Sulla strada di un Paese
abbandonato.
di Giommaria Monti
«Ho fatto un disco e sono felice
di esserci, che ci sia gente che lo ascolti, senta la vitalità artistica
e creativa».
Il cantautore romano parla del suo
ultimo lavoro. E dell’Italia al tempo dei tecnici: «Tornare alla
politica per dare uno scatto alla crescita»
Giro per la mia terra abbandonata,
abbandonato e solo». “Passo d’uomo”, la seconda canzone del nuovo lavoro
di Francesco De Gregori Sulla strada, racconta la solitudine e la
marginalità difficile di chi cammina ai bordi della strada. De Gregori
usa la chiave del viaggio per accompagnarci dentro pezzi di realtà di un
Paese disorientato.
Sulla strada è un racconto di «quel
che vedi dai finestrini di questa macchina usata». Lo sguardo è il suo?
E’ un disco molto piantato su me
stesso, queste nove canzoni parlano di cose vissute, immaginate o
ricordate da me. L’uomo sulla strada sono io, ma mi sento parte di una
comunità: quelli che incontro, la politica, il destino di ognuno è una
quotidianità basata sul mettersi in gioco, sull’uscire da casa, sullo
smarrirsi anche tra conoscenze, incontri, ripudi, delusioni, ansie. Sono
sempre stato attratto dalla strada, dal gusto del viaggio. Che vuol dire
incontro, anche se non è necessariamente l’avventura di Ulisse.
Il suo viaggio dura da quarant’anni.
Quanto ha visto l’Italia cambiare?
Non vedi di più stando su un palco.
Lei, come altri, pensa che chi fa il mio mestiere percepisca in modo più
profondo i cambiamenti del Paese. Vedo quello che vedono tutti:
un’Italia che attraversa un momento di drammatica inconsapevolezza che
non sa bene da che parte andare. Mi sembra un Paese più abbandonato a se
stesso di prima. Chi è stato eletto ha una responsabilità maggiore
rispetto al cittadino, e ha il dovere di non abbandonare l’Italia. C’è
un grande bisogno di tornare alla politica, che ha il dovere di dare uno
scatto di crescita. Ma non solo quella economica di cui si parla. Non si
può prescindere dalla crescita culturale, dalla progettazione di un
Paese più colto, più consapevole, più informato, tecnologicamente più
avanzato.
E’ quel «futuro che è un dovere» di
cui parla in un’altra canzone?
Sì. La politica deve fare il suo
dovere, deve assumersi le sue responsabilità. Come la “Ragazza del ’95”,
appunto quando si sente dire: «Il futuro è un dovere». Credo che sia un
messaggio forte perché si è sempre parlato di diritto al futuro. Che è
intoccabile, ma ai giovani bisogna anche raccontare che va coniugato con
l’impegno, i sacrifici, che affrontare l’incertezza e l’ambiguità del
futuro lo si fa esponendo il petto alla mitraglia, altrimenti non si
esce dalla trincea. Credo però che loro lo sappiano, ne siano
consapevoli. Chi ha
vent’anni va incontro a un mondo che
non è risolto.
Va verso l’incognito, un futuro in
qualche misura preoccupante, carico di opportunità ma anche di rischi.
Ma si affronta meglio con la consapevolezza che è anche nelle nostre
mani la possibilità di dare un indirizzo alla nostra vita e al luogo in
cui viviamo.
Poi, la ragazza della canzone sale su
un aereo e «rimette a posto il cellulare». Vuole chiudere le
comunicazioni col mondo che si lascia alle spalle?
La metafora è esattamente questa.
Questo gesto obbligatorio che dobbiamo compiere in aereo nella canzone
si trasforma in un atto liberatorio: rompo la comunicazione e in questo
momento sono io che sto viaggiando, sono io che passo sopra le colonne
d’Ercole, non mi mandate messaggini, non mi cercate. Il viaggio durerà
due o tre ore, ma in questo spazio sono solo con me stesso. Questa
facilità di viaggiare che hanno oggi i ragazzi con i voli a basso costo
è augurabile che si trasformi in libertà intellettuale, in conoscenza,
in capacità di apprendere, di crescere, di capire le cose.
Non ha paura che l’idea di dovere
venga concepita come un concetto di destra?
Mi spiace per chi lo pensa. Se
parlare del futuro in termini di dovere è considerato di destra me ne
assumo le responsabilità, ma non penso sia così. Non credo che la
sinistra possa negare che il futuro sia un dovere. Non so se Kennedy
quando diceva «non chiederti quello che la nazione può fare per te,
chiediti quello che
tu puoi fare per il tuo Paese»
esprimesse un concetto di destra.
Il viaggio è anche dentro la storia.
In “Belle Époque” inizia con una citazione molto forte.
Sì, in quel «Van le troie illuminando
il cammino sgangherato» c’è Dino Campana, che nei Canti Orfici racconta
una sua nottata con quelle che lui chiama «le ciane». Io uso la stessa
metrica, ma non è che vado a rileggermi i Canti Orfici. Mi viene l’idea,
mi ricordo di questa cosa, la uso, diventa materiale narrativo, metrico.
Io lavoro così, andando a riacchiappare nella memoria, nella biblioteca.
La torre Eiffel, l’esposizione universale, la tecnologia, la
dichiarazione contro la schiavitù dal lavoro e dalle guerre: il
Novecento nacque su questi mandati culturali. Che poi vennero subito
smentiti: dalla rivoluzione russa alle guerre mondiali. Io scrivo una
canzone come “Belle Époque” e pretendo di parlare del Novecento. Dopo
averla scritta mi rendo conto che un verso come «Fischia il sasso
fischia il vento sta arrivando il Novecento» è una sintesi formidabile.
Non me lo devo dire da solo, però...
Allora glielo dico io: c’è dentro il
sasso del Balilla e del fascismo e fischia il vento della lotta
partigiana...
Sì. È chiaro che nessuno capirà mai
cosa sono stati il fascismo e la Resistenza collegando queste due idee,
però per uno che deve dirlo con una pennellata lo può fare in quella
sintesi che la canzone ti concede e che è difficile altrove.
Il viaggio con “La guerra”. Racconta
una storia piccola dentro la grande storia, come in “Generale”?
È un vecchio trucco, Manzoni ci ha
scritto un libro di successo... Però “Generale” finiva con la parola
«amore» («è quasi giorno, è quasi casa, è quasi amore»), ma anche con un
sentimento di mestizia: è un ritorno a casa in mezzo ad altri soldati su
un treno, è passata una guerra da cui si esce con una ferita, un ritorno
dove l’uomo è sconfitto. Ne “La guerra”, invece, anche se il soldatino
si è visto passare la morte vicino finisce con una nota di rinascita: si
ricomincia a fare l’amore. Fa parte di una mia visione un po’ più
serena: fate pure tutte le guerre che vi pare, però alla fine ci sarà
sempre un soldato che troverà una ragazza in un campo, magari la vedova
di un nemico, come è sottinteso nella canzone. Tutte le guerre
dovrebbero finire così. O finiranno così. Questa canzone è una
provocazione nei confronti della guerra: siamo più forti noi. Però
parliamo troppo di testi e di parole...
Ha ragione, allora mi racconti come
inizia la scrittura di una canzone.
Le faccio l’esempio proprio de “La
guerra”. Sono partito da una frase musicale: tàta tàta tatatà (ride
mentre batte il tempo sul tavolino, ndr). Me la sono suonata per un po’,
poi mi è venuta una frase che ho cantato sopra: «C’è un soldato in mezzo
al campo». Nasce un fatto ritmico, verbale e se quello che mi viene in
testa mi affascina, si apre come una sequenza cinematografica che si
sviluppa come una storia: che ci fa questo soldato in mezzo al campo?
Che ora sarà? C’è il tramonto? Dove sarà il tramonto? Alle spalle?
Allora deve stare attento, perché risulta proprio un bersaglio...
E così diventa «C’è un soldato in
mezzo al campo. E una casa nella valle. Attenzione soldatino c’è il
tramonto alle tue spalle». Quando comincia a suonarla con i musicisti,
quanto cambia l’idea iniziale della canzone?
Prende forma, ed è il momento più
delicato. Lì devi stare attento a non perdere nulla della forza
originale che è nella tua testa, sei tu che sai dove vuoi arrivare. E
sei torturato dal dubbio mentre questo avviene: che la canzone non
valga. Sì, a me piace ma adesso i musicisti che la devono suonare con
me, che sono miei amici da tempo e che amano tutte le cose che ho
scritto come reagiscono? Temo che magari non me lo dicano, che facciano
una faccia così che sembra dire «ma questa volta cosa ci hai portato?».
È un momento molto delicato. Affascinante, ma è il momento che forse
nella registrazione di un disco mi fa soffrire di più.
Dopo tanti anni ha ancora la paura di
deluderli?
È la paura peggiore perché ho molta
stima di loro, sono dei musicisti ed è un giudizio non dico che temo, ma
devo fargliela piacere. Io vado entusiasta e se poi invece fosse brutta?
In “Guarda che non sono io” racconta
il rapporto complicato con chi segue il suo lavoro, i fan.
Lì racconto l’incontro con uno mentre
sto facendo la spesa che mi fa pensare: ma che ci stiamo dicendo?
Chiedergli: ma chi credi che io sia, che idea ti sei fatto di me, perché
pensi di conoscermi se in realtà conosci quattro, cinque, venti canzoni
mie? È un incontro avvenuto davvero, non ho inventato una scena.
Un po’ come il fan che fa cento
chilometri per incontrare “Omero al Cantagiro”?
È l’altra faccia della medaglia, il
rapporto divistico con lo spettacolo. Io lo percepisco di riflesso, ma
mi ricordo di averlo vissuto quand’ero giovane dalla parte del fan.
Ascoltavo tutte le canzoni di Morandi: ero piccolissimo ma “In ginocchio
da te”, “Non son degno di te” e “Se non avessi più te” sono tre canzoni
che hanno molto influenzatola mia immaginazione di adolescente che
vedeva questo bel ragazzo che era Gianni Morandi innamorato di quella
bellissima ragazza che era Laura Efrikian, andavo a vedere i film. Ho
fatto il fan e lo farei ancora se incontrassi qui Bob Dylan o... bèh,
pochi altri insieme a lui. Paolo Conte e altri che stimo. Avrei un
atteggiamento se non di devozione comunque di un interesse che forse
loro giudicherebbero ipertrofico.
Quando sente che dei suoi colleghi,
come Fossati, decidono di non suonare più, che impressione le fa?
Fossati è molto onesto. Se lui pensa
di non avere più nulla da dire fa bene a smettere. Non c’è niente di più
faticoso per chi fa questo mestiere di continuare a scrivere senza avere
più niente da dire, a cantare senza avere più la voce che lo convince.
Fossati spero che cambi idea, non è detto che non la cambi. So che la
tentazione di farlo c’è spesso, l’ho avuta anche io ma è durata poco.
Adesso ho fatto un disco dove sono felice di esserci, felice che ci sia
gente che lo ascolti, senta la vitalità artistica, creativa. E che il
giudizio degli altri corrisponda al mio.
http://www.left.it/2012/12/21/lincontro-con-francesco-de-gregori-%C2%ABsulla-strada-di-un-paese-abbandonato%C2%BB/8064/
"È una notizia bruttissima per
tutta la musica Italiana: il lavoro di Pino ci mancherà molto, ma le
sue canzoni continueranno ad accompagnarci giorno per giorno. Io lo
ricorderò sempre come un amico mai frequentato abbastanza, come un
artista geniale e rigoroso, come un uomo sempre generoso e
innamorato degli altri, della musica e della vita".
(FRANCESCO DE GREGORI)
"Pubs and Clubs Tour": come
si fa a vivere senza musica?
Paolo Vites lunedì 10
ottobre 2011
"Hai sentito cosa ha detto Ivano Fossati? Lascia la musica, ha detto che
non si può vivere senza il mare". Francesco De Gregori, che con Fossati
condivide un percorso lungo (hanno lavorato anche insieme a un disco di
De Gregori stesso) si fa pensieroso, piega il capo: "Non so, può darsi,
il mare è importante". Poi tira su la testa, lo sguardo e la voce
decisi: "E io ti dico: come si fa a vivere senza la musica?".
Hanno la stessa età, Ivano Fossati e Francesco De Gregori, sessant'anni,
l'età in cui - ormai non più, che in pensione chi può permettersi di
andare - si è pronti per il "buon ritiro". Uno ha scelto di smettere,
l'altro proprio non ci pensa lontanamente. E' la sua vita, De Gregori
respira musica e palcoscenici da quando di anni non ne aveva manco 20 e
a rivederlo, ancora una volta su quel palcoscenico, capisci perché. Si
diverte come un matto, ha un sacco di storie da raccontare e la voglia
di farlo.
