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Te ne sei andato, non prima di finire di divertirti come un pazzo col tuo compagno di giochi da una vita. Ecco quello che avete combinato, irriducibili monelli.
De Gregori e Dalla insieme trent'anni dopo Banana Republic
Lucio
Dalla, l'amico che mi manca, ma il "primo tempo" della vita
continua... di Paolo Vites - 31.5.2012
Qualche
mese fa, nel buio di un minuscolo camerino perso da qualche parte nella
bassa padana, parlando di colleghi cantautori che annunciavano il ritiro
dalle scene, Francesco De Gregori mi confidava, un po' perplesso dalla
notizia: "Ma come si fa a vivere senza musica?". Difficile,
quasi impossibile, per chi della musica non ha fatto un mestiere come
tanti, e neanche una passione, un hobby. Della musica ne ha fatto invece
un mezzo, anzi il mezzo, per scrutare la vita, il fascino del suo
mistero: come si fa a vivere senza musica? Sarebbe come strapparsi un
braccio. Le sapeva bene queste cose un grande amico di De Gregori, e
cioè Lucio Dalla, morto nel modo più vero e più bello per chi ha
vissuto sempre di musica. La mattina dopo un concerto preparandosi a un
altro concerto che avrebbe dovuto tenere quella sera stessa.
L’estate si avvicina e si torna sulla strada, ai concerti, al pubblico. E’ la tua prima serie di esibizioni dopo la scomparsa del tuo grande amico e compagno di avventure Lucio Dalla. Con che sentimento ti rimetti al lavoro? Beh, sai, è stato terribile. Io e Lucio avevamo finito di lavorare insieme da pochi mesi quando lui è morto, quindi non c’è solo la mancanza, ma proprio un distacco improvviso, qualcosa con la quale ti sembra di non poter fare i conti. Quando giravamo insieme lui parlava spesso della vita – e della morte – ma senza fare chissà quali discorsi. Ne parlava in maniera semplice. E’ vera questa cosa, che Lucio diceva sempre, che la vita era solo il primo tempo. Ci credeva, era sicuramente un uomo sereno da questo punto di vista, magari su tante cose fingeva, ma non su questo: quando eravamo in tour qualche imbecille mise in rete la notizia che era morto Lucio Dalla e a lui non gliene fregò niente. Io gli dicevo “Lucio io mi arrabbierei moltissimo se lo facessero a me”, ma lui era così, la cosa non lo colpì più di tanto. Lascia un grande vuoto e un grande pieno, mi sento privilegiato ad aver condiviso con lui gli ultimi momenti della sua vita d’artista. Credo che insieme siamo riusciti a scrivere e cantare cose importanti, con una sincerità e un’intensità rara che ha sempre superato diversità di carattere, di stile, di cultura, di educazione. Come si convive con la perdita di una persona cara? Banalmente non posso alzare il telefono e dirgli “Ehi, come stai, hai sentito questo, hai sentito quello, quando passi da Roma?”. Non posso più progettare niente di comune, intendo dire nemmeno prendere un caffè insieme, no. Tanto meno scrivere ancora canzoni insieme o salire su un palco. La verità è che tutto è scritto e dobbiamo convivere anche con il distacco e il rimpianto. Ma lui lascia dietro di sé qualcosa di vivo, di non definitivo e quindi di vitale e questa in qualche modo è una consolazione. Sarà difficile che Lucio Dalla possa diventare un santino, la sua musica continuerà a piacere e a influenzare gli artisti più sensibili e innovativi. So che stai lavorando a un disco nuovo e intanto torni a fare concerti: è difficile? Credo che mi sia capitato altre volte lavorare contemporaneamente ai concerti e in sala, sicuramente ai tempi di "Rimmel". Mi ricordo che lasciavo i musicisti in sala con dei compiti da fare e Renzo Zenobi fungeva da produttore mentre io andavo in giro a suonare solo con la mia chitarra. Anche quest’estate andrà così solo che la band è con me e quindi lavoreremo al disco nelle pause fra un concerto e l’altro. L’abbiamo chiamato per questo “Factory Tour”, perché è l’estate in cui stiamo fabbricando qualcosa tutti insieme e quindi ci sarà inevitabilmente un unico suono intorno al nostro lavoro. Proporrete qualche pezzo inedito in anteprima? Sai che Bob Dylan una volta presentò un intero disco inedito in tour, poi non lo ha più fatto per paura dei dischi pirata. Ti preoccupa che qualche pezzo finisca sulla Rete prima che sul disco finito? Non so se faremo già qualche pezzo nuovo, forse sì. Del fatto che possa andare in giro sulla Rete me ne frega poco, casomai la preoccupazione è che la gente si affezioni alla versione live e poi non gli piaccia più quella in studio - il contrario di quello che succede di solito! Però suonare i pezzi nuovi dal vivo ci può aiutare molto. Vedremo. In qualche occasione già l’ho fatto, e poi se l’ha fatto anche Dylan… Insomma ci può anche stare. Bisogna vedere però che succede quando dovremo suonare pezzi che magari in studio hanno un arrangiamento più complesso, con gli archi, le sovrapposizioni, sai, quel tipo di problema che ebbero anche i Beatles negli ultimi concerti. Solo che loro smisero di suonare dal vivo e io non vorrei fare quella fine. In molti per risolvere questo tipo di cose usano sequenze e campionatori ma io non li ho mai sopportati. Quest’estate ti “sdoppierai”. Hai in programma anche una partecipazione straordinaria nel concerto di Ambrogio Sparagna, amico musicale di vecchia data. L’idea di sdoppiarmi mi piace molto, la trovo caotica e molto promettente sul piano del divertimento. Sparagna sta portando in giro uno spettacolo gioioso che mette al centro alcune sonorità tipiche della musica popolare italiana… Organetti, zampogna, ciaramelle, un cantare molto basato sull’importanza dei testi, sul racconto. Allora un giorno lui mi invita a pranzo, più o meno un anno fa e mi dice che vorrebbe “importarmi” dentro questa cosa, arrangiando alcuni miei pezzi – non molto mainstream, per la verità – in questa veste strumentale. Allora io dico subito di sì e parte questa cosa dove io (ma a volte anche Maria Nazionale, a volte anche un coro di cento persone) interveniamo qua e là con le nostre voci. L’abbiamo già fatto a Roma l’anno scorso e a Barcellona all’inizio dell’anno e adesso faremo altre undici date in giro per l’Italia. Avremmo voluto farne anche di più, ma come ti ho detto io gioco anche sull’altro fronte, quello del “Factory”. E quali sono queste canzoni “non troppo mainstream” che canterai come ospite del concerto di Ambrogio? Cose tipo Ipercarmela o San Lorenzo, La ragazza e la miniera o Babbo in prigione e anche qualcuna molto recente come Vola Vola, che per inciso dà il titolo al tour. Sono pezzi che raramente faccio dal vivo e che si sposano bene con la musica di Sparagna. Poi canto anche un paio di cose di Ambrogio e qualche terzina della Divina Commedia, come già ho fatto anni fa alla Notte della Taranta di Melpignano. E’ difficile sdoppiarsi artisticamente? Più facile che nella vita. Nel “Factory Tour”, invece, hai intenzione di ripescare qualche perla meno conosciuta tipo Informazioni di Vincent o Cardiologia? Sì, certamente ci sarà qualche sorpresa di questo tipo… Magari Informazioni di Vincent non lo so, è un pezzo così vecchio… Non è che non mi piaccia più, ma ho sempre trovato che l’inciso melodicamente è un po’ troppo enfatico, quasi Sanremese per intenderci… Comunque sentirò la band, in certi casi – in molti casi, direi - decidono loro. Fare la scaletta è sempre una rogna, c’è sempre qualcuno che si lamenta perché non faccio Generale oppure perché la faccio. Comunque la gente si deve divertire, e anche noi che suoniamo. Questa è la regola. Negli anni settanta dicesti che a quarant’anni non ti ci vedevi ancora su di un palcoscenico a esibirti… Avrò detto questa cosa un sacco di volte, e altrettante