COL
489085 2
CD
1
La
valigia dell'attore Sangue su sangue L'agnello di Dio Dr. Dobermann Nero
La leva calcistica della classe '68 Titanic Pablo Generale Pilota di
guerra Bufalo Bill Stelutis Alpinis Alice La donna cannone
CD
2
Dammi
da mangiare Atlantide Un guanto Niente da capire Compagni di viaggio
Prendi questa mano, Zingara Giorno di pioggia Rimmel Rosa rosae Natale
Povero me Il suono delle campane Sotto le stelle del Messico a trapanàr
La storia Non dirle che non è così
|
Prodotto
da Guido Guglielminetti - Registrazioni
live effettuate da Roberto Barillari (studio mobile Fonoprint) -
Maurigio Maggi (Umbi mobile) - Marco Ciullini e Umberto Baiocchi: fonici
di palco - Giorgio Albani e Mauro Laficara: fonici di sala.
Missaggio effettuato da Giulio Koelliker e Guido Guglielminetti presso
lo studio Hobo Recording. Editing di
Carlo U. Rossi - Transeuropa studio Torino. Mastering di Antonio Baglio
- Nautilus Milano. Organizzazione e
management esclusivo: Filippo Bruni. Copertina:
Peppe D'Arvia. Foto interna di
Roberto Coggiola. Grafica: Francesca
Pes.
Hanno
inoltre collaborato: Costantini
Albini su Dammi da mangiare, Elio
Rivagli su La Valigia dell'attore e Dammi da mangiare, Michele
Anselmi su Non dirle che non è così. Archi
scritti e diretti da Bob Alcivar sovrapposti negli O' Henry Sound
Studios - Los Angeles su La Valigia dell'attore e La storia. Archi
scritti e diretti da Guglielminetti al Teatro Lirico di Milano su
Stelutis Alpinis.
Grazie a Giulia e Mimmo Locasciulli per la loro ospitalità e la
preziosa collaborazione. |
Con il doppio CD "La valigia dell’attore"
Francesco De Gregori pubblica il sesto live della sua carriera. Se si eccettua,
infatti, "Banana Republic" che testimoniava il tour con Lucio Dalla
del 1979 - peraltro si tratta di registrazioni per la massima parte provenienti
dai check-sounds a causa di problemi tecnici - ha già pubblicato "Nientedacapire",
"Musica leggera" e "Catcher in Sky" nel 1990, "Il
bandito e il campione" nel 1993 e "Bootleg" nel 1994. Mentre i
primi tre live erano il risultato di due anni di registrazioni - dal 1987 al
1989 - , gli ultimi due testimoniano un tour - "Bootleg" addirittura
un singolo concerto. Anche se i quattro inediti presenti - per tre si tratta di
versioni registrate in studio - sono stati generalmente ben accolti dalla
critica, la scelta di pubblicare un altro disco dal vivo ha sollevato qualche
critica, simile del resto alle polemiche nate in corrispondenza all’uscita di
"Bootleg" a ridosso del "Bandito e il campione". (…) LA VALIGIA DELL’ATTORE - DI
GIOVANNI CERUTTI)
Non si può affermare il contrario: "La valigia
dell'attore" di Francesco De Gregori è un bel disco, piacevole,
esteticamente ben costruito, suonato in giro per concerti con energia e passione
da validi musicisti ed impreziosito da quattro inediti; ventinove canzoni in
tutto proposte al pubblico ad un prezzo modico. Pezzi tra i più famosi ed
amati, molti dei quali oggettivamente non solo pietre miliari della canzone
cantautorale italiana, ma soprattutto splendidi e perfetti equilibri di poesia e
musica. Un Francesco De Gregori che ha scoperto negli ultimi anni una
sconosciuta voglia di semplicità, di comunicazione ed il piacere di stare in
mezzo alla gente, ai giovani, lontano dagli atteggiamenti scontrosi e dai versi
criptici del passato. LA VALIGIA DELL'ATTORE – DI
GIANLUCA CASTELLANI)
La querelle che contrappone Francesco
De Gregori e
Maurizio Ronconi si arricchisce di un nuovo capitolo: dopo le denunce scritte
siamo alle querele in tribunale. E tutto per colpa di quella recinzione dietro
alla quale, a sentire Ronconi, ci sarebbe una truffetta messa in atto da Da
Gregorí con la complicítà di funzionari e amministratori della Provincia di
Perugia e dei Comune di Spello. E lo scontro, c'era da prevederlo, era
inevitabile essendo Da Gregori un personaggio spígoloso e Ronconí una sorta di
Píerino che si diverte a creare difficoltà agli amministratori del
centrosinistra. IL CANTAUTORE CONTRO IL SENATORE
- 28 APRILE 1998 - AI.MEN. )
Il "Corriere della Sera" racconta di una
"Sorpresa ieri sera alla Villa Reale di Monza al primo concerto del nuovo
tour estivo di Francesco De Gregori. Il cantautore aveva appena eseguito due bis
e la gente si avviava all'uscita quando è apparso sul palco Fabio Fazio, che ha
detto: "Ci sono volute due ore a convincerlo, ma è ancora qui e ci canterà
'Pablo'". De Gregori ha replicato: "E' un bravo ragazzo, ha solo un
difetto: ha presentato Sanremo. Ma lo perdono". FRANCESCO DE GREGORI: CONCERTO S
PARTANO. FAZIO SUL
PA
LCO – 2 LUGLIO 1999)
Un evento musicale di grande rilievo concluderà la
cerimonia solenne di consegna delle pergamene ai laureati dell'Università di
Teramo. Nel pomeriggio, alle ore 18.30, Francesco De Gregori e Mimmo Locasciulli
terranno un concerto in piazza Martiri, a Teramo. CERIMONIA SOLENNE E CONCERTO DI
DE GREGORI PER I LAUREATI DELL'UNIVERSITA' DI TERAMO – 13-10.99)
(Testo
DI F. DE GREGORI - Musica di M. LOCASCIULLI)
Uomini senza lingua
uomini senza città
Senza più cittadinanza uomini senza dignità
Uomini senza terra buttati di qua e di là
Uomini in mezzo agli uomini
Uomini forti e stupidi uomini magri e strani
Uomini come pecore uomini come cani
Ho visto uomini lasciati perdere
Dentro ai letti degli ospedali
E uomini di là dal mare fatti a pezzi come animali
Ho visto uomini discutere su chi doveva sparare per primo
Uomini tirare a sorte il nome dell'assassino
Uomini dire basta e altri uomini dire ancora
Uomini alla finestra affacciati su una galera
Ho visto uomini senza nome e ho visto
uomini senza età
Ho visto uomini sotto agli uomini
Ho visto uomini famosi chiusi dentro un francobollo
Uomini sconfitti con un cartello al collo
Uomini avere freddo e altri uomini avere fame
Uomini contro gli uomini per l'ultimo pezzo di pane
Uomini senza lingua uomini senza
pietà
Uomini senza un dolore uomini senza umanità
Uomini in fila indiana nella notte di Natale
Aspettavano fumando il suono delle campane
Ho visto uomini discutere su chi doveva sparare per primo
Uomini tirare a sorte il nome dell'assassino
E ho visto uomini in fila indiana nella notte di Natale
Aspettavano fumando il suono delle campane
Il suono delle campane
Aspettavano sognando...
AI
dischi dal vivo ci ha preso gusto di recente anche Francesco De Gregori, dopo
una lunga carriera vissuta facendone tranquillamente a meno. L'unica eccezione
era il glorioso Banana Republic, memore di una celebre tournée in compagnia di
Lucio Dalla, fino al settembre del 1990, quando a sorpresa De Gregori pubblicò
insieme ben tre album dal vivo. Non pago, a meno di tre anni di distanza se ne
esce con Il bandito e il campione (ed. Sony), nuova testimonianza della
dimensione live del cantautore, che negli ultimi tempi si è gettato a capofitto
nei concerti, dimostrando una rinnovata voglia di confrontarsi col pubblico, a
tratti più seriosamente, altre volte con notevole verve, come è accaduto negli
spettacoli di questa estate. (…). Ma agli appassionati del cantautore farà
sicuramente piacere trovare in questo album ben due "cover" che di
tanto in tanto De Gregori usa regalare al suo pubblico. La più singolare è
certamente Vita spericolata, nella quale De Gregori fa addirittura il verso a
Vasco Rossi cantando nel tono sguaiato che la canzone opportunamente richiede.
La più encomiabile è invece Sfiorisci bel fiore, splendida e poco conosciuta
canzone di Enzo Jannacci (…). ( DE GREGORI, NON SOLO - 31 AGOSTO 1993 - DI
GINO CASTALDO)
|
De
Gregori mai così in forma - Torino
- Salone della -Musica - 1997
Non
poteva esserci migliore concerto inaugurale per il Salone della Musica;
se per musica molti ancora fanno discriminazione tra musica classica e
pop e rock, con il concerto di Francesco De Gregori sono stati
accontentati tutti, perché abbiamo assistito ad un concerto classico di
musica rock.
De
Gregori presentava il suo ultimo lavoro, un disco dal vivo che contiene
29 pezzi: alcuni cavalli di battaglia rivisitati e suonati con i
giovanissimi musicisti che lo accompagnano da circa un anno e alcuni
inediti, tra i quali La Valigia dell'Attore, che dà il titolo al CD.
Francesco
sembrava un ragazzino stupito e che sprizzava gioia da tutte le parti,
forse perché lo splendido Auditorio del Lingotto era stracolmo di
giovani ed anche giovanissimi che all'inizio erano venuti a curiosare su
questa pietra miliare della musica italiana e poi si sono fatti
trascinare dal ritmo, dagli intrecci delle chitarre, dalle fisarmoniche
di Ambrogio Sparagna, dall'Orchestra d'Archi della Scuola di alto
perfezionamento musicale di Saluzzo, ma soprattutto sono rimasti
meravigliati e sorpresi nello scoprire la carica sempre giovanile che il
grande Francesco trasmette.
Diverse
volte abbiamo sentito dire che De Gregori e palloso, ed oggi più che
mai possiamo affermare che Francesco e ciò che di più positivo ci ha
dato la musica italiana negli ultimi 50 anni.
De
Gregori sussurra la felicità di vivere sostenuto la una band di rara
bravura, di giovani che rispondono ai nomi di Marco. Ferruccio, Max,
Carlo Guido, Roberto, Fabrizio ed Andrea.
Ha
cantato nell'ordine: Il suono delle campane, Sangue su sangue, Titanic,
Pilota di guerra, Prendi questa mano zingara, Non dire che non e così.
Compagni di viaggio, Dammi da Mangiare, una PABLO versione Pink Floyd,e
poi accompagnato dai bravissimi allievi di Vittorio Muò della Scuola di
Saluzzo Stelutis Alpinis, La storia, La donna cannone, per poi tornare
con la band e proporre Rimmel, la splendida e nuova La valigia
dell'attore. Alice e poi 5 bis ed ancora musica. Lo spettacolo é' stato
trasmesso in diretta da RADIORAI.
(Francesco
De Gregori)
Eccomi qua
sono venuto a vedere lo strano effetto che fa
la mia faccia nei vostri occhi e quanta gente ci sta
e se stasera si alza una lira
per questa voce che dovrebbe arrivare fino all'ultima fila
oltre al buio che c'è e al silenzio che lentamente si fa
e alla luce che taglia il mio viso e improvvisamente eccomi qua
siamo l'amante e la sposa, siamo arrivati fin qua
l'attore e la sciantosa e siamo pronti a qualsiasi cosa
pur di stare qua
siamo il padre e la figlia, arrivati fin qua
siamo una grande famiglia
e abbiam lasciato soltanto un momento
la nostra valigia di là
nel camerino già vecchio
tra un lavandino ed un secchio
tra un manifesto e lo specchio
tra un manifesto e lo specchio
Eccoci qua
e
il sipario è calato già su questa vita che tanto pulita non è
e ricorda il colore di certe lenzuola di certi hotel
che il nostro nome ce l'hanno già
e ormai nemmeno ci chiedono più il documento d'identità
E allora eccoci, siamo qua
siamo venuti per niente perché per niente si va
e c'inchiniamo ripetutamente e ringraziamo infinitamente...