In un momento in cui tanti vecchi guerrieri della musica italiana
sembrano arrendersi, vedi quanto ha detto poco tempo fa anche Vasco
Rossi, c'è chi ha chiaro che la domanda è sempre aperta: come si fa a
vivere senza musica? Lo diceva anche un vecchio adagio del rock'n'roll
degli anni Cinquanta: non mi toglierò mai le mie scarpe da rock'n'roll.
Non è un mestiere, del tipo timbra il cartellino, è la vita stessa, e
alla vita non si può dire di no. Al Fillmore, un vecchio ex cinema della
provincia di Piacenza, tra antiche chiese e fattorie di campagna, fa
tappa il nuovo Pubs and Clubs Tour di Francesco De Gregori, concerti in
piccoli locali (1200 persone, tutto esaurito) che dopo i fasti e i
teatri di lusso del lungo tour in coppia con Lucio Dalla, lo riporta a
vedere negli occhi i suoi fan, che si appoggiano alle assi del
palcoscenico vicino a lui. "E' così che ho cominciato" commenta De
Gregori "anzi in posti ancora più piccoli, come il Folkstudio di Roma.
La mia prima vera tournée, poi, poco dopo l'uscita del disco Rimmel, fu
nelle balere, che credo oggi non esistano neanche più. Questa dei locali
a dimensioni ridotte è una delle dimensioni più autentiche per vivere la
musica, sia per chi suona che per chi viene ad ascoltare il concerto".
ROCKON.it INTERVISTA IL CAPOBANDA
Bassista, arrangiatore, compositore,
produttore: insomma quello che si può definire un’artista e un musicista
completo. Stiamo parlando di Guido Guglielminetti, il “ capobanda” di
quella che ormai è da tempo è la band che accompagna Francesco De
Gregori. Ma non c’è solo De Gregori nella vita di Guido… collaborazioni
con i più grandi artisti italiani, corsi per i giovani musicista. Lo
abbiamo cercato cercando di capire alcuni meccanismi del mondo della
musica e non solo.
La prima curiosità è la scelta del
suo strumento e un po’ dei suoi inizi:
Sono gli strumenti che scelgono i
musicisti, e non viceversa. E’ un fatto di carattere. Infatti i bassisti
si assomigliano tutti un po’. Raccontare gli inizi, le difficoltà, le
delusioni e i successi, non è una cosa che si possa fare in due parole,
non a caso ne sto scrivendo un libro che uscirà il prossimo anno” .
Ed arriva sempre quel momento in cui
un’artista sa che ce l’ha fatta o che ce l’ha può fare:
Quando mi hanno pagato per la prima
volta, prima non avrei mai immaginato di prendere dei soldi per
divertirmi. Mi sembrava di rubare, ci ho impiegato un po’ ad
abituarmici, ma ancora oggi mi sembra incredibile e mi fa sentire molto
fortunato“.
Ma Guido Guglielminetti ha aperto
anche una scuola di musica la “Practice Studio Recording”:
Con il mio Corso cerco di aiutare i
ragazzi a riconoscere e gestire il proprio talento. Più che altro
vengono da me cantautori o autori che cerco di aiutare a ottimizzare le
proprie capacità. Molto semplicemente realizziamo, nel mio studio e con
l’aiuto dei software dedicati, una loro canzone. Partiamo quindi da una
semplice idea, spesso rudimentale, e la facciamo diventare una canzone
finita. Finora con ottimi risultati. Il tutto nell’arco di due giorni
durante i quali parliamo, rispondo ad un sacco di domande sul mio
lavoro, andiamo a fare passeggiate in campagna.
E i giovani che vengono alla tua
scuola con quale “speranza” lo fanno?
Immagino che siano spinti soprattutto
dalla curiosità per il mio lavoro e io cerco di soddisfarla dimostrando
loro in che modo lo svolgo, in certi casi credo sia anche il desiderio
di far sentire il proprio materiale. Un brano di uno dei ragazzi l’ho
fatto partecipare alle selezioni per San Remo, cantato da una ragazza,
ha superato anche le prime selezioni, che è già molto, ma poi non è
andato oltre. Già una grande soddisfazione comunque
Gli chiediamo di dirci anche un nome
della musica italiana ( fra i giovani) che lo incuriosisce
particolarmente:
Giovanni Facciotti ritengo sia un
grande talento, ancora poco conosciuto, ma molto promettente. Io sono un
grande fan di Caparezza, che però non lo si può più annoverare fra i
“giovani”.
E sull’argomento “Talent” Guido
Guglielminetti non ha nessun dubbio:
Mi dispiace ma non ho nessuna
simpatia per i Talent, perché non credo giovino ai partecipanti, ma solo
ai giudici e al format stesso. I partecipanti sono burattini che vengono
manovrati per un po’ dopodiché avanti un altro .
Secco sull’utilità dei talent nel
mondo della musica?
No,non lo sono. Sei anche produttore:
come è nato il passaggio da musicista a produttore? E’ stato un
passaggio graduale maturato con l’esperienza, ho sempre avuto la
passione per l’arrangiamento e una predisposizione naturale per
l’organizzazione. Passo dopo passo grazie alla fiducia che le persone mi
hanno accordato, ho acquisito maggiore sicurezza e ho capito che è un
ruolo per cui sono adatto.
Come mai la scelta di dar vita ad un
etichetta indipendente: cosa cambia per un musicista?
Se le case discografiche facessero
ancora il lavoro di ricerca che facevano un tempo, se ancora seguissero
e aiutassero gli artisti come facevano un tempo, forse non sarebbero
neanche nate le etichette indipendenti. Se le case discografiche non
sono altro che le filiali di grandi multinazionali straniere che altro
compito non hanno che distribuire in Italia prodotti stranieri, e’
normale che qualcuno cerchi di realizzare e distribuire in proprio. Oggi
poi con le nuove tecnologie e i costi relativamente ridotti, quasi
chiunque è in grado di produrre e distribuire il proprio prodotto.
Hai composto anche canzoni per grandi
nomi: è stato più complicato o e la stessa cosa ?
Scrivere canzoni può essere semplice
o difficile, a seconda delle volte, sia che si scriva per un artista
famoso sia che si scriva per uno sconosciuto. Per quanto mi riguarda, le
canzoni che ho scritto sono nate prima che sapessi a chi sarebbero
andate, quindi non si è trattato per me di scrivere a tema o su misura
per qualcuno. Solo ultimamente mi è successo di voler scrivere per
Fausto Leali, l’ho fatto e la canzone a lui è piaciuta molto. In questo
momento ancora non so se la cosa avrà un seguito, per il momento già
sono soddisfatto che gli sia piaciuta.
Potresti un giorno dare vita ad un
album tutto tuo?
Si lo farò, un po’ di materiale ce
l’ho, per il momento mi manca il tempo, meglio così, non ho fretta!
Gli inizi con Francesco De Gregori:
se ci sono stati contrasti inizialmente , come si è sviluppata la vostra
collaborazione.
Non ci sono mai stati contrasti,
abbiamo però impiegato molto tempo a fidarci l’uno dell’altro, perché
entrambi molto sensibili. Il nostro rapporto e’ cresciuto col tempo, nel
rispetto reciproco. Alla base di tutto c’è una grande stima condivisa e
l’assoluta spontaneità.
Sei stato e sei il bassista,
arrangiatore e produttore di grandi nomi ( dato per scontato che un
grande nome per essere tale deve accompagnarsi a grandi musicisti) :
Battisti, Fossati, Mia Martini, De Gregori : riusciresti a descriverli
con poche parole? Differenze.
Questi grandi nomi che hai citato
hanno in comune la grande passione per la musica, la serietà
professionale e una grande onestà. Differenze? Neanche tante direi,
nessuna veramente degna di nota.
Passiamo a Vivavoce: quando e come è
nata l’idea di riarrangiare i pezzi del Principe?
Cambiare i pezzi e’ una cosa che
abbiamo sempre fatto sistematicamente. Quando viene da noi con un pezzo
vecchio che vorrebbe fare, non andiamo a sentire come e’ stato suonato
allora, lo suoniamo semplicemente per come sentiamo di volerlo fare in
quel momento. Poi se ne parla, si riascolta e se ci piace quella sara’
la nuova versione fino alla successiva.
Siete appena rientrati dalla tournée
europea: come è stata accolta la vostra musica all’estero?
E’ stata accolta benissimo anche da
persone che ci sentivano per la prima volta e non necessariamente da
Italiani. Molti di questi italiani lo sono solo di nome, perché nati
all’estero, ma comunque ancora legati al paese d’origine dei propri
genitori.
Che differenza c’è fra i “luoghi”
della musica europea e i teatri e gli stadi italiani?
Emozione particolare in qualche luogo
e perchè. Beh suonare nello stesso teatro in cui hanno suonato i Beatles
e’ stata una grande emozione. Quando ascoltando i loro dischi sognavo
come avrebbe potuto essere fare quella vita, suonare in quei posti, mai
avrei immaginato che un giorno lo avrei fatto anch’io! Suonare
all’estero ti rida’ il piacere di fare questo mestiere, che spesso in
Italia ti manca.
Ci sono state alcune critiche per
questo album : non sarebbe stato forse meglio “sconvolgere”
completamente le canzoni? (in realtà speravo che questo album subisse
stravolgimenti come ad esempio avvengono negli album di Dylan, ecco per
fare un esempio) C’è stata un po’ diciamo così “paura” a cambiare
totalmente i pezzi ai quali sono affezionati i fan o è difficile davvero
per un’artista cambiare completamente?
Sicuramente non c’è stata nessuna
paura a cambiare, anzi qualche pezzo e’stato cambiato molto. Il lavoro
che noi facciamo non è studiato a tavolino, i pezzi si trasformano
perché sono suonati da altri musicisti vent’anni dopo, dieci anni dopo o
un mese dopo dagli stessi musicisti che quel giorno suonano così. Mi
sembra molto normale. Ritengo sia un lavoro creativo continuo, ogni
giorno tutti noi cambiamo un po’, quindi ogni giorno abbiamo,
musicalmente parlando, qualcosa di diverso da dire.
C’è un’artista con cui ti piacerebbe
collaborare ?
Beh mi piacerebbe fare un’esperienza
di lavoro all’estero con un artista straniero.
Piccola curiosità: come mai avete
scelto “The Future” di Leonard Cohen?
Perché
è una bellissima canzone che Francesco aveva già tradotto molto tempo
fa. Nello scorso album “Sulla strada” non avremmo potuto inserirla, in
questo ci sta benissimo.
C’è un difetto del Principe che
proprio non riesci a sopportare?
Oh, è tutt’altro che un difetto ma…
che invidia: cucina meglio di me
Graziella Balestrieri
http://www.rockon.it/musica/interviste/intervista-al-bassista-e-produttore-guido-guglielminetti/?fb_action_ids=10205179056583341&fb_action_types=og.likes&fb_source=other_multiline&action_object_map=[681825245270874]&action_type_map=[%22og.likes%22]&action_ref_map=[]
«Viaggio e canto. Non
pontifico» - Catania, 10
maggio 2013
Francesco De Gregori non parla
dell'Italia di oggi. «Il mio pensiero nelle canzoni, anche quelle di
anni fa»
Il «Principe» dei cantautori per tre
giorni in Sicilia con «Sulla strada Tour»: domani Catania, sabato
Palermo, domenica Messina
La Sicicilia - Maria Lombardo -
Giovedì 09 Maggio 2013
Catania. «Quel che vedi dai
finestrini è difficile capire cos'è ma da qui non si vede granchè,
dev'essere strada, fiume, vallata che conosce la canzone e riconosce la
strada»: il grande viaggiatore è tornato, sulle ali dell'ultimo disco,
uscito a novembre, intitolato appunto «Sulla strada». Eccolo in tour per
la penisola, Francesco De Gregori, dopo la serata evento all'Alcatraz di
Milano.
«Passo d'uomo», ballata del cuore a
passo... d'uomo, «Belle Epoque» il «cammino sgangherato del sergente
innamorato che di notte se ne va», «Omero al Cantagiro» che ha fatto
«più di 100 chilometri per essere qui»... e guerre che ricordano altre
guerre, capitani e battaglie del passato, soldatini, spose che
aspettano…
Il nuovo tour approda a Catania con
l'organizzazione di Musica e Suoni (Teatro Metropolitan domani 10
maggio), sabato 11 sarà a Palermo (Teatro Golden) e domenica 12 a
Messina (Palazzo della cultura). Canzoni antiche e nuove ma - dice il
Principe - «ogni volta che mi rimetto a suonare in giro con la band,
tutte le mie canzoni vecchie e nuove diventano canzoni di oggi». Sul
palco Paolo Giovenchi e Lucio Bardi alle chitarre, Alessandro Arianti
tastiere e fisarmonica, Alessandro Valle mandolino e pedal steel guitar,
Guido Giglielminetti al basso, Stefano Parenti alla batteria, Elena
Cirillo violino e vocalist.