il contrario. La verità è che non lo puoi sapere cosa ti andrà di fare domattina, figurati fra un anno o dieci anni. Suonare per gli altri mi ha sempre dato gioia, a questo punto posso solo dire che la mia vita fin qui è stata la vita di un uomo di musica, il mio mestiere è scrivere canzoni e cantarle, se non facessi questo non farei niente, e non ho molta voglia di non fare niente, capisci cosa voglio dire. Cosa dovrei fare, andare a pesca o giocare a golf o chiudermi in casa oppure viaggiare? E’ molto più semplice continuare a fare quello che faccio, finché mi riesce e mi piace. Per questo novo disco in cantiere hai in mente qualche collaborazione? In passato ne hai fatte diverse. Ho avuto dei produttori in passato, non troppi in verità, e devo dire col senno di poi che mi pare che nessuno abbia lasciato il segno. Forse un paio, Edoardo De Angelis e Vincenzo Mancuso, loro hanno fatto un buon lavoro, ma gli altri… Un produttore di solito vuole mettere il suo suono al posto del tuo, è convinto che il suo suono sia migliore del tuo, che tu sia un ragazzo alle prime armi. Corrado Rustici mi voleva spiegare addirittura come dovevo cantare. E poi comunque mi sembra che questo nuovo disco mi appartenga in maniera troppo viscerale per farci entrare un altro, ovessi descriverlo in due parole direi che è l’istantanea di quello che sono oggi, del mio modo di stare al mondo. Non credo che ci sia molto spazio per interventi esterni di qualsiasi tipo. E’ vero che sto lavorando con Sparagna, nei concerti, ma credo che neanche lui interverrà in questo nuovo lavoro anche se in passato abbiamo lavorato insieme in studio in qualche occasione. Come è oggi il rapporto con i tuoi fan? Vedi ancora dei talebani in mezzo a loro? Ci sono un sacco di ragazzi che non erano neanche nati quando hai scritto tante tue canzoni oggi ai tuoi concerti. Ho sempre pensato che tutti quelli che mi vengono a sentire o ascoltano un mio disco - e in qualche caso addirittura lo comprano - merito rispetto se non addirittura amore. Magari con alcuni di loro potrei anche andare a mangiare una pizza e sono sicuro che mi piacerebbe… Poi ce ne sono altri un po’ maniacali, ma non credo che siano tanti, i famosi talebani. Da quelli uno si deve un po’ guardare perché ti vogliono esattamente come ti immaginano e spesso immaginano cose sbagliate, comunque va bene così, fa parte del gioco. A parti rovesciate credo che anche a me è capitato e capita anche adesso di fare così con gli artisti che ammiro. Dopo un po’ di anni che hai scritto una canzone inevitabilmente non è più solo tua e anche chi l’ha scritta diventa un po’ di tutti. Non è che non ci dormo la notte. Poi il fatto che molti siano giovanissimi mi fa piacere, ma mi stupisce anche un po’ perché non è che le mia canzoni siano mai andate molto per radio… Probabilmente è proprio merito della Rete se hanno potuto ascoltarle, meglio così. (Paolo Vites)
Mimmo
Paladino - "Lo spazio è una circostanza non determinante. Le
dimensioni di un tavolino possono essere sufficienti a provocare
tensioni e strategie degne del più vasto affresco". Si può
riassumere in questo modo, l'idea artistica di Domenico Paladino nato a
Paduli in provincia di Benevento nel 1948. Già nel 1964, visitando la
Biennale di Venezia, Paladino resta segnato dalla visione degli artisti
Pop americani. Pochi anni più tardi inizia le sue sperimentazioni con
il mezzo fotografico associandolo spesso a disegni. |
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1.
Non basta saper cantare |
1. La fine del Titanic (H. M. Enzensberger) 7.
L'anno che verrà 9.
Futura 13.
Caruso
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“Work
in progress” è prodotto da Ferdinando Salzano ( F&P Group ) e
Bruno Sconocchia ( Ph.D. srl ) ; la produzione esecutiva è di Marco
Alemanno. Le foto live sono di Valeria Bissacco.
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LA STORIA SONO LORO WORK IN PROGRESS TOUR - Zoppas Arena - Conegliano di Valeria Bissacco (http://www.lisolachenoncera.it/rivista/concerti/2011-5/)
Che due vecchi amici, due giganti che hanno fatto un pezzo di storia della musica italiana, si incontrino una sera di gennaio in un locale da 1500 posti immerso nella nebbia del modenese, può far notizia e suscitare curiosità. Che da quella serata (stiamo parlando del concerto al Vox Club di Nonantola, il 22 gennaio 2010) un po’ improvvisata, un po’ “ruspante” e molto easy (a partire dal look dimesso e dai berrettini in lana dei due protagonisti) nasca l’idea di un tour in coppia, può far pensare che entrambi abbiano voglia di far qualcosa di differente e immaginarsi in un’esperienza di rinnovata condivisione. Del resto la lunga tournèe di Banana Republic è storia, ma è lontana oltre trent’anni, e loro nel frattempo son diventati altro, son diventati davvero grandi, hanno un repertorio sterminato e non hanno sicuramente bisogno né voglia, credo, di prendersi di nuovo per mano per continuare la strada. Che quindici mesi dopo quella famosa notte di Nonantola, quegli stessi due, ovvero Francesco De Gregori e Lucio Dalla, siano ancora in giro per l’Italia (con puntate anche in Germania e Svizzera) a fare “sold out” praticamente ovunque si presentino sul palco coi loro stralunati cappelli, dimostra che oltre ad essere stata una bella idea sicuramente si tratta anche di un ottimo lavoro, non di un’operazione preconfezionata come molti avevano supposto magari storcendo il naso all’inizio. Le date previste in partenza erano non più di una trentina; poi però le cose sono andate diversamente, e dal Teatro degli Arcimboldi a Milano, all’Arena di Verona, alla Reggia di Venaria, a Piazza San Marco a Venezia, al Teatro Petruzzelli di Bari e ai vari Palasport, teatri e piazze del nord come del sud Italia, questa tournèe si concluderà a fine aprile 2011 con un bagaglio di oltre 100 concerti. Sicuramente si è trattato di passione, di un grande talento condiviso e di una serie di alchimie che a mano a mano son venute a crearsi. Una di queste alchimie è indubbiamente la presenza, a fianco di Dalla e De Gregori, di una band di musicisti di grande professionalità, sensibilità e talento: sono due pezzi delle rispettive formazioni storiche a fondersi per l’occasione, per dare nuovo colore e nuova vita a canzoni-icone della loro storia musicale, e in fondo anche della nostra storia. Lucio Dalla porta sul palco Fabio Coppini alle tastiere, Maurizio Dei Lazzaretti alla batteria, Bruno Mariani alle chitarre, Gionata Colaprista alle percussioni, nonché l’ottima corista Emanuela Cortese e l’attore Marco Alemanno per la parte recitata e ai cori. L’apporto di Francesco De Gregori è rappresentato dal suo “capobanda” Guido Guglielminetti al basso, Alessandro Valle alle chitarre, pedal steel guitar e mandolino, e Alessandro Arianti al pianoforte, tastiere, fisarmonica e clarinetto. E poi naturalmente ci sono loro, i due eclettici protagonisti: Lucio Dalla, che si muove con ironia dalla tastiera, inserita in un bel mobile in legno che lui stesso s’è fatto costruire, al sax, al clarino, e Francesco De Gregori, che passa dalla chitarra acustica, all’armonica a bocca, al pianoforte nero a ¼ di coda. E, su tutto, le loro voci: quella di De Gregori, sempre più bella e calda, caratterizzata da una grande duttilità che gli consente una notevole intensità interpretativa, e quella di Dalla, dedita più alle improvvisazioni, all’estemporaneità, al riempire ogni spazio con vocalizzi e invenzioni sempre più caratteristici e divertenti. Del resto vengono da mondi diversissimi e da carriere piuttosto distanti: Francesco muove dal folk, dalle scarne ballate