo la bellezza di quanto avevi fatto. O ti avrei infilato dentro le pagine di un libro, come si fa coi fiori che ci hanno regalato nelle occasioni importanti. Ti amo, e stavolta non te lo dirò incidendolo con un chiodo arrugginito sulla fiancata della tua auto nuova. Te lo dico e basta.
4) "Via della povertà" (Desolation row da Highway 61 Revisited, 1965). Atto di sacrosanta presunzione, peraltro già attuato in una prima versione degli anni 70 in compagnia di un certo Fabrizio De André. Cos'era negli anni 70 e cos'è oggi, a 50 anni esatti dalla sua composizione? Come si fa a tradurre una scrittura così surreale, ginsberghiana, intessuta di riferimenti americani, anzi incomprensibile per gli stessi americani che ne discutono ancora oggi? Come può arrivare ai ragazzi di oggi dalla lingua così povera, che non arrivano a immaginarne un'altra? De Gregori: "Nel '74 ero arrivato a mettere in un verso addirittura Hitler, inventando di sana pianta. Ma ero molto più vecchio allora..."
"Ragazzi, tornate ad ascoltarlo"
Tutto chiaro, esplicito, scoperto fin dal titolo: "De Gregori canta Bob Dylan - Amore e furto". Ma è uno dei più bei lavori della carriera di Francesco De Gregori, da qualche anno in particolare stato di grazia. Stavolta si trasforma in San Gerolamo del rock, e come il santo illirico tradusse dal greco e dall'ebraico in latino le sacre scritture così il nostro, arrivato alla piena maturità, si fa carico di oltre 500 versi di Bob Dylan (il cui canzoniere, si parva licet, è da tempo considerata la "Bibbia" della poesia rock) per riscriverli e cantarli nella nostra lingua. Un imponente, colossale e per certi versi temerario lavoro filologico e musicale, ma con buoni, anzi ottimi risultati. Alla nostra ovvia, scontata obiezione: "chi te l'ha fatto fare?", a fronte di una efficace rilettura di suoi classici come il CD "Vivavoce"; di un evento come "Rimmel" revisited a settembre all'Arena di Verona; di un recente capolavoro come "Guarda che non sono io" (2012) a dimostrazione che la vena creativa è tutt'altro che esaurita, De Gregori risponde: "Divertimento, puro e semplice divertimento. Perché è un mondo, una scrittura musicale totalmente mia, e che amo da 40 anni". Sì, ma 500 versi di Dylan da tradurre e mettere in musica sono una montagna da scalare, una scommessa. Chi te lo fa fare, basta l'amore a Dylan? O in te c'è l'idea di farti "apostolo" del verbo dylaniano per le nuove generazioni? "Può accadere oggettivamente, come conseguenza, che un lavoro come questo mi trasformi in "divulgatore", anche se non mi sento tale. Certo mi fa piacere che una parte del mio pubblico, quello più giovane, scopra con questo disco il valore di Bob Dylan". Veniamo al metodo. Volente o nolente ti metti sulla scia dei grandi traduttori "ritmici" della storia musicale, dal Fedele D'Amico della Lulu di Berg, convinto che tradurli in scena fosse l'unica strada per accedere ai capolavori stranieri in musica, fino al mitico Mogol prototraduttore di Blowing in the wind ("Quante le strade che un uomo farà/e quando fermarsi potrà?"). Il metodo De Gregori? "Innanzitutto non tradire il significato delle canzoni scelte, fin dal titolo. Poi cercare di riportare nella nostra lingua, ove possibile, le invenzioni della lingua dylaniana. Per capirci: puoi tradire momentaneamente le sue invenzioni, ma solo se se i riferimenti sono troppo lontani dalla nostra lingua e cultura, se capisci che ti serve un suono per quadrare il cerchio del suo rapporto testo-musica, tenendo presente che Dylan ha a disposizione una lingua spiccia, secca, dove servono molte meno sillabe della nostra per dire le stesse cose. Insomma sono partito da un profondo rispetto per la fonte ma poi è scattato un gioco quasi da cruciverba sillabico, una sfida. E certo in questa sfida il fatto che si trattasse di testi che alla fine avrei dovuto cantare io stesso mi ha molto aiutato. Non ho fatto un libro, ma ho tradotto Dylan per qualcuno che avrebbe cantato, sapendo che io stesso sarei stato la... foné della mia scrittura". E qui c'è l'altra sfida in cui ti sei lanciato: cantare Dylan senza tradirlo, ma anche senza...parodiarlo, con quella, anzi con quelle sue diverse colorature vocali e stilistiche così particolari e poi così mutate nel corso degli anni. "Qui ho risolto istintivamente, usando il mio modo di dividere il ritmo del canto in maniera distonica ma anche tenendo sempre presente il fraseggio di Dylan, cercando sempre di non tradirlo e insieme di non imitarlo. Ma diversi appigli mi hanno aiutato, per esempio il coro femminile nella mia versione di I shall be released, Come il giorno, mi ha dato una grossa mano nel trovare la chiave giusta per cantare il ritornello". Ritornello che devo dire è uno dei risultati più riusciti di questo disco: "E questa luce intorno/è d'innocenza e verità/Ogni giorno è il giorno/Benedetto il giorno/che uscirò da qua". Ma a proposito di versi come questi mi ha impressionato un dettaglio, nella grafica che accompagna il disco: l'umiltà di anteporre al proprio testo l'originale e di metterlo a fronte in modo che si possa subito valutare il lavoro fatto. "L'umiltà non c'entra, è un'abitudine da lettore, fin dagli anni del liceo: trattasi semplicemente di testo a fronte, così che chi sa (e in fondo anche chi non sa) bene l'inglese possa accedere contemporaneamente all'originale". E' una traduzione autorizzata? Dylan lo sa? "Non so se Dylan lo sa. Certo è una traduzione autorizzata. Il metodo è questo: Io traduco, poi devo ritradurre il tutto in un inglese letterale e spedirlo infine ad un "ufficio preposto" in attesa di autorizzazione. La cosa deve essere andata, visto che sono stato autorizzato, ma da lì a sapere se Dylan stesso le ha viste... Credo ci siano traduttori di Dylan in almeno mezzo pianeta e in centinaia di lingue, non credo sia lui a valutare". Quest'estate hai diviso a Lucca il palco con Dylan, peraltro senza contatti diretti. Ma c'è mai stato un tuo incontro diretto, importante con Dylan in questi anni? "15 o 20 anni fa fui "portato" da David Zard nel camerino di Dylan e parlammo cordialmente per quattro o cinque minuti. Certo qualcosa di più largo e disteso mi piacerebbe, ma di sicuro non mi cambierebbe la vita. Ma se me lo chiedi alla luce di questo disco non sarebbe nemmeno utile: Pavese per ragioni anagrafiche non ha mai conosciuto Melville, ma non credo che conoscerlo avrebbe cambiato più di tanto la sua traduzione di Moby Dick". Ma cos'è in fin dei conti "De Gregori canta Bob Dylan - Amore e furto"? Un disco di cover "scelte", in parte grandi pezzi della sua storia non più così noti, in parte pezzi laterali, reputati minori. Provenienti dal passato ma anche scritti nel nuovo millennio, pane per dylanologi ma anche per scopritori curiosi. Sul piano del suono e degli arrangiamenti, curati con grande consapevolezza dal fido Guido Guglielminetti, è la rivincita delle chitarre, elettriche e acustiche, e dell'organo, con ritmiche classiche e una voce meravigliosamente mixata in primo piano, cosa questa decisamente d'altri tempi. Avessi il tempo che serve e la competenza linguistica farei, come suggerito dall'apparato testi del disco, un accurato confronto fra i versi dylaniani e quelli dell'eccellente traduttore, invece mi limiterò a proporvi un'ordinata cavalcata fra gli 11 pezzi del disco così come li ho ascoltati prima di parlare col loro traduttore-interprete. Ma prima devo confessarvi che di De Gregori negli ultimi anni sono ritornato un semplice fan, disarmato e manicheo, solo un po' travestito da critico per questioni di età di dignità. Ma la cosa importante è che a noi, cui in fondo il Dylan di oggi non interessa più di tanto, De Gregori dice con questo disco: guardate che il grande vecchio del rock è stato grande e lo è tuttora. Tornate ad ascoltarlo.