Tu viaggi con la musica per le strade
di un Paese qualsiasi. Forse ci aspettavamo un cenno sull'Italia
sull'orlo del baratro. Ma dove stiamo andando?
«E' vero, vado in giro su e giù per
l'Italia e vedo parecchie cose... la gente per strada, il pubblico..
quelli che fanno la coda al distributore e quelli che prendono il caffè
all'autogrill. Ma francamente questo non vuol dire molto... non è facile
capire come dici tu "dove stiamo andando noi italiani "... A parte il
fatto che gli italiani sono molto diversi fra di loro... C'è poi un
sacco di gente che parla della situazione che stiamo vivendo.. io li
ammiro e li invidio... evidentemente sono sicuri che le loro opinioni
siano importanti. Io sono uno che scrive canzoni.. se ti metti a
sentirle puoi farti un'idea di quello che vedo e di quello che sono.
Puoi anche andarti a sentire delle canzoni che ho scritto parecchi anni
fa, vanno ancora bene».
Oggi non si parla che del panorama
politico, del fenomeno Grillo. Ti va di dire la tua?
«Se avessi voglia di parlare di
questo genere di cose mi farei invitare a qualche talkshow, ma l'idea
non mi sfiora nemmeno. Ho un'idea abbastanza chiara di quello che sta
accadendo in Italia, certo che ce l'ho. Non mi va di starne a discutere
più di tanto, di mettermi a pontificare. Certe facce.... sono tutti i
giorni sui giornali e in televisione, nella rete, su Facebook e su
Twitter... credo che non ci sia nessun bisogno che anch'io mi unisca a
questo chiacchiericccio».
Il viaggiatore De Gregori qui
professa in maniera ancora più esplicita, forse, rispetto al passato, la
vecchia passione per il viaggio.
«Beh, certo... un disco che si chiama
" Sulla strada "! Però non vorrei che questa idea del viaggio diventasse
una banalità retorica, la retorica mi spaventa... Viaggiare vuol dire
necessariamente avere una meta? Non lo so. Mi interessano gli incontri,
le persone.. E poi anche i viaggi degli altri, la circolarità di certe
esistenze o, al contrario, le rotture, le cose e le anime disperse, le
notti in albergo, il ritorno a casa. Tutto questo se vuoi c'è già
nell'Odissea, o nella favola di Pollicino... in Kerouac.. Chissà se
davvero se ne può ancora parlare o se rischiamo di ridire cose già dette
da altri, e dette meglio... Però è inevitabile che dentro la musica che
faccio confluisca tutto questo, insieme alle cose lette o viste, o
magari raccontate da uno incontrato su un treno».
«Sulla strada» esprime una preferenza
spiccata per il genere ballata, un andamento "lento" intimistico ma
sempre "reportagistico"...
«I ritmi " lenti" sono quelli che mi
vengono più naturali, e anche quelli che istintivamente mi catturano di
più come ascoltatore... per un certo periodo ho pensato, davanti a
ritmiche più sostenute, di essere come un cieco in un negozio di colori.
Però se fai un disco, non si possono mettere in fila dieci canzoni lente
(anche se in questo disco ci sono andato molto vicino!) e quindi
giocoforza ho imparato che se voglio posso scrivere anche canzoni
"veloci". O a far diventare veloce una canzone nata " lenta". Mi capita
ogni tanto di farlo quando rimetto le mani sulle vecchie cose, è anche
divertente».
«Passo d'uomo» fotografa il cammino
faticoso della vita, l'operaio «lungo la massicciata», la gente comune.
Ma che vuol dire poi gente comune?
«So benissimo chi è la gente comune,
è la gente come me, la gente che mi somiglia. Mi riesce molto più
difficile capire che cosa si intende per gente "non comune". Einstein?
Riccardo Muti? Nelson Mandela? E' tutta gente che ammiro, ma sulla
strada siamo veramente tutti uguali, siamo fatti della stessa materia e
respiriamo la stessa aria..... la comune condizione umana ci sottintende
tutti... azzera tutte le insignificanti differenze».
Come nasce la collaborazione con
Malika Ayane che troviamo in due canzoni di «Sulla strada»?
«C'eravamo incrociati in un paio di
occasioni, a me piace il suo modo di cantare, così poco allineato agli
stereotipi del pop italiano.... lei non è solo una cantante, ma una
musicista.. un'artista completa e complessa. Quando ho pensato ad una
voce femminile che accompagnasse la mia in un paio di tracce dell'ultimo
disco mi è sembrato naturale chiamare lei».
Come definiresti questo tour rispetto
agli altri?
«E' il tour del nuovo disco, anche se
in realtà facciamo solo la metà delle canzoni del nuovo cd, sul palco si
sente l'affiatamento di una band che ha lavorato a lungo insieme per un
progetto nuovo... E questo stare insieme si riverbera anche sulle altre
canzoni, anche sui tanti pezzi " classici " che non possono mancare, da
Rimmel ad Atlantide, da Buonanotte fiorellino a Viva l'Italia».
De Gregori: amo Conrad,
Céline e Checco Zalone
La Stampa - Gabriele Ferraris -
4.4.2013
In vent’anni di frequentazione, mi è
capitato spesso di discutere con Francesco De Gregori della smania di
tanti colleghi suoi di scrivere libri. De Gregori è estremamente
tollerante, su questo come su molti altri argomenti: rispetta le scelte
altrui, ma lui preferisce chiamarsene fuori. «Faccio il mio mestiere –
mi ripete ogni volta – e scrivere canzoni è tutt’altra cosa dallo
scrivere romanzi, o poesie. Io sono un cantante, non ho mai pensato di
diventare uno scrittore. Sono lavori diversi, entrambi molto
rispettabili, entrambi belli. Ma io questo so fare, non altro».
Oggi De Gregori compie 62 anni, e li
festeggia a Torino con un incontro pomeridiano, alle 15, al Circolo dei
Lettori e un concerto serale al teatro Colosseo.
È in forma splendida: con il recente
album Sulla strada ha firmato uno dei suoi lavori più ispirati e
convincenti di sempre, e intanto si è lanciato sul web e per il solo
formato digitale è disponibile da oggi un’antologia di suoi brani
rimasterizzati. Ma l’aspetto più sorprendente del momento di grazia
degregoriano è la notizia dell’imminente pubblicazione del primo libro
«autorizzato» che lo riguarda. Un libro di foto e testi ai quali, si
dice, De Gregori stesso avrebbe messo mano.
Di qui a parlare del «primo libro di
De Gregori», il passo è breve. Ma le cose non stanno esattamente così.
«Non vorrei proprio che si dicesse
che l’ho scritto io – si affretta a precisare –, anche se in qualche
modo questo libro lo considero figlio mio, perché l’ho visto nascere. È
la prima volta che succede. Di solito, quando hanno pubblicato dei libri
su di me, l’ho saputo per caso, magari l’ho scoperto in libreria.
Questo, invece, l’ho voluto. Me lo ha proposto Alessandro Arianti, il
mio tastierista, che è anche un ottimo fotografo. È arrivato con questa
idea, e io me ne sono innamorato. Mi è piaciuto l’entusiasmo suo e di
Silvia Viglietti, l’editrice torinese che lo ha curato con lui, e mi
sono messo a disposizione».
In che senso?
«Sono andato a rovistare nei cassetti
di casa – non sono così pomposo da parlare di “archivi” – e ho
recuperato vecchie foto dimenticate, immagini anche private, e poi
manoscritti, ricordi, persino il libretto universitario. E li ho dati ad
Alessandro e Silvia, che ne hanno fatto un libro. Fotografico, ma non
solo».
Un album dei ricordi?
«Assolutamente no. Non c’è nulla di
nostalgico, anzi, lo trovo molto attuale: gran parte delle fotografie
riguarda gli ultimi anni, gli ultimi tour».
Ma è anche un libro «scritto», con
l’intera storia discografica di De Gregori ricostruita attraverso
dichiarazioni e interviste concesse nel corso degli anni.
«Beh, sì, e lì un po’ ci ho lavorato:
proprio perché volevo che il libro fosse un ritratto del De Gregori di
oggi, ho rivisto alcuni passaggi, qualche affermazione che mi sembrava
datata, fuori contesto. Ma sono stati piccoli interventi, l’insieme
funzionava benissimo».
Prendo per buona l’affermazione.
Tanto, anche se l’avesse riscritto da capo a fondo, non lo ammetterebbe
mai. In apertura del volume ci sarà inoltre un’intervista inedita, e
curiosa, perché l’intervistatore è Steve Della Casa, fine uomo di
cinema, non un critico musicale.
«È andata così: Steve mi ha chiesto
di essere per una settimana l’ospite fisso di Hollywood Party, la
trasmissione di Raitre di cui è uno dei conduttori. Io mi sentivo un po’
in imbarazzo. Mi piace il cinema, e un po’ lo conosco, però sono solo
uno spettatore, uno che va d’istinto: per dire, amo Fellini e Hitchcock,
ma pure Checco Zalone. Invece loro, Steve e i suoi compari, del cinema
sanno tutto, ma proprio tutto, persino le date di nascita dei
truccatori. Alla fine però ho accettato, e ho fatto bene. Mi sono
sentito come un topo nel formaggio. Davvero divertente. Così, quando ho
dovuto scegliere l’intervistatore per il libro, ho pensato che Della
Casa fosse la persona giusta: curioso, intelligente, ma non il classico
espertone di musica che ti fa le solite domande protocollate. Domande
diverse, risposte diverse. Molto interessante».
E
parla anche il bassista Guido Guglielminetti, lo storico «capobanda»,
che racconta del vostro lungo sodalizio artistico.
«Infatti. Quello che Alessandro e
Silvia sono riusciti a fare non è un libro che racconta la storia di De
Gregori, bensì di un gruppo di musicisti. Una storia collettiva».
Prima di quest’opera «monumentale»,
però, Arianti e la Viglietti hanno preparato anche una sorta di
«anteprima», che esce giusto oggi.
«Sì, è un volumetto fotografico del
formato di un cd: si intitola Sulla strada-Photo edition. Sono le
immagini delle session di registrazione dell’album, io, la band e gli
ospiti, da Malika Ayane a Nicola Piovani. E ci sono anche i testi delle
canzoni. Servirà per il merchandising del tour».
A
proposito del tour. Come sta andando?
«Bene, ogni sera mi piace vedere
tante facce felici, persone di ogni età. E adesso, quando cambio gli
arrangiamenti dei pezzi classici, il pubblico apprezza, è contento. Una
volta c’era sempre chi storceva il naso. Credo abbiano capito che se
rivisito una mia canzone non lo faccio “contro” il pubblico, anzi: tento
di dare qualcosa di più, qualcosa di nuovo. E apprezzano il risultato».
Torniamo
ai libri. Lei non ne vuole scrivere, in compenso è un lettore
appassionato
«Beh, leggere mi piace, e molto.
Soprattutto al mattino, oltre che la sera a letto, come tutti. E poi nel
mio mestiere ci sono i tempi morti, i viaggi, le attese in camerino:
insomma, il tempo per leggere non mi manca».
Che cosa legge?
«Sono un lettore caotico, onnivoro,
ma preferisco i classici. I grandi romanzi dell’Ottocento – a parte i
russi che frequento poco – e poi Kafka, un autore che mi ha sempre
appassionato, e Céline, di cui ammiro lo stile, indipendentemente dalle
implicazioni politiche. Leggo soprattutto i capolavori del Novecento. E
Melville, naturalmente. Però non faccio distinzioni tra letteratura alta
e bassa. Mi piacciono anche la fantascienza, il noir, Stephen King.
Penso che se Simenon, ad esempio, non avesse scritto certe pagine, mi
sarei perso molte serate di felice lettura. Insomma, c’è un libro adatto
a ogni situazione. In camerino mi sta benissimo un Urania, mentre, che
so, un bel viaggio dev’essere accompagnato da un libro speciale: qualche
hanno fa siamo andati in Grecia con mia moglie, e ho portato con me
l’Odissea, che non aprivo dai tempi del liceo. Beh, in quei posti faceva
un effetto diverso. Rileggere Omero in quel contesto è stata una grande
gioia».
Lei
ha anche dato la sua voce a Cuore di tenebra per la collana di
audiolibri della Emons.
«Conrad è un altro autore che amo,
come Stevenson e altri scrittori di mare. Quando mi hanno proposto di
registrare l’audiolibro di Cuore di tenebra, me lo sono letto e riletto,
tre volte in sei mesi, per capirne le sfumature, la struttura profonda.
E ogni volta lo scoprivo diverso».