dylaniane, mentre Lucio proviene dal jazz, pur evolvendo verso il pop. Due interpreti e due autori talmente differenti fra loro (anche fisicamente a ben vedere, e questo un po’ contribuisce a “far scena”) che la forza di questo gioco sta proprio nel rivisitare ognuno a proprio modo i pezzi dell’altro, intervenendo con la propria personalità e spiazzando anche un po’ il pubblico a volte, con le sole eccezioni di Caruso e La donna cannone, talmente intoccabili da essere eseguite, ognuna dal proprio autore nella maniera più classica e “pulita” possibile. Ma a parte queste due perle, tutto il resto viene stravolto. Solo per citare qualche brano, appare quasi irriconoscibile una Buonanotte fiorellino in chiave rock veloce, o un’Alice trasformata in valzer con un finale inventato (da Lucio) di “sassi” che “sudano nel sole”; ci si emoziona a sentir la voce di De Gregori raccontare, uscendo all’improvviso dal silenzio, di Anna (Anna e Marco) o quella di Dalla intervenire in un acuto sottile in Santa Lucia; ci si diverte a seguire le rocambolesche evoluzioni di un Lucio in canotta al volante nella straripante Nuvolari o a immaginarsi l’elegante Francesco col suo consueto “aplombe” alle prese con la “puttana ottimista e di sinistra” (Disperato erotico stomp), e via di seguito fra i tanti brani scelti dal miglior repertorio di entrambi. Le emozioni de La storia, di Sempre e per sempre (entrata ultimamente in scaletta), di Futura, di L’anno che verrà, trattate con rispetto da chi non ne è autore, ma eseguite comunque sempre in duetto, sono parte del gioco, di un bel gioco a mio avviso ben calibrato e appassionato, che ha la meglio su nostalgia ed usura del tempo. Chi scrive era tra il pubblico la famosa sera del Vox Club, e poi per altre sei date distribuite nell’arco dei mesi e della penisola, fino a quella di stasera, a Conegliano Veneto, e a metà aprile a Padova. E’ proprio nello svolgersi del tempo che si son visti l’evoluzione e il perfezionarsi dello spettacolo. Di data in data ognuno dei due ha preso sempre più confidenza con i pezzi dell’altro, pur mantenendo la misura negli interventi, contribuendo a renderli particolari e sempre più attuali. Anche la scenografia, opera dell’artista Mimmo Paladino, è cambiata nel tempo, integrandosi di volta in volta ai diversi spazi che hanno ospitato i concerti. Forse l’intero spettacolo è stato alla fine reso più scarno ma non per questo meno raffinato, come le luci, diventate più bianche e taglienti (e chi fotografa se ne accorge immediatamente). Il concerto nell’ultima versione in teatri e palasport ha una durata intorno alle 2 ore e mezzo e conta poco meno di trenta brani, scelti fra i gioielli dei due cantautori, che sono tutti pezzi di storia della musica italiana, e varia di sera in sera di qualche canzone. La scaletta di stasera a Conegliano ne prevedeva esattamente 23 tutte d’un fiato, con il solo intermezzo di Marco Alemanno che recita intensamente il Ventunesimo Canto da “LA FINE DEL TITANIC” di Hans M.Enzensberger, più 3 bis. Poi, a volte succede mi dicono, può essere che i due si divertano talmente e abbiano ancora voglia di cantare (perché, parafrasando una loro nuova canzone nata apposta per questo tour e messa a punto proprio nei camerini di Nonantola, saper cantare non basta ma serve ) e allora le canzoni diventano qualcuna in più: stasera ad esempio è stata aggiunta proprio all’ultimo (e personalmente li ringrazio infinitamente) la bellissima Santa Lucia. E’ incorciando gli sguardi, i sorrisi e le parole a bordopalco prima dei concerti con alcuni dei musicisti che accompagnano Francesco e Lucio, che ho pensato di mettere a confronto le sensazioni che il “pubblico pagante” (per dirla come ne La Donna cannone) raccoglie in platea con quelle che si creano su quello stesso palco. Sto cercando di raccontare non solo quanto arriva al pubblico, ma anche l’esperienza di chi vive l’avventura da sopra il palco, accanto ai “mostri sacri”. Alessandro Arianti e Alessandro Valle accettano in amicizia di scambiare qualche parola a proposito di questo tour. Sono la “parte giovane” della band, anche se entrambi suonano al fianco di De Gregori da molto tempo. Ma quando Dalla e De Gregori si chiedevano come facessero i marinai e avevano già scritto molti pezzi fondamentali della loro storia musicale, loro non erano ancora nati. Arianti ha 28 anni e suona con Francesco De Gregori da quando ne aveva 18. L’ha voluto Francesco, che fra le altre cose ha messo totalmente nelle sue mani al pianoforte La donna cannone, il suo gioiello forse più prezioso. Paradossalmente mi confessa, con un riflesso di emozione negli occhi chiari, che il suo più grande desiderio adesso è di assistere ad un concerto di De Gregori. ”In dieci anni non ci sono mai riuscito” mi dice “…chissà com’è, da fuori!” Alex Valle, chitarrista e polistrumentista specializzato in chitarre slide, è nella stessa band dal 2005. Al grande talento sul palco e nelle incisioni in studio, unisce una straordinaria simpatia e una deliziosa modestia, che ne fanno modello di artista e di uomo al di fuori del comune a quei livelli. Sugli arrangiamenti mi raccontano che l’idea iniziale di Dalla e De Gregori era proprio quella di riuscire ad ottenere un risultato differente dallo standard dei loro dischi, nel senso che oltre a Francesco, che è uno che normalmente odia rifare le cose come sono nel disco, anche Lucio era proprio della stessa idea, anzi lui vorrebbe riarrangiare e stravolgere i brani in continuazione. L’invenzione del titolo del tour, “Work in progress” è quindi realistica, è veramente così; in effetti, a distanza di magari due mesi un pezzo viene rimaneggiato e diventa un’altra cosa. E questo per i musicisti è stato davvero molto stimolante e divertente, mi dicono: dover apportare queste modifiche anche in corsa, poter cambiare il colore agli arrangiamenti proprio sulle piccolezze, con l’impronta personale che ognuno ci può mettere. “E’ anche stata un po’ la richiesta di loro due” dicono “cioè … sappiamo fare le canzoni, divertiamoci! Anche per far passare queste 100 e passa date che abbiamo fatto. Ed è una cosa intelligente, nel senso che poi può anche non piacere a una certa parte di pubblico, quello più tradizionalista o magari legato più ad uno dei due, ma in fondo deve essere apprezzata proprio perché è il principio di questo tour. Loro hanno pensato che rifare Banana republic non avrebbe avuto senso. Si sono detti: “facciamo le cose per quello che sono adesso e per come noi siamo adesso, non per quello che sono state prima o per quello che dovrebbero essere nella testa della gente”. E infatti funziona. Alla fine della fiera hanno vinto di nuovo loro, è sempre tutto esaurito, e siamo tornati anche negli stessi posti: ad esempio a Milano in totale di date ne abbiamo fatte 8!” Chiedo che cosa arrivi loro sul palco, cosa trasmette il pubblico ai musicisti. Rispondono che arriva loro tantissimo. In realtà non sentono il pubblico, ma percepiscono il risultato del pubblico sugli artisti. Se non è serata l’atmosfera sul palco è più tesa e magari i due decidono di fare un paio di brani in meno. Stasera invece hanno visto che il pubblico era bello, caldo e partecipe, e quando hanno finito, prima dei bis…“hai visto che si sono messi lì a parlare?” mi dice Arianti.” Era Lucio che stava dicendo: - E’ una bella serata, ma facciamola Santa Lucia! - E Francesco: - è vero, hai ragione, perché non farla?- “ Ecco, anche questo è appunto “Work in progress”…! |
Dalla e De Gregori sempre «in progress» «Le canzoni non sopportano di essere fissate, voi portereste gli stessi calzini per 20 anni?»