Eccoci qua
siamo il padre e la figlia capitati fin qua
siamo una grande famiglia
abbiam lasciato soltanto un momento
la nostra vita di là
nel camerino già vecchio
tra un lavandino ed un secchio
tra un manifesto e lo specchio
tra un manifesto e lo specchio
arrangiamento
e direzione d'orchestra: Bob Alcivar
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Piacenza, sassi da cavalcavia sul parabrezza di De
Gregori
lunedi , 1 settembre 1997
PIACENZA - Brividi sotto un cavalcavia della
Torino-Piacenza per Francesco De Gregori. Un sasso ha colpito il
parabrezza della Mercedes su cui viaggiava il cantautore, poco dopo
mezzogiorno di ieri. L'autista ha frenato bruscamente e ha fatto in temp o
a notare, nello specchietto retrovisore, due persone in bicicletta che
abbandonavano il ponte. L'auto si è fermata trecento metri più avanti,
mentre dal telefono portatile del cantante è partito l'allarme che ha
mobilitato polizia stradale e carabi nieri. Nessuna traccia è stata
trovata della pietra o dei sospetti tiratori. Proprio sull'autostrada A
21, insanguinata all'altezza di Tortona da una sassaiola dal cavalcavia
della Cavallosa alla fine dell'anno scorso, torna dunque la paura del tir
o al bersaglio sulle auto. La Mercedes di De Gregori percorreva il tratto
piacentino, vicino a Castel San Giovanni, diretta a sud. Con il cantautore
c'erano Filippo Bruni, 45 anni, al volante, e un amico, Stefano Ceresani,
39 anni, tutti romani. All' uscita del cavalcavia numero 132, un colpo
secco e violento sul parabrezza ha fatto sobbalzare i tre passeggeri: il
sasso non ha perforato il vetro ma, a testimoniare l'impatto, è rimasta
una ragnatela di schegge. Il guidatore non ha potuto sostene re con
sicurezza che a tirare la pietra fossero stati proprio i due individui
intravisti sul ponte. E il sopralluogo della Polstrada lungo i bordi della
carreggiata non si è concluso con il ritrovamento del "corpo del
reato". Gli agenti non escludono quindi che possa essersi trattato di
un sasso schizzato dai pneumatici di un'altra auto. Però restano alcune
preoccupanti coincidenze: il fatto che l'incidente sia avvenuto proprio
all'altezza di un cavalcavia e la strana fuga dei due ciclisti dopo che il
sasso aveva centrato la Mercedes. Sebbene spaventato, Francesco De Gregori
si è fermato soltanto il tempo necessario a denunciare l'accaduto e a
mostrare i danni subiti alla pattuglia della stradale di Alessandria,
intervenuta all'Sos del ca ntante. Che poi si è rimesso in strada con i
suoi compagni di viaggio e l'auto ammaccata. La brutta avventura lo
accomuna, suo malgrado, a "007", ovvero all'attore scozzese Sean
Connery, che appena due settimane fa, in tutt'altra parte d'Europa, si è
visto piombare in macchina un grosso mattone di cemento,
"sparato" da un ponte sulla statale A 316 del Surrey, in Gran
Bretagna. Il parabrezza del fuoristrada è andato in pezzi, lasciando
l'attore sotto choc. Dal 1986, soltanto in Italia, sei pers one sono morte
nel demenziale tiro a segno dai cavalcavia. A cominciare da una bambina di
due mesi e mezzo, che dormiva in braccio alla madre: era il 22 aprile di
undici anni fa quando un masso fu lasciato cadere da un ponte sulla
provinciale Milano- Lentate sul Seveso, uccidendo la piccola Maria Ylenia
Landriani. Nel febbraio del '91, sull'autostrada del Brennero, morì
un'anziana coppia, Domenico Fornale, 70 anni, e Rosa Perena, 69. Due anni
più tardi, toccò a un automobilista sulla A 14, dalle parti di
Giovinazzo e, ancora nel '93, sulla A 22, fu colpita a morte la ventenne
Monica Zanotti. Fino alla tragedia recentissima di Maria Letizia Berdini,
31 anni, uccisa il 27 dicembre scorso a Tortona. Ancora ieri, a Roma, sul
ponte delle Valli, che attraversa la Salaria, la polizia ha trovato un
sacchetto pieno di pietre, forse pronte all'uso.
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La valigia dell’attore
di Giovanni Cerutti
Con il doppio CD "La valigia dell’attore"
Francesco De Gregori pubblica il sesto live della sua carriera. Se si
eccettua, infatti, "Banana Republic" che testimoniava il tour
con Lucio Dalla del 1979 - peraltro si tratta di registrazioni per la
massima parte provenienti dai check-sounds a causa di problemi tecnici -
ha già pubblicato "Nientedacapire", "Musica leggera"
e "Catcher in Sky" nel 1990, "Il bandito e il
campione" nel 1993 e "Bootleg" nel 1994.
Mentre i primi tre live erano il risultato di due
anni di registrazioni - dal 1987 al 1989 - , gli ultimi due testimoniano
un tour - "Bootleg" addirittura un singolo concerto. Anche se i
quattro inediti presenti - per tre si tratta di versioni registrate in
studio - sono stati generalmente ben accolti dalla critica, la scelta di
pubblicare un altro disco dal vivo ha sollevato qualche critica, simile
del resto alle polemiche nate in corrispondenza all’uscita di "Bootleg"
a ridosso del "Bandito e il campione".
Non ci si è invece interrogati a fondo sul senso del
lavoro di De Gregori nei concerti di questi anni, che la pubblicazione di
questi dischi vuole sottolineare.
La lettura che propongo è che De Gregori si stia
confrontando con il più significativo tentativo di trovare un posto alla
canzone nell’espressione artistica contemporanea, cioè con il Never
Ending Tour di Bob Dylan.
A partire dal 1975, dopo la pubblicazione di Desire,
Dylan decide di riprendere un suo vecchio progetto a più riprese
vagheggiato durante gli anni Sessanta che prevedeva di costruire uno
spettacolo rock avendo come riferimento le rappresentazioni teatrali di
Broadway.
Ha ormai capito che la registrazione in studio ha
assunto una complessità tecnica a cui non intende adeguarsi - Planet
Waves e Blood On The Tracks sono stati registrati in tre giorni, Desire in
una notte - , come invece fanno molti suoi coetanei, perché non la
ritiene in grado di confrontarsi con le altre modalità espressive
dell’arte contemporanea.
Lo farà di tanto in tanto - Infidels nel 1983, Oh
Mercy nel 1989, Time Out of Mind quest’anno - e saranno sempre
capolavori.
Se la canzone avrà un futuro come arte in grado di
parlare all’uomo contemporaneo dipenderà dal palcoscenico: "Ciò
che faccio è più che una cosa immediata. Sei su di un palco e canti,
ottieni una cosa immediata... non è come scrivere un libro o registrare
un disco... ciò che faccio è così immediato che cambia la natura, il
concetto stesso di arte" (cfr. Paolo Vites "Friend of the devil"
Satisfaction settembre 1992).
Nel 1975 costituisce la Rolling Thunder Revue con la
sua band - T-Bone Burnett, Howie Wyeth, Dave Mansfield, Steve Soles, Rob
Stoner, Luther Rix , Mick Ronson e Scarlet Rivera - e molti altri artisti
tra cui Joan Baez, Joni Mitchell, Bob Neuwirth, Roger McGuinn, che gira la
provincia americana con concerti annunciati sulle radio locali fuori da
ogni circuito.
Al tour - che dura due anni e sarà un controcanto
alle celebrazioni del bicentenario, culminando con il concerto al Madison
Square Garden per la liberazione del pugile nero Rubin "Hurricane"
Carter ingiustamente incarcerato - partecipano Allen Ginsberg e Sam
Shepard, che da quell’esperienza ricaverà un libro che darà il senso
dell’importanza di Dylan nella cultura americana.
Il mancato sostegno della CBS e i conseguenti
problemi finanziari costringono Dylan a sciogliere la Revue, ma l’idea
di ridefinizione del rock come performance dal vivo ha mosso i primi
convincenti passi.
Niente dischi nuovi da promuovere, nessun effetto sul
palco, solo la forza della musica e delle parole.
Alla rilettura del suo repertorio - che approfondisce
le canzoni scavandone l’essenziale fino al nucleo che le rende sempre
vive - si unisce la rilettura della tradizione folk americana da Woody
Guthrie ai canti tradizionali, nel tentativo di precisare il senso della
forma canzone come espressione d’arte.
Dal 1978 al 1987 Dylan sviluppa ulteriormente la sua
idea di performance live come luogo privilegiato della creatività, in
questo aiutato dal fatto di avere già alle spalle un repertorio imponente
che è già riconosciuto come riferimento ineliminabile - recentemente
Giancarlo Susanna ha scritto sull’Unità "è lui l’unico
veramente indispensabile" - da tutto il mondo della canzone, e non
solo, come testimonia l’inserimento nella rosa finale per
l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1996.
Le tappe saranno scandite dal tour mondiale del 1978
- con il ritorno in Europa dopo dodici anni -, dai gospel tour dal 1979 al
1981 - a chi gli chiedeva come mai dopo solo un anno ritornasse nelle
stesse città degli States con il rischio di non avere più folle
imponenti in cerca dell’evento rispondeva che non era quello il senso
dei suoi concerti... -, dal tour del 1984 con Mick Taylor alla chitarra,
dai tre tour con Tom Petty e gli Heartbreakers nel 1986 e nel 1987
inframmezzati da sei concerti americani nel luglio del 1987 con i Grateful
Dead che ancora oggi detengono tutti i primati di affluenza di pubblico.
Ed è proprio durante questi concerti che matura
l’idea del Neverending Tour: "Se sei un’artista vero, ti devi
dare al tuo pubblico interamente, non puoi andare in tour ogni tre anni,
come facevo anch’io prima del tour con i Grateful Dead" (P. Vites
cit.). E dal giugno 1988 ad oggi Dylan è ininterrottamente in tour,
suonando in tutto il mondo sia in grandi città che in provincia - in
Italia, ad esempio, ha suonato a Merano, Aosta, Udine - o in piccoli club
- famosa la serata al Toad’s place di New Haven, un piccolo club con
circa cento posti, dove nel gennaio 1990 ha suonato per più di quattro
ore - con una media di centoventi/centocinquanta concerti in un anno.
Lontano dai riflettori dei media, ma non della
critica più attenta, Dylan sta ponendo le basi di una definizione del
concerto dal vivo come forma d’arte.
Una forma d’arte che per la sua unicità di
performance e la sua non ripetibilità
è in grado di rendere al meglio i travagli
dell’uomo contemporaneo.
Credo si possa tentare di enucleare alcune
caratteristiche salienti di questo lavoro. In primo luogo il rifiuto di
qualsiasi artificio esterno alla musica. In clamorosa controtendenza sia
con i suoi coetanei - vedi gli Stones - che con le generazioni più
giovani - U2 - nei concerti di Dylan c’è solo la musica.
Suona solo in luoghi di dimensioni contenute dove il
rapporto con il pubblico non sia di tipo celebrativo - i "grandi
stadi della dannazione" li ha definiti una volta - ma dove sia
possibile ascoltare.
Non cede alla tentazione del "come
eravamo". Nei suoi concerti non ci sono "i Favolosi anni
sessanta"; per lungo tempo non ha cantato le canzoni che tutti
volevano, o se le ha cantate ha dato loro una veste calata nella
contemporaneità.
Le scelte musicali. La formazione della band è
essenziale: due chitarre - una è Dylan - basso - contrabbasso nei pezzi
acustici - , batteria - nei concerti del 1992 ci sono state due batterie -
, a cui si è aggiunto dal 1992 il pedal steel. I musicisti non sono molto
famosi, a parte G.E. Smith che ha suonato i primi due anni. Il rapporto
con le sue canzoni.
Come hanno notato Gino Castaldo e Roberto Giallo per
Dylan non esiste la versione originale di una canzone. C’è un appunto
pubblicato sul disco continuamente sviluppato, lasciato cadere se non
funziona o lasciato quando sembra non offrire altri spunti, salvo
riprenderlo dopo qualche tempo se si trova un aspetto inedito o un
versante non esplorato.
Sempre tenendo la canzone ben dentro la
contemporaneità - che non vuol dire attualità - mai per celebrarsi. Le
linee melodiche sono continuamente cambiate - nei concerti del 1990 e 1991
ha tentato persino di cantare su tonalità diverse da quelle suonate - i
testi continuamente sviluppati con cambi di prospettiva - ad esempio in
Simple Twist Of Fate la terza persona narrante cambia continuamente da un
versione all’altra - soppressione di strofe o scrittura di nuove,
ricerca di aggettivi sempre più calzanti, ma sempre in sequenze logiche:
ogni versione presuppone le precedenti sia musicalmente che per i testi.
La parte musicale è dilatata sovente oltre la durata
del testo cantato con continue improvvisazioni.
Non esiste una scaletta di concerto. Dylan prova
gruppi di settanta/ottanta canzoni per volta che ruota ciclicamente. Ogni
sera la scaletta dipende dal clima che si crea sul palco e spesso i
musicisti devono improvvisare canzoni che non sanno: "Provare, per me
e la mia band, nel senso di provare una canzone, vuol dire sapere il
titolo e in che accordo va suonata. Fatto questo, abbiamo provato"
(P. Vites cit.).
Alle sue canzoni si affiancano pezzi della tradizione
folk, country songs, o cover di autori non sempre conosciuti. Il risultato
di tutto questo è elettrizzante. Il pubblico avverte subito che non c’è
né routine, né mestiere ma qualcosa di vivo. Ogni sera Dylan mette a
repentaglio la sua carriera senza rete, ed infatti può capitare il
concerto in tono minore. Questa lunga digressione credo possa consentire
di rileggere il lavoro di De Gregori in una luce nuova.
Il riferimento al lavoro di Dylan - sentito come
l’esperienza centrale della musica contemporanea che cerca di dare alla
canzone dignità di forma d’arte - appare evidente in alcune scelte, così
come l’ulteriore elaborazione secondo la propria sensibilità di artista
e la propria cultura.
Così si inquadrano i cambi di scaletta sera dopo
sera, la ricerca di un suono non interamente pacificato - nel 1992 De
Gregori adotta la stessa formazione adottata da Dylan con una chitarra in
più per poi aggiungere strumenti della tradizione italiana come
l’organetto o la fisarmonica - il lavoro sulle linee melodiche delle
canzoni e sui testi per saggiarne la capacità di essere sempre
significanti, insomma il tour come work in progress, come momento di
produzione artistica del quale non si può fare a meno.
Certo De Gregori è legato a un concetto di canzone
più formale, perché la letteratura italiana ha alle spalle una
tradizione più vincolante che si riflette anche sulle culture popolari,
mentre la letteratura americana è più giovane, per certi versi senza
storia.
Credo, quindi, che il senso ultimo della
pubblicazione dei dischi live sia lasciare un documento - la tradizione...
- di questo continuo lavoro sul palco, "la mia attività stradaiola"
come l’ha definito De Gregori in un intervista a Vincenzo Mollica.
La valutazione andrebbe allora fatta sulla validità
e sul senso complessivo dei risultati raggiunti, piuttosto che sulla
constatazione che si tratta dell’ennesimo disco live.
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INTERVISTA
A CARLO GAUDIELLO, TASTIERISTA DI
FRANCESCO DE GREGORI
ALLA FINE DEGLI ANNI NOVANTA
Quegli
anni alla Corte del Principe.