Senta,
De Gregori, io so che lei detesta le domande sulla politica.
«E io la ringrazio per non farmene».
Però, come cittadino, è preoccupato
per la situazione?
«Beh, come non potrei? Se non fossi
preoccupato vorrebbe dire che sono cieco e sordo. O che vivo in un altro
Paese».
In occasione della tappa Torinese
legata all'ultimo CD di inediti, l'artista incontra il pubblico con
Steve Della Casa e Gabriele Ferraris. L'incontro sarà accompagnato dalla
proiezione di immagini e filmati sul nuovo tour e sul nuovo disco, e
sarà l'occasione per presentare "Sulla Strada - Photo Edition", un libro
in formato CD che raccoglie le foto scattate durante la lavorazione
dell'album e i testi completi delle canzoni. Nella stessa giornata anche
il lancio di "Francesco De Gregori Oggi" raccolta di tutta la sua
produzione più recente disponibile solo su iTunes.
Trasmesso in diretta streaming in
data 04/apr/2013
“I SIMPATICI MI SONO
SEMPRE PIÙ ANTIPATICI”
Francesco De Gregori:
“Tutti hanno tanto da dire su Grillo. Io no. Forse sono troppo vecchio
per capire l’Italia. Preferisco tacere e ascoltare”
di Malcom Pagani e Marco
Travaglio.
http://www.ilfattoquotidiano.it/
Sul ramo preferito da Francesco De
Gregori, nel punto esatto in cui muore la città, una bottiglia basta
ancora per un pomeriggio intero.
Tra un manifesto e lo specchio,
guardare nel suo cappello pieno di ricordi è un viaggio di sola andata.
Dalla periferia del mondo all’Arizona dei nostri cuori. Pagine chiare.
Pagine scure. Cani per strada. Baci, abbracci, sputi e solitudini.
Minimalismo e Storia.
Irene affacciate alla finestra e
prati di aghi sotto il cielo. Radio che andavano a valvola e progressi
troppo sicuri di sé. Regali che duravano una settimana e capitani di
ventura irresponsabili, “andiamo avanti tranquillamente”, al comando di
tutti i Titanic della nostra vita. Giorno di pioggia.
Gente tranquilla in fila. C’è un
concerto. Lo zingaro nato nel ’51 che legge la musica nel firmamento
adesso vive all’Atlantico. Un capannone grigio. Un palco. E dietro le
quinte, la stanza con bagno prenotata a suo nome. Il camerino si riempie
di fumo. Fuori dalla porta tecnici, amici, musicisti e il fratello
Luigi, autore de “Il bandito e il campione”, un apache di due metri:
stivali da vecchio West, capelli da Jesse James, baffi da uomo a
presidiare la ferrovia. L’ultima stazione di De Gregori, Sulla strada, è
un diario di sopravvivenza con ingressi segreti e uscite mascherate.
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Fortuna e talento tra le dita, il
Principe ha imparato a riconoscerle. “Dài, cominciamo. Che intervista
volete fare? Cattiva? Buona?”
Perché cattiva? Ha fatto qualcosa di
male?
Qualcosa, come tutti.
Fumare Gitanes fa parte del qualcosa?
Sono stato 25 anni senza fumare.
Avevo smesso con le sigarette, poi anche coi sigari. Ho ripreso durante
il tour con Lucio Dalla. Accendeva in continuazione Marlboro sostenendo
di non aspirare. Era una gran bugiardo, Lucio. Fumava come tutti, con
l’aggravante della compulsività.
Ma il fumo non rovina la voce. Della
scuola contiana “aspiro e poi canto come solo in paradiso”, Dalla era il
manifesto.
Non solo ce l’aveva, la voce. Ma,
anche quando gli mancava, sapeva inventarne una di riserva.
Buttava il cuore tra le stelle. C’è
un metodo per farlo in musica?
Se dovessi spiegare come si fa, non
saprei. Ho scritto canzoni nei modi più diversi. Della “Donna cannone”
composi prima la parte pianistica. Parapam, parapam, parapam... Stava
lì, chiusa in un cassetto, pensavo non ne sarebbe mai uscita. Quasi la
stessa cosa accadde con “Alice”. In origine la musica. Tre mesi dopo, le
parole. L’alchimia tra testo e note è sottile, ma non c’è un metodo
unico. Può capitare che la scintilla iniziale sia più letteraria che
musicale. Mi viene in mente un titolo, un’assonanza, una cosa curiosa,
poi mi metto al piano o alla chitarra e provo una melodia che stia bene
con le parole. Se la trovo anche in una sola strofa, mezza canzone è
fatta.
Quando ha capito di essere un
cantante?
Quando intuii che avrei potuto
mantenermi facendo una cosa che mi piaceva. Le case discografiche
iniziavano a darmi retta. “Alice” andò relativamente bene, partecipò a
Un disco per l’estate e arrivò ultima. Era l’epoca del dominio dei 45
giri sugli Lp e quando mi dissero “l’Lp ha venduto 4 mila copie”,
sorrisero.
Era il De Gregori coi capelli lunghi,
quello pre- Rimmel.
Il De Gregori coi capelli. Quello che
da ragazzo aveva l’hobby della musica e sognava di suonare su un palco
come si può desiderare di diventare calciatori. Mi piaceva molto il
Morandi di “In ginocchio da te” di cui, mascherandomi da cantante,
replicavo i pezzi in camera mia. Di lui mi rapivano esuberanza e
bellezza. Mi facevo prestare i soldi dai miei e correvo a vedere i suoi
film con Laura Efrikian.
Rita, insegnante di lettere e
Giorgio, bibliotecario: i suoi genitori. Chi erano?
Persone di buon senso che mi
lasciavano libero nelle scelte fondamentali. Cosa leggere, cosa vedere
al cinema, che scuola fare. Non mi hanno mai contrastato, pur
augurandosi per me un mestiere più normale. Iniziai a fare musica nel
‘68, col mondo giovanile in rivolta contro la famiglia. Temevano
diventassi troppo antagonista ai valori che mi avevano insegnato. Non
accadde.
Passioni di quegli anni?
Il godimento primigenio me lo diede
Celentano. “Il ragazzo della via Gluck” è il primo pezzo che suonai. Poi
De André. La scoperta del “Testamento” mi spalancò un mondo. Capii che
le canzoni potevano servire anche a immergersi in ambiti profondi.
Ruvidi, celesti e complicati. Che si potevan raccontare cose molto
diverse da quelle di Morandi, senza offesa per Gianni. Avevo 13 anni.
Fabrizio era fuori mercato. Non era tipo da promozioni. Lo pubblicava
una casa discografica superindipendente, la Karim. Poi lo conobbi.
Collaboraste. “Oceano”, “La cattiva
strada” e “Canzone per l’estate” sull’infelicità coniugale.
Non l’ho mai sentita davvero mia. Non
che fosse un esercizio di stile, ma diversamente da un’altra sofferenza
amorosa molto autobiografica, quella di “Dolce amore del Bahìa”, non
c’era l’urgenza di raccontarmi o, se c’era, era molto attutita.
Con De André a fine anni 70,
Idroscalo di Milano, cercando emozioni sulle montagne russe.
Ci divertimmo molto. Fu una delle
ultime volte che lo vidi. Ma ci eravamo persi prima, durante un viaggio
canadese in cui litigammo per motivi banali. Sulla carta l’itinerario
sentimentale era perfetto. Io, Fabrizio e due ragazze che sarebbero
diventate le nostre mogli. Ma sulla strada cumulammo banali
incomprensioni. Uno pensa: ‘De André e De Gregori avran rotto sui
massimi sistemi’. Troppo facile. Si chiude per un’inezia.
Ce
la racconta?
Fabrizio era nervoso. Non conosceva
l’inglese e a Toronto il suo ottimo francese si rivelò inutile. Al
disappunto iniziale per l’impotenza espressiva, si aggiunsero piccoli
tasselli di reciproca incomprensione. Acquistò un Winchester e
pretendeva di sistemarlo in auto. Mi ribellai. E mi opposi all’idea che
guidasse lui senza patente, con la macchina noleggiata a mio nome. Ci
separammo davanti al lago di un’isoletta canadese.
Quando poi lo rapirono, telefonai a
sua moglie per avere notizie. Era ancora nelle mani dell’Anonima. Una
volta libero mi chiamò: ‘Belìn, so che sei stato carino con la Puni, che
figlio di puttana, grazie’. Fu gentile, ma ormai ci eravamo persi di
vista. Questi sono i miei ricordi. Ma esiste la memoria selettiva e
Fabrizio probabilmente l’avrebbe raccontata diversamente.
La leggenda del De Gregori furioso,
dal carattere aspro. Litigò anche con Dalla?
Al termine di Banana Republic ci fu
un allontanamento fisiologico. Siamo... eravamo due persone molto
diverse, ma di fronte a un rapporto umano specialissimo le
incomprensioni del passato passano veramente in secondo piano. C’erano
motivi di scontro, su inezie ricomponibili e sempre ricomposte, anche se
in certi momenti lui non telefonava a me, né io a lui.
“Telefonami tra 20 anni, io adesso
non so cosa dirti, non so risponderti e non ho voglia di capirti”.
Non ci siamo mai veramente persi di
vista. I miei ricordi recenti sono molto teneri. Prevale il lato più
domestico della vicenda. Non tanto il lavoro condiviso sul palco, ma i
fotogrammi privati. Lucio che arriva affaticato in camerino e, dopo il
concerto, è ringiovanito. O ancora lui che scherza e si leva la
maglietta e mostra i pettorali: ‘Guarda che fico che sono’. Sentirlo
cantare le mie canzoni è stato meraviglioso. Scorgere il suo
divertimento mentre interpretavo le sue, sorprendente.
La condivisione, la sintonia e la
lunghissima frequentazione, eventi miracolosi. Ora tutti parlano di
Lucio, ma al tempo della seconda tournée molti giornalisti furono
volgari. Dissero cose orrende. ‘Ecco due cantanti finiti alla ricerca
degli ultimi spiccioli’. E adesso che è morto, Lucio di qua e Lucio di
là... ma per favore.
Il primo incontro?
Alla It, la casa discografica di
Vincenzo Micocci. Lucio aveva già fatto “4 marzo” e doveva ancora
incontrare Roversi. Ci acchiappammo subito. Era straordinario,
divertente, intelligente. Diverso dagli altri, ma capace di mettersi in
comunicazione con chiunque. Sapeva stare al gioco. Aveva un’istrionica
potenza da cui eravamo tutti irresistibilmente attratti. Alla It c’era
Venditti, come me, ragazzino di bottega in quella piccola
casa discografica. Dalla sconvolgeva
anche lui.
Alla It passarono in tanti.
Una compagnia di giro. Negli studi
Rca, consorella maggiore della It, il bivacco era quotidiano. Rino
Gaetano, Fossati, Baglioni, Renato Zero. Era fortissimo, Renato. Non
ancora baciato dal successo, ma si travestiva già. È sempre stato
coerente, non si sarebbe mai messo le ali o il trucco per compiacere il
pubblico.
Baglioni e quell’elemosina a
Trastevere...
Eravamo andati a mangiare alla
Rosetta, trattandoci benissimo. Poi un po’ bevuti, non so perché, ci
improvvisammo situazionisti. Forse per emulare i Beatles sui tetti di
Abbey Road, forse aggrediti da megalomanìa. Tirammo fuori le chitarre:
“Ora si bloccherà il traffico”. Non ci si filò nessuno. A Baglioni mi
lega un altro episodio.
Quale?
Claudio aveva conosciuto uno che lo
voleva intortare per fare un film e, un po’ come Ismaele, mi si caricò
sulle spalle e disse ‘Ahò, vieni pure tu’. Andammo in un bizzarro posto,
sede della produzione, dove un tipo ci fece proposte ardite che
accogliemmo dandocela a gambe.
Altre avventure cinèfile?
Un cammeo per Battiato in ‘Del
perduto amor’. Franco mi è molto simpatico, ero curioso, con me c’era
anche Morgan. Poi sfiorai Fellini, all’epoca del Folkstudio.
“Fiori falsi e sogni veri nella
friggitoria chantant”.
Sperimentazione, albe in via
Garibaldi. Molti amici. Tra loro Paolo Pietrangeli, appena assunto da
Fellini in vista di Roma . Era il ’71, Paolo arrivò trafelato: ‘Il
maestro cerca un protagonista, ho pensato potresti essere tu’. Capirai,
a 18 anni, con l’ansia di mordere la vita, andai di corsa. A Fellini,
come si dice a Roma, avrei portato l’acqua con le orecchie. Lo incontro
a Cinecittà, dietro la scrivania. Professionale e informale: ‘Ciao,
cammina un po’’. Poi fa a Pietrangeli: ‘Ti avevo detto che lo volevo
magrolino, basso e bruno. Tu mi porti questo bel ragazzo alto e biondo,
cosa me ne faccio?’.
