Quanto mare nel 1979, dentro e fuori alle canzoni, dentro e fuori alle metafore. Se ne sentono gli odori, i suoni, bagnano un anno zeppo di un disco e di un tour. Il disco è un parto di nuovo sofferto e il tour è un kolossal, un tour moltiplicato per due, oneri e onori. Mentre l'Italia che sta in mezzo al mare si sfascia: di malcostume, di scandali, di palazzi persi tra governo e sottogoverno, di terrorismo colorato a piacere, di uomini ammazzati, giornalisti, giudici, sindacalisti, e altri che non si sa neanche che lavoro fanno. Facevano. Il governo di unità nazionale con tutti ministri DC cade all'inizio dell'anno, i comunisti ne hanno abbastanza. Pertini scioglie le Camere. Lucio Dalla pubblica invece il suo disco, primo di due omonimi belli e un po' degregoriani nei testi. Dentro c'è quel pezzo cantato insieme, Cosa sarà (testo di Dalla, musica di Rosalino Cellamare), che è anche il retro di Ma come fanno i marinai.
Ecco, questa storia di mare ha portato bene: a febbraio il 45 entra in classifica con le vele gonfie e - sarà la voglia di sparigliare, sarà che il concerto al Flaminio è andato bene - l'idea di un lungo ma anche largo tour negli stadi sembra cosa buona e giusta. E utile ad ambedue: Dalla si è appena iscritto all'albo delle stelle di prima grandezza, De Gregori ha ancora un po' di interessi del Palalido da pagare. E poi hanno un passato di incroci, un buon rapporto umano, affinità e diversità bilanciate (persino fisiche, volendo). E la stessa casa discografica, che non è cosa da poco. C'è da pensare al tour con Dalla. Ma anche qui non tutto è semplice. La faccenda implica un certo sforzo di pecunia e mezzi, nonché equilibri anche di management (Ballanti per Dalla e Venturi per De Gregori): l'idea prende davvero forma e sostanza quando sono loro due a convincersi, tra incertezze, pigrizie e contrasti. E forse è proprio il mare a unirli, fonte comune d'ispirazione ed espirazione d'un bolognese e un romAno. Questo giro viaggerà spesso lungo il mare e diventerà uno dei più importanti eventi della storia della canzone italiana, forse proprio la celebrazione, qualitativa e quantitativa, della sua maturità. Intesa anche come capacità di riproduzione. Il nome del tour sarà Banana Republic, titolo di una canzone di Steve Goodman che De Gregori ha appena tradotto e che parla, o forse dipinge, di tropici, di americani che ci espatriano e - ci mancherebbe - un po' anche di mare. Sta nella scia di Ma come fanno i marinai, ovviamente caposaldo della scaletta.
Il 28 luglio, giorno d'uscita, i negozianti ne hanno già prenotate quasi duecentomila copie. Inizialmente doveva essere doppio, invece alla storia (per quanto piccoletta, della nostra musica) passerà un solo album, registrato dagli stessi tecnici inglesi della tournée di Fabrizio De André e PFM. La copertina ha i due fotografati sul palco con occhiali da sole e panama. Come si dice, un'icona. Le date che finiscono sul vinile sono Brescia, Verona e Bologna, i brani di De Gregori Bufalo Bill, Santa Lucia e Quattro cani, mentre Banana Republic, Un gelato al Union, 4 marzo 1943, Addio a Napoli e Ma come fanno i marinai sono cantate insieme. fonte: "Mi puoi leggere fino a tardi" di Enrico Deregibus - 2015 Giunti Editore
Distribuzione RCA Italiana - PL 31466 - Settembre 1979 - IKAY 35061/IKAY 35062 Prodotto da Alessandro Colombini. Produttore Esecutivo e organizzazione: Renzo Cremonini. Foto di Fausto Ristori. Remastering digitale: Guido Di Toma. Artwork: Mario Scardala. Registrazioni effettuate con lo Studio mobile "Manor"
a Brescia, Verona e Bologna. Missato da Alessandro Colombini e Maurizio Montanesi negli studi RCA Roma. Grazie a Ron per gli arrangiamenti, Sandro Centinara e Gianni Neri per l'amplificazione. Lato A BANANA REPUBLIC (Burgh-De Gregori-Goodman-Rothermel) UN GELATO AL LIMON (Conte) LA CANZONE DI ORLANDO (Dalla - Roversi) BUFALO BILL (De Gregori) PIAZZA GRANDE (Baldazzi - Bardotti - Cellamare - Dalla)
Lato B 4/3/1943 (Dalla - Pallottino) SANTA LUCIA (De Gregori) QUATTRO CANI (De Gregori) ADDIO A NAPOLI (Teodoro Cottrau) MA COME FANNO I MARINAI (Dalla-De Gregori)
Ci governano (ma va?) Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. L'UNESCO, proclama il Campo di concentramento di Auschwitz patrimonio dell'umanità e L'OMS dichiara eradicato il Vaiolo. Cambogia: dopo quattro anni di dittatura il regime dei Khmer Rossi di Pol Pot viene deposto da truppe regolari vietnamite, che insediano al suo posto un governo-fantoccio filosovietico; dopo mesi di proteste popolari lo Shāh Mohammad Reza Pahlavi lascia il paese. Al suo posto, giovedì 1º febbraio, assumerà il potere l'ayatollah Ruhollāh Khomeini, tornato dall'esilio in Francia. Le Brigate Rosse uccidono l'operaio-sindacalista Guido Rossa e i fascisti Emilio Alessandrini che indagava sulla pista neofascista della strage di Piazza Fontana; il bassista dei Sex Pistols Sid Vicious viene trovato morto per overdose; Entra in vigore del Sistema Monetario Europeo; La magistratura americana incrimina il finanziere Michele Sindona per la bancarotta della Franklin National Bank; il giornalista Mino Pecorelli, direttore del settimanale «OP», è assassinato a colpi d’arma da fuoco; fra gli altri, Toni Negri viene arrestato per aver preso parte al rapimento e all'uccisione di Aldo Moro; vittoria elettorale dei conservatori di Margaret Thatcher, prima donna ad occupare la carica di primo ministro; la comunista Nilde Iotti è la prima donna ad essere eletta Presidente della Camera dei deputati; viene immesso in vendita in Giappone dalla Sony il primo lettore stereo portatile, il Walkman; Saddam Hussein diventa presidente della repubblica irachena; Boris Giuliano capo della mobile di Palermo viene ucciso mentre prende il caffè in un bar da Leoluca Bagarella, killer per i corleonesi di Totò Riina; rapiti in Sardegna Fabrizio De André e Dori Ghezzi; nasce il Tg3; l'Unione Sovietica invade l'Afghanistan. Un impiegato guadagna ca. £ 60.000, operaio ca. 47.000, contadino 20.000, il giornale costa £ 30, la tazzina di Caffè £ 50- Pane £ 140 al kg. Latte £ 90. Vino al litro £ 130, Pasta al kg. £. 200, Riso al kg £ 175. Carne di Manzo al kg. £ 1400. Zucchero al kg £ 245. Benzina £ 120. 1 grammo di Oro £ 835. Nello sport Pietro Mennea stabilisce il record del mondo nei 200 metri piani; Jody Scheckter, in Ferrari, vince il Mondiale di Formula Uno, il Nottingham Forest vince la Coppa dei Campioni, Kevin Keegan (Amburgo) vince il Pallone d’oro e la domenica sera Adriano De Zan ci racconta che il Milan vince finalmente la sua stella con Albertosi, Collovati, Maldera, Beta, Baresi, De Vecchi, Buriani, Rivera, Novellino, Chiodi, Bigon, Il Premio Strega va a Primo Levi per La chiave a stella e il Campiello va a Storia di Tonle di Mario Rigoni Stern. Al cinema vediamo Kramer contro Kramer; Fuga da Alcatraz; Apocalypse Now; Ratataplan; Rocky II; Sindrome cinese; Star Trek; Il tamburo di latta; Manatthan; Elvis, il re del rock; Giallo napoletano; I guerrieri della notte; Moonraker - Operazione spazio, Banana Republic Di moda vanno il mastino napoletano, l'accendino John Player Special, la macchina fotografica reflex, l’orologio Tissot e Jeans Wrangler. Sull’onda di Tony Manero, le camicie sono molto aperte sul davanti per mostrare il petto villoso. Viaggiamo sempre con Renault 5, Talbot, Fiat 127, Alfa 6, Peugeot 502, Fiat 131 Mirafiori, Lancia Delta, Fiat Panda Per chi non fuma lo spinello: Winston, MS, Diana, Astor, HB. Ci intossichiamo con BigBabol, Milkana Fiordifette, Ovomaltina, Campagnole della famiglia del mulino Bianco ormai tutta ricoverata al centro neurologico più vicino. In televisione c’è Luna Park, Dolce Remi, Heidi, Goldrake, I sogni nel cassetto, Mork e Mindy, i Jefferson, A Sanremo vince Mino Vergnaghi. Allo Zecchino d’oro vince "Un bambino " e al Festivalbar Alan Sorrenti con Tu sei l’unica donna per me. Gli album più venduti in Italia sono Dalla, Banana Republic, Viva, Buona domenica, Spirits having flown, Breakfast in America, Sono un pirata sono un signore, E tu come stai, Soli, L.A. & N.Y. , Erozero, Fabrizio De Andre' & PFM, Gloria, Cogli la prima mela, Discovery, E io canto.
DALLA E DE GREGORI/ “Banana Republic” 40 anni dopo: quando la musica live cambiò 25.07.2019 - Paolo Vites Alla fine vinsero loro, i cantautori, perché, a volte almeno, la bellezza trionfa sull’odio. Loro, che erano stati minacciati con una pistola sul palcoscenico (De Gregori al Palalido di Milano), loro, che avevano visto una bottiglia molotov incendiare il palco dove si stavano esibendo (Dalla, sempre a Milano, al Castello Sforzesco). Ma non solo loro. Lou Reed, Santana, Led Zeppelin, Chicago, Cat Stevens, avevano subito sorti simili. Gli autoriduttori, appartamenti ai movimenti della sinistra extra parlamentare, che volevano la musica gratis, che li accusavano di essere diventati dei capitalisti perché prendevano dei soldi per suonare. Erano gli anni 70. Ma nel giugno del 1979 accade qualcosa che cambiò per sempre la storia della musica dal vivo in Italia, riportandola tra la gente, alla gente. Certo, le conseguenze alla lunga non saranno così positive, quel gigantismo che oggi è diventato regola d’oro, per cui se non fai un concerto in uno stadio (dove si vede e sente malissimo) non sei nessuno, con prezzi alle stelle, spettatori trattati come mandrie di pecore. Ma allora fu una vittoria. Coraggiosa, perché fu una vera sfida lanciata ad aprire le acque, come Mosé. L’idea fu dello stesso De Gregori, che per via dell’attacco subito tre anni prima si era addirittura ritirato inizialmente dal mondo della musica. Ma dalla musica non si può stare lontani. Dalla invece inizialmente era dubbioso, aveva paura che gli incidenti si ripetessero. Ma la sfida andava portata più in alto: si programmò il primo tour italiano negli stadi. Mai successo prima. Fu così che il 19 giugno di quell’anno ci ritrovammo allo Stadio Marassi di Genova, dopo alcuni show in location più piccole. L’ambientazione era inquietante, ma quello era il clima dell’epoca. Non si poteva stare sul prato, sul campo da calcio, ma solo sugli spalti. Così il palco appariva lontanissimo, difeso da una selva di transenne. All’epoca non esistevano ancora i maxi schermi, per cui i protagonisti erano figurine piccole e anche gli impianti luce non erano quelli di oggi, al laser. Erano semi nascosti nel buio, quasi potevamo solo immaginarceli, ma quello era il prezzo da pagare: un mare di erba a tenerci lontani da loro, i cantautori, che evidentemente non si fidavano ancora di noi. E chi poteva dargli torto. Ma la musica si sentiva, ed era bellissima. Lui, De Gregori, boccoli di capelli a scendergli sulle spalle e la barba folta, alto due metri, “biondo quasi come Gesù”. L’altro, Lucio Dalla, basso, piccolo, un cespo di peli che uscivano dalla canottiera. Contrasti. Ma che canzoni. Ognuno cantava le proprie con la propria band, era evidente la fatica di mettere insieme ai tempi uno spettacolo condiviso, così invece era più facile. Per Dalla il nucleo di quelli che sarebbero diventati gli Stadio, con Gaetano Curreri in prima fila. Per De Gregori i Cyan. A tenere insieme il tutto il giovanissimo e bravissimo Rosalino Cellamare, in arte Ron, produttore e arrangiatore delle canzoni. E che suono. Rock con profumi californiani, come il grande amore dello stesso Ron in testa, Jackson Browne, del quale i tre presentavano ogni sera una versione italiana della sua The Road, diventata Una città per cantare, la perfetta road song dei musicisti in tour, tra cocaina, telefonate sulla lunga distanza, ragazze conosciute una sera soltanto, solitudine e la gioia infine di trovarsi sul palco. Per l’occasione De Gregori aveva tradotto un’altra canzone americana, Banana Republic scritta da Steve Goodman e portata al successo da Jimmy Buffett. Come sempre fu il fratello Luigi, l’intenditore, il conoscitore, a fargliela ascoltare. Ne venne fuori un pezzo magnifico, che ironizzava sui ricchi americani (ma anche italiani) che vanno ai Caraibi (o a Portofino) a ubriacarsi e cercare ragazze facili. “Banana Republic è la traduzione di un pezzo di Steve Goodman che mio fratello, più noto come Luigi Grechi (quello de Il bandito e il campione) mi aveva fatto conoscere. Mi piacque molto e cominciai a tradurlo un po’ per gioco un po’ per allegria. Quando la tournée era ormai decisa, pensammo che ci sarebbe voluto un altro pezzo da condividere oltre ai “Marinai”. Io feci sentire a Lucio il brano, a lui piacque. Non solo lo mettemmo nella scaletta del concerto, ma quel titolo innescò uno strano processo di fascinazione cosicché Ennio Melis, direttore della RCA Italiana, uomo di grande istinto, ci consigliò di chiamare il tour come il brano appena realizzato. “Mica la vorrete chiamare I marinai che sa di vecchio?”. Ci disse di chiamarla Banana Republic perché è curioso e non si capisce cos’è” raccontò il cantautore romano al Corriere della sera. E le altre canzoni: da Pablo, a Milano, da L’ultima luna a Niente da capire, da Quale allegria a Buffalo Bill, da Anna e Marco a Gesù Bambino e la guerra (ma quante grandi canzoni De Gregori si è dimenticato di aver scritto nel corso degli anni?). E poi i pezzi insieme, da Un gelato al limone di Paolo Conte, al pezzo scritto appositamente a quattro mani, la folgorante I marinai, la domanda sul significato della vita. I due avrebbero scritto e inciso anche un altro pezzo, ancor più bello, Cosa sarà, ma senza presentarlo dal vivo. Ne venne fuori un disco dal vivo, purtroppo di solo dieci pezzi (la speranza è che in questo 40ennale ne venga pubblicata una versione de luxe con più pezzi) e addirittura un film, che fu un flop nelle sale cinematografiche, che raccontava la tournée dietro le quinte, interviste e naturalmente pezzi dal vivo. Il lungo tour si concluse il 16 luglio allo stadio Flaminio di Roma. Nessuna data a Milano, si ipotizzò per la paura del ripetersi degli incidenti al Palalido, ma De Gregori smentisce: ““Non so se fu per questo. Forse furono gli organizzatori a non voler rischiare. Da parte mia certo nessuna ritorsione, rivalsa o voglia di punire una città per un episodio che riguardava una minoranza rissosa e rumorosa”. Il risultato fu che due mesi dopo, a settembre, un artista americano tornava a esibirsi in Italia, Patti Smith. Poco dopo sarebbe giunto anche Bob Marley e da allora non ci si sarebbe fermati più. Avevamo perso dieci anni di grande musica, e da allora ogni arrivo è diventato automaticamente un evento, per noi italiani affamati di quella musica che ci era stata tolta nel suo momento di massimo splendore, e avremmo trasformato in eventi anche concerti e artisti mediocri. Curiosamente, Dalla e De Gregori decisero di regalare un replay di quel tour nel 2010, chiamato Work in Progress, senza una scadenza particolare da festeggiare. Col senno di poi, ne siamo contenti. Con la sua morte accaduta poco dopo, Dalla e De Gregori non avrebbero mai potuto festeggiare i 40 anni di Banana Republic. Quando la musica in Italia cambiò per sempre.