(di
Mimmo Rapisarda - www.iltitanic.com
- 26 marzo 2007)
Nato
a Torino, pianista, musicista, arrangiatore. Ma nei ricordi dei
degregoriani, il tastierista di Francesco De Gregori alla fine degli
anni Novanta.
Il
Nostromo: Ciao Carlo, è un piacere invitarti a bordo del Titanic per
un caffè. Accomodati sul cassero della nave e ricordiamo un po' di cose
passate
davanti a questo mare nero come il petrolio e a questa luna metallo.
Dal 1996 al 2001, fra spizzichi e bocconi, quasi cinque anni nel
castello del Principe. Il tour di Prendere e lasciare, La valigia
dell'attore, Amore nel pomeriggio, La Notte degli Angeli, il Lingotto
di Torino, gli organetti di Sparagna. Un periodo, immagino, per te
indimenticabile.
Gaudiello: Innanzitutto ciao Mimmo, e grazie per
il caffè e l'ospitalità. E' un piacere salire a bordo per un giro in
compagnia di un vecchio amico.
Allora... dicevi un periodo indimenticabile. Ed io confermo, davvero
indimenticabile sotto il profilo umano e professionale. Come non
dimenticare i vari tour, i dischi, "La notte degli angeli",
un concerto per la FAO a Roma nella splendida cornice dei fori
imperiali, le innumerevoli trasmissioni televisive... Ma anche le
vicende meno "pubbliche" come i viaggi, le cene, le prove,
...e quant'altro.
Il
Nostromo: A Torino e dintorni, il pastore maremmano Guglielminetti
trovò dei buoni pascoli da dove attingere. Eravate tutti ragazzi di
talento, chi aveva già un curriculum di tutto rispetto, chi - come te
- proveniva dal conservatorio. Com'erano gli altri tuoi compagni di
viaggio?
Gaudiello: Una band di ragazzi giovani e forse
un pò inesperti. Devo dire che Francesco dimostrò un grande coraggio
nel concederci un'opportunità simile. E Guido si assunse l'enorme
responsabilità di scegliere gli uomini giusti per formare "la
squadra". Credo che si siano ottenuti dei buoni risultati e spero
che il pubblico abbia apprezzato il lavoro svolto in quegli anni.
Il Nostromo: Fra la vita e la morte, fra la vita e la morte….
avrei scelto l'America! Sappiamo tutti che la cultura statunitense,
specialmente quella musicale, ha sempre affascinato Francesco. Anche
nelle musiche e negli arrangiamenti di
Prendere e lasciare si respira quell'aria. Quanto
Dylan c'era in quel disco?
Gaudiello: Non saprei dire se in quel disco si
respiri o meno un'aria Dylaniana. Io credo di riconoscere il tocco di
un grande Corrado Rustici e di un dream-team di musicisti di tutto
rispetto. E poi lasciamelo dire... ritengo "Compagni di
viaggio" un momento di pura emozione. Senza dimenticare
"Baci da Pompei" e la splendida "Un guanto".
Il
Nostromo: Un anno dopo, nel 1997, arriva La valigia dell'attore. Com'è nato quel
live?
Gaudiello: Durante il tour estivo di Prendere e
lasciare. L'idea del disco live erà già stata decisa l'anno prima e
quindi occorreva rifornirlo di materiale che solo allora potevamo
acquisire. In pratica, nel tour estivo del '96 eravamo in periodo di
semina per la raccolta finale de "La Valigia dell'attore". Così in quell'estate, da giugno a settembre, registrammo tutti i
concerti del tour e l'indomani, durante il percorso verso la nuova
tappa, io e Guido riascoltavamo attentamente tutto il risultato della
serata precedente. Ogni giorno, sulla strada, ci mettevamo al volante
a turno per valutare i suoni del concerto del giorno prima, scartando
pezzi da gettare francamente in un cestino e lasciando quelli
migliori. Ma alla fine era Guido che vagliava la decisione finale,
anche se l'ultima parola spettava sempre al Capo.
Il
Nostromo: Quanti concerti hai fatto con De Gregori?
Gaudiello: Posso quantificare più o meno sui
150 concerti... ma su questo immagino tu sia maggiormente preparato!
Comunque un giro d'Italia in lungo e in largo con alcune trasferte
estere in Svizzera e Germania. Abbiamo suonato in palasport, teatri,
anfiteatri, piazze, campi sportivi, parchi, spiagge. Ricordo
all'idroscalo di Milano su un palco galleggiante e letteralmente
divorati dalle zanzare.
Fantastico!
Il
Nostromo: Com'è il Capo durante il lavoro? Ci sono due o tre cose che
esige dai suoi musicisti, oppure delle cose che non tollera?
Gaudiello: Massima serietà durante il lavoro,
com'è giusto che sia. Nessuna esigenza particolare, semplicemente
l'assoluta professionalità delle persone con le quali lavora. Ma
questo è scontato.
Il
Nostromo: In un clip di Sempre e per sempre ricordo le tue mani mentre
suonavi il pianoforte presso lo studio di Locasciulli a Vicovaro, e
Francesco che ti guardava suonare, rilassato sul divano. In quel disco
suoni anche su Deriva, la mia preferita. Insomma, Amore nel pomeriggio
è un lavoro ben fatto.
Gaudiello: Si, direi che "Amore nel
pomeriggio" possa essere considerato un lavoro davvero ben fatto.
Costruito nell'arco di una quindicina di mesi nella rilassatezza di
uno studio immerso nel verde dei dintorni di Roma. Un disco in studio
ma con un approccio live. Francesco "illustrava" il pezzo
cantando e accompagnandosi con la chitarra, e noi subito cominciavamo
a suonare insieme, coordinati e supervisionati da Guido. E poi il
video di "Sempre e per sempre"... con le mie mani. Doveroso
precisare, però, che in quel pezzo il pianoforte lo suonò lo stesso
Francesco.
Il
Nostromo: Per i passeggeri della nave, puoi raccontare un particolare ricordo
di quel periodo?
Gaudiello: Guarda, te ne racconto uno soltanto
che ricordo benissimo ancor oggi… perché…. c'entra proprio con il
titolo dell'album La valigia dell'attore.
Era il 1997, sarà stato dicembre, non ricordo il giorno.
Il Forum di Assago era già con gli spalti stracolmi.
Quando eravamo già pronti per uscire, stavamo transitando fra i
camerini e un corridoio poco illuminato che avrebbe dovuto portarci
direttamente al palco. Sarà stato il buio di quel corridoio o la
confusione generale, ma nel chiudere la porta uno degli organizzatori
non si accorse che il nostro camerino non era completamente vuoto:
c'ero ancora io! Chiuse la porta a chiave, lasciando lì dentro il
sottoscritto mentre i miei compagni si avviavano al palco.
Cercai di aprire, con insistenza gridai alla porta sperando che
qualcuno, di passaggio, mi sentisse. Niente da fare, non c'era anima
viva, erano già tutti in quel palazzetto pienissimo di gente, gremito
fino all'ultimo posto.
Seduto con rassegnazione sul divano, aspettando che qualcosa
sbloccasse quella situazione anomala, cominciai a sentire il boato del
pubblico e la pressione mi salì a mille, lo sconforto era totale.
In testa avevo tanti pensieri che frullavano tutti insieme in quei
cinque minuti, che sembrava non finissero mai. Già immaginavo la band
che sul palco si stava chiedendo dove fossi finito, pensavo che piega
avrebbe preso il concerto, alla scaletta che doveva essere stravolta
velocemente, a quel faro che illuminava un pianoforte senza il
musicista, ma soprattutto in quel momento ….. mi sentivo l'uomo più
solo del mondo!
E in quel camerino, ascoltando l'attacco di Sangue su sangue (per
fortuna con le chitarre) mi guardavo attonito in quel camerino già
vecchio, fra il lavandino e lo
specchio, in quella situazione
quasi surreale che mi ricordava proprio la famosa canzone.
Quando qualcuno capì che c'era un pezzo della scacchiera
che mancava e corse a sbloccarmi, filai di corsa sul palco e …
avviandomi verso la mia postazione, avevo una faccia con
un'espressione che la diceva tutta: "non sparate sul
pianista"!
Poi il concerto filò liscio, durante il quale un preoccupato
Francesco, mentre suonava la chitarra, ogni tanto si avvicinava facendomi
dei cenni come per dire "come stai? ti senti bene? tutto a posto?". Io suonavo e non potevo
rispondergli, ma mi veniva una gran voglia di ridere al pensiero di raccontargli tutto
quel che mi era successo!
Un'esperienza indimenticabile!
Il
Nostromo: Che provavi quando suonavi il finale de La Donna cannone e
Francesco, davanti a quel "nero", si inchinava salutandoti?
Gaudiello: Beh...un po' di imbarazzo. Tu
immagina, un artista che scrive e canta una tale canzone, il pubblico
che gli tributa un'ovazione e lui che fa? Si volta, si inchina e mi
saluta. Grazie Francesco... davvero!
Il
Nostromo: Dopo la parentesi con Francesco hai lavorato con Grignani,
Fortis, Syria, Ferro ma , secondo me, ... la permanenza alla Corte del Principe sarà stata
indimenticabile. Che ti ha lasciato De Gregori?
Gaudiello: E' normale che ogni artista con il
quale lavori rappresenti un'esperienza diversa l'una dall'altra. Per
varie ragioni. L'età dell'artista stesso, la musica che propone, la
sua personalità. Però il primo tour non si scorda mai. Quelle
emozioni e quelle sensazioni te le porti dentro per sempre.
Avere
avuto Francesco come punto di partenza della mia carriera è stato
importante. Chissà che prima o poi non ci si ritrovi...
Il
Nostromo: Carlo, adesso lo possiamo anche dire. Tu sei quel Pablo che mi
presentò Ciccio ad Adrano nel 1997 e che, come ho scritto in quel
racconto che girava in rete, ci scattò una foto in cui io venni con una
faccia da bufalo in agonia.
Fino a quel giorno ero tranquillo, una persona normale. Poi sei
arrivato tu e da allora ….. insomma, al di là della nostra
decennale amicizia, anche tu hai contribuito alla
costruzione di questa nave dove stiamo prendendo il caffè.
Gaudiello: Pensa te! .....1997… Mimmo, ma ci pensi?…
son passati dieci anni!
Ricordo la tua espressione smarrita quando entrasti in quella
roulotte. Come smarrita era la faccia di Francesco quando gli hai
detto che quel pubblico era totalmente impregnato
del suo veleno. Ricordo che gli dissi "questa non l'ho
capita nemmeno io". E nemmeno lui l'aveva capita, fino a quando
non gli hai ricordato non so cosa.
Se la mia conoscenza ha contribuito a costruire tutto questo
ben di Dio che vedo attorno, queste belle chitarre e questi
dischi appesi alle pareti, queste cabine dove basta aprire le porte
per entrare nel mondo di Francesco, ebbene… io sono ben
felice
di essere stato uno degli artefici della costruzione del Titanic!
Ciao
Mimmo, grazie per l'accoglienza ricevuta a bordo e per il caffè.
Il Nostromo: Ciao Carlo, è stato un piacere averti conosciuto.
Grazie a te per la visita e....buona
fortuna!
(De
Gregori - Dylan)
Se la vedi dille ciao, salutala dovunque sia
è partita tempo fa e adesso forse è in Tunisia
dille che non si preoccupi per le cose lasciate qui
e se crede che l'abbia scordata, non dirle che non è cosl
Abbiam dovuto dividerci e sbatterci qua e la
ma per quelli che si amano non h certo una novita`
e adesso che se n'h andata e adesso che non c'è
è ancora nel mio cuore, h ancora vicina a me
Se mai la incontrerai, dalle un bacio da parte mia
ho sempre avuto rispetto per lei, per come se ne è andata via
se c'è un altro che le sta accanto, certamente non saro’ io
a mettermi fra di loro, ci scommetto che non saro io
Faccio un lavoro strano, vedo gente in quantita`
e mi capita ogni tanto di sentire il suo nome in giro per le citta`
e non ci ho fatto ancora l'abitudine, o forse mai ce la farò
sara` che sono troppo sensibile, o nella testa chissa` che c'ho
Sole grande, luna bly, il passato h ancora qu`
e so a memoria i ricordi, e il tempo prende velocita`
se tornasse da queste parti, il mio indirizzo la gente lo sa
tu dille che pur cercarmi, se trova il tempo mi trovera`.
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Gli
organetti di Sparagna
Era
lui a scusarsi, per il ritardo, sai, il traffico. Gentilissimo. Lo dirà
anche Ambrogio più tardi. Subito prima io gli avevo detto
"ringrazia di nuovo Francesco, è stato dawero gentilissimo".
Ma lui è così, avrebbe detto Ambrogio, è uno che nelle cose che canta
ci crede veramente.
Qualcuno avrebbe voluto occuparsi di jazz
Qualcuno l'avrebbe saputo perEno suonare queljazz certamenfe non proprio
benissimo
La linea è un poco disturbata. Il cellulare è di Ambrogio Sparagna. Il
nome Francesco è invece di De Gregori. Siete a Modena? Sta andando bene
il tour? "Sta andando molto bene, direi. Sia dal punto di vista
"mercantile" che da quello, sicuramente più importante, della
resa artistica. Ma forse te lo ha già detto Ambrogio. La verità è che
ci stiamo divertendo...".
Si divertiranno poi per tre serate in Sardegna, una a Roma, due a Bari e
una a Napoli, "che chiuderà questa prima parte del tour. Stiamo
fermi un mese e poi ripartiamo per andare invece nei teatri, alternando
questi ai palazzetti. In un clima più invernale...".
La formazione che si porta in giro è la classica band dal forte impatto
rock: due chitarre, uno o due bassi, batteria, percussioni e tastiere.
Tutti giovani musicisti dell'area torinese, uno più bravo dell'altro.