Nelle atmosfere del Folkstudio lei e
Venditti creaste “Theorius Campus”.
Prodotto sempre da Micocci, un grande
discografico di leggendaria avarizia. Lo avvicinavi mellifluo per gli
anticipi sulle royalties: ‘Devo partire con la mia ragazza per una fuga
d’amore’ e lui prendeva tempo: ‘Quando?’. Poi, tra promesse e menzogne,
si danzava incerti. ‘Partirei tra una settimana’, ‘Passa tra un mese’.
Dopo un mese ti presentavi speranzoso, venivi respinto un altro paio di
volte e infine conquistavi un assegno con la metà della cifra pattuita.
Theorius Campus è figlio di un viaggio in Ungheria a cui avrebbe dovuto
partecipare Giorgio Lo Cascio, il nostro amico del Folkstudio. Giorgio
si innamorò follemente di una donna bellissima, la sposò e rinunciò a
partire. Andai da Antonello e gli dissi: ‘Pagano tutto, vieni tu?’.
Emigrammo oltrecortina, per me fu la prima e l’ultima volta. L’Ungheria
non era quella del ’56 e non somigliava alla Ddr, ma faceva impressione.
Ci portavano per scuole e università, cantavamo 6 volte al giorno. Il
partito controllava ogni respiro. La macchina arrivava di mattina
presto, autista già totalmente ubriaco. Grappa d’albicocca, forse
sbaglio.
I soldi sono stati importanti?
Piacciono a tutti e sarei ipocrita a
dire che è meglio non averli, ma non han mai condizionato il mio
percorso artistico o personale. Le scelte più importanti della vita non
le ho fatte per soldi.
Mai ricevuto offerte che avrebbero
messo in crisi integrità o coscienza?
Facendo certe cose avrei potuto
guadagnare molto e senza vendere l’anima al diavolo. Non ho un’opinione
moralistica della contaminazione commerciale, ma credo fermamente che
coerenza e libertà stiano nel non fare quel che non ti piace fare. Un
lusso che mi sono sempre permesso, anche quando non avevo una lira.
La gavetta. Lo Cascio confessò lo
sgomento nel vedere lei e Venditti abbigliati in maniera improbabile per
una comparsata in tv.
Micocci aveva miracolosamente trovato
un passaggio televisivo per me e Antonello. Non ci voleva nessuno e, per
partecipare, avremmo dovuto rimanere a Torino per tre giorni. Nella
trasmissione dominava l’antesignano del trash. Per esigenze di scena i
nostri colleghi erano stati travestiti. Chi da Cowboy, chi da paggio del
‘700.
Chi c’era?
Gino Paoli, Claudio Villa, Iva
Zanicchi. Un fritto misto di tendenze di cui io e Antonello avremmo
dovuto rappresentare l’avanguardia. Eravamo abbastanza burberi e
indisposti a fare compromessi, ma non potevamo tornare indietro. Micocci
ci avrebbe ammazzato, così, pur soffrendo come cani, resistemmo. Alla
fine optammo per il costume meno devastante. Con cappellaccio e
grembiule color paglia, eravamo diventati due autisti di autoambulanza
del primo ‘900.
Oggi come vanno i rapporti con
Venditti?
Non molto stretti, ma non abbiamo
litigato.
Ai tempi del grande freddo, tra il
tramonto dei ’70 e l’inizio degli ’80, lui le dedicò “Francesco”. Era
prostrato per averle rubato dalle tasche e dalla bocca “rubini puri” e
“cioccolata”.
Mi chiese scusa in musica, non so
perché. Io non mi sono mai sentito derubato da nessuno. Tantomeno da
Antonello. In ogni caso, a scanso di equivoci, ‘il pianista di piano
bar’ non era lui.
Davvero? Ne eravamo sicuri. Con lei
la manìa dell’identificazione forzata fa prendere la mano.
Ogni tanto la realtà entrava nelle
canzoni. Nel “Signor Hood”, l’uomo assalito dai parenti ingordi sulla
strada di Pescara, la città che amavo e in cui avevo trascorso momenti
importanti, era Marco Pannella, di ascendenze abruzzesi.
Pannella aveva canestri di parole
nuove e l’indole dell’impaziente. Non dissimile dal De Gregori che in
una lontana preistoria televisiva ribalta il tavolo e lascia il Mago
Zurlì senza parole.
Mi trattarono male, mi chiesero i
documenti, furono scortesi. Mi irritai e me ne andai perché una certa tv
era e a volte è tuttora così. Un posto in cui ti impediscono di essere
te stesso e sei obbligato a partecipare a una pantomima. Fu così anche
allora e anche se i patti erano chiari, a farmi fuggire fu
l’atteggiamento del mago. Quando lo inquadravano con i bambini era
svenevole, ma dava l’impressione di non sopportarli. Feci per andarmene,
ma sulla porta venni fermato dalla segretaria di uno degli autori: ‘Stia
attento, il dottore se la legherà al dito’. ‘Per me se la può legare
al...’.
Uscii. Telefonai alla mia ombra,
Michele Mondella e andai giù secco: ‘Sono fuori da Porta Carlo Magno’.
‘E perché?’. ‘Perché il programma non lo faccio più’. Mondella prese un
aereo, tentò invano di convincermi e alla fine, preferimmo andare al
ristorante.
Vero che il primo successo di “Alice”
la infastidì?
No, assolutamente, il successo non mi
ha mai dato fastidio. E chi tra i miei colleghi lo sostiene, mente.
Averlo avuto, coltivarlo e conservarlo fa parte del gioco. Non devi
esserne schiavo, ma avere l’equilibrio per accogliere il momento in cui
non arriva con serenità, è un dono. Il problema è che al tempo di
“Alice” facevo già qualche seratina. Piccoli concerti in cui il pubblico
che voleva ascoltare la storia di Cesare perduto nella pioggia per tre
volte in tre quarti d’ora, mostrava plateale menefreghismo per gli altri
20 pezzi del repertorio. Magari erano meno belli, ma l’idea che la gente
fosse prigioniera del meccanismo del già ascoltato, già sentito e già
famoso era deludente. Potevano scoprire il bagaglio di strane cose che
mi trascinavo dietro e invece urlavano: ‘Ahò, rifacce Alice’. Ma che
mondo è?
Altre
canzoni suonate in quelle esibizioni?
“1940”, “Marianna al bivio”, “I
musicanti” e altre ancora che non finirono in nessun altro disco.
Ad esempio “De Gregori era morto”.
Quella l’ho scritta più tardi, però
poi non la incisi. Mi sembrava eccessivamente autoreferenziale, ma so
che in rete gira un’incisione presa al Folkstudio. È cantata da me o da
altri?
Da lei. Ha un testo da oracolo. “De
Gregori era morto/ucciso dal suo ultimo Lp e dai suoi profeti”. Tra le
righe si trovano già Hilde e i menestrelli per brevità chiamati artisti.
Non l’ho mai registrata né risentita.
Ripensando a quel che accadde dopo, comprendo la tentazione di
rileggerlo come un brano profetico.
Allude alla violenta contestazione
subita al Palalido il 2 aprile ‘76?
Urla, insulti, fumogeni, cazzotti,
processi kafkiani. “La rivolta non si fa con le canzoni, Majakovskij era
un vero rivoluzionario e si è suicidato. Suicidati anche tu”. Non alludo
a niente, ma spesso incontro gente che si dice più a sinistra di me. In
un certo senso sono sempre stato a destra di qualcuno. Il Palalido non è
stato lo choc della mia vita, come si è detto, ma un episodio
spiacevole. Ancor più spiacevole è che se ne parli ancora. Per me è una
storia lontanissima che ho spiegato da ogni punto di vista. Personale,
storico, politico, emotivo.
Interessante casomai sarebbe
ascoltare la versione degli altri. La truppa dei contestatori era
formata da ragazzi normali, i capi invece erano dei fighetti. E io ai
fighetti non sono mai piaciuto.
“Ci sono posti dove sono stato/ Mi ci
volevano inchiodare/ai loro anni ciechi e sordi/ ai loro amori
raccontati male” ha cantato una volta. Ha mai cercato i contestatori di
quella notte? Parlato con loro? Nel gruppo c’erano la figlia di Giorgio
Bocca, Nicoletta, e l’inventore di Stampalternativa, Marcello Baraghini.
Dovreste parlarci voi giornalisti,
non io.
Sui fatti di quel 2 aprile Roberto
Vecchioni scrisse Vaudeville. “E spararono al cantautore in una notte di
gioventù/gli spararono per amore/per non farlo cantare più”.
So
che scrisse una canzone, ma non l’ho mai sentita. Sentire il riferimento
alle pistole e la parola cantautore cantata da un altro cantautore, mi
respinge. Con buona pace di Vecchioni, non fui entusiasta dell’omaggio.
Reazione comune ai poeti da lei tanto
vituperati. Nelle storie di ieri sono brutte, bugiarde creature.
In “Poeti per l’estate” diventano
presenzialisti bifronti. Firmano grandi appelli per la guerra e la
fame/vecchi mosconi ipocriti/vecchie puttane”. Di quell’insulto mi
pentii. So che a Marco Lodoli e Silvia Bre, che a quei tempi non
conoscevo, la canzone non piacque per niente. Ce l’avevo molto con
quelli che andavano in tv col libro in mano, a promuoverlo. Quelli che
in una pausa, zac, tiravano fuori il tomo e spostavano il discorso sulla
loro ultima, fondamentale opera.
“Però l’avvenimento/ il più
spettacolare/ è quando in televisione li vedi arrivare/ profetici e
poetici/sportivi ed eleganti/pubblicare loro stessi come fanno i
cantanti”.
Certo, faceva così, però se il
cantante oggi mette mezzo piede in tv trova subito il talebano che ti
attacca. ‘Orrore, si fa pubblicità!’. Nei talk show invece, si parla
delle sorti progressive del Paese e dal nulla, ineluttabile come il
Natale, spunta l’automarchetta.
Quando dicono poeta a lei?
Non lo trovo giusto. La gente pensa
di farmi un complimento, ma è una definizione sbagliata. Io scrivo
canzoni e per quanta attenzione puoi porre al testo, rimangono tali. La
poesia è un’altra cosa. Trovare qualcuno che fischietta un mio motivo è
semplice, ma portatemi uno che reciti “La donna cannone” a memoria. Ne
trovate pochi.
Altre canzoni che vorrebbe non aver
scritto?
Qualche verso qua e là. In “Cercando
un altro Egitto”, un trattato sull’idea di non appartenere più a un
luogo da cui ci si sente minacciati, ce n’era uno bruttissimo sulle
gelaterie di lampone che fumano lente e i bambini che volano.
L’orrore di un lager in metafora.
Un verso pessimo, troppo barocco, ci
stavo ripensando proprio l’altro giorno.
Si è allontanato quel tanto che basta
per guadagnarsi la nostalgia?
È uno strano sentimento. Sono molto
legato ad alcuni panorami, anche geografici del mio passato. A una Roma
che non esiste più.
I simpatici le stanno ancora
antipatici?
Come e più di ieri. E i comici mi
rendono triste, mi fa paura il silenzio e non sopporto il rumore,
proprio come nella mia canzone.
E l’Italia che incontra?
Eccola, è tutta qui (mostra il
camerino nda). Vado, canto, riparto. Mi sono fatto l’idea che sono
troppo vecchio per capirla. Preferisco tacere. E stare in ascolto.
Parliamo di politica?
Per carità, tutti mi chiedono di
Grillo. Ma vedo che in moltissimi hanno molto da dire. Non sopporto il
chiacchiericcio di chi pensa di avere cose interessanti da dire solo
perché è noto. Mi ricorda quelli che al bar sono tutti commissari
tecnici della Nazionale.
I critici musicali ascoltano ancora i
dischi che recensiscono?
Non sentono più niente o magari
semplicemente non ascoltano i miei. Di me e altri miei colleghi si
discute pigramente. ‘Han dato il meglio 20 anni fa, dopo solo decadenza
e precipizio’. Non sono per niente d’accordo. Ma che ci posso fare?
L’hanno scritto anche di Lucio
Battisti.
“Hegel”. “Cosa succederà alla
ragazza”, “Don Giovanni”. Gli album con Panella sono meravigliosi.
Capolavori difficili, ma capolavori.
In “Vecchi amici” c’è il feroce
ritratto di un giornalista.
Vi rivelo una cosa, però poi mi
fermo. Nella prima strofa c’è una persona, nella seconda un’altra. Due
distinte personalità.
Si vociferò che il brano fosse figlio
d’un dissidio con Gino Castaldo, il critico di Repubblica.