I concerti agli Arcimboldi: Dalla e De Gregori, senza nostalgia Faccia a faccia - Fan trasversali in Sala Buzzati La frase che per tutto l'incontro è rimbalzata (sottovoce) da una fila all'altra della platea coalizzando all'unanimità la fascia femminile del pubblico riguardava Francesco De Gregori e la sua carica seduttiva di uomo (e intellettuale) maturo. Di Principe sì, ma azzurro. Per tutte, nonostante qualche capello in meno sia stato compensato da qualche chilo in più, trasmette oggi maggior fascino di quando era ragazzino (e più chiuso). Una rivincita per l'autore di «Viva l'Italia» (brano eseguito da solo qualche ora dopo alla trasmissione di Fazio e Saviano) che, ha rivelato Mario Luzzatto Fegiz, un giorno gli chiese di non scrivere più che era bravo, ma che era bello. Cenerentole a parte, c'era una Sala Buzzati attenta e preparata lunedì pomeriggio all'atteso faccia a faccia con Lucio Dalla e Francesco De Gregori, di nuovo a Milano per replicare agli Arcimboldi, dopo il successo di maggio, il loro concerto «Work in Progress» (in cartellone martedì 30 e mercoledì 1), diventato nel frattempo un doppio cd e un dvd. Una sala composta da un pubblico trasversale, forse più di «anta» che di adolescenti, che ha ascoltato i due giganti della canzone italiana, moderati da Fegiz, parlare di sé, di musica, di tempi che cambiano, della passione condivisa per Alda Merini. Più chiacchierone Dalla («Lucio è logorroico», ha avvertito Francesco; «Mi piace molto di più parlare che essere ascoltato», ha confermato Lucio), più riflessivo e parsimonioso di parole De Gregori. «Questo concerto cambia ogni sera», ha spiegato il Principe: «Eseguiamo 26/27 canzoni, ma ne abbiamo in serbatoio una quarantina». «E l'aspetto più bello», prosegue Dalla, «è che ognuno canta le canzoni dell'altro, a parte la "Donna Cannone" e "Caruso". Al punto che il pubblico non si ricorda più chi ha scritto cosa». E riprende De Gregori: «Per me l'arte è sempre in progress. Perciò a ogni esecuzione cambio qualcosa; la canzone, come l'opera d'arte, non sopporta di essere fissata. Il
pubblico, invece, vorrebbe che rimanesse identica a come fu incisa su
vinile la prima volta». Dalla: «Ma sarebbe come portare gli stessi
calzini per vent'anni». Questa volta, invece, ammettono entrambi, «il
pubblico è dalla nostra e mostra di gradire. Tanto da diventare, con la
scenografia di Paladino e le nostre due voci unite, una parte integrante
dello spettacolo». E allora perché, ha domandato Fegiz, oggi la
canzone non ha più la forza di saldare le coscienze collettive?
«Perché c'è troppa offerta», è l'opinione De Gregori, «e le
canzoni non sono più centrali nella vita come lo erano negli Anni 70.
Ma se potessi tornare indietro non è lì che andrei, ma nell'America
Anni 50». «Io invece», confessa Dalla, «preferirei la Firenze del
'500». |
De
Gregori e Dalla: «Insieme è meglio» Che
«progress» ha fatto il «work» in questi mesi? Durante
lo spettacolo vi preoccupate più del giudizio dell'altro o di quello
del pubblico? Adesso
è uscito anche il disco «Work in Progress», due cd dal vivo e un dvd.