Prima scena: siamo al Gianicolo, sulla terrazza del Fontanone, De Gregori è con Lo Cascio e inizia a canticchiare uno stralcio di canzone, divertente, compagnona. Parla di marinai. Ridono, la cantano, battono i talloni. Seconda scena: "Quando un giorno Dalla venne a pranzo a casa mia insieme a Ron, cosa che avveniva abbastanza di frequente, mi feci trovare intento a scrivere la canzone "Ma come fanno i marinai". La finiscono insieme, al pianoforte, con i figli di De Gregori lì vicino. Forse anche per questo è così giocosa. Dalla ci mette il clarinetto all'inizio e altro ancora, la modella sulle loro due voci. Terza scena: la registrano allo Stone Castle di Carimate, dove Dalla lavora al suo nuovo album, insieme a un'altra, Cosa sarà, in questo momento c'è persino una vaga idea di fare un disco insieme. Da “Francesco De Gregori. Mi puoi leggere fino a tardi” di Enrico Deregibus - Giunti Editore 2015
ROMA - STADIO FLAMINIO, 8 LUGLIO 1978
Banana Republic è uno di quei (pochissimi) dischi dal vivo epocali d’Italia, e curiosamente è in parte merito di Walter Veltroni. Veltroni, a cui va almeno riconosciuto di aver sempre creduto nella cultura, nel 1979 era il presidente della Federazione Giovani Comunisti Italiani (FGCI), e per primo riuscì a portare Lucio Dalla e Francesco De Gregori insieme sullo stesso palco. Era l’8 luglio del 1978 e De Gregori aveva appena pubblicato De Gregori, e allo Stadio Flaminio tenne un concerto organizzato dalla FGCI (chissà, anche un po’ per riconciliarsi con i compagni dopo il “processo” subìto al Palalido due anni prima), che – nessuno sapeva, forse molti speravano – sarebbe stato il primo embrione della collaborazione con Dalla. Di lì, curiosamente, i due lavorarono in studio insieme solo per Ma Come Fanno I Marinai, preferendo condividere il palco. Il tour Banana Republic fece il tutto esaurito un anno dopo quell’episodio, e il disco che ne venne ricavato e che vendette mezzo milione di copie; però, è tanto bello quanto riduttivo: per una visione d’insieme di quella (breve) esperienza, meglio dare un’occhiata all’omonimo film documentario. Banana Republic, così come da allora lo troviamo sugli scaffali dei negozi, è ancora eccitante trent’anni dopo (altro che il pur buono Work In Progress). E’ tutto il complesso a girare bene, e di questo c’è da dare giusto merito a Ron, che curò ogni arrangiamento, compresa la versione rock’n’roll di Gelato Al Limon di Paolo Conte, e quella zeppa di reggae di 4/3/43. E ancora, Gaetano Curreri e tutto il resto della banda che accompagnava Dalla, di lì a poco sarebbero diventati gli Stadio. Ai punti, in Banana Republic sembra presente più De Gregori che Dalla: è lui che si inventa di adattare la canzone di Steeve Goodman che dà il titolo al progetto, sono suoi i brani che trovano il maggior spazio (Santa Lucia, Buffalo Bill, Quattro Cani), mentre Dalla, al di là di Piazza Grande e 4/3/43, s’inserisce nello spettacolo esattamente come siamo lo ricordiamo e immaginiamo: istrionico, soul, vagabondo. E’ però il suo tocco che alla fine rende grande Banana Republic. Riascoltare questo album oggi è forse un po’ triste, ma è una gran bella curva nella memoria. http://www.nonsiamodiqui.it/lucio-dalla-francesco-de-gregori-banana-republic/ FOGGIA - SETTEMBRE 1978 Manfredonia – IN dialogo per un’ora con il grande Lucio Dalla. Settembre ’78, Manfredonia: i pescherecci erano rientrati dalla pescata più corta. Spensierato, passeggiavo con un mio amico chitarrista, Gino, vestiti con i pantaloncini e maglie a maniche corte, con i sandali di plastica bianca, con la chiusura al lato di metallo, di moda in quegli anni. Arrivati alla Rotonda, all’altezza dell’Hotel Gargano, vedemmo Lucio Dalla – con Francesco De Gregori – parlare sul marciapiede. Il mio amico Gino mi disse: “Claudio, hai visto Dalla e De Gregori?” Risposi: “Certo che sì”. Quel settembre avevano fatto una tappa del loro tour a Foggia; De Gregori aveva nel foggiano i parenti della moglie; per Dalla tantissimi amici a Manfredonia. Una notte, intorno alle 2, si presentò a casa mio fratello Lorenzo, all’epoca noto D.J. del paese, anche speaker di radio Amica. Mio fratello suonò alla porta di casa, con altri suoi amici e insieme a Lucio, con una pagnotta di pane del forno di Zizio; io ero nella mia cameretta e sentivo parlottare Lucio in sipontino doc. Si rivolse a papà in dialetto, disse: “Mattoje, ma da de nu grappl di pemedirjille”. Mio padre gli dette anche una bottiglina d’olio. Ascoltavo queste parole dal letto e mi veniva da sorridere, poi stanco mi rimisi a dormire mentre li sentii allontanarsi e andare via in modo rumoroso, con Lucio che continuava a dire: “Grazie Mattoje, grazie”, e papà: “Prego Lucio, prego”. Il mio babbo era assai ganzo, ci sapeva fare e stare allo scherzo e, come si usa dire a Manfredonia, era di cuore, dava tutto a tutti. Poi, si avvicinò al mio letto e disse: “Claudio è venuto Lucio Dalla, u cantautor di origine del nostro paese” ed io: “Ho sentito papà, buonanotte”. Mentre lui, mormorando diceva: “Solitamente unico e sipontino”. (A cura di Claudio Castriotta – Redazione Stato) http://www.statoquotidiano.it/09/09/2014/settembre-1978-lucio-dalla-notte-passaggio-casa-mia/244669/
Una parte delle prove viene fatta agli stabilimenti cinematografici Vides, vicino a Roma, dove ci sarà anche la presentazione ufficiale, con tanto di De Gregori in giacca e cravatta. L'Italia, appena prima dell'inizio del tour, se ne va a votare, con il PCI che dopo la prodezza del '76 smotta dal 34 al 30%, e con Craxi, segretario del PSI, che vuol diventare ago della bilancia e a breve ci riesce. E poi, con i prezzi che aumentano a vista d'occhio e l'inflazione al 22%, si va tutti in vacanza. Rimini è già incinta di turismo estivo alla fine di maggio, quando Dalla e De Gregori ci completano le prove. A Rimini d'estate non c'è il mare. Rimini è spiaggia e discoteca e pensioni e una via lunga, è famigliole e primi amori, chiasso, corpi appiccicati, vestiti leggeri, stranieri che vengon giù con i soldi. È un divertimentificio, neologismo creato apposta per lei, brutto come la mucillagine di consumismo ed edonismo che la sommerge. Rimini è, anche suo malgrado, lo sfavillante trailer degli italici anni '80 e '90. All'Altro Mondo, Dalla e De Gregori montano e smontano le canzoni. Ecco, lì sì, c'è il mare. Il produttore esecutivo è Renzo Cremonini, mentre gli arrangiamenti sono di Ron, il nome d'arte che si è trovato Rosalino Cellamare ancora a corto di successo. Per il tour Dalla e De Gregori hanno pure scritto con lui e per lui / ragazzi italiani. La band è in formato doppio, i due si sono portati appresso i rispettivi musicisti, per ragioni precauzionali, affettive, pratiche e, suvvia, anche perché un palco con sopra una decina di persone fa il suo bell'effetto. C'è tutto il gruppo di Dalla - Ricky Porterà alla chitarra, Marco Nanni al basso, Giovanni Pezzoli alla batteria, Gaetano Curreri e Fabio Liberatori alle tastiere -, mentre De Gregori ha in forza solo George Sims alla chitarra e Franco Di Stefano alla batteria. fonte: "Mi puoi leggere fino a tardi" di Enrico Deregibus - 2015 Giunti Editore
Il 14 giugno all'Arena Civica di Milano è in programma un concerto per raccogliere fondi per Demetrio Stratos, il cantante degli Area, malato di leucemia. Ma Stratos muore il giorno prima e la serata diventa un omaggio. Sono annunciati anche Dalla e De Gregori, che però proprio quella sera hanno la prova generale del loro tour. 16 giugno, Savona: si comincia da lì, sul mare. Biglietto a millecinquecento lire, tanta gente, controlli scrupolosi all'entrata. "Venditti sta in un angolo. E' elettrico e seduto accanto a David Zard. E' affascinato dalle casse di amplificazione. Le conta. 'Ok, penso che possano andar bene anche per me. Su ognuna ci mettiamo una lettera col mio nome: a sinistra A-N-T-O-N-E-L-L-O a destra V-E-N-D-I-T-T-I"'. Il tono lo immaginiamo scherzoso. Cala la sera e due uomini con la barba, uno piccolo di trentasei anni, uno alto di ventinove, salgono sul palco. Che sta in mezzo allo stadio, lontano dalla gente. Si inizia, e diventano un segnale i campanellini (che poi in realtà sono un triangolo) che aprono Banana Republic, e anche il disco che verrà tratto dalla tournée. Una sveglia, un'annunciazione, un saluto di leggerezza dopo tutto il piombo degli anni precedenti, la leggerezza del Calvino di Lezioni americane. È un successo rappacificante, aggregante, è la musica che torna musica, le parole parole e gli uomini uomini. De Gregori da solo canta Pablo, Raggio di sole, Generale. Santa Lucia, Niente da capire, Alice, Natale, Atlantide, Quattro cani, Bufalo Bill. E un pezzo nuovo, Gesù Bambino e la guerra, che però sul suo nuovo disco diventerà solo Gesù Bambino. Nel prosieguo a volte offre anche un altro inedito, Viva l'Italia, titolo strano. Con Dalla canta Ma come fanno i marinai, Banana Republic, Cosa sarà e Un gelato al Limon. Dopo il concerto nei camerini l'atmosfera è sana, rilassata, gioconda, De Gregori dice che si è divertito come un pazzo. Si scherza. Da un articolo dell'epoca: "Cosa cercano in questa tournée? 'Qualcosa da capire nel profondo mare. Come fanno tutti i marinai, d'altronde'. Sorridono per questa risposta, che probabilmente era preparata". fonte: "Mi puoi leggere fino a tardi" di Enrico Deregibus - 2015 Giunti Editore