Non posso commentare. Non è né vero
né falso, ma la canzone è rock, ha ritmo, mi piace e nei concerti la
ripropongo spesso come cambio di registro musicale. Peccato per la
durezza del testo. Un po’ come “Poeti per l’estate”, preferirei non
averla scritta. Non voglio più dare l’ispirazione ad affreschi
malmostosi. Non me ne frega niente. A quasi 62 anni, se devo mandare
qualcuno al diavolo, ce lo mando direttamente.
Guarda
che non sono io
di Alessandro Arianti, Silvia
Viglietti
Guarda che non sono io non è solo
una canzone di Francesco De Gregori tratta dall’album Sulla strada del
2012.
Guarda che non sono io è ora anche il
titolo di un gran bel libro uscito il 3 settembre scorso, il primo
volume fotografico di e su Francesco De Gregori, curato con passione da
Silvia Viglietti e Alessandro Arianti, due che evidentemente il Principe
dei cantautori lo conoscono bene e sanno quanta ritrosia e pudore
egli abbia a mostrare di sé la faccia privata.
Guarda che non sono io è un
avvertimento, un monito: se credi di conoscermi da quel che vedi e
senti, sappi che ti sbagli di grosso – sembra dirci con un filo d’ironia
De Gregori - anzi, non hai capito proprio nulla (ma siamo sicuri
che ci sia davvero sempre qualcosa “da capire”?) e quello che hai
davanti non sono io. O meglio, non sono io, ma sono ciò che ora,
con queste immagini, ho deciso finalmente di raccontarti.
“Guarda che non sono io la mia
fotografia che non vale niente e che ti porti via” è lo scherno gentile,
la sottile presa in giro nei confronti di quelli che “vengono ai
concerti, si fanno la fotina e se la portano a casa”. Probabilmente una
sorta di autodifesa o di presa di distanza, assolutamente legittima e
voluta, dell’uomo nei confronti del personaggio pubblico.
Del resto non è una novità che De
Gregori non ami essere fotografato, intervistato, o presenziare in
televisione. Davanti a un microfono, se non deve cantare, appare ancora
leggermente a disagio, a volte persino quasi imbarazzato. Su di lui mai
un gossip, una storia da copertina, una foto compromettente, un “falso
movimento” (tanto per citare un’altra delle sue canzoni più recenti) che
possa essere stato immortalato a dar adito a pettegolezzi.
E allora perché, oggi, questo libro?
Forse aver condiviso il palco per più di cento concerti, fra il 2010 e
la fine del 2011, con un personaggio geniale e istrionico quale Lucio
Dalla, amante curioso di fotografia, di cinema, di teatro e delle arti
visive in generale, può aver contribuito ad ammorbidire il lato
sfuggente di Francesco De Gregori, permettendogli di concedersi più
benevolmente alla macchina fotografica (anche a quella dei fans, a
volte).
Oppure può essere insorta nel Principe l’esigenza di raccontare al suo
pubblico anche la parte meno nota del suo essere musicista, per
completare un percorso fin troppo rigoroso e impeccabile, e riducendo le
distanze tra sé e chi fruisce del suo lavoro.
Oppure entrambe le cose. Così, quello
che si rivela in queste pagine, è un De Gregori per molti aspetti
inedito, ma che mai si discosta del tutto dal suo essere musicista e
uomo di scena.
La bella foto di copertina, un
ritratto in bianco e nero freddo e dettagliato, è di Daniele Barraco, in
cui l’ombra del cappello sul volto, oscurando lo sguardo, lega molto
bene con il titolo nel gioco del “sono o non sono” quello che si vede.
Le immagini presenti nel libro sono
tutte molto belle, alcune davvero splendide, mai banali, e provengono
dall’archivio personale dello stesso De Gregori. Molti sono i fotografi
che hanno realizzato le immagini, impossibile qui citarli tutti senza
inevitabilmente far torto a qualcuno.
Ci sono le foto degli inizi, di lui
senza la barba ( un “ragazzo” quasi irriconoscibile), le prime sale
d’incisione, i viaggi in America, le trasferte in treno con la band,
immagini inedite tratte dal backstage dei videoclip ufficiali. Ci sono
foto in tour, sul palco nel corso degli anni con i musicisti di allora.
Ci sono gli incontri importanti, con i colleghi e i produttori. Ci sono
Ivano Fossati, Vasco Rossi, Ligabue, Giovanna Marini, Ennio Melis,
Vincenzo Mancuso, il fratello Luigi Grechi e naturalmente Lucio Dalla
(da Banana Republic a Work in progress). Non sono immagini in posa,
nessuna è mai scontata o didascalica. Nella foto con Vasco Rossi, ad
esempio, non si vedono in faccia né Francesco né Vasco…!
E poi c’è tutta una serie di
cappelli, che hanno caratterizzato il look di un artista coerente in
tutte le proprie scelte, a scandire il tempo e le mode attraverso
quattro decenni e oltre di storia della musica italiana: “ Una storia –
ancora in movimento – cominciata più di quarant’anni fa” come scrive lo
stesso De Gregori sulla quarta di copertina.
Impossibile fare una sorta di
classifica, individuare la foto “più bella”: ognuno di noi lettori potrà
scoprire un lato sconosciuto del personaggio, affezionarsi ad una o
all’altra immagine, a quella che più somiglia all’idea che, attraverso
le parole di canzoni che hanno accompagnato ed emozionato i nostri
giorni, ci siamo fatti del suo autore.
Oltre alla corposa sezione
fotografica di cui abbiamo detto, il libro si compone di una parte in
cui sono raccolti gli scritti di De Gregori a proposito dell’intera sua
produzione discografica (aneddoti e curiosità sulla nascita delle sue
canzoni, soprattutto le meno famose, sono sicuramente merce preziosa per
gli appassionati) e di una terza parte in cui trovano spazio due lunghe
interviste: la prima a Guido Guglielminetti, il “mitico Capobanda”,
intervistato da Gabriele Ferraris e l’altra di Steve Della Casa,
conduttore di Rai Radio3, allo stesso De Gregori.
Infine vi sono riportati alcuni
testi di canzoni scritti a macchina e poi corretti a penna dall’autore
(ad esempio Vai in Africa Celestino, riportata con tutte le possibili
varianti dei suoi “pezzi”) ed appunti scritti di suo pugno, come il
foglio di lavorazione del nuovo disco in uscita a novembre, Vivavoce, un
doppio album che raccoglierà 28 canzoni (alcune molto famose, altre meno
note al grande pubblico) completamente riarrangiate, risuonate e
ricantate.
Ne sentiremo ancora delle belle,
quindi, ma da questo momento possiamo soffermarci anche piacevolmente a
guardare.
Valeria Bissacco
http://www.lisolachenoncera.it/rivista/letture/guarda-che-non-sono-io/#.VCxaX_q0hhc.facebook
A Francesco De Gregori, intorno ai
sessant’anni, è successo qualcosa. Qualcosa di bello, perché
improvvisamente sembra essersi tolto di dosso l’ombra di ritrosia e
ritegno con cui bene o male ha convissuto per tutto l’arco della sua
lunga carriera, e s’è messo non solo a sorridere – in molti peraltro
giurano che lo facesse anche prima, ogni tanto – ma anche e soprattutto
a lasciare che gli altri, quelli che fino ad allora costituivano la
condizione necessaria e sufficiente di controparte nella sua attività
d’artista, si godessero il privilegio di venire a conoscenza di quanto
dietro a quella sua attività si celava e si era sempre celato. Il De
Gregori privato, quello che all’arte tutto sommato serviva poco e
niente, il De Gregori intimo, anche. Per
paradosso questa virata caratteriale, o perlomeno nelle pubbliche
relazioni, è stata certificata da una canzone – tra le più belle del suo
repertorio da molto tempo in qua – in cui De Gregori, riflettendo sul
senso dell’essere artista e di rapportarsi in quanto tale col resto del
mondo, quasi si scusa di non poter essere come gli altri lo
rappresentano. Guarda che non sono io, contenuta nel suo ultimo disco,
Sulla strada (2012), ha lo stesso titolo del libro appena uscito per
SvPress a cura di Silvia Viglietti e Alessandro Arianti, il giovane
pianista che fa parte da anni della band di De Gregori e che da anni lo
fotografa, letteralmente, nei momenti più disparati della sua vita.
Un libro essenzialmente fotografico,
quindi, in cui gli scatti recenti si sommano a molti tirati fuori dallo
scrigno dei ricordi, risalenti a tempi in cui De Gregori era un
pennellone poco più che adolescente di Trastevere senza peli sulla
faccia. La carrellata è onestamente spettacolare. De Gregori ragazzino,
De Gregori col fratello Luigi Grechi, De Gregori con Giorgio Barchesi,
l’oste che ancora oggi lo fa mangiare e bere da dio nelle sue serate tra
i colli umbri, De Gregori con Dalla o Fossati, De Gregori al Chelsea
Hotel e De Gregori che gioca a carte nel backstage di un campo sportivo.
E poi De Gregori al piano o con la chitarra a tracolla, naturalmente,
sul palco o nel buio di una stanza, fino a ieri o all’altro ieri,
cappello in testa e occhiali scuri, e barba ormai più bianca che fulva.
L’ultima parte del libro, però, è
fatta di parole, come un lungo racconto cucito dalla Viglietti
attingendo a vecchie interviste e dichiarazioni, magari aggiornandole
con qualche domanda in presa diretta, un racconto che diventa
inevitabilmente una sorta di autobiografia essenziale: De Gregori disco
per disco, passo per passo, che si schermisce e schermendosi rivela,
come sa fare con le sue canzoni fin dai tempi del Folkstudio. E ancora
un’intervista al suo “capobanda” Guido Guglielminetti, che gli sta
dietro da quasi trent’anni, e un’altra rilasciata bell’apposta da lui in
persona a Steve Della Casa, uno che di mestiere s’occuperebbe di cinema,
e che in fondo s’è scelto proprio per questo.
La verità, e questo è il grande punto
di forza del libro, è che Guarda che non sono io non nutre la morbosa
curiosità dei fan o degli addetti ai lavori: è piuttosto un’occasione
per stare a sentire un po’ più da vicino, o meglio un po’ più
direttamente, le cose che De Gregori ha in testa. Questo è il piacere,
perché i suoi pensieri sono limpidamente intelligenti, scattanti, in
grado di far luce. La verità è che è difficile non essere d’accordo con
Francesco De Gregori, quando parla, per il verso da cui guarda ciò che
gli sta intorno e ciò che gli ingombra lo stomaco. Ha talmente ragione
da vendere, verrebbe da dire da sinistra, che gli si può persino
perdonare quell’endorsement per il professor Monti di qualche tempo fa
che in pochi sono riusciti a capire fino in fondo – e che forse, chissà,
ha a che fare con l’acquisizione di quell’«accettazione serena, se non
rassegnata, del fatto che non siamo padroni né di noi stessi né del
mondo che ci sta intorno».
È una storia in movimento, quella di
Francesco De Gregori, un ragazzo del ’51 in gran forma, che sa ancora
fare il suo mestiere come pochi e, che lo voglia o no, da quarant’anni e
passa testimonia icasticamente gli splendori e le miserie di questo
paese sgangherato che siamo chiamati ad abitare. Quanto al libro, che
dire, è bellissimo. Un atto di generosità, e un documento di
straordinario valore, da catalogare insieme alla sua sterminata
discografia. E che sarà il pretesto, venerdì sera alle 21.15, per far
salire De Gregori – grande lettore e appassionato di Kafka, Céline,
Melville e Cormac McCarthy – sul palco del Festival della Letteratura di
Mantova, a discutere di sé e di chissà che cos’altro insieme a Marino
Sinibaldi. Niente male.
http://www.europaquotidiano.it/2014/09/02/guardate-che-questo-non-e-de-gregori/
La parola cantautore non mi piaceva
negli Anni ‘70 e non mi piace ora: suona male. Mi ci trovo stretto, con
l’aggravante che oggi la parola ‘cantautore’ è avvolta da un sudario di
vecchiaggine e in questo senso la detesto quando viene usata per me. C’è
chi pensa che i
cantautori
di oggi siano i rapper? Non li seguo molto, alcuni sono ispirati, altri
meno, proprio come succedeva coi cantautori. La differenza la fa il
talento, non il genere musicale. Ci sono bellissime cose di musica pop,
oggi: per esempio c’è Marco Mengoni che canta bene e propone un prodotto
artistico vero”. Chi parla è Francesco De Gregori, che mostra un
sorprendente lato di sé in una lunga intervista pubblicata sul numero di
“Tv Sorrisi e Canzoni” di questa settimana, in occasione del lancio
della grande iniziativa editoriale “Storytelling”: una raccolta in
edicola con Sorrisi che, tra cd, dvd e fascicoli rilegati, ripercorre la
storia dell’artista con rarità, inediti e “bonus track”. “È stata
l’occasione per fare delle appassionanti registrazioni-lampo, è uscito
fuori un po’ di tutto, anche canzoni che magari mai più farò” spiega De
Gregori. “Oggi mi sento posseduto dalla musica, qualsiasi cosa mi si
para davanti mi attizza. Internet mette un artista in grado di
moltiplicare la sua visibilità e la sua offerta come e quando vuole,
senza riti e scadenze. Vale anche per i video dietro le quinte: se non
esistessero microtelecamere o iPhone che permettono di filmare senza
ingombro e senza troupe, non li farei nemmeno adesso. Ma non me ne
accorgo neanche, e allora perché negare alla gente interessata queste
curiosità? Un tempo avevo in mente modelli ieratici, come Bob Dylan e
Leonard Cohen… sì, sono cambiato io, ma per forza di cose: l’altra sera
per esempio ho fatto un concerto in Toscana e il giorno dopo era tutto
su YouTube. Quindi che cosa vuol dire essere schivo? Ormai è vietato
essere schivi e non solo alle persone di spettacolo. Questo è il mio
tempo, lo vivo agilmente. D’altra parte mica posso stare arroccato a
vecchi stili. È come farsi fare le foto coi fan: fino a qualche anno fa
ero scocciato, in un certo senso mi… dispiaceva per loro. Ora ho capito
che si tratta di una cosa innocente, stare su Facebook vicino al
cantante fa parte del mondo di oggi. Questo non mi toglie niente, né
come uomo né come artista. E non toglie nulla nemmeno alla mia privacy”.