Ma proprio perché il «work» è «in progress», che senso ha fissarlo
su disco? Il disco alla fin fine rappresenta qualcosa che è già
cambiato e continua a cambiare. Perché
il pubblico ha l'impressione che le canzoni recenti valgono meno di
quelle del passato? Domanda
a Dalla: la parola ti va stretta? A
De Gregori: dal vivo sembri più motivato e comunicativo di qualche anno
fa: che cosa è successo? A
entrambi: quali sono secondo voi i punti di riferimento culturali delle
nuove generazioni? Avete
(e abbiamo) conosciuto le stagioni più felici della musica. Personaggi
come voi hanno vissuto i tempi in cui la musica aveva davvero una
centralità nella cultura italiana. Come uscire dalla logica del
rimpianto? |
De
Gregori: «Cerco l'anima delle città» Il tour con Dalla approda al
Parco Nord
De
Gregori, a questo punto vietato credere a chi dice che il tempo le
rovina le coppie... Daniela Corneo . 12.9.2010 - Corriere di Bologna |
Le due generazioni di Dalla & De Gregori - Torino - Piazza Castello paola italiano: Ero al concerto del tour Banana Republic anche trent’anni fa. Le differenze sono molte: prima di tutto, allora non c’era la security che tentava di impedirti di scattare una foto». A due ore dall’inizio dell’esibizione di Lucio Dalla e Francesco De Gregori, Luciano Pizzata era già in prima fila, seduto contro le transenne, in attesa di fare il suo viaggio sentimentale che lo avrebbe riportato indietro nel tempo ai suoi vent’anni. A sorpresa, gli artisti escono sul palco per una prova: sono le 19,30 quando in piazza Castello tutti, che siano lì per il concerto o semplici passanti, iniziano a cantare: «Generale dietro la collina...». De Gregori alla chitarra e voce, Lucio Dalla al piano: mentre il sole è ancora alto, i due cantautori si regalano generosamente anche agli scatti di macchine fotografiche e telefonini spuntati fuori a decine, mentre la security tenta - inspiegabilmente - di impedire al pubblico di catturare immagini, intimando di non fare foto («non durante le prove, solo a inizio concerto»), con tanto di mani a coprire gli obiettivi. E la gente si lamenta: «Ma non vi vergognate?». «Ma cosa volete?». «Ma non era una festa “democratica”?». Eccole, spuntano fuori anche qui le accuse di snobismo, di non essere abbastanza «di sinistra», che perseguitano i nipotini del vecchio Pci e riemergono anche sotto un palco a due passi dai banchi con le popolarissime e rossissime salamelle. Molti di quelli che hanno già un posto in prima fila c’erano anche nel 1979, ai tempi di Banana Republic. Che erano poi anche i tempi del compianto Enrico Berlinguer, gli anni 70, le lotte: e allora non stupisce sentire che alcuni di questi fans militanti dicano ancora Festa dell’Unità invece di «kermesse democratica»; né stupisce che si indignino perché si vorrebbe loro impedire di fare foto su una pubblica piazza durante un pubblico evento a pubblici personaggi. «Quello del 1979 è stato il primo concerto della mia vita - racconta Lucio Bovo -. Sono qui soprattutto perché sono un amante della musica, in particolare quella dal vivo. Sì, sono di sinistra, ma trovo il Pd... come dire? Troppo tranquillo. D’altronde, a quei tempi la nostra era una presenza più militante, ora molta genete viene solo per il concerto». Mario Mascarino, elettricista, è uno dei più furiosi contro chi vorrebbe impedirgli di fotografare: «Sono venuto per il concerto, non per la politica. Non mi impegno più, per questo Pd». Seduti ad aspettare ci sono anche dei giovanissimi. Marta Febbo, classe 1987, ha ereditato dai genitori la passione per i cantautori: «Sono di sinistra , anche se il Pd non mi convince tanto. Sono qui soprattutto per il concerto a dire il vero, la festa non mi interessa particolarmente». «Li seguo da 30 anni - confessa la sua passione Antonella Calzavara -. Ero minorenne quando vidi Dalla dal vivo al Palasport di Torino nel 1980, ma non era con De Gregori, in quel concerto c’era Ron». E la politica? «Negli anni 80 non ci impegnava più, prevaleva l’ edonismo reaganiano. Solo più tardi ho iniziato a essere consapevole e a impegnarmi. Peccato che poi, il terzo stadio, sia stato la disillusione. Ma - lascia accesa la speranza - se ci fosse un progetto politico serio sarei pronta a rimettermi in gioco». Antonello Gastaldo invece non fa discorsi nostalgici. Aveva appena 15 anni nel 1979 e Dalla e De Gregori li ha visti per la prima volta solo due mesi fa a Venaria: «Un concerto bellissimo, sono tornato perché sono bravissimi. Però è stato poco pubblicizzato». E se gli si chiede se è qui solo per la musica o anche per affezione politica, si limita a indicare il suo cuore e l’adesivo tricolore che ha appena apposto sulla maglia: «Partito Democratico».
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De
Gregori: si può vivere anche senza avere una casa discografica
In tour con l'amico Dalla il cantautore non disdegna un po' di karaoke e racconta come è cambiato il business della musica negli ultimi 35 anni
Cortese ma non ruffiano, schivo però mai burbero, De Gregori non ama le polemiche («Dei miei colleghi non parlo male»), evita la politica ma non la musica. Ricorda quando negli anni Settanta l' Hotel Bellevue di Rimini era il rifugio delle aspiranti star della musica italiana. «C' erano Baglioni, De André, Loredana Bertè, Renato Zero che girava con un furgoncino e tre ballerine; ma noi a Renato invidiavamo soprattutto l' impianto voci. Arrivavamo in albergo alle cinque di mattina dopo aver suonato a 300 chilometri di distanza e ci facevano trovare da mangiare. Era un momento di grande gioia, collaborazione, diversità: la nouvelle vague del pop italiano». Lui all' epoca non aveva ancora 30 anni, giovane cantautore introspettivo innamorato di Bob Dylan e Leonard Cohen, criticato per i suoi testi oscuri eppure magnetici. «Non mi infastidiscono le critiche, ma la superficialità sì. I detrattori si scatenarono contro "Rimmel", eppure è stato uno dei miei album più venduti». E lui a scrivere canzoni non ha mai rinunciato, convinto che siano «la spina dorsale della nostra storia degli ultimi trent' anni da Buscaglione a Spadaro, figlie dirette della romanza, dell' opera. Rimangono l' osso duro, il nocciolo della nostra musica. Quando scrivo ho voglia di raccontare qualcosa, ma non ho pretese letterarie. La narrazione è evocativa, alle storie ognuno accomuna le sue vicende personali. A volte la narrazione non è autobiografica, vive di suggestioni: alla fine si lavora con quello che c' è in cucina». Per De Gregori Fabrizio De André ha rappresentato lo «sconvolgimento». «Ascoltandolo ho capito che le canzoni potevano servire non soltanto a partecipare a un concorso canoro ma anche a raccontarlo. Lui ha la primogenitura, a 16 anni compravo i suoi dischi che non si trovavano, mi piacevano i suoi brani più corrosivi, figli del mondo di Brassens. Con Fabrizio poi ho lavorato, siamo stati nella sua casa in Gallura. Non era un uomo tranquillo, sua moglie gli lasciò il figlio Cristiano, oggi ottimo musicista. Allora era un bambino e guardava incuriosito questi due personaggi che suonavano, fumavano, bevevano». Ma formativo per la produzione di De Gregori è stato anche il cinema, in particolare Blow up di Antonioni. «Quando uscì nelle sale lo vidi tre o quattro volte. Fu una folgorazione, capii bene quello che Antonioni voleva dire e me lo sono portato dietro: la realtà non è fotografabile, quello che si può fotografare non è la realtà». Sandra Cesarale - Corriere della Sera. |
Palermo: musica vera, per canzoni vere La Sicilia.1.8.2010 - Leonardo Lodato Palermo.
Se pensavate di trovare la folla dei grandi eventi, beh, avete
sbagliato. Il concerto è di quelli che meriterebbero il pienone, ma
complici le ferie che hanno svuotato la città, e la crisi economica che
colpisce le famiglie, al cospetto di Lucio Dalla e Francesco De Gregori,
ci sono proprio i fedelissimi, soprattutto attempati quarantenni e
cinquantenni con stampato sul volto quel sorriso che dice tutto: io
c'ero, quasi trent'anni fa, al concerto del Banana Republic Tour. Già,
loro c'erano, e di anni ne sono passati, per l'appunto, quasi trenta.
Trent'anni in cui Lucio & Ciccio si saranno pure imbolsiti, avranno
perso qualche capello, avranno messo su un po' di pancia, ma non hanno
certo perso la verve di quella «italian connection» capace di
inventare grandi musica o, per dirla con le parole del principe, canzoni
vere con parole vere. Già, perché oggi, per sentirne, di canzoni vere
con parole vere, ce ne vuole davvero. Loro no, non hanno mollato la
presa, e sono lì, ad autoincensarsi con quel grappolo di ironia che i
giovani artisti d'oggi non sanno neppure dove stia di casa. Si beccano,
si prendono in giro, ridono, aspettano l'applauso che stenta ad arrivare
(noblesse oblige di un pubblico che vuole ascoltare più che essere
ascoltato).