5) "Come il giorno" (I shall be released) pezzo scritto per la Band nel 1967. Riscrittura meravigliosa, geniale nel ritornello. Sound bellissimo, piano e basso elettrico in primo piano, cori femminili coinvolgenti e potenti. Voce ricca, tesa. C'è dentro un desiderio di liberazione piano di certezza: Any day now/I shall be released.
LA MIA SECONDA GIOVINEZZA
Tre scatti in bianco e nero ritraggono in sequenza un uomo con la barba e una giovane donna. Lui ha l’aria di chi l’ha combinata grossa. Francesco De Gregori osserva divertito quegli scatti del 1979 con sua moglie Alessandra contenuti nel libro fotografico Guarda che non sono io (SVPress). E conferma: «Nel primo fotogramma c’è un conflitto serio, mi sta rimproverando per qualcosa che devo aver fatto; nel secondo cerco di rabbonirla e lei addolcisce leggermente il suo viso; nel terzo mi ha già perdonato». È un De Gregori molto rilassato quello che incontriamo nel giardino di un hotel milanese. Fa freddo, ma lui si presenta con una giacca assai leggera. A proteggerlo, ci sono solo il cappello e gli occhiali che non toglie mai. Il suo ultimo album, Amore e furto, bellissimo, l’ha riportato al primo posto in classifica. Un risultato che premia il grande lavoro del cantautore che ha adattato in italiano 11 canzoni di Bob Dylan scelte tra quelle meno note, cercando il più possibile di essere fedele al testo originale.
«Per me Dylan è sempre stato un compagno di strada musicale. Entrare dentro al suo mondo in maniera così intima mi ha molto arricchito e ho cercato di farlo con il massimo rispetto possibile». Tra le canzoni tradotte c’è Gotta Serve Somebody (Servire qualcuno), appartenente al cosiddetto “periodo cristiano” di Dylan, quando alla fine degli anni ’70 lasciò l’ebraismo per aderire a una setta evangelica, incidendo alcuni album dai forti contenuti religiosi che all’epoca furono molto criticati. Perché l’ha scelta? «Anch’io rimasi un po’ deluso da quei dischi. Invece, mentre preparavo questo album, ho risentito quella canzone e ho pensato che fosse molto bella, nella musica come nel testo». Dylan all’epoca fu accusato di essere diventato un integralista. Però nel testo di Servire qualcuno lei canta: «Forse sarà il diavolo, forse sarà Dio. Ma devi sempre servire qualcuno». Quindi lascia spazio al dubbio... «Sì. In pratica dice che qualsiasi cosa tu faccia nella vita hai davanti una scelta tra il bene o il male. Però se analizziamo ancora più a fondo questo testo, c’è una sfumatura che ci fa capire quanto la cultura ebraica abbia permeato Dylan anche allora. Il verbo “servire” rimanda al concetto di sottomissione a Dio che è tipico dell’Antico Testamento, molto diverso dal libero arbitrio di cui parla sant’Agostino. Dio anche in questa canzone è il Dio degli eserciti, non è il Dio evangelico». In Mondo politico (Political World) invece canta: «Il coraggio è fuori moda, nessuno vuole figli, il domani fa paura». Dylan l’ha scritta nel 1989, ma sembra che parli a noi... «Lo so, è sorprendente. Così come mi ha sorpreso un altro verso di Servire qualcuno: “Puoi essere il padrone di una Tv privata... ma devi sempre servire qualcuno”. Chi lo ascolta pensa subito a Berlusconi, ma ovviamente Dylan non si riferiva a lui». Per celebrare i 40 anni di Rimmel, sul palco accanto a lei all’Arena di Verona, ha voluto anche il rapper Fedez. Pensa che i suoi fan possano ascoltare anche il suo disco? «Lo spero. I giovani sono delle spugne e anche se dicono di ascoltare solo un genere di musica, se si imbattono in qualcosa di diverso che fa scattare la loro curiosità si fermano e approfondiscono. Anch’io facevo così: avevo le mie “fisse”, ma ascoltavo anche l’opera lirica e le canzoni popolari indiane». Ha sempre avuto fama di essere un artista scontroso per non dire antipatico. Da qualche anno sembra che non sia più così. Anche il fatto di aver voluto accanto all’Arena di Verona artisti diversissimi da lei come Fedez, Fausto Leali e Checco Zalone sembra il segnale di una maggiore apertura verso il pubblico. Cosa è successo? «Chiunque di noi cambia. Ho 64 anni e nell’ultimo periodo è arrivata un’ondata di serenità nei confronti del mio mestiere. Non che prima volessi nascondermi, ma era come se dicessi: “Lasciatemi in pace: le mie canzoni parlano da sole e comunque non le capireste mai”. Adesso continuo a pensare che le mie canzoni parlino da sole, ma se qualcuno vuole scambiare due chiacchiere con me su qualcuna non ho niente in contrario. Così come non ho problemi a firmare un autografo e sono contento se qualcuno mi confessa di aver chiamato sua figlia Alice per la mia canzone».
In questo cambiamento c’entra il tour che ha fatto con Lucio Dalla e che si è concluso pochi mesi prima della sua scomparsa? «Un po’ sì. Ogni sera vedevo la serenità che Lucio aveva nell’affrontare il pubblico, anche nei corollari come la foto in camerino o la chiacchierata dopo il concerto. Lo osservavo e pensavo: “Ha suonato e cantato pure lui, ma a differenza di me non sembra stanco. Eppure ha più anni di me. Com’è che non ce la faccio a essere così rilassato?”. Finché ho capito che tutto sommato mi sarei rilassato di più anch’io se avessi accettato almeno un po’ la dedizione al pubblico che Lucio aveva». Cosa è rimasto del cantautore impegnato che scrive testi ermetici? «Sono convinto che un artista debba ricercare la profondità, ma questo non mi ha mai privato dell’aspetto ludico del mio mestiere, anzi mi sono sempre divertito molto. Poi puoi pure scrivere una canzone frivola, un’attività nobilissima pure questa, ma che a me non interessa più di tanto». In definitiva, si sente più in pace con sé stesso? «Questo è un bel periodo, non c’è dubbio, e non parlo solo da un punto di vista professionale. Ma non metto la mano sul fuoco su come mi sentirò tra cinque anni o anche solo tra cinque mesi. Spesso rifletto sul fatto che mi sento molto, ma molto più giovane dei miei 64 anni. Quando una persona vive questo conflitto fra la propria età anagrafica e l’età interiore può tentare di risolverlo in due modi: o cercando di allineare la prima alla seconda con il lifting o andando in palestra, oppure facendo il contrario, cioè invecchiando dentro, il che è peggio. Io invece non mi voglio allineare: mi sento uno splendido 64enne e allo stesso tempo penso che questo sentirmi giovane dentro sia un bellissimo dono». E. A. http://www.famigliacristiana.it/articolo/francesco-de-gregori.aspx
(ANSA) - MILANO, 26 OTT - E' stato Francesco De Gregori a chiudere la serie di concerti di musica leggera ospitati a Expo all'Open Air Theatre. Il cantante si è esibito sul palco dell'Open Air Theatre. Come per i concerti precedenti, lo spettacolo è stato gratuito, fino a esaurimento posti ed è stato offerto da Expo Milano 2015, F&P Group ed Rtl 102.5. Sul grande palco del teatro non sarà tuttavia l'ultima esibizione musicale. Previsto in settimana un concerto organizzato dal padiglione della Repubblica Ceca: si esibirà la violinista Gabriela Vermelho, con un accompagnamento in stile jazz-rock. Per De Gregori un successo di pubblico straordinario, con un Open Ait Theatre tutto esaurito e almeno 11mila persone ad applaudire enbtusiaste il cantautore romano e la sua band. (ANSA).