Si riempiono gli stadi d'Italia per un mese e mezzo e venticinque date. A Savona ci sono quindicimila spettatori, trentamila il 19 al Marassi di Genova, cinquantamila il 21 al Comunale di Torino. E così via: il 23 a Brescia, il 25 a Verona, il 29 a Bologna (doveva essere il giorno prima, però la pioggia - il contrario del mare - fa saltare il concerto), il 30 giugno a Firenze. A luglio il 1° c'è Perugia, il 3 Napoli (cinquantamila persone), il 5 Palermo, il 6 Reggio Calabria, il 7 Catania (annullato), il 10 Taranto, l'I 1 Foggia, il 12 Termoli, il 14 Bari. Il 15 dovrebbe esserci Pescara ma piove di nuovo e si sposta al 16, quando in origine era prevista una data a Roma, dove però non si trova una struttura adatta. Il 18 luglio i due sono a Cesena, e poi: 19 lesolo, 21 Udine, 23 Pesaro, 25 Carrara, 27 Livorno, 28 Cagliari, 30 Rimini, ancora mare per finire. Si salta Milano, che al massimo ha l'Idroscalo. Non solo nel ricordo lo spettacolo è coinvolgente, energico, fluente. Le canzoni sono sensibilmente rinnovate, vengon su rigogliose. Fabio inizia misteriosa, e quando parte davvero diventa ricca e precisa, lascia spazi alla chitarra elettrica, al sax intrigante e sporco di Dalla e a pochi tocchi, essenziali, di pianoforte. Santa Lucia guadagna luci e ombre, e morbidezza e la voce più matura di De Gregori, Niente da capire è naturale di chitarre acustiche e frizzante di clarinetto, poche note jazzose come bollicine, Bufalo Bill è inspessita e indurita, in qualche modo più vera dell'originale. E così via. C'è una godibilità di fondo in ogni singola scelta d'arrangiamento, par di sentire i glu-glu a ogni accordo. Quando canta De Gregori, Dalla, gran bel pezzo di musicista, saltella fra pianoforte, sax, clarino e cori, e De Gregori si diverte con percussioncine varie e rinforzi vocali quando canta l'altro. Nei duetti i due si incrociano e si sovrappongono con naturalezza, hanno voci che sembran fatte apposta per avvicinarsi, corteggiarsi, unirsi. Il sottofinale è un pezzetto di Addio mia bella Napoli a cappella e poi sono le note di clarino di Dalla che introducono Ma come fanno i marinai con tutto il pubblico che scatta in piedi. E alla fine la cantata ali together, dà-dà da-dà, e sopra De Gregori che presenta i musicisti; e poi i bis, 4 marzo 1943, cantata insieme a ritmo di reggae; e il post-concerto, un albergo, e ancora la strada, che spesso fa il bordo al mare. Anche la grande stampa inizia - deo gratias - a chiedersi cosa succede, com'è che le canzonette smuovono così tanti animi. De Gregori: "Eravamo come in una bolla di inconsapevolezza o di 'non cale'... Io non sentivo di aver avuto nessuna promozione rispetto ai concerti che facevo da solo, dove poi venivano anche tre-quattromila persone. Nulla a che vedere con le cinquantamila persone che certe sere Banana Republic richiamava". Dopo poche date c'è un articolone di Repubblica, un box in prima pagina sulla Stampa, e così via. A Pescara al pomeriggio del 15 giugno, mentre piove e ci si interroga sul da farsi, arrivano per intervistare i due il direttore dell'Espresso Livio Zanetti e Giorgio Bocca in persona. Dietro al palco c'è un po' di nervosismo. Succede che li saluta solo Dalla, il Nostro se ne sta per i fatti suoi con una bottiglia di vino. Dopo il concerto si va a cena per l'intervista, De Gregori non c'è (chissà se c'entra qualcosa il fatto che la figlia di Bocca era fra i contestatori del Palalido). E la settimana dopo Dalla è da solo in copertina sull'Espresso, una delle prime volte per un personaggio dello spettacolo. È uno dei momenti di maggior tensione del tour, anche perché il giorno seguente George Sims se ne va, per divergenze con Dalla.
“Dalla parte del palco dove suonavo, faticavano un po’ ad elargire compensi altrettanto generosi agli orchestrali, che sudavano ogni sera nonostante non si sapesse come sarebbe andato questo tour un po' velleitario visto che era partito in fretta e senza alcuna pianificazione. Dall’altra parte del palco, abituati a vedere i soldi come cartastraccia, Distefano riuscì ad adeguarsi a certe “tariffe”; Sims, invece, scese dal carro. Non tutto è da magnificare, in questo lavoro ci sono anche i lati crudi, anche se Banana Republic rimane comunque nei cuori del pubblico e di chi l'ha vissuto.” Marco Nanni C'è la fatica degli spostamenti continui e del poco sonno, le giornate di pausa che non si sa se fanno bene o male. E i pomeriggi a far passare il tempo magari giocando a pallone, e la pallosità dei sound check. Ma c'è anche il sorriso delle belle serate, il sudore che scende e il piacere di suonare, di cercare, di trovare. Il pubblico è euforico, s'è mai vista una cosa così, e son decine di migliaia di persone ogni volta, un gaudente super-io collettivo, grosso come uno stadio; no, come un mare. fonte: "Mi puoi leggere fino a tardi" di Enrico Deregibus - 2015 Giunti Editore
Lucio Dalla - Francesco De Gregori Intervista Di Mario Luzzato Fegiz A Dalla / De Gregori Tour '79 Etichetta: RCA Italiana - SALES 25 Formato: Cassette, Promo, Stereo Paese: Italy - Uscita: 1979 A Programma 1 23:30 B Programma 2 23:30 Contiene l'intervista con gli artisti, intervallata da parti di musica suonata dal vivo in studio, e come tema finale la canzone "Ma Come Fanno I Marinai.
Il brano conclusivo del disco venne contestato da alcuni critici musicali, a cui De Gregori rispose così, raccontando la nascita di questa canzone: « Mia madre, che è leggermente miope, quando cercava qualcosa e non riusciva a trovarla, quando la trovava diceva "Santa Lucia, santa Lucia, non l'avevo vista". La canzone è nata così, questa è una canzone per tutti quelli che non vedono. Non capisco perché debbo vergognarmi di aver usato questa mediazione cattolica...Se le critiche sono rivolte solo al fatto che si nomina una santa, non me ne vergogno... Poi si può dire che faccio delle canzoni commissionate dal Papa, nessuno è al di sopra di ogni sospetto » Nel 2010 Lucio Dalla ha detto di invidiare De Gregori per aver scritto questo brano reputando Santa Lucia la sua canzone preferita di De Gregori. In seguito alla morte del cantante bolognese, De Gregori renderà omaggio a Dalla nei propri concerti chiudendo l'esecuzione del brano con le note introduttive di Com'è profondo il mare.
"Bufalo Bill" prevede uno sviluppo simile all'arrangiamento originale, anche se con una carica di energia ben maggiore. A metà strada tra le due esecuzioni, viene da pensare alla versione di Banana Republic, l'album della tournée con Lucio Dalla: quella tournée ha avuto un ruolo nell'evoluzione di alcuni arrangiamenti per i tuoi pezzi? No, io avevo allora un rapporto abbastanza distante con il gruppo. Intanto perché i gruppi erano due: c'erano due batteristi e due chitarristi, rispettivamente uno per me e uno per Lucio Dalla; tutte cose che non ho mai capito... Mi ero portato appresso un po' di gente che aveva suonato sui miei dischi, come George Sims alla chitarra e Franco Di Stefano alla batteria. Ma devo dire che non me ne importava niente di entrare nel vivo degli arrangiamenti: ciò che avveniva alle mie spalle era per me simile ad una base musicale. Non so perché, forse è una sensazione che esprimo adesso, comunque erano altre le cose che mi piacevano: forse quello che mi interessava di più era l'incontro tra due "solisti", ed il fatto che dietro ci fosse un gruppo passava in secondo piano. ("CHITARRE" - INTERVISTA A FRANCESCO DE GREGORI (DICEMBRE 1990) - DI GIUSEPPE BARBIERI E ANDREA CARPI)
ROSALINO CELLAMARE Albanese: L'album De Gregori è uscito l'anno dopo, nel 1978, però c'è stato un lungo periodo in cui lui non faceva concerti. Ha ripreso i concerti dopo dui anni, con Banana Republic, no? Lo Cascio: Sì, sì. Infatti, è stato con quello. Il fatto di essere in due gli ha dato forza, si ripresentava così con quello lì. Albanese: C'era anche Ron con loro, no? Era sconosciuto allora? Lo Cascio: Ron era stato solo un po' conosciuto con un pezzo di molti anni prima che si chiamava Il gigante e la bambina. Si chiamava Rosalino Cellamare. Aveva fatto questo pezzo. Era andato abbastanza bene. Quindi un po' sì era conosciuto. Solo che era ancora nel periodo di transizione. Quindi non aveva avuto nessuna etichettatura. Però quando ha fatto il suo primo disco subito dopo Banana Republic, l'hanno portato in giro e l'hanno fatto cantare un po' per farlo conoscere, perché lui era sostenuto da Dalla. Quando ha fatto questo primo disco, Una città per cantare, che ha preso quel pezzo di Jackson Browne molto bello, era una bella traduzione, poi hanno cantato tutt'e tre insieme. Era bellissimo. Quando lui ha registrato quel primo disco gli hanno dovuto far cambiare. Cioè, finito il disco, ha dovuto poi rifare tutto perché cantava come Dalla. Adesso, forse, era Dalla che cantava come Ron! Però siccome Dalla era già diventato famoso, a Ron gli hanno detto: <<No, devi cambiare modo. Non puoi cantare cosi. E' uguale a come canta Dalla>>. E lui ha dovuto ricantare tutto, studiare un altro modo di cantare che è stato poi dopo l'inizio del suo stile personale. Ha dovuto completamente inventarsi. Se no, era ancora un po' un ibrido, perché lui scriveva bella musica, o forse aveva Dalla che gli aveva rubato tutto. Quindi. O l'una o l'altra. NICHOLAS ALBANESE INTERVISTA GIORGIO LO CASCIO – 1998
BANANA REPUBLICS
(Goodman - Burgh - Rothermel)
Down to the banana republics, down to the tropical sun Go the expatriated americans, hopin' to find some fun Some of them go for the sailing, caught by the lure of the sea Tryin' to find what is ailing, livin' in the land of the free Some of them are running from lovers, leaving no foreward address Some of them are running tons of ganja Some are running from the i.r.s. Late at night you will find them In the cheap hotels and bars Hustling the senioritas while they dance beneath the stars Spending those renegade pesos on a bottle of rum and a lime Singin' give me some words i can dance to Or a melody that rhymes First you learn the native customs Soon a word of spanish or two You know that you cannot trust them 'cause they know they can't trust you Expatriated americans feelin' so all alone Telling themselves the same lies That they told themselves back home Down to the banana republics, things aren't as warm as they seem None of the natives are buying any second-hand american dreams Late at night you will find them In the cheap hotels and bars Hustling the senioritas while they dance beneath the stars Spending those renegade pesos on a bottle of rum and a lime Singin' give me some words i can dance to Or a melody that rhymes Down to the banana republics, down to the tropical sun Go the expatriated americans hopin' to find some fun
La canzone racconta la vita in un immaginario paese tropicale («Down to the Banana Republics, down to the tropical sun»), abitato anche da alcuni cittadini statunitensi espatriati per motivi poco chiari («Go the expatriated Americans, hopin' to find some fun») e che non vengono spiegati; gli americani passano il tempo girovagando per i bar del luogo («Late at night you will find them In the cheap hotels and bars») spendendo i soldi in rum e lime («Spending those renegade pesos on a bottle of rum and a lime»).