Si è scatenato un
tale putiferio che si sono sentiti in dovere di intervenire anche i
parlamentari della cosiddetta "ala renziana" del Pd. Gli hanno scritto
una lettera aperta: ""Caro maestro, ti preghiamo di riprovare a
'crederci', di tornare a leggere i giornali, di ricominciare a seguire
la politica e il Partito Democratico. Noi conserveremo l'intervista, la
ricorderemo come un errore e una critica eccessiva, tenendo a mente che
non è da un calcio di rigore sbagliato che si giudica un giocatore".
L'intervista
incriminata è quella che Francesco De Gregori ha concesso ieri al
Corriere della Sera: già colpisce l'uso della terminologia "errore".
Sembra il linguaggio dei tempi dello stalinismo, o meglio, dei primi
anni 70, quando bisognava "correggere il compagno che sbaglia".
Rimettterlo in riga insomma. E ancora: "Sono passati tanti anni, siamo
invecchiati tutti, sicuramente lo siamo noi, ma non possiamo credere che
il nostro maestro sia invecchiato così male da dirci 'Il verbo credere
non dovrebbe appartenere alla politica". Invecchiato male? Mah, sarebbe
da discutere, averceli intanto 62 anni come li porta lui, fisicamente e
artisticamente visto che negli ultimi tempi ha pubblicato anche alcuni
dei dischi più belli della sua carriera ed è in forma fisica splendida.
Ma questo è niente davanti all'ondata di post anti De Gregori che per
tutta la giornata di ieri sono piovuti sui social network e anche sulla
pagina ufficiale Facebook del cantautore romano. Qualcuno (letto con
questi occhi) si è spinto a lamentarsi che quel 2 aprile 1976 al
Palalido di Milano De Gregori non sia stato preso a bastonate vere e
proprie. Insomma, che la giustizia proletaria non l'avesse messo a
tacere per sempre. Già, quel 2 aprile 1976, quando durante un concerto
Francesco De Gregori venne sequestrato con le pistole dai camerini,
portato sul palco e sottoposto a un "processo proletario". L'accusa?
Aver tradito i compagni ed essere diventato un cantautore borghese, di
destra, un fascista. In realtà di cominciare ad avere successo
commerciale.
Sono passati più di
trent'anni ma evidentemente certe persone sono ancora in giro. Ma cosa
ha detto di grave De Gregori in questa intervista? Ormai l'avrete letta
tutti: ha detto di non riconoscersi più in questa sinistra, in questo Pd
e - udite udite - di non voler votare mai più. Non lo ha detto in
realtà: la frase esatta è stata "Probabilmente non voterei. Con questo
sistema, tanto vale scegliere i parlamentari sull'elenco del telefono".
E' una ingiuria così grave davanti al fallimento totale di una politica
che fa realmente passare la voglia di andare a votare? No, non lo è, è
una ammissione di stanchezza come ce l'abbiamo tutti oggi, tanto più un
uomo di una certa età che a certe ideologie e stagioni politiche ha
dedicato l'anima e non se le ritrova più.
L'accusa, velata ma
mica tanto, è quella di tradimento. Dicono infatti i parlamentari che
gli hanno scritto la lettera: "De Gregori, però, non è un semplice
artista: De Gregori è la nostra storia, anzi 'la storia siamo noi'. Le
prime manifestazioni, le prime feste, i primi funerali (come quello di
Peppino Impastato)". De Gregori appartiene a quel partito dunque e la
colpa più grande di De Gregori è allora quella di dichiararsi uomo
libero, uno che, pur definendosi in quella stessa intervista ancora uomo
di sinistra e credere ancora negli ideali fondanti della vecchia
sinistra, sa anche prenderne le distanze e criticare quello che ritiene
sia criticabile. Farebbero bene costoro a riascoltarsi una splendida
canzone intitolata Celebrazione che De Gregori pubblicò proprio
nel quarantennale del 68:
"Ci sono posti
dove sono stato - Mi ci volevano inchiodare - Ai loro
anni ciechi e sordi - Ai loro amori raccontati male - A
una canzone di quattro accordi - Ad una stupida cantilena -
Ma tu davvero non te lo ricordi -Quando parlavi e sbadigliavi in
scena"
E ancora:
"Ci sono posti dove
sono stato
- Dove il Piave
mormorava - E la sinistra era paralizzata - E la destra
lavorava - In certe stanche stanze
dove discutono di
pischiatria, di terrorismo e di fotografia".
De Gregori a quei
posti non appartiene più, ha scelto la sua strada. Ha osato dire che il
68 non ha portato solo rose e fiori, anzi. Ma se dici così, in una
Italia dove il muro di Berlino non è ancora caduto e probabilmente non
cadrà mai, sei di destra. Non l'ha mai mandate a dire nelle sue
interviste peraltro rare così come nelle sue canzoni che assai raramente
toccano la politica: le cose che pensa, le dice. Il problema è che un
cantante, un artista, non dovrebbe esprimersi proprio secondo quanti
ieri lo hanno criticato. Vanno bene le canzoni, ma non si deve parlare.
In molti, anche sul blog di Gad Lerner, lo hanno accusato di aver
espresso dei concetti banali tipo questo, a proposito di cosa è oggi la
sinistra: "È un arco cangiante che va dall'idolatria per le piste
ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti
incompatibile con la modernità. Che agita in continuazione i feticci del
"politicamente corretto", una moda americana di trent'anni fa, e della
"Costituzione più bella del mondo". Che si commuove per lo slow food e
poi magari, "en passant", strizza l'occhio ai No Tav per provare a fare
scouting con i grillini". Banali? Fastidioso sentirselo dire,
certamente, ma assolutamente realistico. Una sinistra che è buona per
tutte le stagioni e per tutti i trend modaioli. Dà fastidio
probabilmente che in questa intervista De Gregori dica anche che alle
ultime elezioni ha votato alla Camera per Monti e al Senato per Bersani:
orrore, si legge, un uomo di sinistra non può votare per Monti. Meglio
Grillo.
Dà fastidio che De
Gregori dica che si sia perso più tempo dietro a Noemi invece che dietro
l'Ilva di Taranto. Dà fastidio che dica "Pensare di eliminare Berlusconi
per via giudiziaria credo sia stato il più grande errore di questa
sinistra. Meglio sarebbe stato elaborare un progetto credibile di
riforma della società e competere con lui su temi concreti, invece di
gingillarsi a chiamarlo Caimano e coltivare l'ossessione di vederlo in
galera". Dà fastidio che dica: "Sono stufo del fatto che, appena si
cerca un accordo su una riforma, subito da sinistra si gridi
all'"inciucio", al tradimento. Basta con queste sciocchezze. Basta con
l'ansia di non avere nemici a sinistra".
Banaiità? Vecchio saggio sputa
sentenze? Ma per favore: quanto realismo e intelligenza invece. Qualcuno
ha anche tirato fuori una sua vecchia canzone, Il cuoco di Salò,
auccusandolo di aver sdoganato i repubblichini in passato. Era una
poesia invece, dedicata al dolore di tutti gli italiani. Se poi vogliamo
metterla su questo piano,che piano non è ma è pura interpretazione
ideologica di parte, ricordiamo allora che De Gregori ebbe uno zio,
partigiano cattolico, ucciso dai partigiani di sinistra. Quanto rancore,
quanto astio. Si spiega solo con il fatto di aver detto di rispettare
il governo Letta-Alfano, l'unico che, dice, era oggi possibile. No, non
si può: il compagno che sbaglia va corretto nell'errore.
Dà fastidio che ci
sia gente ancora libera, magari di dire cose su cui non si è d'accordo,
ma che è impegnata fino in fondo a cercare la sua libertà e la verità:
"Ma viene il momento in cui la realtà cambia le cose, bisogna
distaccarsi da alcune vecchie certezze, lasciare la ciambella di
salvataggio ed essere liberi di nuotare, non abbandonando per questo la
tua terra d'origine" dice ancora. Parole formidabili che nessuno dice
più. Non le dicono i politici, non le dicono gli intellettuali dei
salotti televisivi. Dà fastidio chi ti sbatta in faccia la realtà in
poche parole. La realtà ci deve piacere sempre, se no non è accettabile.
Questa intervista è piuttosto l'analisi lucida di un uomo che aveva dei
sogni e quei sogni sono stati adattati di volta in volta alla realtà,
hanno dovuto prendere la propria via. La realtà è quella che dice lui,
piaccia o no. De Gregori quando fa un'intervista crea sempre scompiglio,
perché ci sputa in faccia la realtà. Ma alla fine di tutto forse quello
che dà più fastidio è che De Gregori delle persone a cui crede e che gli
piacciono ne ha ancora. Lo dice lui: "Papa Francesco, la più bella
notizia degli ultimi anni. Ma mi piaceva anche Ratzinger. Intellettuale
di altissimo livello, all'apparenza nemico del mondo moderno e in realtà
avanzatissimo, grande teologo e per questo forse distante dalla gente.
Magari i fedeli in piazza San Pietro non lo capivano. Ma il suo discorso
di Ratisbona fu un discorso importante".
Compagno De Gregori:
perdoniamo il tuo errore, torna a cantare alla festa dell'Unità, le
salamelle ti aspettano, il sol dell'avvenire sorgerà e nessuno ci dirà
che la vita, quella vera, sta andando da un'altra parte.
Paolo Vites
http://gamblin--ramblin.blogspot.com/
http://www.ilsussidiario.net/
Quando
Francesco De Gregori intona Viva l’Italia, canzone-manifesto di
sempre, scatta la standing ovation.
Il primo concerto hollywoodiano del musicista, evento chiave del
festival “Los Angeles Italia” orchestrato da Pascal Vicedomini,
ha come scenario il Chinese Theatre: un tempo palcoscenico degli
Oscar, oggi è a pochi metri dal Dolby dove domani sera verranno
consegnate le statuette.
Fuori la fibrillazione è alle stelle, molte strade sono già
chiuse e Los Angeles si è trasformata in un gigantesco ingorgo.
Ma nel teatro dove De Gregori canta accompagnato dal suo
chitarrista Paolo Giovenchi, l’atmosfera è intima ed
emozionante.
Brani poetici e senza tempo come Alice, Generale, La donna
cannone conservano intatto il loro incanto. Prima del concerto,
Francesco compare nel bel documentario di Stefano Pistolini
Finestre rotte. Alla fine, viene premiato dallo sceneggiatore
Steven Zaillian (Oscar per Schindler’s List) e da Siedah
Garrett, già partner musicale di Michael Jackson.
E’ contento, De Gregori. L’immancabile cappello e mille
sigarette, il portamento elegante, il “Principe”, è venuto a
Hollywood con la moglie Alessandra. «Ho trovato anche il tempo
di fare il turista», sorride.
Che impressione le fa essere in America?
«È una grande
emozione, perché qui ho preso molto. Questo Paese è la culla
della mia formazione musicale. E’ come se tornassi nel negozio
in cui ho rubato...».
Come mai ci è venuto
di rado?
«Sono sempre stato
poco ambizioso, l’Italia mi andava larghissima. Le parole delle
mie canzoni sono poco traducibili e poco esportabili, perciò non
mi sono mai sentito spinto a espatriare».