6) "Mondo politico" (Political world) da un disco sottovalutato: Oh mercy del 1989. Più che una traduzione ritmica io sospetto un travestimento: attraverso Dylan, prendendo a prestito Dylan, è il giudizio sul presente, su quest'Italia e sul mondo, di Francesco De Gregori. Versi di grande qualità, rock teso e svelto. De Gregori: "Potrei anche condividere il quadro cupo che Dylan fa del mondo, come in un dipinto di Bosch, ma non la penso come Dylan nell'assunto di fondo: tutto questo non è a causa della politica, ma della mancanza di politica".
POLITICAL WORLD (MONDO POLITICO) Una canzone un po' stupefacente, perche' ultimamente un Dylan che parla di politica non si era piu' sentito: e' come se un giorno si sia svegliato, si sia guardato attorno, abbia aperto la finestra e abbia visto un mondo orribile che poi descrive nella canzone con precisione chirurgica, con una crudelta' che lascia sgomenti. Nel tradurre questa canzone ho provato un po' di disagio per la totale mancaza di speranza. In genere sento mie le canzoni di Bob Dylan, ma avverto la necessita' di staccarmi da Mondo politico che non rispecchia la mia visione del mondo. Dylan attribuisce alla politica la responsabilita' dei disastri del mondo di oggi, io penso, al contrario, che la causa di tutti i mali non sia la politica, ma la sua latitanza. (FdG)
Francesco De Gregori: il 30 ottobre presso La Feltrinelli di Milano presenta il nuovo album
È in rotazione radiofonica “UN ANGIOLETTO COME TE”, il primo singolo di FRANCESCO DE GREGORI estratto dal suo nuovo disco “DE GREGORI CANTA BOB DYLAN – AMORE E FURTO”, in uscita il 30 ottobre. Del singolo è stato realizzato un videoclip (diretto da Alessandro Arianti). Nello stesso giorno di uscita dell’album, venerdì 30 ottobre, Francesco De Gregori sarà protagonista di un incontro a La Feltrinelli di Milano (piazza Piemonte, 2/4 – ore 18.30 – ingresso libero) per presentare al pubblico il disco insieme a Carlo Feltrinelli. «”Sweetheart like you ” è la storia di un incontro d’amore clandestino – racconta Francesco in merito al brano “Un angioletto come te” – Di una passione notturna destinata a svanire all’arrivo dell’alba, ma anche il delicatissimo ritratto di una donna combattuta fra emancipazione e fragilità. Dylan riesce a bloccare in pochi fotogrammi musicali l’incontro fra due vite senza soluzione, a farci vedere per un attimo contemporaneamente le porte dell’inferno e quelle del paradiso, e il confine sempre indefinito fra innocenza e peccato». L’album “DE GREGORI CANTA BOB DYLAN – AMORE E FURTO” (Caravan/Sony Music) è già disponibile in preorder su iTunes e Amazon. In questo disco, Francesco De Gregori traduce e interpreta, con amore e rispetto, 11 canzoni di Bob Dylan. Questa la tracklist: “Un angioletto come te” (“Sweetheart like you”), “Servire qualcuno” (“Gotta serve somebody”), “Non dirle che non è così” (“If you see her, say hello”), “Via della Povertà” (“Desolation row”), “Come il giorno” (“I shall be released”), “Mondo politico” (“Political world”), “Non è buio ancora” (“Not dark yet”), “Acido seminterrato” (“Subterranean homesick blues”), “Una serie di sogni” (“Series of dreams”), “Tweedle Dum & Tweedle Dee” (“Tweedle Dee & Tweedle Dum”), “Dignità” (“Dignity”). «Tradurre Dylan è stata una grande avventura, in tutti i sensi – racconta Francesco De Gregori – E credo che non avrei mai potuto nemmeno pensare ad un progetto del genere se non avessi amato da sempre il suo straordinario repertorio e il suo incredibile talento di musicista. Per questo motivo il mio disco ha questo titolo: “AMORE E FURTO”, rubato a un disco di Dylan in cui lui stesso dichiarava esplicitamente le sue passioni musicali e le influenze che aveva subito. Furto, quindi, ma soprattutto amore per un grandissimo artista e per alcune delle sue più belle canzoni, forse non le più conosciute qui in Italia».
7) "Non è buio ancora" (Not dark yet, da Times out of mind del 1998). Canzone notturna bellissima, intima, di disillusione profonda, di insufficienza di sé. Canzone di spleen e di bilanci al negativo, che però si chiude evocando una incerta preghiera. Canzone laterale, nascosta nel fiume carsico del Dylan contemporaneo che non fa più notizia ma sa ancora scrivere benissimo.
Un brano intriso di religiosita', di riscatto e di speranza anche se descrive una situazione di tristezza, di malinconia, di avvicinamento alla decadenza. Nell'ultima strofa della canzone tutto viene risolto in un meraviglioso verso in cui Dylan parla di preghiera: e credo di sentire una preghiera e i potrei sbagliare e oppure non lo so e non e' buio ancora, ma lo sara' fra un po'. Una canzone a doppio taglio che descrive, da una parte la fragilita' di essere uomini, e dall'altra rimanda alla consolazione in una rinnovata spiritualita'.(FdG).
GUIDO GUGLIELMINETTI, IL PRODUTTORE DI AMORE E FURTO, SI RACCONTA «Anima è ciò che sono, non ciò che sembro essere. Arte è una predisposizione naturale a godere di ciò che si fa, a gustare ogni piccola cosa, ogni singolo momento, anche triste, raccogliere tutto e restituire le emozioni in musica.»