https://www.flickr.com/photos/nikiteenrico/ (tutti i diritti riservati) Con Francesco De Gregori cerchiamo di ricostruire quella pazza estate degli anni Settanta. “Banana Republic non nasce dal nulla. Con Lucio già da due o tre anni esisteva un contatto molto stretto dal punto di vista musicale, perché entrambi eravamo nati e cresciuti sotto lo stesso ombrello: prima nella casa discografica IT di Vincenzo Micocci dove anche Lucio bazzicava e dove io avevo inciso il mio primo disco, e poi alla RCA diretta da un grande professionista che si chiamava Ennio Melis. Io amavo molto la musica di Dalla che trovavo stimolante, molto innovativa e molto moderna (era il periodo in cui lui collaborava col poeta Roberto Roversi). Avevo grande attenzione per i testi e il modo di scrivere di Roversi. Era qualcosa di estremamente nuovo anche per me. Tutto questo mi spinse a entrare nel mondo poetico e musicale di Dalla e anche lui era molto curioso, attratto dal mio lavoro di giovanissimo cantautore della nuova leva”. “Mi consideravo nuova leva non perché Dalla fosse molto più vecchio di me, in fondo c'erano solo sette anni di differenza, ma perché lui apparteneva a una generazione che si era fatta la gavetta, ovvero festival di Sanremo e Cantagiri, mentre io ero riuscito a pubblicare dischi seguendo un'altra onda, quella dei cantautori. Fra noi c'era reciproca stima, voglia di conoscerci e voglia di incrociare le voci, le penne e i talenti. Quando un giorno Dalla venne a pranzo a casa mia insieme a Ron (cosa che avveniva abbastanza di frequente) mi feci trovare intento a scrivere la canzone “Ma come fanno i marinai”. Forse già mentre la pensavo ipotizzavo che, assieme a Lucio, sarebbe potuta diventare una cosa forte, importante e divertente. E lui la sentì, se ne innamorò, ci mise subito un bel riff di clarinetto all'inizio, aggiunse, cambiò, migliorò, la rese decisamente più “commestibile”, più adatta alle nostre due vocalità. E da questo 45 giri, registrato abbastanza in fretta, nacque quest'idea di fare un tour assieme. Un tour di cui in non avevo assolutamente valutato l'importanza a cominciare dai numeri. Allora io lavoravo tenendo ben distinto l'elemento artistico dalla questione botteghino-incassi. Solo molto tempo dopo colsi il grande successo e longevità di questo disco che a distanza di decenni continua a essere importante non tanto come sacra reliquia, ma per il peso artistico di queste due teste unite. Due facce così diverse che riescono nel miracolo di rendere sostanziale la loro unione! Non c'è nessuna alchimia pensata a tavolino alla base di questo disco. Il pubblico lo ha percepito e si è lasciato attrarre”. Nel disco i duetti veri e propri sono soltanto due. “Si, tecnicamente erano due sole le canzoni che eseguivamo assieme, “Banana Republic” e “Ma come fanno i marinai”. Raramente le nostri voci sono insieme. In realtà il duetto non è solo somma di voci, ma condivisione di una atmosfera, di un palco, dare importanza a quello che sta facendo l'altro. Ciascuno restava sul palco quando cantava l'altro. Insomma, si avverte che c'è un’unione forte, una tensione comune”.
Il brano “Banana Republic” vero e proprio come nasce? Allegro e ironico, fa pensare a dei bancarottieri italiani in un resort di lusso a Santo Domingo o altra isola caraibica, un po’ annoiati e irritati... “Esattamente quello. Non è una musica originale, è la traduzione di un pezzo di Steve Goodman che mio fratello, più noto come Luigi Grechi (quello de “Il bandito e il campione”) mi aveva fatto conoscere. Mi piacque molto e cominciai a tradurlo un po’ per gioco un po’ per allegria. Quando la tournée era ormai decisa, pensammo che ci sarebbe voluto un altro pezzo da condividere oltre ai “Marinai”. Io feci sentire a Lucio il brano, a lui piacque. Non solo lo mettemmo nella scaletta del concerto, ma quel titolo innescò uno strano processo di fascinazione cosicché Ennio Melis, direttore della RCA, uomo di grande istinto, ci consigliò di chiamare il tour come il brano appena realizzato. “Mica la vorrete chiamare “I marinai” che sa di vecchio?”. Ci disse di chiamarla Banana Republic “perché è curioso e non si capisce cos'è””. Il ruolo di Ron? “Sicuramente dei tre era il più attento alla calligrafia musicale del tutto, alla filosofia degli arrangiamenti, sempre pronto a mettere una toppa dove qualcosa sembrava scollarsi, il suo contributo era straordinariamente utile (fra l'altro suonava molto bene la chitarra). Lui ha lavorato più sulle cose di Lucio che sulle mie. I pezzi miei tipo “Bufalo Bill”, “Quattro cani”, “Santa Lucia”, sono nel mio sound anche se dentro Ron ci sta benissimo”. Cosa significa, a distanza, aver vissuto questa avventura? “Eravamo come in una bolla di inconsapevolezza o di “non cale”... Io non sentivo di aver avuto nessuna promozione rispetto ai concerti che facevo da solo, dove poi venivano anche 3-4 mila persone. Nulla a che vedere con le 50 mila persone che certe sere Banana Republic richiamava”. 8 giugno del 1979. In un servizio da Rimini in cui tu e Dalla lanciate l'operazione, io osservo che Milano non viene toccata dal tour. E maliziosamente azzardo delle ragioni: De Gregori era stato interrotto e insultato da membri dell'autonomia operaia qualche anno prima durante un concerto al Palalido, mentre Dalla si era beccato un bottiglia incendiaria durante un concerto nel cortile del Castello Sforzesco. “Non so se fu per questo. Forse furono gli organizzatori a non voler rischiare. Da parte mia certo nessuna ritorsione, rivalsa o voglia di punire una città per un episodio che riguardava una minoranza rissosa e rumorosa”. Come sono stati scelti i brani? “Decisero tutto i produttori Cremonini e Colombini. Io non misi becco. Lo sentii fatto e finito. Fu uno dei primi esempi di instant-disc”. Siete entrati non solo nella storia della musica, ma anche in quella del costume. Riportaste la musica negli stadi. “Non lo capii allora. Ero troppo concentrato sull'importanza e la bellezza di quello che facevo con Lucio Dalla. In un momento della mia vita artistica in cui avevo avuto anche grandi soddisfazioni da solo, salire quei quattro scalini che portano a un palcoscenico vero, conoscere a fondo un talento musicale come Dalla, beh, questo assorbiva completamente la mia attenzione, quello mi dava felicità. Non mi sono reso conto che era un evento di costume, ma l'ho capito dopo. Ma non è quello, è stato il fatto artistico... dopo decenni lo abbiamo rifatto con maggiore consapevolezza sia professionale che umana, partendo tutti e due da uno standard artistico migliore: la prova che questo stare insieme non era costruito sulla sabbia ma sulla roccia. Due artisti così lontani cosi poco definiti e definibili stavano sullo stesso palco cantando insieme, ma anche solo guardandosi creavano una temperatura diversa rispetto a quando operavano da soli. Questa è stata la cosa bella, la cosa che rimane”. Qual è l'eredità artistica che ci lascia Lucio Dalla? “E' stato un musicista travolgente, sconvolgente, imprevedibile, innovativo personale, con una scuola importante alle spalle, avendo suonato con personaggi di grandissima levatura. Quel che ci rimane è il prodotto, sono le canzoni che ha scritto, canzoni destinate ad essere letteratura per i giovani musicisti che verranno. Se vorranno essere sinceri e innovativi nella loro proposta artistica non potranno prescindere da Lucio Dalla”. “Ho fatto, nella mia carriera, molti duetti e non voglio sminuirne l'importanza: Pino Daniele, Fiorella Mannoia, Ambrogio Sparagna e tanti altri e non li dimentico. Ma un rapporto così prolungato come quello avuto con Dalla è impensabile. Tant'è che a distanza di anni l'abbiamo riproposto e quel tour è ricordato come uno snodo fondamentale della musica italiana. Perché esiste il duetto che diverte te stesso e quello che diverte gli altri. E questo è il più raro”. Sandro Colombini fu l'esperto che curò la registrazione e la pubblicazione di “Banana Republic”. “La registrazione vera – ricorda – doveva avvenire allo stadio di Bologna. Dove piovve e il concerto fu annullato. Così ci dovemmo arrangiare col sonoro di alcune prove e altre registrazioni volanti catturate qua e là. Il registratore del pullman mobile non aveva piste sufficienti per catturare anche gli applausi del pubblico. Così la RCA, all'insaputa mia e degli artisti, decise di aggiungere degli applausi finti. Peccato che scelse applausi da calcio e non da concerto. Si sentiva che erano assolutamente finti e improbabili. Tanto che io e gli artisti mandammo una raccomandata alla RCA per diffidarla dal portare avanti questo scempio”. Mario Luzzatto Fegiz
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E i ricordi live certo non mancano, con all'apice il trionfo di «Banana Republic», nel giugno 1979 allo Stadio Comunale: 80.000 accendini al cielo per il trio composto da Dalla, De Gregori e Ron. Due su tre cantano dal vivo questa sera all'Alfieri: «Dopo il tour insieme stringemmo un patto, non avremmo mai fatto un revival per evitare la tristezza del reducismo. Però quando De Gregori venne a cantare al Palasport di Torino, accompagnato da Ron, decisi di fargli uno scherzo. Mi feci rinchiudere in una cassa di legno dove restai come un fachiro per una ventina di minuti, poi sull'attacco di "Cosa sarà" saltai fuori con il sax e lui ci rimase come un'acciuga». (Lucio Dalla)
Quella volta che De Gregori suonò a Termoli: 34 anni fa l’evento da 7mila spettatori di Giovanni De Fanis
Il 12 luglio 1979 il cantautore romano, atteso il prossimo 5 agosto in piazza del Papa per il concerto conclusivo della festa patronale, riempì lo stadio comunale in duetto con Lucio Dalla. Il ricordo di quel concerto memorabile, organizzato a proprie spese da un gruppo di giovani comunisti, ripercorso da uno dei promotori, Michele Giuliano: «Comune e Azienda, pur beneficiando degli effetti positivi di quell’evento, all’unisono ci negarono ogni collaborazione, stadio a parte, che concedevano a tutti». Il risultato, una serata che è rimasta nella storia, con 7300 spettatori, in una Termoli molto più vivace di oggi che ospitò altri big del calibro di Pino Daniele, Antonello Venditti e della Pfm. Termoli. C’è attesa per il concerto di Francesco De Gregori del 5 agosto. Certo, non quella di 34 anni fa, quando il cantautore romano, insieme a Lucio Dalla, aveva richiamato allo stadio “Cannarsa” 10 mila fans, tra paganti e “portoghesi”. Quel 12 luglio del 1979, un giovedì - lo ricordo bene - era un giorno assolato e caldissimo. Abitavo allora al quartiere “Crocifisso” e sin dal mattino, nel catino già bollente del campo sportivo, decine di uomini del team tecnico dello spettacolo stavano allestendo uno strano palco, basso e in parte girevole, e a montare amplificatori e luci per quello che s’annunciava come il più grande evento musicale dell’Estate termolese, che i due cantautori da più di un mese portavano in giro trionfalmente per gli stadi delle maggiori città italiane. Il tour era quello di “Banana Republic” (le canzoni: Ma dove vanno i marinai, Buffalo Bill, Piazza Grande, Gelato al limone e altre). Accompagnavano i due cantautori un gruppo di bravi musicisti, che in seguito avrebbero dato vita agli Stadio, e Ron. La tappa termolese, date le dimensioni della città e un hinterland fatto di piccoli Comuni, rappresentava un’eccezione. Lo staff dei due cantautori non la condivideva e, a quanto pare, anche De Gregori. Alla fine si era imposto Dalla. «Molto tempo dopo capimmo la ragione di quel decisivo intervento - racconta a Primonumero Michele Giuliano - promotore di quell’iniziativa: Lucio si era già invaghito delle Isole Tremiti e, di riflesso, di Termoli, e mai avrebbe voluto deludere i fans di queste parti». A proposito di quel memorabile concerto del 1979, le curiosità da raccontare sono molte, ma qui, con l’aiuto dell’organizzatore principale, mi limiterò alle principali, unitamente a qualche incredibile e ridicolo retroscena di natura politica. La prima è che a volerlo non erano stati il Comune e l’Azienda di Soggiorno, che da anni organizzavano insieme il cartellone dell’Estate Termolese, ma un gruppo di giovani comunisti termolesi, a proprio rischio e spese, guidati, appunto, da Michele Giuliano, all’epoca studente universitario, oggi titolare di uno dei più avviati studi commerciali cittadini. «Comune e Azienda, pur beneficiando degli effetti positivi di quell’evento, all’unisono - dice Giuliano - negarono ogni collaborazione, stadio a parte, che concedevano a tutti. L’Azienda di Soggiorno ricordo fece di più: non inserì il concerto nei suoi programmi e sulle locandine e si rifiutò anche di fornirci le sedie, com’era invece avvenuto nel 1978 con il concerto di Antonello Venditti». Il successo di questo concerto e il riverbero positivo per chi l’aveva voluto e organizzato li aveva colti di sorpresa. Sul banco degli accusati era finito, ad iniziativa di alcuni consiglieri dc oltranzisti, l’allora sindaco Michele De Gregorio, reo di “avere dato lo stadio ai comunisti”. Un’accusa insensata, figlia della paura che il Pci, che alle ultime elezioni politiche (1976), proprio grazie al voto giovanile, era riuscito a raggiungere a Termoli il 30% dei voti, potesse ulteriormente giovarsene. «Figurati se il nostro obiettivo politico poteva essere quello di infastidire i detentori del potere locale» - sostiene sorridendo Giuliano - «A determinare quel nostro impegno concorrevano più fattori, il primo dei quali era il grande interesse per la canzone d’autore di qualità e una forte attrazione per alcuni gruppi musicali emergenti, ma già di grande ascolto tra i giovani, quali gli Stormi Six, già ingaggiati per la festa de l’Unità del 1977, e la Pfm, capifila del cosiddetto rock progressivo. Se vi erano degli obiettivi politici essi erano impliciti, il primo dei quali dimostrare, proprio in quel frangente storico, che non tutta la gioventù di sinistra si annientava nel terrorismo brigatista. L’altro era racimolare qualche soldo per continuare a fare attività politica». «In aggiunta a quelle degli enti pubblici altre difficoltà» - rammenta Giuliano - «vennero dalla Siae, al cui agente, forse perché giovani, non ispiravamo molta fiducia. Per darci i biglietti pretese in anticipo il pagamento. Mi è rimasta in testa questa sua frase: “Per avere i biglietti della Siae ci vogliono i soldini”. Dovetti impegnare i miei risparmi personali per fronteggiare la situazione e al tempo stesso mettemmo in atto un capillare piano di informazione del concerto, portando la notizia nei Comuni del Basso Molise e del Vastese con manifesti che noi stessi attaccavamo, volantini e attraverso le radio libere. Ed è stato così, oltre ovviamente al forte richiamo esercitato dagli artisti, che quella sera facemmo il botto. Con grande scorno di tutti quelli che si erano messi di traverso». Queste le cifre del successo: 7.300 gli spettatori paganti un biglietto di L. 2.500. Circa 3.000 i panini farciti venduti, in gran parte preparati dalle ragazze e dalle mogli dei compagni del Pci, e migliaia le bevande consumate. «Onorammo tutti i contratti e ne avanzò anche per fare attività politica», afferma ancora oggi con orgoglio Giuliano. Il cui impegno, però non si esauriva con quel mega concerto. Nei giorni successivi erano programmati, nell’ambito del Festival della gioventù comunista, altri due concerti a pagamento allo stadio: con la PFM e un non ancora famosissimo Pino Daniele, tuttavia reduce dal successo dell’album “Terra mia” (ricordate ‘nA tazzulelle e’ café?). Partecipazione minore, ma sufficiente a coprire tutte le spese: oltre 2.000 i biglietti venduti con la PFM e 1.200 con Daniele. Sul cantante napoletano Giuliano racconta questo aneddoto: «Lo vidi arrivare stravaccato a bordo di una macchina di grossa cilindrata. Affacciatosi al finestrino le prime parole che disse furono queste: “Guaglù’, qua primme e’ ssolde, si nno nun se canta”. I concerti, per fortuna, andarono bene, gli impegni onorati e così sbalordimmo tutti». Quanto al concerto del 1978 con Venditti e il suo “Sotto il segno dei pesci” (Bomba o non bomba, arriveremo a Roma, Sara, Chen il cinese, ecc.) gli spettatori paganti erano stati 4.200. Un successo, che, se da un lato galvanizzava i ragazzi comunisti, dall’altro aveva gettato scompiglio fra i democristiani. Così andavano le cose allora a Termoli. http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=14348
Qualcuno poi sostiene che nel tour Dalla sovrasta De Gregori, anche se forse si tratta più che altro di differenza di atteggiamento e di presenza scenica. Si parla anche dell'influenza del bolognese sul romano. È il sipario che si apre su una nuova stagione di concerti di massa all'aperto, è qua che una nuova generazione si avvicina ai cantautori. E altre ancora arriveranno, per decenni e decenni. È mai stata studiata abbastanza questa cosa. Però. Fuori dalla leggenda qualcosa che non va c'è. Enrico de Angelis recensisce lo spettacolo di Verona. Parla del gran numero di belle canzoni dei due e poi: "Prendete però le stesse canzoni e affidatele a un gruppo di omini (pur bravi) sperduti su un palco in fondo al terreno erboso di uno stadio; creategli intorno un'intercapedine di vuoto lunare per prevenire incidenti, una specie di inavvicinabile zona franca su tutto il campo, quasi ci si dovesse premunire da qualche loro misteriosa radiazione; e riempite invece gli spalti dello stadio con ventimila giovani esseri umani che hanno voglia di divertirsi. L'occasione, credo, va bene in effetti per divertirsi, specie se si è venuti in buona compagnia, ma quanto a gustare la musica mi pare che non sarebbe molto diversa un'esibizione di pulci ammaestrate. In Banana Republic il rapporto tra le masse allineate degli spettatori e quanto stanno cercando di comunicare i due illusi cantautori quasi invisibili che si presume essere sul palco (e che non sarà certo la moltiplicazione colossale e fastidiosa di volume sonoro ad avvicinare) è infatti pressoché nullo, se non nel fatto di captare in modo puramente mnemonico richiami acustici a canzoni famose (comunque già conosciute) e di ri-prodursele in testa per riflesso condizionato. Si sa che il problema non è di facile soluzione, perché probabilmente non si può pretendere che i Dalla e i De Gregori cantino tutte le sere dell'anno in teatrini da duecento persone. Ma anche quest'occupazione storica degli stadi non mi pare la più indicata a cogliere le ironie di Dalla o le delicatezze di De Gregori. Un concerto analogo di puro rock, grazie all'essenza stessa di questa musica, si giustifica per il gusto collettivo dell'incontro, per la disponibilità al coinvolgimento comune, per il potenziale liberatorio di festa e di emotività. Ma certamente 'canzone d'autore' e ascolto di quantità anziché di qualità fanno a botte tra loro". fonte: "Mi puoi leggere fino a tardi" di Enrico Deregibus - 2015 Giunti Editore
La prima volta che vidi Lucio Dalla fu su di un giornalino da teen ager negli anni '60. Era vestito con un lungo caffetano a righe, e il titolo dell'articolo lo definiva “Il santone pop". Credo che Dalla non abbia mai avuto in vita sua alcunché del santone, e forse il motivo del suo iniziale limitato successo fu proprio dovuto a quello che ora potrebbe essere definito come "un errore nell'impostazione del look”. La prima volta che mi interessai a lui, invece, fu proprio grazie a Francesco, che mi fece ascoltare un disco bellissimo che egli aveva realizzato con la collaborazione di un poeta bolognese: Roberto Roversi. Il disco si chiamava IL GIORNO AVEVA CINQUE TESTE, e conteneva dei testi bellissimi sui quali Lucio costruiva delle musiche assolutamente inaudite. Francesco mi disse che Roversi era un tipo incredibile, coltissimo, che viveva rintanato dentro una biblioteca antiquaria, dalla quale uscivano soltanto i suoi scritti. In effetti in seguito ebbi la fortuna di conoscere personalmente Roversi, e non potei che constatare che Francesco non aveva affatto esagerato. E’ appunto incredibile, coltissimo, e riuscii ad avvicinarlo più volte soltanto nella sua fornitissima biblioteca antiquaria, ricca dello scibile di secoli e secoli di umani sforzi. Provavo la sensazione che Roversi dovesse aver letto tutti quei tomi, e che da ciò ne derivassero l'acume, la proprietà e l'ingegno.
Il disco comunque era bellissimo, e ad esso ne seguirono altri due. Uno dei brani di questo primo disco narrava la storia della sfida tra il coyote e una stella "a chi sa e vuol raccontare le storie più incredibili che si possa immaginare". Al termine della gara la stella, pur raccontando storie meravigliose, non riesce a tenere il ritmo del coyote, che è "un mancatore di parola e un mentitore", e che quindi inventa là dove la stella può solo ricordare. Il coyote pertanto vince, la stella muore e del suo splendore resta solo cenere. Bene, mi piace pensare che questa storia scritta da Roversi per il primo disco di Dalla fosse in qualche modo profetica del loro medesimo destino. Infatti dopo alcuni anni di collaborazione, nei quali Lucio apprese tutto quello che poteva apprendere, il sodalizio si sciolse, Dalla iniziò a scrivere da solo i propri testi, e iniziò ad avere veramente successo. Per me le canzoni con i testi di Roversi restano dei capolavori, ma è indiscutibile il fatto che anche Dalla, da solo, riuscì a scrivere delle bellissime canzoni. Giorgio Lo Cascio
Dalla-De Gregori trent'anni dopo: il mito di Banana Republic resiste Dalla e De Gregori di nuovo assieme, di nuovo in Friuli trent'anni dopo(per la precisione, trentuno) il 4 settembre in Giardin grande a Udine! Nell'estate 1979 ebbe un enorme successo Banana Republic, il loro tour negli stadi italiani. Di quell'esperienza magica, che sembrava irripetibile, fecero un disco e successivamente un film, diventato subito cult. Anche noi c'eravamo, allo Stadio Friuli, sotto una scroscio incessante di note musicali e di gocce d'acqua, per un bagno di folla e di pioggia. Attenti a quei due: ora ci riprovano! In occasione dell'unica data friulana del tour Work in Progress 2010, in programma a Udine sabato 4 settembre con una scaletta in bilico tra presente e passato, ripercorriamo – per capitoli – quel periodo storico e quella magica notte di oltre tre lustri fa. Gli Anni di piombo Banana Republicè indimenticabile per molti motivi. Basti ricordare il contesto nel quale la tournée si svolse: gli Anni di piombo(come titolo un celebre film Margarethe Von Trotta), ovvero quel periodo storico caratterizzato in Italia da sommosse popolari, bombe molotov e processi politici. Proprio De Gregori, nel 1976, divenne protagonista di un episodio di quella lotta di classe che a suo modo cantava, un trauma che rischiò di fargli interrompere per sempre la carriera: durante un concerto al Palalido di Milano fu sottoposto a un vero e proprio processo dai collettivi studenteschi, che gli rimproveravano di percepire compensi troppo alti e di non destinarli alla causa. Al tempo vi fu un'estremizzazione della dialettica politica, che si tradusse in violenze di piazza, in lotta armata e terrorismo. Uno degli episodi piú drammatici fu la strage di via Fani a Roma, con il sequestro e il successivo assassinio dell'allora presidente del consiglio Aldo Moro, per mano di un commando delle Brigate Rosse. L'anno con piú vittime fu il 1980, con la strage della stazione centrale nella Bologna di Lucio Dalla. Non pochi scrittori e opinionisti ritengono gli anni '70 in Italia furono un'occasione mancata: a seguito dello sviluppo economico e culturale degli anni '60, i tempi avrebbero potuto essere maturi per stabilire un'economia industriale moderna e ben regolamentata. Si torna negli stadi. La mitica esperienza del '79 del tour Banana Republic resta, a oggi, l'evento che segnò la riconsegna al pubblico degli stadi, dopo le funeste esperienze degli anni di piombo. Quei due giovani cantautori italiani furono i primi a riaccendere gli amplificatori, i primi a immettere la musica d'autore nel grande circuito della musica dal vivo. Il concerto del 1979 Nell'estate del '79, dopo che i concerti di Santana, Lou Reed e Chicago furono messi a tacere dalle molotov, Francesco De Gregori e Lucio Dalla ebbero il coraggio di partire con il loro tour, scrivendo di fatto la parola fine al decennio piú silenzioso che l'Italia moderna ricordi. Dopo di loro, ad appena qualche mese di distanza, arrivò Patti Smith, prima americana a calcare i palcoscenici italiani dopo quei fragori estremisti. Cosa caratterizzò quell'anno? Ricordiamone gli eventi principali: a New York il bassista dei Sex Pistols Sid Vicious viene trovato morto per overdose; a Catanzaro si concluse il processo per la strage di piazza Fontana; il 16 luglio in Iraq Saddam Hussein diventò presidente del suo Paese; il 27 agosto vennero rapiti in Sardegna Fabrizio De André e Dori Ghezzi (poi liberati a dicembre); il 10 ottobre Maurizio Costanzo fondò il suo primo e unico giornale, L'Occhio, che durerà poco più di tre mesi; il 15 dicembre presero il via le trasmissioni della terza Rete Rai; alla vigilia di Natale l'Unione Sovietica invase l'Afghanistan, mentre Madre Teresa di Calcutta riceveva il Nobel per la Pace. Banana in prestito. De Gregori aveva scovato in America una canzone di Steve Goodman, resa popolare da Jimmy Buffet (e in seguito ripresa anche dagli Inti Illimani): si trattava di Banana Republics. Francesco non fece altro che tradurla abbastanza fedelmente, togliere la 's" finale e ridepositarla, col consenso degli autori originali. Il concerto al Friuli. Nel corso di quell'estate epocale, la Repubblica delle Bananefu proclamata anche a Udine, quando Dalla e De Gregori fecero tappa allo stadio Friuli. Il concerto avvenne sotto la pioggia, che non spense il calore e l'entusiasmo delle migliaia di fan presenti. Prima di allora l'impianto veniva utilizzato per le partite dell'Udinese, a partire dal 26 settembre '76 (Udinese-Seregno, serie C), appena 10 giorni dopo il secondo terremoto.