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Era dal febbraio 1993, quando, con dieci minuti di tube mi recavo dal mio albergo per sedermi al mio posto numerato dell'Hammersmith Theatre di Londra, che non facevo un'esperienza similare. Lo feci per tre sere di fila, allora. Oggi, invece della tube, sono salito in macchina, dieci minuti di strada e sono approdato per due sere (non consecutive) al teatro Arcimboldi. Allora era Bob Dylan, oggi Dalla & De Gregori. In entrambi un gran bel modo di vivere la musica e i concerti. Ed è interessante andare a vedere gli stessi artisti per più sere consecutive, in quelle che nel gergo musicale si chiamano "residenze", quando cioè piantano le tende per più spettacoli nella stessa città e nella stessa location. Puoi cogliere, in quelle che sono serate dall'ossatura praticamente identica, le diversità, le sfumature, i colori differenti, sia negli artisti che nel pubblico. La
sera del 5 maggio, prima ufficiale del Dalla & De Gregori Work in
Progress 2010 Tour - dopo la serata clandestina e garage del gennaio
scorso a Nonantola - i due erano freddini, a tratti insicuri, molto
professionali. Il pubblico pure. Raramente si è scaldato. E il sound,
specie nella prima parte, tenendo conto che eravamo alla seconda Scala
di Milano, era missato decisamente male. Ottimo concerto, per carità:
con due artisti del genere non poteva essere altrimenti, ma sembrava che
le grandi emozioni e le passioni fossero rimaste a Nonantola. Ieri sera,
invece, quarta serata di una residenza che arriverà a contarne sette,
tutta altra musica. Dalla & De Gregori sciolti, divertiti e
divertenti. Sound perfettissimo, degno degli Arcimboldi (tenendo conto
che oltre ai due sul palco ci sono quindici musicisti compreso un
quartetto d'archi). Cambiamenti di scaletta: invertito l'ordine di
alcuni brani per rendere la prima parte più densa e tirata, che la
prima sera era stata un po' moscia, e via Pezzi dal finale (peccato
perché era una versione rock'n'roll da paura) per inserire nella prima
parte la sempre bellissima La storia siamo noi. Si scherza ovviamente, che in serate come queste l'unico vincitore è la musica. "E' bello cantare" dice a un certo punto uno stupito Lucio Dalla. Stupito che a quasi settant'anni sia ancora possibile scoprire la bellezza del canto e della canzone. Ma una canzone non basta, e non basta saper cantare, come dice il pezzo che conclude delle serate memorabili. "Però serve", aggiunge ridacchiando Lucio. E a noi servono le canzoni. Canzoni come queste. Post scriptum: in entrambe le serate grande sfilata di vip(s). Si sono notati in sala: Giorgio Armani, Ornella Vanoni, Paola Turci, Enrico Ruggeri, Linus, la famiglia Bisio al completo. E il vostro good Doctor, ovviamente. (Paolo Vites) |
ESCLUSIVA/ Francesco De Gregori si racconta: La gioia di suonare con Lucio Dalla dopo tanti anni - Paolo Vites Francesco De Gregori è al telefono. Interrompe per una mezz'ora le prove in cui è impegnatissimo. Qualche colpo di tosse nella voce, segno dell’intensità con cui si sta preparando all’attesa e lunga serie di concerti insieme al vecchio amico Lucio Dalla, trentuno anni dopo la storica tournée di "Banana Republic". Questa nuova serie di concerti si chiama invece "Work in Progress", ed è stata una successione di lavori in corso durata diversi mesi, qualche apparizione a sorpresa in piccoli club e uno spettacolo televisivo che li porterà agli Arcimboldi di Milano (già tutto esaurito per il primo di sette concerti, poi Roma e un tour in Italia e all’estero). Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando si ironizzava sui “cantautori”, bravi magari a scrivere testi di canzone che sembravano poesie, ma considerati musicisti di serie B. Dalla e De Gregori sono la dimostrazione invece che quel mondo di cantautori portava in grembo alcuni dei migliori musicisti italiani di sempre. Magari non tutti, i cantautori, ma quello che Francesco e Lucio stanno per portare sui palchi è senz’altro grandissima musica. Totale. È un po’ una rivincita, questa, del mondo antico dei cantautori, spesso presi in giro perché poco “musicisti”. Voi state dimostrando esattamente il contrario. In realtà il cantautore sono io. Lucio è sempre stato un signor musicista, sin da giovanissimo quando suonava il clarino in gruppi jazz. Ha suonato anche con Chet Baker, figurati. Ha partecipato ai Cantagiro… Dalla ha fatto di tutto ed è sopravissuto a tutto. Io invece ero senz’altro inseribile in quella che era l’iconografia del cantautore tipico. Poi col tempo le cose sono cambiate, quello che stiamo facendo è uno spettacolo dove c’è innegabilmente una grandissima forza testuale, lirica, ma c’è anche una grandissima forza musicale. Per far ciò, avete fatto un esperimento interessante. Avete unito le vostre rispettive band, prendendo alcuni musicisti dell’una e dell’altra.. Come vi siete accordati? A dire la verità ci siamo detti mezza parola. Allora io ho ragionato non in termini di qualità perché i musicisti che ho lasciato fuori sono bravissimi, ma in termini di funzionalità. Ho scelto chi suona la pedal steel, il bassista, il fido Guglielminetti, e il tastierista. Dalla ha detto, benissimo allora io porto gli altri. Una discussione di trenta secondi. Se le cose non fossero andate bene avremmo dovuto ritoccare la composizione della band e invece sono andate benissimo sin dall’inizio. Tenendo conto che abbiamo fatto delle prove stranissime, tipo sette gironi poi fermi un mese e mezzo poi altri cinque giorni… Prove diluite insomma e scaglionate nel tempo. Facemmo le prime nell’ottobre dell’anno scorso per verificare con largo anticipo che questo innesto di band funzionasse e così è stato. Abbiamo potuto osservarvi in anteprima lo scorso mese di marzo in un bellissimo concerto trasmesso televisivamente. Quello che colpiva era vedere nei vostri volti lo stupore per canzoni cantante magari centinaia di volte e che sembra voi stiate riscoprendo con passione per la prima volta. È così? Lo spettacolo televisivo, quello insomma fa testo fino a un certo punto perché la televisione dà sempre un altro tono alle cose e alle persone. Però è vero, sta continuando a essere una esperienza di stupore, un'esperienza in cui sta crescendo una consapevolezza e uno stupore visto che abbiamo continuato a fare modifiche in corso. Work in progress… Esatto.