Sono le parole di Guido Guglielminetti; il “Capobanda” non ha bisogno di troppe presentazioni… Nato a Torino, è bassista, compositore, arrangiatore, produttore discografico; ha collaborato con grandi artisti del panorama musicale. Uomo poliedrico ed eclettico, “per brevità chiamato artista”, dalle mille arti. Qual è il mestiere che più lo rappresenta… «Sono legati fra loro, non potrei essere l’uno se non fossi anche l’altro. Forse sono principalmente produttore; questo raccoglie tutti gli altri e mi rappresenta caratterialmente. Francesco mi definisce “pastore maremmano”, perché ho la capacità innata di tenere a bada il gregge. Per poterlo fare devi avere la stima di chi ti sta intorno, per avere la stima dei collaboratori devi conoscere bene tutti gli altri mestieri.» Parliamo della sua fantastica carriera. «Ha avuto, fino a un certo punto, alti e bassi, soprattutto a causa del mio carattere; non avevo molta fiducia in me stesso. Tutto è cambiato quando ho avuto un incidente importante che mi ha costretto per un anno su una sedia a rotelle. In quel periodo ho scoperto cose di me che non avrei mai immaginato: la forza d’animo, la caparbietà, l’ottimismo, la determinazione. Ne sono uscito vincitore e completamente rinnovato. Il lavoro da quel momento in poi è migliorato, perché i rapporti con gli altri sono cambiati in meglio; acquisendo sicurezza, ho potuto anche trasmetterla e mi sono finalmente accettato. Ho capito di essere quello che sono e che non avrei potuto né voluto essere altro.» Chiedo dell’incontro professionale con il “Principe” della canzone italiana; con gioia apprendo che quell’incrocio vede coinvolto anche Ivano Fossati, altro grande cantautore che adoro. «Ivano Fossati, Elio Rivagli e io avevamo appena realizzato l’album “Ventilazione”. Un lavoro molto particolare nato dalla necessità di Ivano di esplorare nuovi suoni, nuovi arrangiamenti. È un album molto coraggioso che ancora adesso regge il peso del tempo. Francesco si innamorò di quel lavoro, del suo suono e volle che tutti e tre partecipassimo al disco che stava incidendo, “Scacchi e tarocchi”. Così fu e da allora (1986) io collaboro con lui, come bassista prima e da un certo punto in poi anche come produttore.» Una sua recente foto sui social dal palco dell’Ariston ha raccolto una nota di commozione; ha ripensato alle sensazioni legate al successo, iniziato da lì. Mi racconta quell’emozione e la differenza con quella odierna… «L’enorme differenza consiste nel fatto che allora non mi resi conto di cosa stesse accadendo, mi accorsi solo negli anni di aver scritto un successo, “Un’emozione da poco” di Anna Oxa. Ero molto giovane e per me fu tutto un gioco. Ho scritto anche un racconto su questa esperienza, di come sia nata, e sarà parte, insieme con altri racconti, di un libro che sto scrivendo. Ora mi emoziono molto di più perché ho capito che ogni piccola soddisfazione è una conquista importante; allora pensavo che fosse normale quello che mi stava succedendo. Dopo ho capito che di normale non c’era nulla e che avere talento non basta.» Ci avviamo alla fine dell’intervista, quindi aumentano i sentimenti. Chiedo di parlarmi delle persone che hanno avuto un ruolo basilare nella sua vita. «Sicuramente mia madre che, al contrario di mio padre, ha sempre assecondato la mia passione. Fu lei a comprarmi con grande sacrificio la prima chitarra elettrica costata 49.000 lire, cifra importante per una donna separata con un figlio e una madre a carico. Artisticamente tutte le persone con le quali ho lavorato hanno avuto un ruolo fondamentale per la mia crescita. Ho iniziato a suonare in parrocchia con Umberto Tozzi, col quale poi ho condiviso bellissime esperienze e avventure; ho lavorato, creato e diviso momenti indimenticabili con Ivano Fossati; ho conosciuto la grande bravura e il cuore immenso di Mimì (Mia Martini), il genio (e sregolatezza) di Loredana Bertè e da 29 anni divido la mia vita artistica e personale con Francesco De Gregori. Francesco e io, dall’ottantasei in poi, siamo cresciuti insieme, perché entrambi prima eravamo molto diversi.» Chiedo di decretare la canzone della sua vita, anche se so di non porre un quesito semplice… «La considero perfetta sotto tutti i punti di vista, per scrittura, testo, arrangiamento e suono. È “La cura” di Franco Battiato.» Siamo all’ultima battuta. Ripenso al suo sorriso al Metropolitan di Catania durante il concerto di Francesco, qualche mese fa; la sua gentilezza e la ricchezza di pensiero trovano conferma qui, in questi righi. E siccome, benché proprio oggi la mia vita si arricchisca di un nuovo anno, non voglio proprio abbandonare i miei sogni, né la convinzione che essi illuminano e colorano l’animo del mondo, interrogo Guido sui suoi sogni da bambino e quelli futuri. «Sognavo di fare quello che sto facendo. Bella fortuna vero? Lo so, e ogni giorno quando mi sveglio ringrazio! Il mio sogno è di continuare a fare quello che sto facendo, imparare a farlo sempre meglio. Inoltre vorrei allargare la mia sfera di competenze anche all’estero. Ora terrò, a Novembre, dei seminari in Albania, a Tirana, paese in cui c’è molta curiosità e ammirazione verso la musica leggera italiana e molta voglia di crescere e rinnovarsi.» Non mi resta che ringraziare Guido per il regalo che mi ha appena fatto, il racconto della sua anima e della sua carriera, fino a qui.
Clara Artale.
8) "Acido seminterrato" (Subterranean homesick blues da Bringing It All Back Home, marzo 1965. Quella del meraviglioso video in cui Dylan espone con cartelli di carta le parole chiave). Sound fotocopia, volutamente. È un'altra trascrizione d'autore del Dylan beat ma con dentro un'intenzione: il saggio e vecchio cantautore italiano ci fa capire che anche Dylan ha scritto la sua lettera luterana, breve e spiccia, ai ragazzi di oggi, adeguata alla loro misura. De Gregori: "Qui ho arpeggiato, perché lui ha una lingua secca e io invece ho bisogno di più sillabe. In realtà è un romanzo di formazione in canzone. E Dylan fa persino il moralista, canta: "non prendere le pasticche", che in me è diventato "non prendere le paste".
è quella della famosa sequenza video con i cartelli che apriva “DonÂ’t look back” di D.A. Pennebake (1965). quello che fai gia' l'hanno fatto in tanti balla sulle punte evita le paste evita le masse Come Dylan che canta Don't try "No -Doz" anche io , traducendo evita le paste ho usato un'espressione gergale, uno slang. laddove per paste i ragazzi intendono "le pasticche". E' straordinario che Dylan a quei tempi desse consigli di buona condotta a questo kid di cui parla dicendogli attento ragazzino non prendere le paste, non ti drogare.(FdG).
De Gregori canta Dylan: "Rubo le sue parole e lo faccio con umiltà"
Quando è iniziato il suo amore per Dylan? "Quando ho incominciato a scrivere canzoni e il mio faro era De André, intorno ai venticinque anni. Scriveva testi straordinari: politici ma con una personale visione del mondo. Creatività e eversione musicale, talento e libertà artistica: non avrei potuto schivarlo". Covava da molto tempo l'idea di un disco di cover dylaniane? "Ho sempre fatto traduzioni di brani di Dylan attraverso gli anni. L'idea del disco però è recente, risale all'anno scorso. Ho scelto di non indugiare nel repertorio dei "dylaniati", quelli che detestano la sua produzione recente, che a me invece incuriosisce molto". Ci ha messo del suo, le ha stravolte? "Tutt'altro, mi sono posto il problema degli arrangiamenti con umiltà". Facile che si creino dei malintesi quando si tratta di uno come Dylan e di uno che da sempre è considerato il Dylan italiano. "Inevitabile che qualcuno pensi: De Gregori, che scrive testi astrusi, con Dylan va a nozze. Ma non è questo il punto. Non ho mai affrontato Dylan filologicamente, mai letto i mille volumi scritti su di lui. Adoro il suo modo di suonare, che ha spezzato certe ortodossie ritmiche e melodiche, come gli impressionisti in pittura demolirono la prospettiva . E continua a farlo, con un meraviglioso approccio istintivo, seguendo le linee guida del blues". Lo ha detto e ripetuto: ogni volta che ci si allontana dal blues si deraglia e si è costretti al dietrofront. "Se lo fai metti un silenziatore all'istinto, all'improvvisazione, ti dai delle regole. La spinta emotiva nei suoi concerti è sempre fortissima proprio perché hai l'impressione che stia suonando per te, che sei al centro di una serata speciale". Dunque ha scelto le undici canzoni sull'onda delle emozioni. "Non solo, non potevo prescindere dalla cantabilità del testo italiano. È un mondo misterioso quello della traduzione. Prenda Just like a woman: non puoi tradurlo. Letteralmente diventa Come una donna, suona uguale, eppure è ridicolo. L'importante è che il tutto, cantato, non diventi grottesco". Le scelte di Dylan, tra abiure e conversioni, sono spesso state spiazzanti. "Non gli frega di tradire le aspettative del pubblico. Non si è mai fatto imprigionare negli schemi dell'industria, nell'ortodossia del rock o del pop. Non esitò un attimo a elettrizzare il suono, ben sapendo che le reazioni dei puristi del folk sarebbero state violente. Oggi è più spiazzante di allora: il disco con gli standard americani ha scardinato la prospettiva dei classici di Sinatra e Billie Holiday; è il Courbet della musica". Anche lei ebbe il suo bel momento di contestazione, processato dall'estrema sinistra al Palalido, 2 aprile 1976 "perché specula e si arricchisce con le canzoni". "Nel caso di Dylan le motivazioni politiche erano sottintese e non espresse, nel mio caso furono decisamente esplicite. Non ho mai capito fino in fondo il senso di quella serata, c'era un certo livore nei confronti delle canzoni di Rimmel, Buonanotte fiorellino, soprattutto, indignò tutta l'ala militante. Dissero: De Gregori ha tradito Pablo. In realtà le motivazioni erano molto più pratiche, avevo rifiutato il servizio d'ordine di Re Nudo optando per quello del Piccolo Teatro di Milano; all'ultrasinistra non andò giù l'idea che non avessi una mediazione politica". Quando un artista diventa portavoce di una generazione le responsabilità diventano opprimenti. "All'inizio era proprio così: noi cantautori eravamo investiti di una autorevolezza quasi sacra, e qualche volta ce ne siamo compiaciuti. Gli artisti hanno sempre un ruolo di formazione nei confronti del pubblico, offrono un punto di vista, che sia Buonanotte fiorellino o Per i morti di Reggio Emilia. L'importante è che questo ruolo non diventi ipertrofico, che l'artista non si culli nell'autocompiacimento dimenticando la sua missione". Cosa invidia a Dylan? "L'idea del Neverending tour è sublime, non so dove trovi la resistenza, ha dieci anni più di me. Io dopo quaranta date sono a terra". http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2015/08/03/news/francesco_de_gregori_bob_dylan-120364248/
9) "Una serie di sogni" (Series of dreams, un resto di Oh Mercy pubblicato nel Bootleg 1-3 del 1991). Un esercizio di traduzione ineccepibile di qualcosa che ti affascina e non ti appartiene. È il Dylan più laterale e misterioso.