La band di allora. Cosí diversi, i due riuscirono a creare una miscela perfetta con elementi delle due band. Primo tra tutti Ron: responsabile degli arrangiamenti e diviso tra pianoforte, chitarra acustica e cori. Con lui Giovanni Pezzoli e Franco di Stefano alle percussioni, Marco Nanni al basso, Ricky Portera e George Sims alle chitarre, Fabio Liberatori alle tastiere insieme a Gaetano Curreri, futuro cantante dei futuri Stadio. La scaletta del '79 . Dalla e De Gregori partirono da Savona senza eccessive aspettative, il primo già pienamente affermato, il secondo reduce dal successo di Rimmel. A sorpresa, le piazze si riempirono (a Roma 40 mila presenze) tappa dopo tappa. Oltre alla title-track Banana Republic, ricordiamo: Un gelato al limon(di Paolo Conte), La canzone di Orlando, Bufalo Bill, Piazza Grande, 4/3/1943, Santa Lucia, Quattro canie Ma come fanno i marinaiche all'epoca - preceduta da un intro di Addio a Napoli– chiuse il concerto di Udine. Giardin grande. Ce li ritroveremo il 4 settembre, 31 anni dopo, sempre piú cantanti e sempre meno cantautori. Francesco ha raggiunto il massimo livello di espressività vocale e ormai ama farsi definire «il cantante della band». Lucio conserva quelle intuizioni musicali e quell'aria sorniona di chi riesce a tirar fuori dal cilindro perle indimenticabili della canzone italiana. Alberto Zeppieri http://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2010/08/26/NZ_10_SPEA2.html
Il testo è stato inserito tra i documenti insieme a brani di Gropius, Cardarelli, Sandro Penna, Umberto Saba, Renzo Piano. Insomma, la musica insieme alla poesia, alla saggistica, all'architettura. fonte www.rockol.it 'Piazza Grande' è un pezzo portato a Sanremo nel 1972. Al tempo ci deluse molto perché sentivamo di dover vincere il Festival. '4 Marzo 1943' era stata la rivelazione dell'edizione precedente, quindi avevamo molta pressione addosso. Se ricordo bene 'Piazza grande' è il primo brano concepito da Ron, che lo aveva intitolato 'America', pensando solo alla melodia vocale. Inizialmente pensammo a qualche strana storia on the road. Poi ci siamo appassionati ad Amanda Rodriguez, dando al brano una vaga parvenza di fado. 'Piazza Grande' è un nome comune del nord. Rappresenta il luogo d'incontro. C'è a Pavia, come a Modena come a Bologna. E' un posto che appartiene a tutti, anche ai vagabondi, e questo le avevamo ben presente quando ne scrivemmo le liriche. Visti i nomi, la canzone è in buona compagnia. Ma se posso essere sincero, vorrei fare una polemica. La nostra è una nazione dove si concedono onorificenze in base più alla notorietà che ai meriti. Ho visto fare grand'ufficiale una signora che abita in Svizzera (Mina), il che mi lascia davvero perplesso, pur con tutto l'amore e l'affetto. Quando succedono queste cose ho la sensazione che diano la mancia ai cagnolini… Dopo tutto il De André, il Fossati, il Paolo Conte che sono stati scritti, spero davvero che qualcuno abbia capito che la nuova poesia passa di qui. Onorato della menzione, ma avrei indirizzato la scelta verso un altro testo di mia produzione: avrei preferito 'La casa', cantata da Sergio Endrigo: è una canzone innocente, ma piena di significati, proprio perché un po' assurda, esattamente come la musica leggera.
Sergio Bardotti
Quella chiacchierata con Bocca Erano gli anni dei grandi concerti negli stadi. Lucio era un idolo di tutte le generazioni, ma soprattutto dei ragazzi. I suoi dischi, all'epoca ancora in vinile, erano in testa a tutte le classifiche. L'Espresso si chiese le ragioni di questo straordinario fenomeno culturale, sociale, e anche politico. E chiese al grande Giorgio Bocca di andare a intervistarlo. Ne uscì un "dialogo ai ferri corti e a viso aperto". che vi riproponiamo qui di seguito Lucio Dalla, il cantautore, piace ai bambini; già è personaggio da 'Corriere dei Piccoli', somiglia a Bibò o al capitan Cocoricò, piccolo misterioso bonario. Lucio Dalla piace anche agli anziani che hanno fatto il liceo: è il dio Efesto, peloso, fuliginoso, gradevolmente deforme, si muove rapido fra le grandi macchine che ha creato, gli scatoloni magici da cui escono le voci: «e dentro il grande fabbro vi infuse la sua musica». Lucio Dalla piace anche a coloro che da sempre hanno avuto paura e desiderio del diverso e ora vedono in lui lo scandalo premiato dal successo, quello che fa una canzone su come si masturba e gliela fanno cantare anche al festival dell'Unità. Lucio Dalla piacerebbe anche a me che lo intervisto all'una di notte, in un ristorante adriatico di Pescara, maccheroncini al pesce, automobili stipate su tre file, l'orrenda festosa città Luna Park che ti fa ritornare nell'Italia caotica e speranzosa del boom; dico piacerebbe anche a me se non fosse elettrico e retrattile come un gatto durante il temporale, impaziente di farmi sapere subito, in due minuti, come è e il contrario di come è, semplice? no, sofisticato; sofisticato? no, semplice; amico? sì, ma con il sottinteso che per lui puoi anche essere uno stronzo. Gradito? Sì molto, ma non dimentico, lui di antiche ferite narcisistiche. «Te ne ricordi, Bocca, quando ti ho telefonato da Bologna? No? Ma sì, ti ricordi benissimo. Ti ho detto: vorrei incontrarti, parlarti. E tu mi hai risposto freddo: passi al giornale». Forse ti ho scambiato per un rompiballe della contestazione. E invece ho saputo poi che hai rifiutato di farti coinvolgere in quella rivoluzione che dava l'assalto al Cantunzein - petti di pollo alla petroniana - invece che al Palazzo d'inverno. Come è andata esattamente? «A quel tempo lavoravo ancora con il poeta Roversi. Avevamo fatto assieme cose per me straordinarie, ma la gente non le gradiva. Vincevamo i premi della critica e non vendevamo dischi. Roversi è bravo ma per lui fare le canzoni con me era il secondo o il terzo lavoro, non ha mai messo piede in sala di registrazione». Sì, ma cosa c'entrano questi fatti professionali con i moti di Bologna? «Voglio dire che per Roversi fare canzoni non era il lavoro, il tuo lavoro, quello per cui vivi; era una delle molte cose in cui voleva entrare. Lui è di quelli che partecipano a tutto. Quando ci furono i fatti di Bologna voleva che facessimo subito due canzoni e che andassi a cantarle assieme a Guattari e ai nouveaux philosophes. Io invece mi chiusi in casa». Ma come? Tu che canti con la folla, che ami la folla, succede un gran casino e ti chiudi in casa? «Il mio rapporto con la folla attraverso la canzone è un rapporto di comunicazione e di partecipazione. E invece quella folla bolognese mi risultava incomprensibile. Incontravo gli amici del biliardo e dei tortellini ed erano improvvisamente diventati rivoluzionari, mentre quelli che avevano parlato per anni di rivoluzione si defilavano. C'erano troppe cose che non capivo». Ma non è la prima volta che tu prendi le distanze dalle mobilitazioni e dalle fiammate conformistiche della sinistra. Nelle tue canzoni c'è una continua ironia verso le "canzoni andine" sempre eguali o per la "puttana ottimista e di sinistra". La paura del ridicolo coincide con la paura del falso. Non ti mette un po' a disagio fare questa tournée per l'Italia sotto la tutela affaristica, propagandistica, cultural-egemonica dell'Arci? «Non è l'Arci ma il Cps. Per me il rapporto non è politico ma organizzativo. Guerra e Casadei e la loro organizzazione mi permettono di fare dei grandi concerti, magari con cinquantamila persone, come a Torino o a Napoli». II Lucio Dalla nascono e muoiono negli amori delle folle, ma l'Italia delle grandi istituzioni popolari e dei grandi affari non cambia: il capitalcomunismo tecnocratico del Cps paga sei milioni al giorno di affitto per le attrezzature giganti, altoparlanti a quarantamila watt che se ci piove sopra possono incenerirsi in lampi e scomparire nella notte, come scomparve Empedocle nell'Etna. Lucio Dalla, Francesco De Gregori e i loro musicanti e macchinisti e facchini e impiantisti e guidatori dei Tir alla fine del concerto smontano, caricano, ripartono in questa vita da baracconi elettronici. Il fenomeno è impressionante: 350mila spettatori in dodici concerti, il Sud che partecipa come il Nord; ma l'intera industria napoletana del furto legalizzato stampa migliaia di biglietti, mette in crisi anche l'oliato perfetto servizio d'ordine del Cps. Senti Dalla, questa sera il tuo amico Francesco De Gregori, il lungo, non c'è. Ma che facciamo? Lo teniamo come il morto nell'armadio o ne parliamo? Chi è, cosa rappresenta per te questo raffinato educato compagno di avventura? «De Gregori è un principe. Lui guarda a me come a un uomo antico, ma lui è più antico di me. Lui ha il dono meraviglioso di fare canzoni perfettamente equilibrate. Oggi come cinquant'anni fa. Ma sotto è molto confuso e io preferisco l'uomo confuso a quello concluso». Ogni tanto sarei tentato, alla milanese, di consigliare al Lucio dalle cento vite e dalle cento code: parlet cume te manget. Ma lui è bolognese e i bolognesi sono dei bonari figli di puttana. Nel tuo rapporto con la folla c'è un carattere tipicamente bolognese: il bisogno della gente come bisogno di una platea, però camuffato da socialità. Il bisogno della Piazza Maggiore, del caffè, del circolo dei compagni ed il muoversi in mezzo a loro sapendo che sono degli infidi tagliagambe. Il bisogno del cardinal legato o del federal comunista e la voglia di spernacchiarli. Per la prima volta Dalla mi osserva con cautela e cerca di svicolare. «Il miglior amico è sempre quello che conoscerai domani», mormora. E torna gatto selvatico, retrattile, che vuol darti l'unghiata ma si ferma, che vuol farsi accarezzare ma scappa. Dalla, che cosa rappresentano le mutande nelle tue canzoni? Tenerezza? Autocommiserazione dello scapolo? «Le mutande, l'uomo in mutande, l'ho copiato tutto da Vasco Pratolini». E la donna bassina e bruttina che torna sempre nei tuoi viaggi sentimentali? «Non l'ho inventata io, è un personaggio delle canzoni popolari brasiliane, un personaggio magico in cui bruttezza e bellezza fanno parte dello stesso rapporto sognato». Ma le contraddizioni continue delle tue canzoni? Il patetico subito corretto dall'ironia, la paura divertita del mostro di corso Buenos Aires, la gente che cerca un bar per telefonare alla polizia e intanto si dice "così ci beviamo anche un grappino"... «La mia è una canzone organizzata che può essere compresa solo da chi ne fruisce, non da uno come te, non da uno che scrive sull'"Espresso" e che concepisce la comunicazione come plagio. Ma non li leggi i titoli dell'"Espresso"? Ognuno è un plagio già confezionato, un richiamo letterario o snobistico già bello e impacchettato, prendere o lasciare. Il tuo direttore Zanetti mi ha chiesto di fare un'antologia di Lucio Dalla, di scegliere le parole, le canzoni che più assomigliano a Dalla. Ma se la faccia lui l'antologia, tanto lui ha già in testa che cosa deve essere Lucio Dalla per i lettori». Lascia stare Zanetti e i plagi dell'"Espresso". basta non lasciarsi plagiare, basta dire ciò che si vuol dire. «C'è qualcosa che non mi convince in voi giornalisti: siete capaci di essere uomini pubblici solo nella pedagogia e nel plagio; nel migliore dei casi date un'informazione corretta. Ma il rapporto vero con il pubblico è fatto anche di scandalo, di provocazione, di estroversione e solo Pasolini è stato capace di tanto. Tu sei bravo, ma cristo che deve dire uno come me? Che hai ragione? Che hai buon senso? Che barba». Ognuno gioca il suo gioco. A uno come me che scrive sui giornali va bene un rapporto con la folla che non si vede; o che si vede ma come dietro una lastra di cristallo. E meglio ancora è la televisione che riduce tutto a immagine, a comunicazione da un pianeta all'altro. Tu invece hai scritto che fare il cantautore è come girare dentro il fuoco, bruciare e consumarsi, passare fra le fiamme e ferirsi. «Una sera a Bari mi prese come un raptus. Scesi dal palco e mossi verso la folla e De Gregori che è un principe leale e coraggioso mi seguiva. Ma quando fummo a venti passi dalla rete capii che stavano per scavalcarla, per venire all'arrembaggio e allora fuggimmo verso il sottopassaggio. Magari non sarebbe successo niente, magari ci avrebbero linciato per amore». Il desiderio del linciaggio è molto letterario, molto da san Sebastiano. Dare scandalo con la paura di morire di scandalo. Sì, tutto ciò è molto pasoliniano, molto giocato sul rischio estremo. Ma io sono di Cuneo e se gioco, gioco ai tarocchi o alle bocce. Sai cosa dicono i giocatori di bocce al momento di contare i punti dalle mie parti: «bocce ferme». Nessun trucco, nessuno spostamento dell'ultimo secondo, le cose stanno come sono. Proviamo anche noi, lascia perdere il gioco e dimmi come stanno realmente le cose con il tuo pubblico. Quando dici che tu fai la canzone organizzata cosa vuol dire? Che sei un buon professionista? Un buon creatore di spettacolo? «Sì, sono uno che sa stare in sala di registrazione come un ingegnere, alle prese con 24 terminali. Sono uno che sa quanti watt ci vogliono per fare arrivare le voci a quelli che stanno a settanta metri, ma sono anche uno che poi si trova una bomba molotov fra i piedi, lanciata da un ragazzino che si era annoiato». Però la contestazione violenta tutto sommato a voi è servita: i grandi della canzone internazionale non osano più mettere piede in Italia e voi girate tranquilli. Il vostro pubblico ha capito che siete l'ultima spiaggia: o vi lascia cantare o non ascolta più canzoni. «Io dico che questo pubblico è cambiato, è molto più preparato alla partecipazione di quanto voi giornalisti plagiatori immaginiate. I tuoi lettori di te sanno niente, ma i miei ascoltatori sanno a memoria quanti peli ho nel culo. Così aspettano il passaggio difficile, la pausa premeditata, la virgola e partecipano con l'applauso o con il silenzio. La mia battuta sulle canzoni andine ossia canzoni "impegnate" della sinistra sudamericana è invecchiata: una volta suscitava applausi, adesso è ovvia. Credo che questa acculturazione poetica e musicale sia merito in gran parte delle radio private. Noi viviamo con le radio private in un rapporto di reciproco parassitismo: loro usano le nostre canzoni senza pagare ma noi usiamo loro come diffusione e comunicazione. Facciamo il caso che uno spettacolo sia stato rinviato al giorno dopo: il tam tam delle radio private avverte anche i più lontani selvaggi della foresta». Però, Dalla, quel Roversi. Sì, capisco, due narcisi, assieme vivono male, ma le canzoni che hai fatto con Roversi, "Nuvolari", le "Mille miglia"! «Nuvolari è basso di statura, Nuvolari è sotto del normale», ma è piccolo e brutto italiano a cui non importa niente di morire: «gli uccelli dell'aria perdono le ali, quando passa Nuvolari. Hai ragione, ho cerato disperatamente di riannodare con Roversi ma certe cose sono irripetibili». Ti saluto Dalla; sei l'intervista più difficile che abbia fatto in vita mia. E so che quando la leggerai dirai che sì, sei tu, ma non sei tu, che ho l'aria di averti capito, ma che non ho capito niente. Comunque sei perdonato. Tu canti a Cesena e a Forlimpopoli e io ti ascolto alla radio e dico ai miei figli: mica male questo Dalla. Io ti fruisco.