Età media 22-23 anni. "Vuoi che dica quel che penso dell'attuale
livello musicale italiano? Mah, io credo che ci sia un sacco di gente
brava in giro a suonare. Trovo che i giovani oggi quelli che lavorano
adesso con me ne sono esempio- sono molto più bravi e preparati di
quanto non lo fossero i giovani di 10 o 15 o 20 anni fa. Poi, per il
resto, c'è confusione... In quella che è la musica di consumo, ci sono
parecchie cose davvero brutte, però meno forse che in altri paesi
europei e americani".
Come sappiamo, verrai anche a Ravenna a...
"Sì, vengo a Ravenna, però appunto con l'opera di Ambrogio
Sparagna. Vengo in veste di tenorino!".
Ma quel tanto che basta e che fa
Che si dica "Ha vissuto la vita sotto i colpi deljazz"
Che si dica ''Qllell'uomo ha vissuto sotto i colpi deljazz"
Infatti, Francesco De Gregori sarà il cantastorie della favola musicale
che Ambrogio ha scritto sotto il titolo "La Via dei Romei", Le
meravigliose avventure di Crispino e Procopio. Sarà la prima volta che
la porteranno insieme davanti al pubblico: l'hanno già interpretata, ma
per Rai Radiotre, che ha voluto candidare La Via dei Romei al Premio
Italia. Chiedo come è nata questa collaborazione con Sparagna.
"Com'è nata... ehm... non lo so... com'è nata? E' nata che io e
Ambrogio abbiamo cominciato a vederci per motivi musicali, scambi di
idee... è nata che io gli ho chiesto di lavorare con me su un pezzo e
mentre lui lavorava con me su questo pezzo mi ha detto "io sto
facendo questa cosa in radio che parteciperà al Premio Italia", mi
ha detto "ci stanno un paio di canzoni che secondo me potresti
cantare tu", me le ha fatte sentire e io me le sono imparate. No?
Ecco, adesso Ambrogio sta qui davanti a me e ridacchia, ma insomma, è
la verità... è stato tutto, diciamo, giustamente casuale, non c'è
stato un lavoro preparatorio di nessun tipo. La verità è che ci siamo
sempre trovati bene io e Ambrogio a lavorare insieme, sin dalla prima
volta, quando gli chiesi di accompagnarmi...".
Qualcuno avrebbe dovuto tuffarsineljazz
liontano dagli occhi del mondo, uolendo in un 'altra città Altri
portici e portoni
Quella volta, per un programma radiofonico Rai sull'intolleranza,
Francesco aveva deciso che invece di cantare le sue gli sarebbe piaciuto
cantare canzoni popolari legate al tema dell'emigrazione. Lui non lo
conosceva Ambrogio, se non di fama, però gli telefonò: "gli
dissiv perché non la facciamo con te all'organetto? Lui, entusiasta,
arriva a casa mia il pomeriggio stesso, ci mettiamo a provare e ci
succede di sentire questa strana sensazione che è come se fossimo nati
per suonare insieme. Finora è stato così. Tutto molto
spontaneo...".
Con questa Via dei Romei ti sei divertito? Sì, si è molto divertito,
ma era anche molto preoccupato all'inizio...
"Perché la melodia delle canzoni di Ambrogio è molto semplice da
ascoltare, ma non è così semplice da cantare e poi, soprattutto, è un
po' troppo alta per me... Però mi sono trovato bene a lavorare con il
suo gruppo, le parole dei testi sono molto belle, quindi, superata la
preoccupazione, quando abbiamo registrato in Rai è andato tutto liscio.
E ho capito che Ambrogio aveva ragione... in effetti quando si inserisce
la mia voce, che è così poco prevedibile in un contesto colto popolare
qual è l'opera di Sparagna, si apre una pagina di sonorità diversa,
che fa bella figura. Ambrogio mi fa fare una bella figura. Mi auguro che
dal vivo venga bene... (e ride). Io ti posso dire di come è andata lì,
ma mi sforzerò di farla venire bene anche dal vivo...".
Dove anche il buio è diverso da qua
E perfno l'amore è più bello a livello di jazz
Ela pioggia più tiepidasotto l'ombrello delj azz
Un poeta con la chitarra. Un artista che, pur awezzo al successo e
protagonista di una brillante carriera, vive il suo mestiere senza farsi
derubare della capacità di emozionarsi. Un uomo che ha di meglio da
fare che non frequentare i salotti televisivi.
Fa'cheduriEltempoJ fa'chegirilenfoJ fa'chescorrailpianto Fa' che mi
conosca e che mi riconosca quando mi vedrà Cantando con gli occhi come
solo lei sa Cantando e ballando al ritmo deljazz
E il rapporto con gli altri generi musicali? Ad esempio il jazz... Non a
casoJ nel tuo ultimo disco...
"Ti riferisci a questa canzone che stiamo ascoltando?
"Jazz"J appunto. MahJ il mio rapporto con il jazz è
esattamente come quello di questa canzoneJ cioè qualcosa di visto da
molto lontano, di vagheggiato, ma di assolutamente incompreso. E' una
musica molto lontana da me perché è difficile intanto da suonare -non
se ne parla nemmeno!- ma anche da ascoltare. E' per me una specie di
zona mitologica della musica. Stimo molto quelli che riescono a
suonarla...".
Gli piace Keith Jarrett, ma se fosse un jazzista suonerebbe il sax.
Mi chiedo e gli rigiro la domanda: un idolo di più generazioni avrà a
sua volta avuto i propri, di idoli, no?, i propri punti di riferimento
musicali...
"All'inizio, quando ero ragazzo, Fabrizio De André. Lui più
grande di me, aveva cominciato a fare i suoi primi dischi. Testamento,
La guerra di Piero... mi piacevano moltissimo. E' stato De André a
farmi capire che con le canzoni si poteva anche cercare di raccontare
delle cose non soltanto vincere un festival. Poi, dopo, in una fase più
matura, sicuramente Bob Dylan e molta musica americana, rock americano.
Forse De André mi ha fatto capire che si potevano scrivere delle
canzoni e Dylan mi ha fatto anche capire come si potevano scrivere.
Questi sono i miei riferimenti. Poi, ad un certo punto, sono diventato
collega di molta gente che stimavo e quindi il rapporto è cambiato. Ho
imparato molte cose anche da Lucio Dalla soprattutto dal punto di vista
vocale, però già lavoravamo insieme, eravamo amici, per cui il
rapporto era diverso. Non più da discepolo, ma da collega desideroso di
apprendere".
Spostandosi in altri campi, Kafka è uno dei suoi scrittori preferiti.
Tra i registi, cita Kubrick, Fellini e Nanni Moretti. Il luogo che più
ama al mondo, l'Umbria. Si ritiene più un animale diurno che notturno,
e gli piace la pizza napoletana. C'è Ambrogio che si sta arrabbiando
per queste domande frivole... Grazie della chiacchierata. Allora ciao,
ci vedremo a Ravenna... Il telefonino torna nelle mani di Ambrogio.
Posso fare una domanda anche a te? Ho chiesto a lui l'incontro con te.
Adesso chiedo a te I'incontro con lui. Com'è stato? "Te lo ha già
detto lui". Ma io voglio sentire la tua. "Quando Francesco mi
ha chiamato per fare questa cosa alla radio, io, emozionatissimo, ho
accettato subito. Ma, sai, non sapevo in che tonalità lui volesse
suonare, così quel pomeriggio, a casa sua, mi sono presentato con un
carrello con cinque organetti... Dico, di questi, almeno uno andrà
bene... E Francesco ogni tanto mi ripete che la prima immagine che gli
è rimasta impressa di me è proprio questa, di un uomo che guida questo
carretto con tutti questi organetti...".
Qui vi stiamo aspettando con ansia e trepidazione... I ragazzi del coro,
venticinque giovani di Ravenna e dintorni, non vedono l'ora di ripetere
l'evento nella loro città, tra i rossi broccati del loro bellissimo
teatro...
"Penso che verrà una cosa molto bella. Tra l'altro, in questa
tournée, ci siamo ulteriormente affiatati...".
Qualcuno aurebbe potuto sfumare neljazz
Qualcuno l'avrebbesaputo perfino imparare queljazz Decifrare la nota
incredibile diognisingola tonalità
E buttarsi la vita alle spalle a tempo di jazz
E buttarsi in un giro di valzer a tempo di jazz
Grazie, Ambrogio. Ringrazia di nuovo anche Francesco, è stato davvero
gentilissimo. E Ambrogio dice ma lui è così, è uno che nelle cose che
canta ci crede veramente...
ADRANO (CT), PIAZZA
UMBERTO - 3 AGOSTO 1997
SOTTO LE STELLE DI ADRANO
AD EMOZIONAR.
De Gregori è il mio idolo,
lo ammiro da tanto tempo e nel mio ambiente, ormai, la mia passione per
lui è diventata leggendaria, al punto da scatenare una gara, in
occasione del mio compleanno, per chi deve regalarmi il suo ultimo CD.
Lo seguo dagli anni Settanta e quindi appartengo alla prima generazione
dei suoi fans. Allora la musica non mi appassionava e non avevo nessuna
preferenza in tal senso ma un giorno, dopo
aver ascoltato (per sbaglio)
“Pezzi di vetro”, fui folgorato da una luce simile a quella che riceve
un novizio quando viene chiamato dal Signore per diventare sacerdote. Da
allora tutto mi apparve chiaro e cominciai quasi una missione: acquistai
i dischi precedenti e imparai a suonare la chitarra da solo, invogliato
dal desiderio di ascoltare le sue canzoni che ho sempre definito delle
opere d'arte, paragonabili a un dipinto, a una scultura o a una poesia.
Cominciarono così le manie:
il “ricordino” a calamita sul cruscotto della mia vecchia ‘500’ con la
scritta “Non correre, pensa a noi”, con a fianco la foto della ragazza e
quella di Francesco; i concerti, i dischi, le musicassette, le
videocassette, le riviste, i libri, le sue ballate cantate e suonate
fedelmente con la chitarra imitandone l’arpeggio “finger picking”.
Un primo incontro
ravvicinato lo ebbi nel 1976. Arrivai in teatro con un mostruoso
anticipo di due ore e lui era là, da solo; mi passò vicino e guardandomi
con curiosità avrà pensato: “Che fa costui alle sette se il concerto
inizia alle nove? Mah, sarà uno delle pulizie…”.
Esattamente 20 anni dopo, in
occasione del concerto che tenne a Catania nel novembre ’96, incontrai
alla fine dello spettacolo un mio collega che mi disse di essere lo zio
(a volte il destino ci riserva fantastiche coincidenze!) di una persona
molto vicina a De Gregori. Per discrezione questo personaggio sarà in
seguito citato con lo pseudonimo “Pablo”. L’indomani il mio collega
venne a salutarmi e dopo avere constatato, attraverso quello che dicevo,
di trovarsi davanti a un caso davvero patologico, decise di
accontentarmi per il prossimo concerto siciliano, tramite suo nipote e
nel limite del possibile.
E fu così che alla fine di
luglio 1997 mi disse che De Gregori avrebbe suonato in Sicilia per una
settimana, facendo tappa in un paese della provincia di Catania: Adrano.
Alla vigilia del concerto conobbi il giovane Pablo il quale mi fissò un
appuntamento per l’indomani nella piazza principale del paese per
tentare di realizzare l’incontro. Più mi parlava del vicinissimo e
possibile evento e più mi tremavano le gambe, quasi al punto da
desiderare una sua risposta negativa.
3 agosto 1997. Libero da
qualsiasi impegno familiare e autorizzato a fare tutto ciò che volevo in
quel magico “momento tutto mio”, quella domenica pomeriggio mi misi in
viaggio in direzione di Adrano con appresso la macchina fotografica.
Durante il tragitto pensai a tante cose, pensavo alla ruota di scorta
sgonfia che nel malaugurato caso di foratura avrebbe mandato alle
calende greche quel probabile incontro; pensavo al mio carattere emotivo
e a cosa cavolo dire a De Gregori nel caso fossi riuscito a conoscerlo.
Cominciai così a prepararmi un discorso di circostanza per non fare
brutta figura ma, con tutta la buona volontà di questo mondo, non mi
venne in mente assolutamente nulla!
Guidando piano (non per la
mia persona, ma per evitare burocratici incidenti che avrebbero
pregiudicato tutta la serata) e ascoltando “Prendere e lasciare”
dall’autoradio, anziché scervellarmi alla ricerca di discorsetti
accettabili, stranamente pensavo, come in tanti flash, a tutte le cose
di De Gregori: la vecchia Wolkswagen, le due Renault, la sua famiglia di
bibliotecari (suo padre, suo fratello Ludwig, suo nonno Luigi), le sue
passioni per il buon vino, le aragoste, il fumo dopo il caffè, la pizza
napoletana, l’Umbria, Pasolini, Antonioni, Tenco, l’Inter di Giuliano
Sarti, Paperino, la Pellerossa, Tex Willer, il folk americano, Guthrie,
Simon e Garfunkel, Bob Dylan, Lou Reed, De Andrè, Kafka, Twain, il
flipper, il suo mestiere, l’odore delle tavole del palco, la fotografia,
la pesca, il mare e tante, tante, tante altre cose.
Appena arrivai in piazza
Pablo mi indicò dove sistemarmi e concordammo che in caso di difficoltà
avrei dovuto presentarmi come suo cugino. Dopo aver salutato
Guglielminetti, il mitico bassista di Francesco, mi appartai di lato e
cominciai ad aspettare. Osservavo come provavano e organizzavano il
recital, ero dietro le quinte di un concerto di De Gregori! Fra una
prova di “Atlantide” e una di “Generale” le forze dell’ordine facevano
allontanare tutti, allora uno dello staff disse ai vigili “Uno, due e
tre possono stare, gli altri non sono nostri” ed io subito “Sono il
cugino di Pablo”. “E quattro, anche lui è con noi”, aggiunse quello. Il
sogno stava cominciando, a poco a poco, a diventare realtà.