Bob Dylan non scrive canzoni ordinate. il sogno autorizza a muoversi nel caos perche' non ha grammatica, non ha ortodossia. I sogni si incatenano l'uno all'altro in maniera casuale. Se posso fare l'esegeta di Dylan, cosa che non amo di solito fare, trovo questa canzone interessante perche' contraddice la teoria freudiana dei sogni, l'ho sparata grossa e vi spiego il perche'....Se Freud riporta il meccanismo dei sogni a qualcosa di razionale, l'idea di sistematizzare l'universo onirico in questa canzone viene contraddetta fin dal titolo. E' solo una serie di sogni / senza metrica senza volonta' (FdG).
Amore e furto: De Gregori canta Dylan, ecco le canzoni del disco di Luigi Caputo
Non si è ancora spenta l’eco del concerto-evento dell’Arena di Verona che ha celebrato il quarantennale di “Rimmel“, con una festa in musica di cui abbiamo dato ampio riscontro, che Francesco De Gregori torna a fare notizia. E’ stata infatti diffusa la copertina del nuovo disco “Amore e furto” con il quale il Principe omaggia Bob Dylan. Un tributo fatto da un maestro a un maestro, un’operazione che ci sembra lontanissima da logiche puramente commerciali e che invece vogliamo ascrivere ai peccatucci fatti senza secondi fini, per la stima professionale che da sempre lega De Gregori a mr. Zimmermann. Oltre alla cover del disco, che uscirà il prossimo 30 ottobre, è stata diffusa anche la tracklist che riportiamo completa di seguito. Si tratta di undici brani, partendo da “Un angioletto come te“, cover di “Sweetheart like you“, da “Infidels“, del 1983, disco coprodotto con Mark Knopfler. Si tratta di una ballad dedicata a una ipotetica lei che si trova in un luogo insolito (‘che ci fai in un immondezzaio simile?‘ canta Dylan) da quello a cui sarebbe destinata. Seconda traccia, “Servire qualcuno“, cover di “Gotta serve somebody“, tratto dal disco del 1979 “Slow Train Coming“, che fruttò a Dylan anche un Grammy Award nel 1980. Nella sua versione originale, il brano, connotato da un arrangiamento funky decisamente insolito per Dylan, parla di tematiche religiose. Il concetto è che, qualunque cosa ognuno decida di essere, una cosa è certa: occorre servire Dio o il diavolo. E’ curioso che De Gregori abbia scelto questo brano, e non vediamo l’ora di scoprire come l’abbia vestita per se stesso. “Amore e furto” si compone di undici tracce Si prosegue con “Non dirle che non è così“, versione italiana di “If you see her, say hello“, un brano che già conosciamo essendo stato pubblicato nel 2007. Ballad malinconica che mette un po’ di tristezza e per certi versi ricorda “Lontano lontano” di Tenco, pur non avendone la stessa potenza evocativa.
Nota è anche “Via della Povertà“, che De Gregori, insieme a Fabrizio De Andrè, elaborò nel 1974 dalla lunghissima (11 minuti) “Desolation Row“, inclusa da Dylan nel suo “Highway 61 Revisited“, esattamente mezzo secolo fa, nel 1965. …Ad eccezione di Abele e di Caino tutti quanti sono andati a far l’amore aspettando che venga la pioggia ad annacquare la gioia ed il dolore e il Buon Samaritano sta affilando la sua pietà se ne andrà al Carnevale stasera in via della Povertà… E’ molto probabile che il testo della versione incisa per “Amore e furto” sia lo stesso, anche se il Principe potrebbe riservarci qualche sorpresa, considerando che la versione originale della cover conteneva i nomi di alcuni politici e personaggi del tempo, da Almirante a Leone, a Berlinguer, a Paolo VI, Agnelli e Montanelli. “Come il giorno“, quinta traccia, è la cover di “I shall be released“, un brano del 1967 che Dylan regalò al suo gruppo The Band. Un brano gospel che parla di liberazione, di redenzione, e che quindi riprende le tematiche religiose care a Dylan. Per De Gregori si tratta di un recupero e di una trasformazione: recupero, perché la canzone è già stata incisa nel live “Mix” del 2003, trasformazione, perché la liberazione diventa quella sognata dal protagonista della canzone, un uomo che sta scontando una condanna in carcere e che pensa al proprio orizzonte fatto di una prossima libertà. Un brano molto bello, dove ritroviamo delle frasi molto ispirate:
E la mia luce intorno è innocenza e verità, ogni giorno come il giorno che uscirò da qua… Bob Dylan “Mondo politico” è invece la versione degregoriana di “Political world“, del 1989 (tratto da “Oh mercy“), canzone il cui testo sembra non lasciare speranza a un’umanità preda di egoismi e di nefandezze, dove la saggezza è rinchiusa in prigione e dove la pace non trova più posto. “Non è ancora buio” è la corrispondente italiana di “Not dark yet“, incluso in “Time out of mind“, del 1998. Un brano crepuscolare e malinconico, di cui probabilmente il Principe riprenderà i colori in chiaroscuro. “Acido seminterrato“, ottava traccia, riporta a “Subterranean homesick blues“, del 1965, contenuto in “Bringing it all back home“. E’ uno dei classici di Dylan, un diluvio di parole in R&B che probabilmente De Gregori riporterà alle atmosfere di “Finestre rotte“, anch’esso dylaniano nella forma e nella sostanza.
Si respirano echi di poesia in “Una serie di sogni“, versione italiana di “Series of dreams“, del 1989 ma esclusa da “Oh mercy” e recuperata poi in una serie di bootleg, che De Gregori ha ‘regalato’ a Mimmo Locasciulli nel 1998. Una ballad esistenziale, tra le migliori rivisitazioni degregioriane di Dylan, da riscoprire: Non c’è niente che devi collegare Sul confine della semplicità Niente che potrebbe passare L’ispezione della normalità Sogni che l’ombrello era chiuso Sul sentiero lasciato per me E il gioco restava confuso Alfabeto di un’altra civiltà Decima traccia è ”Tweedle Dum & Tweedle Dee“, cover di “Tweedle Dum & Tweedle Dee“, del 2001, inclusa in “Love and theft” (guarda caso, “Amore e furto“). Un blues elettrico dal titolo apparentemente nonsense, il cui titolo richiama due personaggi del romanzo di Lewis Carroll “Alice dietro lo specchio“. La coppia di nomi è stata usata in slang americano come qualcosa tipo “Scemo & Più Scemo“, e si rifà ai nomignoli usati per definire George W. Bush e Al Gore nella campagna elettorale per le presidenziali Usa del 2000. A chiudere l’album, “Dignità“, cover di “Dignity“, anch’esso scritto nel 1989 ma non inserito in “Oh mercy“, e successivamente ripreso in diversi live. E’ una canzone asciutta ma scritta con la lucida coerenza di un poeta. Diversi personaggi immaginati, ciascuno alla ricerca del senso della propria vita, su un tappeto sonoro arrangiato in acustica, che ben si adatta allo stile del cantautore, e che De Gregori sa far suo.