(di Lucio Dalla e Roberto Roversi) da Il giorno aveva cinque teste (1973) - La canzone di Orlando è forse ispirata al celebre paladino, già protagonista delle opere di Boiardo e Ariosto, oppure, come suggerirebbe il riferimento all’oca selvatica (anser anser che va), all’Orlando di Virginia Woolf. Una delle poche tracce non politiche del disco, posta in chiusura dello stesso, che racconta, in poco più di un minuto e con poesia raffinata, una storia di rimpianto o malinconico ricordo latamente sentimentale, di cui sembra partecipare la stessa natura. https://www.uninfonews.it/quando-canzone-incontro-poesia-collaborazione-lucio-dalla-roberto-roversi/
Via Aquicella a Catania, in zona Zia Lisa-Cimitero, mentre si avviano al porto per imbarcarsi col fuoristrada di Dalla. Lo stadio Cibali fu negato dall'allora amministrazione comunale e in questa scena Lucio dice a Francesco "Qui non ci veniamo più...." (Ci tornerete, eccome se ci tornerete!)
Addio mia bella Napoli. La tua soave immagine chi mai chi mai scordar potrà! Del ciel l’azzurro fulgido la placida marina qual core non inebria non bea di voluttà Il ciel, la terra e l’aura favellano d’amore; te sola al mio dolore conforto io sognerò. Addio mia bella Napoli, addio care memorie del tempo che passò. Tutt’altro ciel mi chiama, ma questo cor ti brama e il cor ti lascerò. Di baci e d’armonia è l’aura tua ripiena. Oh magica sirena, fedele a te sarò. Al mio pensier più teneri ritornano gli istanti, le gioie e le memorie dei miei felici dì. Addio mia bella Napoli, addio care memorie del tempo che passò.
Lucio Dalla, Francesco De Gregori e Libero Venturi al ristorante Zi Teresa, Borgo Marinai di Napoli (grazie a Mariateresa Franza)
Addio a Napoli è la rielaborazione della più antica Addio a Napole e rientra a pieno titolo nel filone delle canzoni di emigrazione. Il tema dell’abbandono rende con efficacia il distacco definitivo dell’emigrante dalla propria terra e dai propri affetti. Con una melodia sospesa tra momenti di grande briosità ad altri più sommessi, il brano ha conosciuto fama internazionale entrando nel repertorio di moltissimi interpreti. Su tutti Enrico Caruso e Beniamino Gigli. Memorabile la breve citazione con la quale Lucio Dalla e Francesco De Gregori introducevano l’esecuzione di “Ma come fanno i marinai” durante il tour “Banana Republic” del 1979.
Quando Dalla e De Gregori “governarono” a Taranto per un giorno Quarant’anni fa il governo di Banana Republic per un giorno si riunì a Taranto, stadio Iacovone. Presieduto da Lucio Dalla, due anni prima tre serate all’Orfeo con Anidride solforosa/Automobili. Da mesi ha un album incollato al primo posto (L’anno che verrà, Anna e Marco, Stella di mare, L’ultima luna); Francesco De Gregori, non ha lo stesso appeal in fatto di vendite, ma da queste parti è amatissimo. Piazza della Vittoria, la sera, è un continuo accennare canzoni. I ragazzi mostrano da che parte stanno. I trentatré giri, girano sotto braccio. Una copertina a righe, è “Rimmel”, canticchiano “Uomo che cammini sui pezzi di vetro…”; accennano “Le stelle sono tante, milioni di milioni…”, dall’album “della pecora”, mostrato con identica fierezza. Taranto, politicamente divisa da poche decine di metri. Davanti al Treppalle, i giovani “democristi”: camicia profumata di Bio presto e pantaloni con piega stiratissima; di fronte, all’ombra degli alberi a schiera, i liceali di Battaglini e Archita si ribellano al sistema, ma con moderazione. Le loro copertine più trendy: Napoli Centrale e Banco. A seguire Pfm e Orme. Davanti e dietro al monumento dei Caduti, la Sinistra. E quelli che stanno ancora più a sinistra. Maglietta in estate, eskimo in inverno. A poche decine di passi, il polo opposto. Quartier generale, “Colizzi”, il bar. Volkswagen neri in doppia fila e Ray-Ban in punta di naso. Torniamo allo Iacovone, Dalla e De Gregori. Cinque Tir all’esterno, venti tecnici e una squadra addetta al facchinaggio. Per la prima volta il rettangolo di gioco sul quale ogni domenica incrociano i tacchetti i rossoblù Fanti, Gori, Panizza, Beatrice e Selvaggi, è aperto al pubblico. E’ una festa, biglietto popolare, cartellone del Festival meridionale dell’Unità. Lo stesso che dirotta Pino Daniele in villa Peripato. Sta spopolando con “Je so’ pazzo”. «Frùsci di scopa nuova…», sentenzia un esperto di musica. «Quando avrà esaurito le parolacce, non se lo filerà più nessuno», la sua profezia. Accanto alla premiata ditta D&D, uno stuolo di grandi musicisti. Ron, da poco si è smarcato da “Rosalino”, con cui aveva cantato “Il gigante e la bambina” e scritto “Piazza grande”, arrangia le canzoni del “live” e ha scritto con Lucio e per Francesco “Cosa sarà”. E poi gli Stadio: Curreri, Portera, Pezzoli, Nanni e Liberatori. Dalla li ha voluti accanto a sé, li ha chiamati col nome del quotidiano sportivo più diffuso a Bologna. Non hanno ancora inciso “Grande figlio di puttana”, ma in concerto se ne sente il profumo. De Gregori, per non essere da meno, ha convocato in tour i Cyan. Sfugge qualche confidenza. «A noi, Dalla, paga meglio…», dice uno dei cinque ragassuòli compagni di viaggio di Lucio. Aspetto economico a parte, è un bel vedere. Tempi di “Taranto e il mare”, sindaco Mario Guadagnolo. L’Amministrazione locale ci prova. Spedisce il Cocciante di “Io canto” al vecchio Mazzola. Lo stesso campo sportivo ospita i Pooh di “Io sono vivo”. Concerto “burrascoso”. Un clamoroso temporale estivo provoca il fuggi-fuggi generale. Concerto recuperato il giorno dopo. Organizza Gianni Curcio, titolare di Radio City One. Tutti sul prato, cronisti e “radiofonici”. Unica breve parentesi con Radio Taranto. Loris Pepe, direttore della prima radio privata cittadina, escogita un piano. «Telefono ad Arbore, presidente dell’Associazione disc-jockey, lui chiama Ennio Melis della RCA, gli dice che intervistiamo Dalla e De Gregori per la Rai e il gioco è fatto…». Sul campo va ancora meglio. Merito del manto erboso, Loris inventa un colpo di tacco: una targa realizzata da “Asso di Coppe” per Lucio Dalla. «Vi ringrazio – sottovoce il cantautore bolognese – la condivido con Francesco, non vorrei ci restasse male…». De Gregori a due passi, non sente, si mette in posa per la foto-ricordo in quattro. Ele Pepe, anche lui conduttore di Radio Taranto, inquadra e scatta. Dopo aver orbitato intorno ai due artisti, l’aggancio è stato eseguito con successo. Fra palco e bandierina del calcio d’angolo, accomodati come in un accampamento indiano. Seduti sul prato, l’erba umida si fa sentire sotto il sedere, gambe incrociate e, al centro, il “Nagra” (Nakamichi, registratore di qualità per quei tempi). Una cosa che Lucio invidia a Francesco, poi viceversa. Non è originale, ma i due rispondono. «La voce!», dice Lucio. Non ci ha pensato un attimo. «Avete provato a cantare le sue canzoni, a imitare la sua voce? Impossibile! E se lo dico io, dovete crederci…poi se la domanda la facevate un po’ più lontani uno dall’altro, potevo dirvele due, tre cosette…». Risata. De Gregori. «Gli invidio i peli che ha sulla spalla!». Altra sonora risata. «“Moquette” ovunque: se andasse in giro nudo, nessuno si accorgerebbe che è svestito». Ecco il tour, De Gregori. «Tutto è cominciato da “Ma come fanno i marinai”, l’avevo appena scritta, la feci ascoltare a Dalla; non lo dissi, ma stavo già pensando di cantarla insieme, un pezzo divertente, quasi fatto apposta per Lucio. Mentre l’ascoltava già pensava all’introduzione con l’inseparabile clarinetto: ci lavorò, dette alla canzone un taglio in qualche modo più commerciale, fatto…». Dalla si proietta già al dopo-concerto. Bibi Ballandi, jeans, maglietta bianca, collo a “V”. E’ lui l’inventore del tour della Repubblica delle Banane. Il “Nagra” gira ancora, Lucio si stacca dalle cose formali. «Bibi, bella collanina! Va’ che dopo il concerto partiamo subito, dormo a Manfredonia, il fine-settimana lo faccio a San Giovanni Rotondo, posto meraviglioso!». Lucio sta facendo le prove da corregionale. E’ rimasto colpito dalle Tremiti. E’ lì che pianterà le tende per una vita. Ventuno in punto. Sul palco si accendono le luci, entra De Gregori, stretto alla sua chitarra. «Benvenuto raggio di sole…». Quarant’anni fa, applaudirono in dodicimila. nominalismi geografici e geo-economici: Mediterraneo, Mare del Nord, ecc. e di conseguenza prende corpo una scelta strategica che, 13 anni fa, quando fu concepita, mi riferisco al Corridoio Rotterdam – Genova, sembrava utopica e avveniristica; si riteneva pura utopia costruire una Società per Azioni (una Società di Corridoio) capace di gestire questo interessante impianto logistico caratterizzato da due porti, da un asse ferroviario che li collega e che in tale collegamento attraversa ambiti produttivi e interporti, che attraversa aree chiave dell’economia europea. Questa descritta non è un’alleanza all’interno di ambiti geografici storici, ma è una tessera di quel mosaico di finalità, di convenienze che nessuno aveva immaginato prima. Il bello della logistica è proprio questa possibilità di rivoluzionare ciò che si ritiene o si riteneva immutabile. I manager, che oggi gestiscono i sistemi portuali, sono convinti di un simile nuovo teatro logistico e sanno benissimo che limitarsi alla gestione della movimentazione all’interno del porto, significa essere fuori da questo nuovo mercato delle convenienze e, quindi, obbligatoriamente il salto da compiere non può essere che quello di aggregare le funzioni portuali e quelle trasportistiche esterne al porto, generando vere società integrate e, soprattutto, superando i vecchi limiti concettuali di tipo geografico. L’esempio del Corridoio Genova – Rotterdam, non è l’unico rappresentativo, un altro caso, anche questo attualmente molto utopico, trova riscontro nella Società formata dal porto di Taranto, dal porto di Bari, dal porto di Bar e dall’asse ferroviario Bar – Belgrado. Questo l’inizio di un futuro che ci si prospetta. Non sarà facile abituarsi alla “nuova grammatica”, una nuova grammatica nella gestione della offerta dei servizi logistici.
di Claudio Frascella
Jesolo
E poi ce n'è un'altra di possibile collaborazione, roba da acquolina in bocca: Lilli Greco fa sentire a De Gregori il provino di un brano di un avvocato di Asti, quello di Avanti bionda, quel Paolo Conte, già autore di great hit come Azzurro di Celentano e di alcuni album senza fortuna per la RCA; il pezzo si chiama Un gelato al Limon. Però De Gregori, che sta pensando al suo nuovo disco, pensa pure che potrebbe metterci quella canzone (quanto ci sarebbe piaciuto). E intanto fa conoscere Conte a Sergio Martin, che, finiti i Circoli Ottobre, continua a organizzare eventi. Martin ne resta molto affascinato. Un gelato al Limon essendo qui non andrà nel disco prossimo di De Gregori. Viene trasformata da un pigro lento qual è (Conte lo ha appena pubblicato) in un rockaccio con pochi pudori. L'arrangiamento ricorda un po' la versione di De Gregori nell'album abortito, dove però il ritmo era più rallentato e la chitarra elettrica trattenuta a favore di una tastiera simil-hammond. fonte: "Mi puoi leggere fino a tardi" di Enrico Deregibus - 2015 Giunti Editore
"Mi ricorderò sempre - dirà Conte - di un'estate in una Roma deserta: mia moglie e io stavamo andando in un ristorante, e dal fondo di una strada vedo apparire Francesco De Gregori: una figura alta che si stagliava in lontananza e si profondeva in scuse da lontano, e mi si avvicinava dicendo: 'Mi perdonerai? Mi perdonerai?'. 'Ma per Diana, certo che ti perdono! Anzi, mi hai fatto un grande regalo!'. Voleva farsi perdonare lo stile con il quale avevano interpretato la canzone, che lui stesso giudicava più profonda di quanto dicesse il tipo di esecuzione da loro scelto. Un'esecuzione, a mio avviso, molto ben fatta, come tutto l'album del resto, di pronta sensazione, dove le musiche venivano semplificate per ottenere uno schema ritmicamente rock e anche un po' hard. Una presa ritmica molto efficace, insomma. È uno dei bei ricordi che fanno parte del catalogo degli 'amati clienti', come chiamo gli esecutori delle mie canzoni, memore del mio passato di avvocato".