Il tempo passava, erano
ormai le 20.30 e Francesco non arrivava. Arrivava la notizia che era
intrappolato con la sua Mercedes nel traffico catanese, in compagnia di
Filippo Bruni. Appreso l’inconveniente, la sua guardia del corpo si mise
in sella a una grossa moto e corse a prenderli. Alle 21.00 Pablo mi fa
entrare con lui nel recinto retrostante il palco, dove c’era una piccola
roulotte, e mi avverte di non allontanarmi dalla postazione conquistata
(quelli autorizzati a stare dentro il recinto erano pochi intimi, la
band e il sottoscritto!!!!) ma, scoraggiato, mi disse pure che era ormai
troppo tardi e che Francesco, appena arrivato, avrebbe cominciato subito
il concerto (peccato, ormai ci stavo credendo!).
Alle 21.30, finalmente, i
muri attorno si colorano della luce blu delle pantere della polizia, un
faro squarcia l’oscurità delle stradine circostanti ed ecco arrivare la
grossa moto, guidata stavolta da Filippo Bruni con De Gregori alle sue
spalle, abbigliato con un vestito nero, una maglietta grigia e un paio
di scarpe da tennis ormai da gettare via. Entrati nel recinto, Filippo
esclama “Eccolo, ve l’ho portato, è tutto vostro!”. Francesco, fra gli
applausi, si toglie il casco e ammiccando un sorriso sornione solleva le
sue lunghe leve dalla moto e si infila nella roulotte abbassando la
testa, essendo alto quasi due metri. Al di là del fatto che De Gregori è
veramente bello, io quella sera lo vedevo ancora più bello; intendo dire
bello come Re Artù, Federico Barbarossa, Giuseppe Garibaldi, George
Custer o Bufalo Bill, miti anche loro.
Intanto la porta della
roulotte si chiuse ed io, seduto sulla transenna del recinto e sul mio
cuore deluso che mi arrivava alle scarpe, stavo già pensando di
andarmene via e di ritentare una prossima volta. Ma all’improvviso vidi
che Pablo, con la grande prontezza di spirito tipica dei giovani, si
infila nella roulotte e va a chiedere a Francesco se potevo salutarlo.
Dopo un po’ fece capolino e
mi gridò: “Mimmo, vieni!!!”. Saltai giù dalla transenna con un’agilità
che non mi riconoscevo e in due secondi ero già all’ingresso della
piccola roulotte. Stavo per conoscere Francesco De Gregori!
Conoscevo però anche la
mitica riservatezza del “Principe” e ciò mi preoccupava. Appena giunto
all’interno della roulotte, illuminata da un neon, sentii vagamente la
voce di Pablo: “Francesco... ti presento Mimmo”. Di colpo me lo ritrovai
di fronte, con in testa il famoso cappellino con la “C”, alto e magro,
la pelle chiara con qualche ruga in più, la barba rossiccia e i capelli
un po’ lunghi sulle spalle, quasi come Gesù.
Al contrario di come
pensavo, invece, fu con me gentilissimo e molto cordiale. Mi guardò con
i suoi occhi verdi e stringendomi la mano che non lavai fino
all’indomani perché mi piaceva annusarne il profumo (scherzo, si fa per
dire), mi disse: “Ciao, io sono Francesco De Gregori”. Solo al sentire
pronunciare quel nome e cognome da quella leggenda vivente, a una
distanza di soli venti centimetri, sentii una scarica di adrenalina
scendere velocissima in tutto il corpo. Avevo lì davanti a me l’idolo
che avevo sempre amato fin da ragazzo e in quel momento lo potevo
riconoscere, ascoltarlo da vicino. Essendo ancora impreparato (non avevo
studiato!) e incapace di formulare la più banale, frivola e imbecille
battuta, trovai solo la forza di dirgli con voce tremolante: “Piacere,
Mimmo......scusa Francesco, ma sono così emozionato che direi solo
cazzate…… meglio che sto zitto”. Lui, già abituato a queste situazioni e
nonostante provi fastidio nell’essere considerato un divo, sorrise
divertito sotto i baffi e mi disse: “Tieni, prendi un grappolo, vuoi?”.
Accettai un chicco d’uva che non ricordo bene dove andò a finire, se lo
arrotolai tra le dita o lo mangiai, o mi andò di traverso. Ormai in
stato confusionale e veramente convinto di parlare ad un essere celeste
gli dissi: “Francesco, un regalo più bello non potevo riceverlo per
l’onomastico di domani”. “Auguri,...e gli anni?” domandò lui. “40 anni a
settembre” risposi io. “40 anni? Sembri mj figlio!” ribattè Francesco
con accento romanesco.
Dopo altri discorsi che
adesso non ricordo, Pablo chiese se eravamo pronti per una foto ricordo
(si possono immaginare le attuali dimensioni di quella foto). Gli
consegnai la macchina fotografica e quando con Francesco mi voltai verso
di lui avvertii un peso nuovo su di me: un braccio che ha suonato
famosissimi accordi avvolgeva la mia spalla poggiandole sopra la sua
enorme mano! Un contatto che mi fece andare definitivamente in tilt.
Poco dopo Filippo Bruni
entrò nella roulotte per comunicargli qualcosa, trascinandosi dietro
l’eco del numeroso pubblico che reclamava la sua presenza: “Ciccio,
Ciccio, Ciccio” (non sopporta essere chiamato Ciccio). I reclami ci
arrivavano dentro come un fiume in piena e così ritenni giusto lasciare
libero Francesco, che prima di lasciarmi volle offrirmi ancora dell’uva.
Prima di salutarlo, però, mi
ricordai una cosa del suo passato: quando Francesco De Gregori era
ancora poco conosciuto, al momento della separazione artistica dal suo
amico-fratello Giorgio Lo Cascio, dedicò a questi una canzone che
diceva: “E io vado a cantare per il Re, mentre tu canterai per la tua
donna, e per l’alba, il vino e le altre cose che abbiamo amato insieme
tempo fa. E io vado a cantare per il Re, mentre tu canterai per la tua
donna, ma mentre il Re ascolterà senza capire, a gocce il mio veleno
assorbirà”. Un paio di anni dopo fu invitato alla discoteca modenese “Il
Picchio Rosso”. Quel giorno il suo “compagno di viaggio” Lo Cascio,
accompagnandolo, lo avvertì che quei ragazzi erano abituati a ballare
con ben altra musica e mai avrebbero capito le sue canzoni. Durante
l’esibizione, invece, dovette ricredersi: quei ragazzi, anche se amavano
ballare con la musica dei Pooh, del Guardiano del Faro e di Carlos
Santana, ascoltavano incantati, sospesi a mezz’aria sulla pista da
ballo, quella di Francesco. A quel punto Lo Cascio cominciò a rendersi
conto che nel corpo dell’ignaro Re (il pubblico) stavano cominciando a
circolare, a piccole dosi, le gocce di veleno che Francesco, come aveva
previsto nella canzone, iniettava. Il seguito della storia è noto a
tutti.
Dunque, prima di uscire e
indicando con la mano il pubblico che aspettava fuori, gli dissi:
“Francesco, il corpo del Re, adesso, è completamente intriso delle gocce
del tuo veleno”. Pablo, ridendo, disse: “Francesco, sta cosa qui non
l’ho capita nemmeno io....”. De Gregori, voltandosi verso di me, facendo
mente locale mi guardò sorpreso come per dire “o è il caldo o è
diventato matto”; poi io continuai “….Lo Cascio”. Masticando ancora
dell’uva, annuì ed approvò la cosa alzando verso di me l’indice della
sua mano come a confermare “ah già, ….vero”.
Alla fine io e il
“fantastico” Pablo, felici per la riuscita dell’incontro e consacrandoci
per sempre “cugini di sangue”, ci salutammo. Ascoltai un po' il concerto
e alla fine tornai a casa distrutto, ma felice come un fan scatenato di
quindici anni che ritorna soddisfatto da un concerto degli U2. Un giorno
difficile da dimenticare.
Adesso, dopo aver letto
questo breve reportage, si potrà pensare: “Ma possibile che a 40 anni si
comporti ancora come un ragazzino fanatico?” Io penso, invece, che è una
cosa bellissima, perché è giusto che in ognuno di noi, in questo mondo
senza più ideali, anche a 40 anni rimanga un po’ di quel bambino che
abbiamo lasciato tanti anni fa nella nostra infanzia (compresi miti e
passioni che possono essere cantanti, collezioni, poeti, hobby, ecc.) e
che ci illudiamo di nascondere dietro i nostri ombrosi problemi
quotidiani della nostra età adulta. Quel pizzico di infantile euforia (o
quel diavoletto, quel folletto...) come quella balzata fuori in questa o
in tutte le occasioni goliardiche di ogni uomo, aiuta certamente a
rimanere giovani, a divenire adulti di 20 anni anzichè ragazzi di 60
anni; basta avere il coraggio di evocare quello spiritello e si blocca
la propria anima all’età della giovinezza. Diciamo che tutto questo fa
bene alla salute.
Quel bambino, come per
incanto, assumerà le sembianze di un austero funzionario statale
ritornando in me ogni qualvolta De Gregori sarà nelle vicinanze della
mia città, ma d’ora in poi lo ascolterà con tranquillità (sempre in
prima fila però), senza ansie, senza quelle tentazioni di fare la posta
davanti ai teatri. E quando vedrà affiggere i prossimi manifesti sui
muri, il Peter Pan che in futuro si impossesserà del mio cuore non sarà
più assalito da antiche frenesie, perché ha finalmente raggiunto la sua
“Isola che non c’è”: è stato, anche soltanto per cinque minuti, un amico
di Francesco De Gregori.
Mimmo Rapisarda
(TO: RMS TITANIC - FROM:
FREEWEB.ORG/MUSICA/DEGREGORI DI ANTONIO CALVANI)
"Ma come si fa a dire "i cantautori"? A parte il fatto
che è una parola spuria (come diceva Michele Straniero), bruttissima,
come "doppiobrodo" o "maxicono". Poi, è come dire
"i giornalisti" o "i magistrati". E invece ciò che
è vero per alcuni non lo è per altri. Questa generalizzazione la dice
lunga sul grado di approssimazione con cui ci si accosta, in genere, al
mondo della musica leggera. La buona canzone è come la buona
letteratura: rimane come il segno del tempo".
Così la pensa Francesco De Gregori, cantante e autore fra i più
importanti della scena italiana dell'ultimo quarto di secolo. Che anche
su un altro argomento va controcorrente. Dice infatti: "Non
sopporto chi dice che la canzone è poesia. A volte ti puoi sbarazzare
di uno dandogli del poeta Un conto è dirgli che è comunque un
narratore, un altro è pretendere che i suoi versi conservino un senso
anche se avulsi dalla musica".
Ma la molla per scrivere come scatta?
"Bisogna parlare delle cose che fanno parte della vita. Se leggi un
giornale e prendi parte a un fatto, non vedo perché non puoi scriverci
sopra una canzone. Così come la fai su una donna che ami e ti ha
lasciato. La musica deve avere anche contenuti civili".
E noi, in quanto a civiltà come stiamo?
"Male. Anche le piccole illegalità stanno dietro alla generazione
del nostro paese. Perché le tangenti sono un fatto grave, ma anche
lasciare l'auto chiusa a chiave in seconda fila non va bene. La
rinascita italiana può partire anche dalla riscosperta di questi codici
elementari di convivenza civile. Non c'è molta differenza tra chi non
paga le tasse e chi passa col rosso: alla base c'è sempre una mancanza
di rispetto per gli altri".
Intanto si parla molto di libertà...
"Ci sono libertà che abbiamo guadagnato, altre che abbiamo perso.
Quella di non trovare la macchina spaccata, di non avere la porta
blindata, di poter mandare i figli in una scuola pubblica che funzioni
davvero, quella di farci curare in un ospedale. L'Italia può migliorare
modificando certi comportamenti individuali".
La canzone può far poco...
"Le canzoni sono testimonianza di un disagio o di uno stato di
insoddisfazione. Comunque di una reazione a ciò che ti circonda.
L'artista lancia sempre segnali di allarme, a volte anche senza
rendersene conto".
De Gregori, a Lei sarebbe piaciuto fare qualcos'altro?
"Qualsiasi scelta totale toglie sempre qualcosa. Questo è un
mestiere che non lascia spazio per gli hobby, forse perché è esso
stesso un hobby. Ci sono di certo cose che avrei voluto fare, ma che ho
trascurato perché troppo assorbito dalla musica".
Qualcosa che ha a che fare con i libri?
"La letteratura è un corredo fondamentale della mia vita. Un
futuro senza libri sarebbe triste. E come tutti quelli innamorati di una
cosa, ho sognato anch'io di passare dall'altra parte. Anni fa avevo
fondato persino una piccola casa editrice".
L'America è ancora un mito?
"Sì, anche se tutto è diverso quando puoi toccare una cosa con
mano. Oggi ci vai in otto ore e con una spesa relativamente accessibile.
Insomma, non è più l'America di quand'eri ragazzino. Però, è sempre
qualcosa di inafferrabile, di diverso, qualcosa che ci sfugge".
Le hanno sempre dato del "dylaniano". Ne è infastidito?
"Dipende da come l'hanno detto. Un aggettivo può essere usato come
un insulto, come una diminuzione di quel che fai. O come il riconoscere
una base culturale e musicale importante. E' difficile negare i miei
debiti con Dylan. Come è difficile, per chi scrive canzoni, prescindere
dalle pietre miliari".
Ci sono canzoni che non riscriverebbe?
"Non ce ne sono. Anche "Viva l'Italia" va bene così.
Testimonia quel che succedeva ne nostro Paese alla fine degli anni
settanta: Aldo Moro, il terrorismo, le Brigate Rosse. E' una canzone di
cui vado fiero. Non ce ne sono altre, di quel periodo, che danno un
riscontro di quel che avveniva".
Il tempo che passa?