10) "Tweedle Dum & Tweedle Dee" (Tweedle Dee & Tweedle Dum da Love and Left del 2001, altro album bellissimo ma poco noto da noi). Una sfida col Dylan più complicato, dove i versi sono generati da una necessità ritmico linguistica, difficilissima da riprodurre nella nostra lingua. Con un aspetto di divertissement, secondo me. Sound chitarroso, svelto, voce volutamente "scandente".
Niente traduzione del titolo per questa canzone. Pero' ho voluto mettere la mia griffe invertendolo: In realta' mi serviva una rima con la "i" sul primo verso: Tweedle-dee Dum e Tweedle-dee Dee sgobbano al sole di mezzo di a Dylan serviva invece una rima in "un": Neither one gonna turn and run They're making a voyage to the sun Il brano e' un divertissement, una filastrocca musicale che stordisce per la bellezza dei suoni. E' una canzone che parla di una coppia di stupidi che ne combina di tutti i coloro. Pinko e Panko nella versione di Lewis Carrol. La versione di Carrol e' una storia agrodolce, quella di Dylan invece una storia gotica, che finisce con un atto cruento: l'uccisione di uno da parte dell'altro. (FdG).
La premessa è che il sottoscritto - d'ora in poi denominato "talebano" - non conosceva alcuna canzone nella sua versione originale, se non quelle già edite dallo stesso De Gregori o da De André: lo so, è una immane bestemmia ma può sembrare strano eppure non mi piace molto Dylan e in generale la musica "estera" (un grossissimo mio limite ma...è così). Il talebano, dunque, ascolta il disco come se fosse un nuovo capitolo della discografia "francescana" (aggettivo poco mitico ma molto "devoto", non a caso). L'emozione di andare a pigliare il cd dallo scaffale è rimasta intatta (certo, quando ancora internet non esisteva e nulla si sapeva prima della data di uscita, non dormivo la notte) come oggi, sapevo stesse per piovere, il cielo veniva giù... Le canzoni di De Gregori, purtroppo o per fortuna, riescono in un fenomeno bizzarro: mettere in musica quel che ti capita (anche di recente) in un modo fiabesco, perchè Francesco ha la capacità di giocare con le parole, le incastona perfettamente e si diverte a cantarci sopra. Così voglio raccontarvi cinque storie, legate ad altrettante tracce del disco: - "Un angioletto come te": abbiamo deciso di suonarla al prossimo live con gli amici della band, perchè piace a tutti e perchè ci siamo rotti a fare sempre le solite quaquaraquà. - "Come il giorno": ecco, io lego questa canzone bellissima a quando la sentii per la prima volta, e quella volta al mandolino c'era Marco Rosini. E non perchè ora Marco se la ride da lassù ma perchè mi ricordo che nel 2003, all'epoca del disco live "Mix", Francesco raccontò di come "I Shall Be Released" piacesse molto al suo caro mandolinista. E in quel tour c'erano tante chitarre, neppure una tastiera. E Marco Rosini se la rideva sempre. - "Non dirle che non è così": qui Alessandro Valle lo suona, il mandolino, e dà quel tanto che basta ad un brano meraviglioso per diventare - a mio modo di vedere - ancora più bello. Le chitarre di Lucio Bardi e di Paolo Giovenchi si intrecciano perfettamente e pare di sentire uno di quei dischi acustici di Bennato degli anni '90. - "Via della povertà": per chi ha già tradotto un testo lunghissimo (vero, 41 anni fa) non deve essere stato facile rimettersi all'opera. Eppure De Gregori riesce appunto a giocare con le parole, a mantenersi assai fedele all'originale, e lo fa per 10 minuti e mezzo. E poi vabbè, per chi spesso suona questo brano assieme ai Maltesi, c'è tutta "Una serie di sogni" che si snodano e durano anche più di dieci minuti e mezzo, tra Genova, Bari e Sardegna. - "Non è buio ancora": certe volte te ne accorgi da subito, che certe canzoni sono "Hors Catégorie" come direbbero i francesi parlando del Mont Ventoux al Tour. Nascono meravigliose, e ci restano. Mi capitò ascoltando Bellamore, Sempre e per Sempre e Il cuoco di Salò, o Rimmel o Gambadilegno... "Ho buttato nel secchio la mia parte migliore in ogni bella frase c'è un senso del dolore lei mi ha scritto una lettera così dolce e compita racconta in poche righe ogni attimo della sua vita cosa dovrebbe fregarmene? francamente non so e non è buio ancora, ma lo sarà fra un po'". --- Non è buio ancora (per fortuna). E non ditemi che non è così. Francesco Corallo.
11) "Dignità" (Dignity, anche questa dalle session di Oh Mercy ma pubblicata solo in un Greatest Hits del 1994). C'è dentro tutto lo spirito del disco: riscoprire un Dylan vivo e vegeto per l'oggi, un artista che continua a scrivere grandi canzoni. La traduzione è tutta a servizio di Dylan, ne scioglie i nodi a noi incomprensibili, nel rispetto e nella valorizzazione di un testo che ci fa riflettere sul presente in forma di metafora. Sound ricco, pulsante; voce netta, tagliente. La parola "dignità" fatta propria con grande convinzione.
Mi hanno dato una foto, mi e' venuto da ridere La dignita' non si e' fatta mai riprendere (FdG)
Da venerdì 30 ottobre, Francesco De Gregori incontrerà il pubblico e presenterà il disco negli store La Feltrinelli. La prima data sarà a La Feltrinelli di Milano (piazza Piemonte, 2/4 – ore 18.30 – ingresso libero) con la partecipazione di Carlo Feltrinelli.