È il 1979: Paolo Conte prende il coraggio a due mani e un pianoforte, e dopo un paio di album omonimi - usciti nel ’74 e nel ‘75 - licenzia finalmente un ellepi dotato di un vero titolo, pur se ripreso da quello di una delle sue canzoni più famose, ivi contenuta: “Un gelato al limon”, prestata nello stesso periodo a Lucio Dalla e Francesco De Gregori, che ne avrebbero fatto uno dei manifesti meglio riusciti del loro fortunatissimo tour “Banana republic”. E ci mette per la prima volta la faccia sulla copertina, il curatore fallimentare astigiano: occhi tristi e naso allegro, tutto il contrario del suo “Bartali”. Sul retro, divisi da una parata di superalcolici, un uomo che ha tutta l’aria di avere la testa a una causa civile e una donna la cui insoddisfazione si direbbe profonda come e più del pur generoso décolleté. Sembrano ascoltare le dieci canzoni di questo disco. Ma forse le stanno davvero ascoltando… https://www.rockol.it/recensioni-musicali/album/2289/paolo-conte-un-gelato-al-limon
...occhi di ragazza...quel concerto, rinviato alla sera seguente, ce l'ho stampato dentro: era luglio ed era piovuto tanto. Ricordo che mi aggiravo, scortata da familiari, tra tir immensi. Volevo parlare con lui!😂 Poi, il giorno dopo, finalmente, il concerto. Io non avevo proprio la consapevolezza dell'evento. Ma ero fatta! fatta di lui, delle sue parole, della sua tonalità vocale, del suo "caratteraccio" regale. Alla musica non prestavo tanta attenzione, però armonica&chitarra erano già un lasciapassare per il cuore. Se chiudo gli occhi sono ancora lì, sugli spalti, e li rivedo piccoli come formichine colorate che danzano tra gli strumenti con una acustica che oggi farebbe ridere. Un concerto essenziale. Nudo: ma pieno di loro. Forse, epocale! Forse perché legato all'età dell'inconsapevolezza, dei sogni. Lui, inconfondibile. Alto, con un berretto e i riccioli, silenzioso, riservato, quasi selvatico e con una strana camicia svolazzante (no hawaiana😝) dinoccolato, con un camminare un po' distratto, come se tornasse ogni volta indietro e stesse li a farsi attraversare solo dalle sue canzoni... Oggi lo penso un poco meno! è come un amore antico o forse non ancora passato, che certe volte ti prende la voglia di carezzare ma ti fermi per non sciupare anche il ricordo. Allora lo lasci lì, sospeso, ti fa compagnia e non ce la fai a voltarti. Non ce la fai né ad andare via né a restare. Oggi lo sento un poco meno ! Forse non ne ho voglia. Forse non ce la faccio: c'è qualcosa che mi argina e che mi mette malinconia. Forse non mi dà più quello che ho sempre atteso. Peccato! perché quando parte all'improvviso una sua canzone è sempre commozione. Ma restano i ricordi: quelli belli di ragazza e non li voglio consumare. Forse, oggi, non è più quel tempo! -Banana Republic, Pescara 1979 Antonietta Caruso
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Dal tour viene tratto, con la regia di Ottavio Fabbri, anche un film prodotto da Alfredo Bini (il produttore di molti film di Pasolini). Il titolo è sempre Banana Republic ma c'erano due alternative: Concerto di mare e Sotto la luna puttana. Il budget è piuttosto low. "Come operatore c'era Giacomo Campiotti che poi è diventato un noto regista. Ma non c'era una lira e quindi capitava che lui riprendesse senza pellicola. Quindi alla fine ci sono giusto due o tre concerti". Il film, come d'altronde anche il disco, è una bella documentazione, forse troppo parziale, di quel che è avvenuto: abbonda l'istrionismo di Dalla, fuori e sopra il palco, e scarseggia lo charme del Principe.
"Innanzitutto il film è stato un primo tentativo, neppure noi sapevamo bene cosa doveva uscire fuori. Eravamo però sicuri di volere una cosa: che non fosse un filmetto divertente, ironico e che comunque non significava nulla. Abbiamo chiesto soprattutto molto rigore. Io lo vedo come un documentario, non come un film, Ciao Nìn, per capirci. In quanto alla differenza tra me e Dalla è vero, esiste. Lucio canta quattro pezzi in più ma posso anche capire che quando si è passati al montaggio c'era soprattutto la voglia di tirare su il film e Lucio sul palco è un cumulo di energia, mentre io ho pezzi più tranquilli". (Francesco De Gregori)
"Francesco mi invitò a una proiezione privata di questo film, alla quale erano presenti anche la moglie e Lucio. Quest'ultimo non faceva altro che elogiare lo swing di Francesco, e al termine della proiezione si voltò verso di lei e le disse: 'Ma ti rendi conto chi abbiamo sposato?'". (Giorgio Lo Cascio)
Amarcord di una Repubblica delle Banane...che fu di gianleo67 Diretto da Ottavio Fabbri e prodotto da Alessandro Colombini per la RCA, questo 'Film Concerto dal vivo' contiene il resoconto documentario di una serie di concerti del tour 'Banana Republic' che Lucio Dalla e Francesco De Gregori tennero negli stadi di Brescia, Verona e Bologna dal 16 Giugno al 30 Luglio 1979 e che fu accompagnato dall'uscita dell'omonimo live album i cui brani sono stati tutti arrangiati da Ron, presente anche alla chitarra ed ai cori.
Frutto di una collaborazione che era iniziata con la registrazione in studio del singolo contenente i brani 'Ma come fanno i marinai' e 'Cosa sarà', ed arruolando (oltre al già citato Ron) i componenti dei gruppi che allora accompagnavano i due autori (per Dalla Curreri&Co che avrebbero poi formato gli Stadio e per De Gregori i già componenti del gruppo dei Cyan), questa curiosa ed estrosa featuring tra i barbudos antitetici della canzone italiana di quegli anni segna un periodo felice di sperimentazione musicale dove, non ostante come qualcuno disse si trattò di una 'collaborazione senza contaminazione', le tematiche e l'intimismo poetico del repertorio di ciascuno trova nell'estemporanea esibizione dal vivo una sintesi particolarmente suggestiva, propagandosi lungo uno spettro che porta dall'esucuzione in singolo di alcune hit alla partecipazione corale o alternata di altre, fino ai due brani ('Marinai' e 'Banana Republic') che ne sancisce il perfetto equilibrio di contributi musicali e vocali. Documento di costume, più che resoconto documentario di un tour musicale, il film di Fabbri ci mostra il dietro le quinte del faticoso (e ripetitivo) lavoro dell'artista quanto la ribalta teatrale di una esibizione che trova nel rapporto col pubblico vociante e rumoroso degli stadi i suoi aspetti peculiari, mettendo a nudo (forse con un pizzico di involontaria ironia evocata dal significato e dal titolo della canzone che dà il nome al Tour) quel senso di ingenua partecipazione popolare di un'italia spaesata e sprovveduta che veniva fuori dal 'tour de force' della militanza impegnata degli anni '70 (il Tour non toccò Milano dove qualche anno prima De Gregori era stato duramente contestato) e che rappresentava alla perfezione un'adorazione divistica delle folle vocianti di una Repubblica delle Banane che ritrovava nei facili messaggi della canzone popolare gli elementi di un'identificazione collettiva priva di reali punti di riferimento politico. Dall'altro punto di vista poi, si rileva tanto l'estro e la professionalità di artisti che forniscono ciascuno per proprio conto un contributo personale ad esibizioni corali talora improvvisate quanto il segno di un inevitabile narcisismo che riecheggia nelle inteviste dei vari e giovanissimi collaboratori (da Curreri a Ron, da Portera a Liberatori) che nelle parole dei principali protagonisti impegnati in una continua e sotterranea lotta di reciproca desistenza (F. De Gregori: "Lucio ha imparato la tecnica e se l'è dimenticata. Canta come un animale. Diciamo che Lucio mi può insegnare a cantare come un animale"; e ancora: "Non è finita qui la nostra collaborazione ma è finita qui la nostra ufficializzazione insieme, perchè è una cosa che è irripetibile. Costa troppa fatica: finaziaria, psicologica, musicale"). Un pò road movie, un pò documentario musicale e un pò documento di costume questo divertente resoconto dell'estate musicale del '79 si apre ai gustosi siparietti di una passione musicale e umana che ci riconferma un Dalla scostante ed imprevedibile (la passione per il basket e l'insofferenza alle regole) ed un De Gregori precisino e vanesio che , una volta tanto, pare ben disposto a cedere una parte della sua ribalta ad un partner-rivale il cui vulcanico estro sembra a tratti monopolizzare la scena (e non è solo una questione di montaggio!). Bellissima ed indimenticabile la canzone ('Ma come fanno i marinai') che chiude il film, come ogni concerto, e che segna il contributo quanto mai ispirato di autori che hanno saputo traguardare, nell'immensità di una mare reale e metaforico di molte loro canzoni, lo spirito indomito di un popolo nomade come quello italico (si dirà di Santi, Poeti e Navigatori) alla continua ricerca del proprio posto nel mondo. Reunion a più di trent'anni dalla loro storica collaborazione, i due artisti si ritrovano nel 'Work in Progress Tour' del 2010 che segna l'inizio di una serie di concerti che si tengono in molte piazze di tutta Italia e che durerà con più di 100 date per circa una anno. Ma questa,si sa, è tutta un'altra musica.
Ricordo che era il periodo trionfale dei dischi collettivi, dal cantautorato che esplodeva nei Palasport e nelle arene grazie all’avvenuto matrimonio con le band elettriche: De André con la P.F.M., Guccini coi Nomadi e Lucio Dalla e Francesco De Gregori con ben due band di supporto di cui una sarebbe da lì a qualche anno diventata un’entità autonoma e storica col nome di Stadio, ché lì era nata: negli stadi dove si era celebrata la tournée più chiacchierata della fine degli anni Settanta e che, affrontando i rischi che Molteni ben racconta su questo volumetto agile e spedito, “sbloccò” gli anni Settanta ormai vittime della pericolosa macchina delle rappresaglie e dell’antagonismo fanatico e violento. Ferdinando Molteni si fa carico di raccontarci a parole i retroscena di quello che all’epoca venne documentato da un disco e da un film entrambi di pessima (e anche un po’ truffaldina) fattura (e qui scoprirete perchè, NdLYS) ovvero il “matrimonio artistico” di Lucio Dalla e Francesco De Gregori e il debutto nel circuito della musica d’autore di Rosalino Cellamare, da quel momento e per tutti Ron. Un tour epocale in un momento cruciale per la società italiana e per la carriera dei loro protagonisti. Il disco-evento che con canzoni come Banana Republic e Ma come fanno i marinai li svincola dal peso mortale di autori impegnati per buttarsi con intelligenza, coraggio e senso di sfida tra le braccia del disimpegno. Liberando sé stessi e tutta la musica italiana, nei modi che vi invito a scoprire sfogliando queste pagine e il racconto di come la terra dei partigiani diventò una distesa di alberi tropicali. E della scimmia e dell’orso bruno che vi abitavano fra i rami. Franco Di Mauro https://reverendolys.wordpress.com/2019/03/20/ferdinando-molteni-banana-republic-1979-vololibero-edizioni/
ALCUNI SCATTI NEL POMERIGGIO DEL 28 LUGLIO A CIVITANOVA MARCHE, IN ATTESA DELL'ULTIMO CONCERTO
https://www.flickr.com/photos/nikiteenrico/ (tutti i diritti riservati)
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