"Ho un buon rapporto, direi quasi dolce, col tempo che passa. I
figli sono ci che ti consente di invecchiare con gioia. La crescista, il
diventare vecchi vanno accettati".
E quando ripensa al ragazzo che cantava al Folkstudio?
"Il successo? E' sorprendere un 45 enne che sa a memoria le tue
nuove canzoni" (che pensasse a Mimmo?). Il Principe sorride. I fan
lo chiamano così: un po' per affetto, un po' per stima incondizionata.
Per due sere, la voce di De Gregori ha volteggiato nel Teatro del
Giglio. Tutto esaurito, naturalmente, per questo cantautore con la
faccia da eroe buono, che lunedì sarà al Genovese.
De Gregori, che volto ha il suo pubblico?
"Non riesco mai a immaginarlo, a dargli un'identità. Del resto, io
scrivo per me stesso. "Buonanotte fiorellino" negli anni della
contestazione gelò i fan, così come sono stati in controtendenza
"Titanic" o "Miramare". Nel nuovo album Prendere e
lasciare ho dedicato a temi sociali solo "L'agnello di Dio",
brano per stomaci forti..."
I cattolici se la sono presa...
"Solo quelli più realisti del re. Ma con i cattolici ho rapporti
sereni. La chiesa si avvicina al 2000 e si guarda bene dal lanciare
scomuniche, specialmente per una canzone come "L'agnello di
Dio", che infatti i Paolini hanno lodato pubblicamente. Semmai, è
un brano meno accettabile per i contenuti politici: la descrizione di un
mondo devastato dagli errori della politica planetaria".
Vent'anni fa lei veniva contestato al Palalido di Milano...
"E' un ventennale che francamente non ho celebrato. Fu un periodo
di gande disagio, di grande movimentazione del mondo giovanile. Io ero
un testimone eccellente per ciò che scrivevo, al di fuori di schemi
prevedibili. A Milano, i concerti dei cantautori dovevano passare
attraverso chiese politiche: io mi rifiutai di sottostare e
così..."
Lei non ama molto gli anni settanta...
"E' ancora troppo presto per giudicarli ma, per esempio, furono
anche gli anni degli espropri proletari, che, oggi, nelle rievocazioni
televisive, vengono ricordati solo marginalmente. Succedeva di tutto,
anche che Luciano Lama fosse contestato all'università..."
Eppure, un varietà come Anima mia li ha esaltati...
"La televisione dà alla gente ciò che vuole vedere. Forse è
giusto che, parlando di quell'epoca, si facciano vedere anche i Cugini
di
campagna".
Il tribunale le vieta di cantare in pubblico "Prendi questa mano,
zingara"...
"Sentirsi privare di una propria canzone per via legale è
intollerabile. Mi sento danneggiato moralmente. L'ordinanza va comunque
accettata: bisogna essere discepoli di Socrate. Però, ho fatto
appello".
Lei è davvero diffidente e scontroso come la dipingono?
"Molti credono che i cantanti debbano avere un comportamento
frivolo e superficiale. Io non sono mai stato così e non vedo per quale
motivo dovrei convertirmi a vivere come in una perenne conferenza
stampa..."
In compenso è considerato uno dei padri nobili della civile...
"Non mi sento una mosca bianca: sono in buona compagnia. Forse
tutto questo rigore, che mi ha anche creato qualche incidente
diplomatico, mi rende finalmente giustizia. D'altra parte, sono esposto
a rischi terribili: se vado a trasmissioni come Vota la voce o Domenica
In, scoppia il finimondo..."
E quando viene adottato da una parte politica?
"E' molto fastidioso. Quando scrissi "Viva L'Italia", il
Pci mi chiese di poterla utilizzare per un manifesto. Risposi di no,
anche se avevo sempre votato per quel partito. Trovo sconveniente che un
artista accetti un ruolo subordinato per una sua canzone".
Nell'album "Prendere e lasciare" affiora l'America...
"Uno nato, come me, nel 1951, non può non avere mitologie legate
all'America. Sono cresciuto con i grandi film di Hollywood. In camerino
ho un videoregistratore: prima del concerto mi guardo film come "Scarface"
con Al Pacino o "Indipendence day"..."
Chissà cosa diranno i fan...
"Io lo trovo straordinario. Nel mettere in scena la frivolezza, gli
americani non sono mai banali. Nemmeno in letteratura: penso ai romanzi
noir di Patricia Cornwell..."
Sono queste le sue passioni?
"Naturalmente c'è anche il Salinger del "Giovane Holden"
e il McCormack di "Cavalli selvaggi". Mi piace Carver: molti
autori, anche di cinema, dovrebbero essergli riconoscenti".
Al cinema chi le piace?
"Robert Altman e Sam Peckimpah che mi ha ispirato "Bufalo Bill".
Ho preso spunto dal protagonista della "Ballata di Cable Hogue":
l'avventuriero che finisce schiacciato da un'automobile. Un modo molto
bello per descrivere il passaggio dall'età dei bufali a quella delle
macchine".
Così preferisce gli americani agli europei...
"Sono molto più bravi a comunicare idee ed emozioni. Quando, in
Italia, si parla di cinema impeganto, si finisce sempre dalle parti del
neorealismo. Allora, forse, è meglio la commedia all'italiana..."
E la canzone d'autore?
"Ha saputo riempire dei vuoti culturali. Specie quello lasciato
dalla poesia, che ha un ruolo marginale nella cultura dei giovani
d'oggi".
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La
valigia dell'attore
di Giovanni Cerutti
Con il doppio CD "La valigia dell'attore" Francesco De Gregori
pubblica il sesto live della sua carriera. Se si eccettua, infatti,
"Banana Republic" che testimoniava il tour con Lucio Dalla del
1979 - peraltro si tratta di registrazioni per la massima parte
provenienti dai check-sounds a causa di problemi tecnici - ha già
pubblicato "Nientedacapire", "Musica leggera" e
"Catcher in Sky" nel 1990, "Il bandito e il
campione" nel 1993 e "Bootleg" nel 1994.
Mentre i primi tre live erano il risultato di due anni di registrazioni
- dal 1987 al 1989 - , gli ultimi due testimoniano un tour -
"Bootleg" addirittura un singolo concerto. Anche se i quattro
inediti presenti - per tre si tratta di versioni registrate in studio -
sono stati generalmente ben accolti dalla critica, la scelta di
pubblicare un altro disco dal vivo ha sollevato qualche critica, simile
del resto alle polemiche nate in corrispondenza all'uscita di
"Bootleg" a ridosso del "Bandito e il campione".
Non ci si è invece interrogati a fondo sul senso del lavoro di De
Gregori nei concerti di questi anni, che la pubblicazione di questi
dischi vuole sottolineare.
La lettura che propongo è che De Gregori si stia confrontando con il
più significativo tentativo di trovare un posto alla canzone
nell'espressione artistica contemporanea, cioè con il Never Ending Tour
di Bob Dylan.
A partire dal 1975, dopo la pubblicazione di Desire, Dylan decide di
riprendere un suo vecchio progetto a più riprese vagheggiato durante
gli anni Sessanta che prevedeva di costruire uno spettacolo rock avendo
come riferimento le rappresentazioni teatrali di Broadway.
Ha ormai capito che la registrazione in studio ha assunto una
complessità tecnica a cui non intende adeguarsi - Planet Waves e Blood
On The Tracks sono stati registrati in tre giorni, Desire in una notte -
, come invece fanno molti suoi coetanei, perché non la ritiene in grado
di confrontarsi con le altre modalità espressive dell'arte
contemporanea.
Lo farà di tanto in tanto - Infidels nel 1983, Oh Mercy nel 1989, Time
Out of Mind quest'anno - e saranno sempre capolavori.
Se la canzone avrà un futuro come arte in grado di parlare all'uomo
contemporaneo dipenderà dal palcoscenico: "Ciò che faccio è più
che una cosa immediata. Sei su di un palco e canti, ottieni una cosa
immediata... non è come scrivere un libro o registrare un disco... ciò
che faccio è così immediato che cambia la natura, il concetto stesso
di arte" (cfr. Paolo Vites "Friend of the devil"
Satisfaction settembre 1992).
Nel 1975 costituisce la Rolling Thunder Revue con la sua band - T-Bone
Burnett, Howie Wyeth, Dave Mansfield, Steve Soles, Rob Stoner, Luther
Rix , Mick Ronson e Scarlet Rivera - e molti altri artisti tra cui Joan
Baez, Joni Mitchell, Bob Neuwirth, Roger McGuinn, che gira la provincia
americana con concerti annunciati sulle radio locali fuori da ogni
circuito.
Al tour - che dura due anni e sarà un controcanto alle celebrazioni del
bicentenario, culminando con il concerto al Madison Square Garden per la
liberazione del pugile nero Rubin "Hurricane" Carter
ingiustamente incarcerato - partecipano Allen Ginsberg e Sam Shepard,
che da quell'esperienza ricaverà un libro che darà il senso
dell'importanza di Dylan nella cultura americana.
Il mancato sostegno della CBS e i conseguenti problemi finanziari
costringono Dylan a sciogliere la Revue, ma l'idea di ridefinizione del
rock come performance dal vivo ha mosso i primi convincenti passi.
Niente dischi nuovi da promuovere, nessun effetto sul palco, solo la
forza della musica e delle parole.
Alla rilettura del suo repertorio - che approfondisce le canzoni
scavandone l'essenziale fino al nucleo che le rende sempre vive - si
unisce la rilettura della tradizione folk americana da Woody Guthrie ai
canti tradizionali, nel tentativo di precisare il senso della forma
canzone come espressione d'arte.
Dal 1978 al 1987 Dylan sviluppa ulteriormente la sua idea di performance
live come luogo privilegiato della creatività, in questo aiutato dal
fatto di avere già alle spalle un repertorio imponente che è già
riconosciuto come riferimento ineliminabile - recentemente Giancarlo
Susanna ha scritto sull'Unità "è lui l'unico veramente
indispensabile" - da tutto il mondo della canzone, e non solo, come
testimonia l'inserimento nella rosa finale per l'assegnazione del premio
Nobel per la letteratura nel 1996.
Le tappe saranno scandite dal tour mondiale del 1978 - con il ritorno in
Europa dopo dodici anni -, dai gospel tour dal 1979 al 1981 - a chi gli
chiedeva come mai dopo solo un anno ritornasse nelle stesse città degli
States con il rischio di non avere più folle imponenti in cerca
dell'evento rispondeva che non era quello il senso dei suoi concerti...
-, dal tour del 1984 con Mick Taylor alla chitarra, dai tre tour con Tom
Petty e gli Heartbreakers nel 1986 e nel 1987 inframmezzati da sei
concerti americani nel luglio del 1987 con i Grateful Dead che ancora
oggi detengono tutti i primati di affluenza di pubblico.
Ed è proprio durante questi concerti che matura l'idea del Neverending
Tour: "Se sei un'artista vero, ti devi dare al tuo pubblico
interamente, non puoi andare in tour ogni tre anni, come facevo anch'io
prima del tour con i Grateful Dead" (P. Vites cit.). E dal giugno
1988 ad oggi Dylan è ininterrottamente in tour, suonando in tutto il
mondo sia in grandi città che in provincia - in Italia, ad esempio, ha
suonato a Merano, Aosta, Udine - o in piccoli club - famosa la serata al
Toad's place di New Haven, un piccolo club con circa cento posti, dove
nel gennaio 1990 ha suonato per più di quattro ore - con una media di
centoventi/centocinquanta concerti in un anno.
Lontano dai riflettori dei media, ma non della critica più attenta,
Dylan sta ponendo le basi di una definizione del concerto dal vivo come
forma d'arte.
Una forma d'arte che per la sua unicità di performance e la sua non
ripetibilità
è in grado di rendere al meglio i travagli dell'uomo contemporaneo.
Credo si possa tentare di enucleare alcune caratteristiche salienti di
questo lavoro. In primo luogo il rifiuto di qualsiasi artificio esterno
alla musica. In clamorosa controtendenza sia con i suoi coetanei - vedi
gli Stones - che con le generazioni più giovani - U2 - nei concerti di
Dylan c'è solo la musica.
Suona solo in luoghi di dimensioni contenute dove il rapporto con il
pubblico non sia di tipo celebrativo - i "grandi stadi della
dannazione" li ha definiti una volta - ma dove sia possibile
ascoltare.
Non cede alla tentazione del "come eravamo". Nei suoi concerti
non ci sono "i Favolosi anni sessanta"; per lungo tempo non ha
cantato le canzoni che tutti volevano, o se le ha cantate ha dato loro
una veste calata nella contemporaneità.
Le scelte musicali. La formazione della band è essenziale: due chitarre
- una è Dylan - basso - contrabbasso nei pezzi acustici - , batteria -
nei concerti del 1992 ci sono state due batterie - , a cui si è
aggiunto dal 1992 il pedal steel. I musicisti non sono molto famosi, a
parte G.E. Smith che ha suonato i primi due anni. Il rapporto con le sue
canzoni.
Come hanno notato Gino Castaldo e Roberto Giallo per Dylan non esiste la
versione originale di una canzone. C'è un appunto pubblicato sul disco
continuamente sviluppato, lasciato cadere se non funziona o lasciato
quando sembra non offrire altri spunti, salvo riprenderlo dopo qualche
tempo se si trova un aspetto inedito o un versante non esplorato.
Sempre tenendo la canzone ben dentro la contemporaneità - che non vuol
dire attualità - mai per celebrarsi. Le linee melodiche sono
continuamente cambiate - nei concerti del 1990 e 1991 ha tentato persino
di cantare su tonalità diverse da quelle suonate - i testi
continuamente sviluppati con cambi di prospettiva - ad esempio in Simple
Twist Of Fate la terza persona narrante cambia continuamente da un
versione all'altra - soppressione di strofe o scrittura di nuove,
ricerca di aggettivi sempre più calzanti, ma sempre in sequenze
logiche: ogni versione presuppone le precedenti sia musicalmente che per
i testi.