3 novembre – TORINO – La Feltrinelli (Stazione Di Porta Nuova) – ore 18.30 4 novembre – GENOVA – La Feltrinelli (Via Ceccardi, 16) – ore 18.30 5 novembre – BOLOGNA – La Feltrinelli (Piazza Ravegnana, 1) – ore 18.30 6 novembre – FIRENZE – La Feltrinelli (Piazza della Repubblica, 26) – ore 18.30 7 novembre – ROMA – La Feltrinelli (Via Appia Nuova, 427) – ore 18.30 8 novembre – NAPOLI – La Feltrinelli (Via Santa Caterina a Chiaia, 23) – ore 18.30 9 novembre – BARI – La Feltrinelli (Via Melo, 119) – ore 18.30
Il piccolo Ettore, 40 giorni appena, dopo qualche nota addormenta sereno tra le braccia di papà Aldo che sorride: «Crescerà con le sue canzoni, come ho fatto io». Poco distante Renzo, 76 anni abbraccia la moglie Maria Giovanna: «Da quando ci siamo conosciuti non ci siamo persi nemmeno un suo concerto a Genova». C'erano mille persone, quattro generazioni fianco a fianco, ieri sera ad ascoltare Francesco De Gregori che alla libreria Feltrinelli di via Ceccardi ha presentato il suo ultimo album “Amore e furto” in cui traduce e interpreta undici canzoni di Bob Dylan. Locale stracolmo tanto che Roberto, 48 anni, è arrivato con tre ore di anticipo per garantirsi un posto in prima fila: «Ma avrei affrontato anche un'attesa più lunga – assicura con convinzione – De Gregori e Dylan sono due grandi poeti, il loro connubio non può che essere fantastico. Spero che questo disco li faccia conoscere anche ai più giovani». «Io invece non capisco proprio questa sua scelta – scuote la testa Marco, 42 anni – anche se sono due artisti simili. Probabilmente sarà un album apprezzato da chi ha più di 50 anni: lui è un grande artista e ha fatto comunque un capolavoro ma io resto più affezionato ai classici». E sono proprio i titoli più noti di De Gregori, “Rimmel” e “Buonanotte fiorellino”, quelli canticchiati nell'attesa da un gruppo di amici 22enni: «Lo ascoltavano i nostri genitori in auto e noi abbiamo continuato» spiegano Greta e Vittoria. «I miei lo usavano anche per farmi dormire, si vede che mi rilassavo – ride Beatrice – Col passare degli anni io sono cresciuta e lui è cambiato ma resta uno dei miei artisti preferiti». «Ci hanno accompagnati nella nostra storia – ride anche Silvano, 65 anni, abbracciando la moglie Alessandra – Quando era giovane le avrei potuto dedicare “Buonanotte fiorellino” ma ora è un po' appassita». Il nuovo album incuriosisce tutti, giovani e meno giovani: «L'ho comprato sulla fiducia – spiega Renzo – Da amante di Bob Dylan non potevo perdermelo, mi fido della traduzione che può averne fatto De Gregori». Una traduzione non sempre letterale, come spiega il cantante che - intervistato dal giornalista Renato Tortarolo - scherza sulla difficoltà di trovare alcune rime: una chiacchierata che ha fatto da preludio al momento più atteso dai fan, l'esibizione live. Tre le nuove canzoni che De Gregori ha regalato al pubblico entusiasta: «Da giovane l'avrei considerata un'eresia – commenta Giancarlo, 66enne, appassionato di Bob Dylan – ma con l'età mi sono ammorbidito. Mi è piaciuto molto, probabilmente è l'unico che poteva tradurlo». Ancora più deciso Antonio, 33 anni, che commenta lapidario: «Mi sono commosso, ogni altra parola è superflua». Anche se la palma della fan più sfegatata – e soprattutto pragmatica – va alla giovane che al termine del pomeriggio si è avventata sulla bottiglietta d'acqua lasciata a terra dal cantante al grido di «Questa la vendo su Ebay». http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2015/11/04/ASxRHZJ-pensionati_adolescenti_gregori.shtml
De Gregori: “Giravo con la foto di De André per farmi tagliare i capelli come i suoi” Reduce da Amici (“Ha una sua nobiltà”), il Maestro ricorda i suoi maestri: “Imitavo Fabrizio. Poi arrivò Dylan” Negli ultimi dieci giorni, Francesco De Gregori ha compiuto 66 anni, è stato ospite in tv ad Amici, e ha accettato di raccontarci il suo 2017. Ad «Amici» ha proposto «Rimmel» e «Questi posti davanti al mare», una canzone di Ivano Fossati che lei cantò con Fossati stesso e Fabrizio De André. «Mi hanno chiesto di fare qualcosa con i ragazzi. Volevo un pezzo d’autore ma non mio. Ha funzionato, nel tessuto di un programma che comunque ha una sua nobiltà è entrato qualcosa di diverso». Le piace avere una funzione didattica? «No, questo no. Non ho mai preso una lezione di canto, o di chitarra, imparo ascoltando gli altri. Ad Amici c’è stato un dibattito sull’intonazione e io ho detto che stonare non è importante, un cantante si misura da come si fa capire. Ecco, in quel senso lì ho fatto un po’ il professore, però negando l’aspetto tecnico come pilastro centrale nel cantare una canzone». «Rimmel», 42 anni dopo... «La reinterpreto senza stravolgerla. Non che quella del ’75 non mi piaccia, è che non sono più capace di farla in quel modo. La freschezza, l’ingenuità nella costruzione dell’arrangiamento, nel canto, quella voce esile, eterea oggi non ci sono più. Però, come dicevo ai ragazzi di Amici, l’importante è far sentire le parole: credo che anche in questa nuova versione si capisca cosa voglio dire». È una versione dal vivo. E lei ha fatto moltissimi dischi dal vivo. «Credo siano 17, contro 24 o 25 in studio. È che sono un performer, uno che sta sulla scena, sul palco. Questo è il motivo per cui faccio da tanti anni questo mestiere». Mai avuto un rifiuto del palcoscenico? «La gioia, il divertimento narcisista che provo nello stare davanti alla gente hanno sempre battuto l’inevitabile tensione. Quando ho cominciato a fare serate, da solo con la chitarra, prima di Rimmel, suonavo nelle discoteche dell’Adriatico, posti così. Lì ogni tanto c’era chi voleva ballare e io stavo sul palco per tre quarti d’ora a cantare Alice. Da lì in poi è andato sempre meglio». Lei nasce dal vivo? «Nasco sul palco. Per anni sono andato al Folk Studio o in locali simili di Roma senza che l’idea di fare un disco neppure mi sfiorasse». Oggi i ragazzi vanno ad «Amici». «Hanno altre possibilità, quelle che gli consegna il nostro tempo. Hanno i talent o la Rete, la possibilità di fare un video in cameretta e di diffonderlo al mondo. Non direi mai che era meglio allora o adesso. Se hai la spinta di scrivere canzoni e di fare il cantante va bene tutto». Oggi il giovane De Gregori farebbe un video su YouTube? «Magari ci fosse stato YouTube ai miei tempi. L’avrei fatto, l’avremmo fatto tutti». Oggi è più difficile venire fuori? «Sì, c’è più concorrenza. Moltissimi ragazzi oggi sognano di fare questo mestiere. Allora era una stranezza». Chi le ha messo in testa di fare questo strano mestiere? «Due persone. Per primo, Fabrizio De André, scoperto sui banchi del liceo. Cercavo di imitarlo in tutto. Anche esteticamente. Aveva questi capelli che gli scendevano di lato, mi piaceva da morire. Una volta andai dal barbiere con una sua foto per avere un taglio uguale, e lui: non posso, non hai i capelli lisci. Ci rimasi malissimo». E il secondo? «Bob Dylan, in maniera più globale, pervasiva, perché è arrivato qualche anno dopo, quando ero più grande. Dylan era il mito americano, il rock, il folk, una figura lunare, collegata a quel mondo che conoscevo dai libri, la Beat Generation. Queste canzoni meravigliose, con quel suono... È il Dylan elettrico che mi ha rovinato, quello di Like a Rolling Stone. Avevo 16, 17 anni, come fai a sfuggire a un imprinting così poderoso?». Un debito pagato lo scorso anno, con l’album «Amore e furto», undici canzoni di Dylan tradotte in italiano. «Non sono un esegeta, uno studioso di Dylan, ma la passione mi ha fatto credere di poter entrare nel suo mondo. Di poterlo reincarnare». Dylan è più studiato che amato. «Ogni tanto l’eccesso di spiegazioni colpisce anche me, c’è chi analizza ogni singolo verso. Ma il singolo verso non vuol dire mai niente, la canzone, come la letteratura, vive di ambiguità. Se venisse Melville e volesse spiegarmi Moby Dick, lo