Abbiamo inserito nuove canzoni nel repertorio, abbiamo modificato
qualche arrangiamento e abbiamo addirittura inserito un quartetto d’archi
che debutterà proprio agli Arcimboldi. È una grande gioia fare quello
che stiamo facendo. Dalla dice speso, sono felice perché finalmente
posso cantare canzoni di un altro artista cosa che non ho mai fatto
prima. Puoi regalarci un'anticipazione rispetto alle novità che ascolteremo a Milano? Te ne dico una. Farò la canzone Due zingari che non faccio da trent’anni in concerto… Qual è la canzone di Dalla che più ti piace cantare? Mah... direi tutte. All’inizio era Come è profondo il mare, che mi era sempre piaciuta da ascoltatore. Altre mi sembrava impossibile poterle cantare, dicevo, questa la faccio solo per far piacere a Dalla, invece poi mi sono divertito moltissimo. Però, come dice il pezzo nuovo che avete fatto insieme e di cui hai scritto tu il testo, “non basta neanche una canzone”… Insomma, la vita è più grande anche di una canzone… Volevo semplicemente dire che una canzone può essere consolatoria, ma poi neanche tanto. Volevo parlare dei limiti che ci sono in qualunque forma artistica. La vita è più complessa, l’arte per quanto sublime non arriva a toccare i vertici di ambiguità e di bellezza che sono propri della vita stessa. Chi
ha avuto l’idea di cominciare i concerti con la ripresa di Over the
Raibow, il famoso pezzo tratto dal film Il mago di Oz? Ci speravamo. Ci sarà un disco dal vivo o magari un dvd a fine tour? Abbiamo le idee molto confuse. Oggi la discografia è uno sparo nel buio, i dischi hanno la vita e il peso ridotto. Sicuramente faremo qualcosa, non possiamo certo non registrare quello che faremo, ma adesso ci dà fastidio parlarne. Adesso pensiamo solo al pubblico, all’incontro con loro e alla gratificazione nobile che ci dà questa cosa, che è quella che ci piace di più. Suonare. |
Lucio e Francesco dalle sette vite di Antonio Lodetti
C’è il rock, i suoni folk acustici, il possente tocco sinfonico del Nu Ork Quartet diretto da Beppe D’Onghia. Da questi incroci misteriosi nasce un suono a tutto campo che media violenza e relax. Una tavolozza che non ha confini in brani come Titanic dove si fondono suoni caraibici, country, classici, pop e molto altro ancora; nel rombo tonante di L’agnello di Dio; o nella rotondità e ampiezza melodica di Canzone o L’anno che verrà; nel raccoglimento di Henna che Lucio canta contro la guerra. Il pubblico - si notano Ornella Vanoni, Giorgio Armani, Bobo Craxi, Linus, Paola Turci - è con loro dall’inizio alla fine. Li applaude fragorosamente; l’applauso più lungo e fragoroso va a Rimmel ma è solo un dato di cronaca. Non è una sfida, anche i fan son lì per ascoltarli entrambi, per scoprire come quei due sian riusciti a fermare il tempo facendoci scoprire nuove sfumature anche in 4 marzo ’43. Ecco come far toccare palpabilmente il passato senza nostalgia. Poi, non bastasse, ci sono i brani nuovi come Gran turismo, o la gigionesca versione di Just a Gigolo (classico interpretato da gente come Nat King Cole, Buster Poindexter o il genio del jazz Thelonius Monk)a tracciare la strada che dall’attualità porta al futuro. |
Teatro "La Fenice" - Senigallia domenica 2 maggio 2010 Senigallia (Ancona), 3 maggio 2010 - "Ci ritroviamo dopo trent’anni, ma non sarà una celebrazione. Questa è roba forte che provoca sudore e lacrime". La dichiarazione d’intenti di Francesco De Gregori non tradisce le aspettative. Sono lì, lui e Lucio Dalla, sul palco del teatro La Fenice per la data zero, l’anteprima, di '2010 Work in progress'. A trentun anni di distanza da 'Banana Republic'. Non è una celebrazione di quel tour ed entrambi lo dimostrano subito. Ognuno cantava le proprie canzoni all’epoca, qui duettano che è un piacere. Anche su 'Anna e Marco'. Il Principe intona "Anna come ce ne sono tante" e scattano gli applausi. Lucio è lì che l’aspetta per entrare anche lui nella canzone. Il pubblico gradisce. Anche per l’ouverture, un avvio d’eccezione. Scelgono 'Over the rainbow': De Gregori accompagna con l’armonica, Dalla con il clarinetto. E’ l’inizio. Atteso, attesissimo dalla gente che si è sistemata già da un po’ sulle poltroncine del teatro. E aspetta soltanto la prima nota. Intanto si gode la scenografia. E’ firmata Mimmo Paladino. Sullo schermo spicca un profilo astratto simile a un’opera di Modigliani, in calce ci sono le firme dei due cantautori e nel corso del concerto scorrono anche le parole delle canzoni. Ma non è un karaoke, anche se si scorge fra il pubblico chi prova a non perdere il ritmo seguendo i due che se ne vanno e si scambiano strofe con disinvoltura. L’intesa è buona come trent’anni fa. Affinata da una settimana di prove all’interno del teatro senigalliese. La scaletta non fa torto a nessuno dei due. Ci sono tutti i classici. E anche i tre pezzi nuovi che invitano a pensare a un disco che racchiuda questa esperienza. Anche i due confermano. Intanto regalano 'Gran turismo' e 'Gigolo', una versione italiana di 'Just a gigolo'. Chiudono con 'Non basta saper cantare'. "Questa canzone - dice De Gregori - è più figlia mia che di Dalla (e si sente chiaramente anche dal testo, ndr). L’ho fatta riflettendo sulla mia vita di artista. Ma il brano nasce anche dalla gioia di volersi riproporre e di non accettare la sconfitta". Il bis regala '4 marzo 1943' e 'Celestino'. Non si risparmiano. La scaletta è un lungo attraversamento, senza tentennamenti, della storia artistica dei due. Destini che si incrociano nella notte di Senigallia e che lo faranno per un tour che annuncia già i primi sold out. 'Titanic', 'La leva calcistica del ‘68' e poi tocca ai brani di Lucio da 'Canzone' a 'Domani', un vero e proprio climax. Il pubblico non si stanca di applaudire. Ci sono delle vere e proprie gemme. 'Com’è profondo il mare' e 'Rimmel'. A trent’anni di distanza, la coppia artistica è destinata a continuare. Un lungo tour li attende: solo a maggio da dopodomani Milano (7 repliche), poi Roma (5 repliche); e dal 30 giugno (Firenze) ancora in scena, per tutta l’estate. Matteo Massi
Lucio Dalla e Francesco De Gregori si ritrovano dopo 31 anni dal trionfale Tour "Banana Republic" e, dopo il successo al Vox Club di Nonantola (Modena) del 22 gennaio 2010, scelgono Senigallia (AN) come base operativa per la preparazione dello spettacolo che li vedrà protagonisti della prossima estate in giro per l'Italia. Quello
di Senigallia è stata una data "numero zero" davvero
emozionante: molto di più di un semplice concerto, ma un tuffo nel
passato attraverso brani che hanno segnato una pietra miliare nella
musica italiana e che, personalmente, mi hanno accompagnato durante
tutta la mia vita. Vai alla galleria completa del concerto (foto di Libero Api):.
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Verona.