La parte musicale è dilatata sovente oltre la durata del testo cantato
con continue improvvisazioni.
Non esiste una scaletta di concerto. Dylan prova gruppi di
settanta/ottanta canzoni per volta che ruota ciclicamente. Ogni sera la
scaletta dipende dal clima che si crea sul palco e spesso i musicisti
devono improvvisare canzoni che non sanno: "Provare, per me e la
mia band, nel senso di provare una canzone, vuol dire sapere il titolo e
in che accordo va suonata. Fatto questo, abbiamo provato" (P. Vites
cit.).
Alle sue canzoni si affiancano pezzi della tradizione folk, country
songs, o cover di autori non sempre conosciuti. Il risultato di tutto
questo è elettrizzante. Il pubblico avverte subito che non c'è né
routine, né mestiere ma qualcosa di vivo. Ogni sera Dylan mette a
repentaglio la sua carriera senza rete, ed infatti può capitare il
concerto in tono minore. Questa lunga digressione credo possa consentire
di rileggere il lavoro di De Gregori in una luce nuova.
Il riferimento al lavoro di Dylan - sentito come l'esperienza centrale
della musica contemporanea che cerca di dare alla canzone dignità di
forma d'arte - appare evidente in alcune scelte, così come l'ulteriore
elaborazione secondo la propria sensibilità di artista e la propria
cultura.
Così si inquadrano i cambi di scaletta sera dopo sera, la ricerca di un
suono non interamente pacificato - nel 1992 De Gregori adotta la stessa
formazione adottata da Dylan con una chitarra in più per poi aggiungere
strumenti della tradizione italiana come l'organetto o la fisarmonica -
il lavoro sulle linee melodiche delle canzoni e sui testi per saggiarne
la capacità di essere sempre significanti, insomma il tour come work in
progress, come momento di produzione artistica del quale non si può
fare a meno.
Certo De Gregori è legato a un concetto di canzone più formale,
perché la
letteratura italiana ha alle spalle una tradizione più vincolante che
si riflette anche sulle culture popolari, mentre la letteratura
americana è più giovane, per certi versi senza storia.
Credo, quindi, che il senso ultimo della pubblicazione dei dischi live
sia lasciare un documento - la tradizione... - di questo continuo lavoro
sul palco, "la mia attività stradaiola" come l'ha definito De
Gregori in un intervista a Vincenzo Mollica.
La valutazione andrebbe allora fatta sulla validità e sul senso
complessivo dei risultati raggiunti, piuttosto che sulla constatazione
che si tratta dell'ennesimo disco live.
http://www.maggiesfarm.it/valigia.htm
|
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06
GEN - Reggio Calabria - 07 GEN - Cosenza 09 GEN -
Brindisi 10 GEN - Gallipoli 13 GEN - Sanremo 14 GEN - Biella 15 GEN -
Mantova 20 GEN - Napoli 21 GEN - Firenze 22 GEN - Firenze 23 GEN - Livorno
04 FEB - Vicenza 05 FEB - Pistoia 06 FEB - Siena 07 FEB - Pisa 08 FEB -
Bagnacavallo 10 FEB - Venezia 10 MAR - Torino 12 MAR - Cuneo 13 MAR -
Pavia 14 MAR - Desio 15 MAR - Brescia 16 MAR - Pesaro 18 MAR - Terni 19
MAR - Lucca 20 MAR - Lucca 21 MAR - Vercelli 22 MAR - Belluno 24 MAR -
Genova 25 MAR - Alessandria 26 MAR - Trieste 27 MAR - Trento 4 APR -
Catanzaro 6 APR - Salerno 8 APR - Benevento 10 APR - Padova 16 APR -
Bergamo 17 APR - Chiavari 21 APR - Milano 22 APR - Milano 24 APR -
Tavagnasco 17 GIU - Sannicandro garganico 18 GIU - Bari 24 GIU - Varese 19
LUG - Priverno 20 LUG - Guglionesi 21 LUG - Milano 22 LUG - Borgaro
Torinese 25 LUG- Norimberga 26 LUG - Salza di Pinerolo 27 LUG - Firenzuola
28 LUG - San Giovanni al Natisone 01 AGO - Vittoria 03 AGO - Adrano 07 AGO
- San Martino Valle Caudina 08 AGO - Nettuno 09 AGO - Montalto di Castro
11 AGO - Chianciano Terme 12 AGO - Massa 14 AGO - Martinafranca 15 AGO -
Gallipoli 17 AGO - Letojanni 24 AGO - Loro Piceno 26 AGO - Pescara 28 AGO
- Ventimiglia 30 AGO - Castagnole Lanze 01 SET - Todi 04 SET - Portici 05
SET - Fiuggi 06 SET - Bologna 07 SET - Ravenna 08 SET - Genova 09 SET -
Cagliari 11 SET - Roma 12 SET - Reggio Emilia 14 SET - Belmonte Mezzagno
15 SET - Cefalu' 16 SET - Caltanissetta 17 SET - Realmonte 16 OTT - Torino
(Lingotto) 4 DIC - Torino (Palastampa) 11 DIC - Udine (Palasport) 13 DIC -
Milano (Forum Assiago) 16 DIC - Bari (Teatroteam) 18 DIC - Roma (Palaeur)
19 DIC - Napoli (Palapartenope) 31 DIC - Assisi 16 DICEMBRE - Ravenna - La
Via dei Romei (con A. Sparagna) - Teatro Alighieri 17 DICEMBRE - Ravenna -
La Via dei Romei (con A. Sparagna) - Teatro Alighieri |
Un concerto in segreto per Francesco De Gregori
Un concerto in segreto per Francesco De Gregori,
ricomparso improvvisamente, a cinque mesi dall'esibizione di San Silvestro
ad Assisi, al Teatro Masini di Faenza, davanti a 450 spettatori paganti.
Tanto mistero attorno a questa apparizione pero' non celava alcuna
sorpresa. un concerto durato nemmeno due ore, circa 25 pezzi, qualcuno in
meno di quelli incisi nell'ultimo cd La valigia dell'attore. De Gregori ha
rispettato abbastanza la scaletta del disco, proponendo le classiche La
donna cannone, Rimmel, Alice e La leva calcistica della classe '68 e
Titanic. Una dedica per il monsignor Tonini, Agnello di Dio, e poi i bis
Niente da capire, Bufalo Bill e Battere e levare. Delusione del pubblico
che non ha potuto ascoltare la tanto richiesta Generale. Di sicuro quello
di Faenza e' stato il suo unico concerto italiano per il '98.
(30 maggio 1998)
Francesco De Gregori: concerto spartano. Fazio sul
palco
Il "Corriere della Sera" racconta di una
"Sorpresa ieri sera alla Villa Reale di Monza al primo concerto del
nuovo tour estivo di Francesco De Gregori. Il cantautore aveva appena
eseguito due bis e la gente si avviava all'uscita quando è apparso sul
palco Fabio Fazio, che ha detto: "Ci sono volute due ore a
convincerlo, ma è ancora qui e ci canterà 'Pablo'". De Gregori ha
replicato: "E' un bravo ragazzo, ha solo un difetto: ha presentato
Sanremo. Ma lo perdono". E ha intonato la canzone sull'emigrante
Pablo. E' stato l'unico colpo di coda spettacolare di un concerto
"alternativo"", ineccepibile anche se piuttosto freddo. De
Gregori ha proposto a Monza un normalissimo concerto all'insegna della
ruvidezza sonora privilegiando i brani meno conosciuti. Economia
nell'allestimento significa maggior margine economico per l'artista e
biglietto accessibile per gli spettatori (32 mila lire seduti). (...) La
scarsa voglia di comunicare è compensata dall'ineguagliabile timbrica e
dalla grandezza del repertorio nel quale l'artista sceglie a capriccio
stando attento a non assecondare i gusti da hit parade della gente: manca
"La valigia dell'attore", in compenso ci sono "Ninetto e la
colonia", "Atlantide" e perfino "L'uccisione di Babbo
Natale". (02 Lug 99)
ERMANNO: Contraddistinto dall’odore del
sigaro che porta sempre dietro, è arrivato Francesco De
Gregori. Benvenuto!
DE GREGORI: Grazie.
ERMANNO: Salve, come va?
DE GREGORI: Bene, bene.
ERMANNO: Grazie per questa improvvisata.
Oramai qui lei è di casa, visto che…
DE GREGORI: Bè, sono di casa anche perché
abito qui vicino, quindi….
ERMANNO: Quindi questo è l’unico motivo
per cui ci fa visita qui?
DE GREGORI: No, no, anche per l’amore che
porto per la radio in genere e a Radio Subasio.
ERMANNO: Allora, c’è quest’album che è
ancora in voga, un album che sta viaggiando, Non
inspiegabilmente, però sta viaggiando molto bene, forse al
di là delle sue più rosee previsioni.
DE GREGORI: Non è che si facciano delle
previsioni quando uno fa un disco; si augura chiaramente che
venda, che vada bene, che la gente lo apprezzi. Si cerca di
non mettere il carro davanti ai buoi. Comunque sì, per
essere un disco dal vivo, è un disco che mi ha dato
parecchie soddisfazioni.
ERMANNO: Cosa le è successo dall’ultimo
concerto di Capodanno, che ha avuto questa….
DE GREGORI: Quello è stato l’ultimo
concerto che ho fatto e quindi lo ricordo con un po’ di
nostalgia.
ERMANNO: Quindi si è riposato.
DE GREGORI: Mi sto riposando. E anche
troppo. Mi piacerebbe ricominciare ad andare un po’ in giro
però adesso credo che io e anche il pubblico abbiamo
bisogno di riposo.
ERMANNO: Quindi se ne va in vacanza?
DE GREGORI: Sto già in vacanza. Questa è
una specie di vacanza.
ERMANNO: Una domanda che io avrei sempre
voluto farle, poi l’occasione non c’è mai stata. Guardando
le sue canzoni, anche quelle di vent’anni fa, quelle più
vecchie, c’è questa… c’è bisogno, per scrivere una canzone
di De Gregori, di una dose massiccia di fantasia, o no? Da
dove nascono le sue canzoni? Sì, c’è molta realtà, però….
DE GREGORI: La fantasia è un ingrediente
fondamentale di ogni creazione, no? Qualsiasi tipo di arte,
se non c’è la fantasia dietro……. più che la fantasia ci
vuole, secondo me, mancanza di pudore per scrivere delle
canzoni, come anche per fare un quadro, ecco. Si tratta un
po’ di scoprirsi, di raccontare se stessi, no? La fantasia
ce l’abbiamo tutti, la mancanza di pudore è una cosa che
invece… forse è un privilegio. Comunque è una cosa che uno
deve coltivare con disciplina, perché io non avrei sempre
voglia di raccontare gli affari miei, però spesso nelle mie
canzoni lo faccio.
ERMANNO: E’ per questo che lei passa per
antipatico?
DE GREGORI: Mah… questa è una vecchia
diceria, non mi sembra di essere antipatico.
ERMANNO: E’ vero, comunque, che non c’è
un’intervista di De Gregori in ogni settimanale che fa un
milione di copie….
DE GREGORI: Questo non vuol dire essere
antipatici, vuol dire non avere troppa voglia di svendere
se stessi…..
ERMANNO: Sì, voglio dire: viene cinque
volte a Radio Subasio che ha tre-quattro milioni di
radioascoltatori e questo ci riempie di orgoglio e di gioia.
Poi, magari, snobba altre tirature, altre cose importanti…
DE GREGORI: No, è perché mi piace di più
la radio che non i giornali, perché c’è una mediazione in
più nei giornali che è il giornalista. Il giornalista spesso
ti fa dire delle cose che tu non hai detto, non perché vuole
fartele dire ma perché deforma un po’ le cose. Invece la
radio … sto parlando, si sente esattamente quello che dico,
tutte le stupidaggini o tutte le cose insensate che
eventualmente posso dire. Quindi mi piace di più parlare col
pubblico attraverso il microfono, anche perché il mio lavoro
si svolge attraverso un microfono, quindi…Non dico che è
come se stessi cantando, però ci somiglia un po’.
ERMANNO: Da quando era un ragazzo che
giocava a ramino e fischiava alle donne a oggi cos’è
cambiato, cos’è successo? Chiaramente ci vorrebbe un libro!
DE GREGORI: Bè, quello che è successo a
tutti qando si passa dai vent’anni ai quaranta.
ERMANNO: Si sente giovane o si sente
vecchio?
DE GREGORI: Mi sento l’età che ho, che è
un’età di mezzo. Vorrei rispondere con una banalità: che mi
sento più vecchio di allora e mi sento più giovane di quello
che sarò. Certo, se mi paragono a Ermanno mi sento molto più
giovane. Sto scherzando. Certo, quando ero giovane non mi
rendevo conto dell’età che avevo e nemmeno adesso mi rendo
conto dell’età che ho.
ERMANNO: Quindi secondo lei è bene vivere
senza porsi troppi problemi?
DE GREGORI: Bè, non quello dell’età, non
in maniera prioritaria. Poi te lo ricordano gli altri: il
medico, il barbiere….
ERMANNO: Che effetto le fa avere tra i
suoi fans i quindicenni, i sedicenni, i ventenni, gente che
l’ha scoperta anche tardi. Per esempio il mio caso, io l’ho
scoperta molto tardi, forse perché il suo non curare
l’immagine fa sì che certe cose non arrivino …
DE GREGORI: Mi fa piacere avere un
pubblico. Un pubblico comunque. Un pubblico giovane in
questo mestiere vuole dire avere la garanzia che quello che
fai viene ancora ascoltato, perché chi compra musica, di
solito, ha quell’età lì: dai 15 ai 20-22 anni. Quindi se non
ci fosse questa fascia di età fra la gente che compra i miei
dischi (o che sente le mie canzoni) io sarei uno tagliato
fuori dal mercato. Potrei forse andare in teatro a fare
concerti per la gente della mia età ma non mi piacerebbe più
di tanto.