caccerei via. Voglio continuare a leggere il libro e a interrogarmi». La canzone è letteratura, come sembrerebbe dire anche il Nobel a Bob Dylan? «Sì. Il concetto di letteratura è cambiato, oggi comprende il cinema, per esempio, il teatro, la canzone, l’insieme di parole e musica. È la canzone che è letteratura, non il testo della canzone. Come dico sempre, senza musica il testo della Donna cannone non è poesia. Anzi, non sta in piedi». Che cosa sta facendo ora? «Sono in pausa da tutto, leggo, guardo la tv, mi occupo del campionato di calcio... Ma casa mia è piena di chitarre, c’è un pianoforte, e ogni tanto vado a vedere che succede. Prendo appunti sul telefonino: è la fase preliminare, prelude alla scrittura più meditata, strutturata. Non ho nemmeno mezza canzone da parte. Mi piacerebbe che nel 2018 uscisse un mio disco, però non ne ho assoluta certezza. Lavorerò perché questo accada». Ascolta musica? «Sì, su YouTube, alla radio. E molte cose mi piacciono, anche inattese: Comunisti col Rolex di Fedez e J-Ax è una bella canzone. Ci sono molte belle voci. Mi piacciono certi pezzi pop, Tiziano Ferro… E poi Dylan, sto ascoltando molto il suo Triplicate, un monumento alla canzone americana». I ragazzi oggi la citano tra i maestri, con Dalla, Battiato, alcuni anche Venditti... «Siamo i vecchietti, un po’ ci prendono per il culo, un po’ ci riconoscono un peso nella musica italiana. E io voglio averlo ancora, mi sento contemporaneo, non uno che avendo scritto Rimmel nel 1975, La donna cannone nell’82/83, sta seduto su quelle canzoni e viene adorato in virtù di quello che ha fatto. Mi sento uno che fa concerti e scrive canzoni oggi. È questo che mi rende allegro». Piero Negri
DOPPIO ALBUM IN USCITA IL 3 FEBBRAIO 2017 (Live Taormina 27 agosto 2016)
Con un post brevissimo pubblicato sulla sua pagina Facebook ufficiale, il cantautore romano ha annunciato titolo e data d'uscita del suo nuovo progetto discografico. Il nuovo album del Principe della canzone italiana si intitola "Sotto il vulcano" ed è un doppio album registrato lo scorso 27 agosto al Teatro Antico di Taormina, durante una tappa del tour di supporto a "De Gregori canta Bob Dylan - Amore e furto", il disco-tributo al Bardo di Duluth. Durante il bis di quel concerto, De Gregori eseguì una sua versione di "4 marzo 1943" di Lucio Dalla per omaggiare il compianto amico e collega (i due collaborarono a più riprese nel corso delle rispettive carriere). E proprio la cover di "4 marzo 1943" è stata scelta come singolo apripista del doppio album: la canzone sarà disponibile a partire dal prossimo 20 gennaio. Disco 1: Pezzi di vetro,L'agnello di Dio, La leva calcistica della classe '68, Vai in Africa Celestino!, La storia, Alice, Caterina, Sempre e per sempre, Servire qualcuno, Un angioletto come te, Come il giorno. Disco 2: L'abbigliamento di un fuochista, Generale, Il panorama di Betlemme, Sotto le stelle del Messico a trapanar, Titanic, Rimmel, 4 marzo 1943, La donna cannone, Fiorellino 12&35.
Il prezzo dei due cd in uscita il 3 febbraio 2017 è di 21,65 euro. I tre LP invece 38,38 euro. Il dipinto in copertina è di Silvia Codignola
IL CANTAUTORE NECESSARIO di Edoardo De Angelis.
Palazzo Mattei, a Roma, in Via Michelangelo Caetani 32, sede dell'Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi (ex Discoteca di Stato). Giovedì 19 gennaio, ore 16.30, presenterò alla Stampa e agli operatori d'informazione di Roma IL CANTAUTORE NECESSARIO di Edoardo De Angelis. Moderatore dell'incontro il giornalista e storico della canzone italiana Luciano Ceri. Sarà presente anche Valentino Saliola, titolare dell'etichetta Helikonia, che ha pubblicato l'album. L'ingresso sarà gratuito, e tutti gli amici presenti potranno acquistare l'abum a un prezzo particolare, e ricevere una dedica personalizzata e una foto autografata. Sempre di Luciano Ceri, giornalista musicale e storico della canzone italiana, è in edicola un nuovo mensile, CANTAUTORI, dedicato alla categoria. Nel numero di gennaio, un'intervista sul IL CANTAUTORE NECESSARIO, sotto riportata.
Fausto Leali, 'Sempre e per sempre' è con Francesco De Gregori
Il nuovo singolo di Fausto Leali è 'Sempre e per sempre', storico brano di Francesco De Gregori. Il brano è interpretato insieme allo stesso De Gregori ed è tratto dall’album 'Non solo Leali'. La canzone, anche nella versione video, è cantata con De Gregori: il duetto nasce dall’amicizia e stima reciproca che lega Fausto al cantautore romano: "Ci conosciamo da molto tempo e ho chiesto a Francesco di cantare insieme questa sua canzone che, a ogni ascolto, mi ha sempre dato forti emozioni". L’album 'Non solo Leali', pubblicato lo scorso ottobre, contiene dieci brani interpretati insieme ad alcuni dei più grandi cantautori e interpreti della canzone italiana e non solo, come Mina, Renzo Arbore, Claudio Baglioni, Alex Britti, Clementino, Massimo Ranieri, Enrico Ruggeri, Umberto Tozzi e Tony Hadley. fonte La Repubblica
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Nobel per la letteratura 2016 a Bob Dylan
E' una notizia che mi riempie di gioia, vorrei dire non è mai troppo tardi. Il Nobel per la letteratura assegnato a Dylan non è solo un premio al più grande scrittore di canzoni di tutti i tempi ma anche il riconoscimento definitivo che le canzoni fanno parte a pieno titolo della letteratura di oggi e possono raccontare, alla pari della scrittura, del cinema e del teatro, il mondo e le storie degli uomini. Bob Dylan incarna l'essenza di tutto questo, nessuno come lui ha saputo mettere in musica e parole l'epica dell'esistenza, le sue contraddizioni, la sua bellezza.
GIORGIA, DE GREGORI E ZERO NEL NUOVO ALBUM DI ENZO AVITABILE Enzo Avitabile ha annunciato sul suo sito ufficiale che il 7 ottobre uscirà il nuovo album di inediti “Lotto infinito”, che arriva 4 anni dopo “Black Tarantella”. Il disco sarà cosmopolita e conterrà 14 tracce con grandi collaborazioni, tra cui quelle con Giorgia, Francesco De Gregori e Renato Zero. Ecco la tracklist completa: “Napoli nord”, “De profundis” con Giorgia, “Quando la felicità non la vedi, cercala dentro”, “Attraverso l’acqua” con Francesco De Gregori, “San Ghetto Martire” con Mannarino, “Bianca” con Renato Zero, “Amm’a amm’a” con Caparezza, “Abbi pietà di noi” con Angela e Marianna Fontana, “Comm’a ‘na” con Daby Touré, “Jastemma d’ammore” con Pippo Delbono, “Nisciuno sape” con Elena Ledda e Paolo Fresu, “Lotto infinito” con Giovanna Marini, “Verità sarà” con Hindi Zahra e “Addò so’ nato io” con la voce recitata di Lello Arena.
Esce il 28 ottobre “Il cantautore necessario”, il nuovo album di Edoardo De Angelis realizzato assieme a Michele Ascolese con la direzione artistica di Francesco De Gregori. Racconta Edoardo De Angelis in merito all’album: “La bellezza che non muta, che brilla nel tempo, è sconosciuta, poco praticata, o dimenticata. Così è anche per le canzoni. “Il cantautore necessario” non è una persona fisica, è la voce forte della canzone d’autore che ha accompagnato, e accompagna, ogni giorno, il nostro vivere. È un umile, devoto, atto d’amore nei confronti della profonda bellezza di musica e parole che Francesco, Michele ed io abbiamo conosciuto, riconosciuto, amato, e portiamo nel nostro bagaglio. È questa bellezza senza fine, animata, vissuta, sentita, che desideriamo riportare all’attenzione di chi non ha avuto in sorte di conoscerla direttamente, e di chi, con il tempo, l’ha dimenticata. Abbiamo, di comune accordo, proposto queste dodici canzoni, e non altre, perché un album non è un contenitore illimitato, e una scelta andava condotta. Scelta sofferta che, però, non esclude, in futuro, di essere rinnovata con ulteriori, difficili, benché amate e amabili, opzioni”. http://www.rockol.it/news-664020/edoardo-de-angelis-album-il-cantautore-necessario-ottobre-2016
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