Due D per un teatro. D & D, Dalla & De Gregori, la «premiata
ditta» dello storico album «Banana Republic», è tornata insieme e
oggi, dalle 20 in poi, al teatro Camploy, realizzerà la nuova puntata
di «Due», la fortunata serie televisiva inaugurata su RaiDue dallo
spettacolo con Laura Pausini e Tiziano Ferro. Alla regia, il veronese
Gaetano Morbioli, per una produzione di decisa impronta locale, a
partire dall'ideatore del format, il manager Gianmarco Mazzi che ha
fortemente voluto il programma insieme al direttore di RaiDue, Massimo
Liofredi. Oltre a puntare sulla musica con i Wind Music Award (in Arena
il giugno prossimo), la seconda rete pubblica rinforza il suo legame con
la nostra città, una scelta che, a livello di audience e di critica, si
è rivelata vincente, visto che, anche grazie a «Due» (e ad altri
programmi di punta come «Annozero») mantiene la posizione di terza
rete televisiva più vista dopo RaiUno e Canale 5.
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Dalla e De Gregori inediti: Non basta saper cantare
NONANTOLA
(Modena) Trent’anni fa, D&D avevano riaperto la stagione dei concerti di massa con Banana Republic, dopo gli assalti ai palchi per la musica gratuita che avevano fatto mortaretti, feriti e petardi. Quella stagione è rimasta nella memoria di chi della memoria conserva il vizio: gli altri, niente. Infatti è una serata non proprio popolata di ragazzetti, malgrado Banana Republic appaia ancora, almeno a interrogare i più consapevoli, un marchio fortissimo. L’inedito, è come lo sfizioso dessert dopo un pranzo di poche ma eccellenti portate. Grandi hit rivisitati, rock tirato, ballate: vetrina di una magnifica stagione della canzone d’autore italiana ancora imprescindibile. Ma è dessert senza zucchero, venato di sarcasmo, Non basta saper cantare. Ecco «Un orso che balla e una scimmia che suona/ e c’è sempre uno stupido che si ferma ad ascoltare/ma una canzone non basta/e non basta saper cantare». Sembra il requiem definitivo alle speranze della musica popolare, quella che voleva cambiare il mondo, o almeno ambiva a far cultura: stagione finita infatti nei libri di scuola (ma il mondo ha smesso di studiare). Eppure c’è forte vitalità, sul palco del ruspante Vox. De Gregori con la papalina di lana, Lucio in completo, con la band per metà di musicisti di Dalla, e per metà di quelli di De Gregori (Iskra Menarini è lì). Malgrado l’amarognolo, si vede la voglia di rimettersi in gioco; si mescolano repertori orgogliosi, l’atmosfera è di raro amalgama e carisma. Il mix, va detto, è di quelli che capitano una volta ogni tanto (e infatti...). In trent’anni di separazione, uno è per così dire diventato biondo, l’altro un po’ calvo. Aprono con Over the Rainbow, Dalla al clarinetto e De Gregori all’armonica; e poi s’infilano in Ma come fanno i marinai, deliziosa e autobiografica canzone, unico accenno a Banana Republic. Finita lì, e poi Ron non c’è mica più. Si alternano i brani, li scambiano. E’ una sfida di numeri uno. Di Dalla Canzone, Anna e Marco, L’anno che verrà, Com’è profondo il mare, Piazza Grande; di De Gregori la meno frequentata I Matti (1987), una tiratissima Agnello di Dio, una scarnificata I Muscoli del Capitano, dall’immenso Titanic, Buonanotte Fiorellino in shiffle, e Viva l’Italia: un manifesto d’epoca, un’Italia sognata e poi annegata nel sogno di diverso successo di uno che si chiama Berlusconi. C’è anche Santa Lucia, che i due cantarono insieme il 24 giugno a Solferino, commemorando la battaglia: tutto è ripartito da lì, «da questa canzone che gli invidio così tanto» come dice Dalla, nell’unico breve interludio non musicale. Dopo il successone e la conferma che si può ancora fare, concerti di maggio attendono il Work in progress tour (questo sarà uno dei benemeriti eventi dell’estate live 2010) e i lavori in corso porteranno «inevitabilmente a un disco» aggiungono loro. La Stampa.it - MARINELLA VENEGONI
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Roma, 14 gen. (Adnkronos) - "Io De Gregori non lo sopporto. Ma non mi dispiace suonare con lui. E credo che inevitabilmente succederà qualcosa dopo questi due concerti". A parlare così con ironia di un possibile nuovo tour Dalla-De Gregori a trent'anni da 'Banana Repubblic' è Lucio Dalla, che sbarca su SkyUno con il programma 'L'angolo nel cielo'. I
due suoneranno insieme il 22 gennaio a Nonantola. "Ma tutto è nato
-spiega Dalla - quando lo scorso anno lo invitati a suonare con me a
Solferino il 24 giugno per le Celebrazioni del 150° Anniversario della
Battaglia. Qualcuno ci ricordò che erano esattamente trent'anni
dall'esordio del tour di 'Banana Republic', che fu a Savona il 24 giugno
del 1979. Tra l'altro non ho mai sentito cantare Francesco bene come
adesso. Quindi anche se non lo sopporto -conclude scherzando- è
probabile che faremo altre cose".
La storica tournée portò a un disco, a un film e al pezzo 'Ma come fanno i marinai'. I biglietti per il 22 gennaio a Nonantola sono già in vendita. Ma solo online di GINO CASTALDO Quasi senza un vero e proprio annuncio, nel massimo riserbo, Lucio Dalla e Francesco De Gregori hanno deciso di tornare insieme in concerto, a trent'anni esatti dalla storica tournée che fu intitolata Banana Republic e che portò a un disco, a un film e a un gustoso e ironico pezzo inciso a due voci (pubblicato solo come singolo) dal titolo Ma come fanno i marinai. Per svelare la reunion basta andare sul sito di Ticketone e scoprire che sono in vendita (solo online) i biglietti per una serata al Vox club di Nonantola, con la dicitura "work in progress". Protagonisti, per l'appunto, Dalla e De Gregori, e la data: il 22 gennaio. Tutto qui. Al momento non si sa nulla della band, della scaletta, e soprattutto se la cosa finirà lì a Nonantola (provincia di Modena) o se si tratta delle prove generali per un tour. L'idea deve essere nata alcuni mesi fa quando i due sono tornati brevemente insieme su un palco, per la prima volta dal 1980. Era il 24 giugno e in piazza Castello a Solferino si ricordava la battaglia del Risorgimento con testi di Roberto Roversi recitati da Marco Alemanno. La regia era firmata da Lucio Dalla, che aveva invitato De Gregori a cantare alcuni dei suoi pezzi legati alla storia d'Italia, e alla fine i due hanno cantato un paio di brani insieme. Una piccola cosa che però deve aver riacceso l'emozione di quell'avventura che segnò profondamente sia la storia personale dei due cantautori sia l'ambiente musicale italiano. Mai c'era stata una collaborazione a livelli così alti e oltretutto il tour servì a riavvicinare Francesco De Gregori alle performance dal vivo, visto che veniva dalla disavventura di un processo politico subìto a Milano in pieno concerto, fatto piuttosto grave che ovviamente lo aveva traumatizzato e sconcertato. Banana Republic fu un trionfo e rimane come una delle migliori pagine della storia della canzone moderna. Ora l'idea ritorna, ma con ovvie differenze: mistero, under statement, un piccolo locale nei dintorni di Modena, nulla a che vedere col gigantismo da stadio dello storico tour. E poi la dicitura "work in progress", quanto basta per incuriosire e suggerire la voglia di provare, di vedere cosa ne viene fuori e forse poi decidere se dare un seguito o no al progetto. (2.1.10)
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