ERMANNO: Crede di più nella dimensione
Live, nel contatto che le dà un giovane, quindi sente di più
di poter…?
DE GREGORI: Sì, io sicuramente mi diverto
di più quando vado in giro a suonare con il gruppo. Fare un
disco è anche interessante però è un lavoro che richiede
molta disciplina, richiede anche una certa freddezza. E poi
tutte le volte che faccio un disco dopo un mese vorrei già
cambiare certe cose. Invece se fai un concerto, la sera dopo
ne fai un altro e quindi le cose che vuoi cambiare le puoi
cambiare.
ERMANNO: Un disco da studio a quando?
DE GREGORI: Non credo prima di un anno.
ERMANNO: C’è qualcosa in cantiere, sta
scrivendo?
DE GREGORI: Idee, cose varie…
ERMANNO: Cos’è che la ispira
principalmente? Se c’è qualcosa che la ispira. O lei si
mette a tavolino e dice “adesso scrivo!”? Non credo.
DE GREGORI: No, non mi metto a tavolino.
Mi ispira un po’, lo dicevo prima, la mia vita e quello che
mi succede. Comunque mi metto anche a tavolino, non è vero
che l’ispirazione ti colga in un momento .. mentre magari
stai viaggiando in treno e scrivi una canzone così, no.
Magari ti viene un’idea mentre stai viaggiando, però poi ti
devi mettere al pianoforte, se non al tavolino.
ERMANNO: Certo, dosi massicce di realtà.
Io ricordo la mia esperienza quando uscì “Bambini venite
parvulos”. Non si capì molto, lì per lì, cosa voleva dire.
Poi uscì Tangentopoli quache anno dopo e allora dissi “Ma
allora De Gregori è stato profetico in questo caso”.
DE GREGORI: Mah… questo fatto della
profezia…
ERMANNO: Ecco, era facile prevedere.
DE GREGORI: Diciamo che forse un artista,
spesso, può decifrare la realtà contemporanea con più
lucidità di un giornalista o di un politico, proprio perché
essendo svincolato, essendo libero, riesce a guardare la
contemporaneità con maggiore attenzione, con maggiore
lucidità. E questo può sembrare, a volte, di avere un
comportamento profetico. In realtà no, non credo ancora di
essere diventato un profeta.
ERMANNO: Va bene, la liquido e la lascio
alle sue amicizie e a questo grosso incontro che c’è qui in
radio, coi suoi fans che verranno a trovarla, credo che ci
sia qualcuno di sopra ad attenderla…Io so che lei non firma
molti autografi …
DE GREGORI: Ahh… questi glieli firmo
perché hanno fatto tutta questa strada!
ERMANNO: Ascoltiamo una canzone che non è
una canzone tra le più importanti, che è Atlantide, ecco il
motivo che lei mi ha lasciato scegliere….
DE GREGORI: Per me, comunque, sono tutte
importanti. Questa è particolare, è una canzone che amo
molto, una canzone che non ha avuto un grande successo.
Spesso le canzoni che non hanno avuto successo sono quelle
che uno ama di più.
ERMANNO: Se questo può consolarla,
qualcuno l’altro giorno disse “cos’è questa canzone cosi
bella? Ditemi il titolo che me la vado a prendere!”.
DE GREGORI: Va bene. Grazie, allora.
ERMANNO: A presto. E aspettiamo un nuovo
album.
DE GREGORI: Speriamo presto. Arrivederci.
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Il cantautore contro il senatore
28 aprile 1998 -
AI.Men.
Il senatore contro il cantautore. E poi il cantautore
contro il senatore. La querelle che contrappone Francesco Da Gregorí e
Maurizio Ronconi si arricchisce di un nuovo capitolo: dopo le denunce
scritte siamo alle querele in tribunale. E tutto per colpa di quella
recinzione dietro alla quale, a sentire Ronconi, ci sarebbe una truffetta
messa in atto da Da Gregorí con la complicítà di funzionari e
amministratori della Provincia di Perugia e dei Comune di Spello. E lo
scontro, c'era da prevederlo, era inevitabile essendo Da Gregori un
personaggio spígoloso e Ronconí una sorta di Píerino che si diverte a
creare difficoltà agli amministratori del centrosinistra.
E così nella storia del recinto e dell'íscrizione
dei cantautore Francesco Da Gregori nell'"albo dei rípopolatori"
di fauna (condizione necessaria per ottenere l'autorizzazione a recintare)
c'è adesso anche la díffamazione. Ronconi aveva accusato Da Gregori, in
un giomale di partito, di avere ottenuto con favoritismo politici
l'autorizzazione a recintare la sua villa di Spello. Il parlamentare ha
fatto sapere attraverso il suo difensore, l'avvocato Marzio Modena, che
sarà "il primo a caldeggíare" l'autorizzazione a procedere da
patte dei Senato per giungere al processo. Da Gregori -ha detto Modenaha
una tenuta di otto ettari, in gran parte oliveti, sulle pendici del Monte
Subasio. Per recintare il terreno si è iscritto nell'albo dei "ripopolatori",
gestito dalla Provincia, poichè intende allevare 20 daíni.
Così -secondo l'avvocato- in poco tempo ha ottenuto
dal Comune di Spello la concessione edílízia per la recínzione.
Nel settembre scorso Ronconí, in un articolo della
"Discussione di Spello", periodico del Cdu locale, dal títok
"De Gregori sì, i cittadini di Spello no", denunciava
"accelerazioni e favoritismo" nella "iscrizione in tempi
record" nell'albo di "ripopolatorí" e nella concessione
per il recinto per le sue "simpatie politiche" affini alle
giunte locali. Cosa ci ha fatto vomitare di bile il cantautore. Che,
convinto di stare nel giusto, adesso vuole giustizia.
L'
altro De Gregori. Concerto senza politica e brani poco conosciuti. A
sorpresa Mimmo Locasciulli come ospite
Francesco De
Gregori ieri sera all' ex Mattatoio ha portato a spasso i suoi brani meno
noti. Con uno stile ruvido, un impatto sonoro essenziale, il cantautore ha
chiamato a raccolta oltre diecimila persone. Erano tre anni, dal concerto
a Caracalla, che non si esibiva a Roma. Al centro una pedana in legno per
i disabili. Sullo sfondo i tetti di Testaccio; a sinistra il Gasometro e
poi il centro sociale Villaggio Globale: sul tetto sventola la bandiera
rossa dei curdi di Ocalan: fa mmolto Festival dell' Unita (all' antica). E
infatti siamo qui per questo. De Gregori ieri si e offerto gratis,
giocando in casa al Festival dell' Unita . Il piazzale e tutto un
ribollire di umori popolari. C' e l' odore forte delle salsicce grigliate.
Ci sono i riverberi fastidiosi del Testaccio Village, ma nessuno ci fa
caso (l' acustica ieri era eccellente). I portici ocra dell' ex
Mattatoio,
con i bambini indifferenti alla musica che giocano a palla lungo i murales,
ricordano una piazza sudamericana. Chiusa al
traffico via Galvani. Il cappello in testa, la maglietta bianca, il
Principe (lo chiamano cosi per il carisma impastato di coerenza) mostra il
suo rock nudo, poesie metafisiche, rime dissacranti, filastrocche dolci e
sinuose e poi politiche a ripercorrere gli enigmi dell' Italia
repubblicana. Ma ieri sera era un De Gregori diverso, e non solo per la
scaletta avara di classici: un concerto dell' anima, interiore,
arrangiamenti ridotti all' osso, ma lunghi e corposi. A sorpresa, a meta
concerto dopo la fisarmonica e gli organetti di Ambrogio Sparagna, arriva
il secondo ospite: Mimmo Locasciulli, che De Gregori considera il suo
delfino. E l' unico momento in cui Francesco prende la parola: aveva
appena
proposto la cover di uno splendido brano di Leonard Coen,
Il
futuro, tradotto in italiano proprio da Locasciulli. E poi ecco Battere e
levare, le disillusioni in un mondo poco consolatorio, dove bisogna fare e
disfare, continuamente e malamente e con amore, mentre guarda una strada
ma non sa dove andare.... Scorre la Bell' Italia di De Gregori, integrita
e autenticita . Ma lui non lancia proclami. Non una parola dal palco.
Quasi immobile, pochi sorrisi, non compra la platea con scorciatoie da
saltimbanco. Algido, a tratti quasi scostante, l' unica cosa che non si
riesce a perdonargli e il no perentorio ai fotografi (ma lo speaker prima
che il concerto inizi dice al pubblico: Potete fotografare quanto volete).
Si comincia alle 21.30 con la remota Pezzi di vetro, eseguita solo alla
chitarra. Il De Gregori acustico torna per La donna cannone, e il pubblico
si unisce in coro a lui: caso raro di canzone che sopravvive al film (era
la colonna sonora della pellicola con Monica Vitti). Un concerto
minimalista con una carica emotiva nascosta eppure e li . Ecco Alice e
Rimmel, Generale. Fino a Buonanotte Fiorellino: giorni fa alla radio, in
una delle sue rare uscite pubbliche, De Gregori ha detto che e la sua
canzone piu bella. In molti si aspettavano che la sua preferenza andasse
ad una canzone politica. Ma ieri De Gregori ci ha fatto capire che Pablo e
ancora vivo. Valerio Cappelli
Cappelli
Valerio - (17
luglio 1999) - Corriere della Sera
|
Incanto
a due voci (Maria Piera Bartolini
Salimbeni)
La
musica e le sue emozioni non hanno niente a che vedere con le leggi dei
numeri; in matematica, il "tutto" e’ la somma delle parti. L’altra
sera a Modena dividevano lo stesso palco Fiorella Mannoia e Francesco De
Gregori, ma quello a cui hanno assistito i 30mila spettatori presenti
non e’ stato un semplice incontro artistico, un puro accostarsi di
voci. Testimone una vivida luna piena, su quel palco e’ nato qualcosa
di nuovo che ha attraversato le coscienze, i cuori e le schiene di tutti
i presenti. C’era nell’aria il senso dell’evento: come se Fiorella
e Francesco si stessero incontrando dopo essersi cercati per una vita;
come se ognuno aspettasse da tempo la voce dell’altro per portare la
propria ancora piu’ in alto, e per dare fiato insieme ad una
sensibilita’ comune, ad un mondo visto dalla stessa angolazione, ad
una realta’ vissuta rifuggendo dalle verita’ immediate, scavando nei
risvolti di cose e persone. Da questo punto di vista, gia’ da anni
Fiorella e Francesco cantano la stessa poesia.
Il
concerto si apre con le rispettive esibizioni "a solo". Prima
De Gregori, poi la Mannoia; e mentre Fiorella racconta le sue storie,
Francesco fa il giro del palco e si siede ad ascoltarla. Si siede per
terra; da amico, da ammiratore. E’ poi il momento dell’incontro. Nel
dividere il palco ci guadagnano entrambi. A lui, nella sua parte di
esibizione misurato e vagamente distante come di consueto, l’intervento
sulla scena di Fiorella regala grazia, leggerezza e solarita’: e’ un
De Gregori inedito quello che sorride, si lascia andare, scherza con il
pubblico e con la sua compagna di scena e si presta anche ad
interpretare a due voci I treni a vapore, successo di Fiorella scritto
dal collega Fossati, e Il pescatore, in omaggio a Fabrizio De Andre’.
Alla voce di lei, il misurarsi su un terreno meno consolidato rispetto
al proprio repertorio, il poter fare propri brani cercati, voluti, e
soprattutto amati per una vita, dona una potenza ed un’intensita’
che levano il respiro.
La
scaletta attinge alla parte piu’ ritmica e coinvolgente del repertorio
di De Gregori. Arrivano cosi’ Titanic, Ninetto e la colonia, Bufalo
Bill, Sotto le stelle del Messico e L’uccisione di Babbo Natale. Ma il
pubblico aspetta anche le pagine storiche e piu’ struggenti, ed
accoglie cosi’ con un forte applauso Generale e poi La donna cannone,
forse il brano piu’ amato di Francesco, che lui decide di consacrare
al talento di Fiorella cedendole del tutto il palco.
Le
due voci, cosi’ diverse eppure mai come l’altra sera parte di uno
stesso canto, si completano alla perfezione, e l’emozione ormai
avvolge tutti: i due sul palco -i cui occhi brillano per l’orgoglio di
un’amicizia che va ben oltre il rapporto professionale,- ed il
pubblico, che da questa realta’ uscira’ completamente conquistato.
Dopo
tre ore di spettacolo e due bis, Fiorella e Francesco salutano e
abbandonano il palco abbracciati. Forse sono anche loro parte dei 30mila
per i quali sara’ difficile dimenticare.
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alcune
date
1999
29 GIUGNO - Cervia 01 LUGLIO - Monza - Villa Reale 11 LUGLIO - Villafranca
(VE) 15 LUGLIO - Ricaldone (Al) - campo Sportivo 16 LUGLIO - Roma Festa
dell'Unità - Testaccio Village 17 LUGLIO - Trepuzzi (LE) - Stadio 18
LUGLIO - Polignano a Mare (BA) - Lungomare 21 LUGLIO - Napoli - Festa
dell'Unità 23-27 LUGLIO - Catania - Piazza Università 29 LUGLIO -
Alghero, campo sportivo 04 SETTEMBRE - Taormina (ME) - Teatro Greco 25
SETTEMBRE - Modena - Festa dell'Unità (con F. Mannoia) 13 OTTOBRE -
Teramo - Piazza dei Martiri (con M. Locasciulli)
2000
APRILE - S. Benedetto del Tronto (AP) - Palacongressi Teatro-Concerto
(Ascoli Festival oltre il Medioevo): 17 LUGLIO - Ascoli Piceno - Chiostro
di S. Domenico "La via dei Romei"
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