Si può dire anche oggi
“Viva l’Italia”?
«Più che mai. Al
sentimento di appartenenza non si può rinunciare nemmeno in un
momento problematico come questo. La canzone la scrissi nel 1979
ma non è invecchiata, anche se quell’Italia flagellata dal
terrorismo non c’è più».
Qual è oggi “l’Italia
che resiste”?
«Quella che si sforza
di non perdere il senso di appartenenza e l’orgoglio per questo
Paese di grande e sterminata bellezza».
Renzi può riaccendere
la speranza?
«La speranza c’è
sempre. Io voglio vedere cosa succede e faccio il tifo perché le
cose avvengano».
Si definisce ancora di
sinistra?
«Oggi non mi interessa
definirmi. Preferisco seguire con affetto le vicende del mio
Paese. Quanto alla sinistra, il discorso sarebbe lungo. Oggi non
so cosa sia, come del resto non lo sapevo trent’anni fa».
Ha visto il film di
Sorrentino, candidato all’Oscar?
«Sì, e l’ho amato
incondizionatamente. È bellissimo e doloroso. Lo sguardo del
regista non è crudele ma straziante. Come tutti i bei film La
grande bellezza non dà risposte».
Cos’è per lei la
“grande bellezza”?
«Più che un requisito
estetico, un sentimento».
Va spesso al cinema?
«Mi ha divertito
American Hustle e ho amato molto A proposito di Davis: parla di
un folksinger, è roba mia!».
Cosa la ispira oggi?
«Continuo a pascolare
su tre o quattro accordi, ma credo di avere uno sguardo più
profondo sulla musica».
Cosa prepara?
«Un disco con venti
pezzi vecchi ricantati e risuonati oggi che sono un uomo e un
artista diverso. E’ come ridipingere lo stesso quadro, è il
vantaggio del mio mestiere».
A Hollywood, De
Gregori ha abbracciato Sorrentino. Tornando a casa in macchina,
il regista ha cantato a squarciagola con la moglie e i figli le
canzoni del “Principe”.
Sabato 01 Marzo 2014 -
http://www.ilmessaggero.it/spettacoli/musica/de_gregori_los_angeles_concerto_america/notizie/548245.shtml
Oscar 2014, l'Italia
aspetta Sorrentino con la musica di Gregori
A sostenere il regista anche
Francesco De Gregori che ha tenuto il suo primo concerto a Hollywood
Tutti pronti ad incollarsi agli
schermi in attesa di vedere Paolo Sorrentino impugnare la tanto
sospirata statuetta. Stanotte in tanti faranno le ore piccole per
seguire la diretta della consegna degli Oscar. E tutta l'Italia
scende in campo e si stringe intorno al regista napoletano in lizza
con La Grande Bellezza.
A farlo è stato anche Francesco
De Gregori che ha tenuto, per la prima volta nella sua lunghissima
carriera, un concerto al Chinese Theatre di Hollywood.
Il cantautore romano ha ricevuto
l'Italian Excellence Award, premio del festival Los Angeles, Italia
2014, organizzato da Pascal Vicedomini proprio a ridosso della
serata degli Oscar. A premiare De Gregori la cantante americana
Siedah Garrett e lo sceneggiatore Steven Zaillian.
De Gregori, più volte definito il
Bob Dylan italiano, al Chinese Theatre ha proposto i suoi grandi
successi come Alice, La Donna Cannone e, soprattutto, Viva L'Italia,
sulla quale si è meritato la standing ovation del pubblico.
Sul film di Sorrentino il
cantautore ha dichiarato che lo ha trovato "bellissimo, una grande
opera, dolorosa e straziante".
Ad Hollywood ha anche avuto modo
di passeggiare da turista insieme alla moglie e al suo inseparabile
cappello: "Ho sempre attinto musicalmente dagli USA. Ora sto
preparando un nuovo album con tutti i miei pezzi più vecchi. Li sto
riarrangiando e rileggendo con gli occhi di una persona diversa,
cresciuta".
Non parla di Lucio Dalla, forse
volutamente, forse perché per lui è un momento doloroso e intimo. In
questi giorni ricorre l'anniversario della morte e il suo
compleanno.
Tutti pronti, quindi, a tifare
Sorrentino in questa lunga giornata dove anche i bookmaker lo danno
vincente. La grande bellezza, è quotato a 1.16. Il sospetto a 4.50,
Alabama Monroe a 9.00, Omar a 34.00 e The missing picture a 51.00.
02-03-2014 Marco Cesaro
(ANSA) LOS ANGELES, 28 FEB -
Standing ovation per Francesco de Gregori al Chinese Theatre 6 di
Hollywood dove l'artista italiano si è esibito, per la prima volta
nella carriera, in California nell'ambito della serata in suo onore
organizzata da Los Angeles, Italia IX edizione che gli ha assegnato
l'Excellence Award. Il produttore del festival Pascal Vicedomini per
premiare De Gregori ha chiamato sul palco la cantante losangelina
Siedah Garrett e lo sceneggiatore premio Oscar Steven Zaillian
Canalis a cena con De Gregori:
“Che emozione, il mio cantante preferito”. Elisabetta Canalis ha
cenato con il cantante e la moglie Alessandra in occasione del
festival dedicato al cinema italiano ed americano, "Los
Angeles/Italia".
(ANSA) - ROMA, 29 NOV - Dopo
tredici anni, anche per effetto della spending review, i Premi De Sica
tornano da Palazzo del Quirinale al Campidoglio. Ed esattamente nella
splendida sala dell'Esedra di Marco Aurelio. Tra i premiati di cinema,
musica, scienze e letteratura i più applauditi sono stati Francesco De
Gregori ed Eugenio Scalfari. Mentre, per il cinema, i De Sica sono
andati a Francesco Bruni,Daniele Ciprì,Paolo Fresu, Valeria Golino,
Francesca Marciano,Claudio Santamaria, Alessandro Siani e Sara
Serraiocco. |
A passo d'uomo, sulla
strada di Francesco de Gregori.
di Michela Becciu.
Il 20 novembre di un anno fa
usciva il disco Sulla strada, a 4 anni di distanza dal suo ultimo
lavoro, "Per brevità chiamato artista". E che artista, Francesco De
Gregori. Una carriera costellata di capolavori, iniziata nel lontano
1973, con "Alice non lo sa".
Il cantautore per antonomasia ci
ha raccontato la storia d'Italia degli ultimi 35 anni ma, a leggerli
bene -oltre che ascoltarli- i suoi versi rivelano tanto di sé, tanto
di noi, dei sentimenti e passioni umane.
Basta scavare tra le sue note
musicali e scoprire mondi.
Chiavi di lettura che continuano
a svelarsi, nel tempo, rivestendosi sempre di nuova attualità.
Questo è Francesco De Gregori,
il cantastorie che meglio di ogni altro sa leggere gli eventi,
anticipandoli. Colui che dei "corsi e ricorsi storici" di vichiana
memoria ha farcito i suoi brani, raccontando in musica che l'uomo,
fondamentalmente, si ripete nel Tempo, anche se "gli angoli del
presente diventano curve nella memoria". E anche lui in questi anni
ha subito tante trasformazioni, sia come musicista che come uomo. Ma
la sua essenza è rimasta la stessa che abbiamo in tanti anni
imparato a conoscere: un mix di elegante sobrietà, essenzialità,
profondità, classe.
Lucio Dalla fu tra i primi a
saperla riconoscere ed apprezzare, tanto da dargli l'appellativo di
"Principe", dai tempi di Banana Republic, ed era il '79. E quel
Principe della canzone d'autore italiana oggi ha 62 anni, e ancora
tante cose da dire. L'ultimo anno lo ha visto impegnato in giro per
l'Italia, in un tour fortunato che ha chiuso i battenti a Rimini, il
28 settembre scorso. E chi lo ha visto e sentito esibirsi sul palco
ha certamente notato la sua energia e verve contagiose: la magica
sinergia di una band assodata, dal 2001, che si diverte sul palco e
fa divertire il pubblico. Un pubblico che taglia e abbraccia,
trasversalmente, almeno quattro generazioni. Perché la Musica
unisce, lega i cuori e gli orecchi.
L'artista piu "dylaniano' di
sempre, è tutto raccontato nei 9 brani inediti di "Sulla strada", in
cui emerge la sua serenità verso lo scorrere degli eventi, della
vita; una leggiadra sensazione di 'pienezza' e 'soddisfazione'
raggiunte in virtù di una carriera che ha sempre viaggiato su alte
vette, e che gli (ci) ha dato tanto.
"Passo d'uomo", la seconda track
list del disco, è la fotografia del De Gregori di oggi: un uomo che
ha smesso -alla luce della maturità raggiunta - di fagocitare la sua
vita, e che ora se la gode senza fretta, riuscendo ad apprezzarne
anche le piccole sfumature.
"Sono qui che guardo fuori, senza
troppo pensare.. vedo cadere la cenere, vedo il fumo che sale",
questi alcuni versi del brano da cui si evince la sua serena
consapevolezza dinnanzi alla finitudine della natura umana. Ma è una
saggia accettazione, non certo un'amara arrendevolezza. Un uomo che
va piano e canta l'amore, che ha un po' paura quando pensa al
mistero della morte, "ma nemmeno tanto".
Ancora: "e vado per la vita, a
passo d'uomo/altro passo non conosco, altra parola non sono" ...
Il tempo addolcisce gli animi e,
facendo il suo dovere, spazza via le asperità. Francesco De Gregori
non ha certo smesso di interrogarsi sul senso della vita, piuttosto
non fa più a pugni con il fatto che a certi 'perché' esistenziali
non vi siano umane risposte: "e non c'è niente da nascondere, niente
da svelare/niente da tenere stretto, non c'è niente da lasciare".
Certamente un lavoro di ampio
respiro musicale e contenutistico, che spazia dal genere ballad dal
sound pop-folk al rock e, per la prima volta, dà spazio
all'andamento ritmato e claudicante del Rebetiko, sulla scia
dell'ottimo sperimentatore Vinicio Capossela. Un De Gregori
eclettico come non mai, che non ama ripetersi e sa reinventarsi
negli anni. E l'ultimo Bob Dylan live in italia a novembre ce lo ha
dimostrato: è calcando il palco, ancora, a 72 anni che un vero
artista alimenta il fuoco del suo genio, trovando sempre nuove
motivazioni. E il nostro 'Dylan' italiano -tutto ce lo lascia
pensare- saprà fare altrettanto. E non c'è niente da capire...
Michela Becciu
http://www.ragusanews.com/articolo/36828/a-passo-d-uomo-sulla-strada-di-francesco-de-gregori
Michela Becciu
ha collaborato con Paolo Vites alla collana di cd di De Gregori che
è uscita in settembre e ottobre con TV Sorrisi e Canzoni. Ha
lavorato con Vites alla stesura dei libretti che accompagnano i cd.
De Gregori: non voto
più. La mia sinistra si è persa tra slow food e No Tav
«Ringrazio Dio che il
Pd non governi con Grillo» Forse potevamo farci meno domande su Noemi e
più sull'Ilva
Francesco De
Gregori, sono sei anni, da quando in un'intervista al «Corriere» lei
demolì la figura allora emergente di Veltroni, che non parla di
politica. Che cosa le succede?
«Succede che il
mio interesse per la politica è molto scemato. Ha presente il principio
fondativo delle rivoluzioni liberali, "no taxation without
representation?". Ecco, lo rovescerei: pago le tasse, sono felice di
farlo, partecipo al gioco. Però, per favore, tassatemi quanto volete, ma
non pretendete di rappresentarmi».
Cos'ha votato
alle ultime elezioni?
«Monti alla
Camera e Bersani al Senato. Mi pareva che Monti avesse governato in modo
consapevole in un momento difficile. Sono contento di com'è andata. No.
Oggi non so cosa farei. Probabilmente non voterei. Con questo sistema,
tanto vale scegliere i parlamentari sull'elenco del telefono».
Dice questo
proprio lei, considerato il cantautore politico per eccellenza? L'autore
de «La storia siamo noi», per anni colonna sonora dei congressi della
sinistra italiana?
«Continuo a
pensarmi di sinistra. Sono nato lì. Sono convinto che vadano tutelate le
fasce sociali più deboli, gli immigrati, i giovani che magari oggi
nemmeno sanno cos'è il Pd. Sono convinto che bisogna lavorare per
rendere i poveri meno poveri, che la ricchezza debba essere
redistribuita; anche se non credo che la ricchezza in quanto tale vada
punita. E sono a favore della scuola pubblica, delle pari opportunità,
della meritocrazia. Tutto questo sta più nell'orizzonte culturale della
sinistra che in quello della destra. Ma secondo lei cos'è oggi la
sinistra italiana?».
Me lo dica lei,
De Gregori.
«È un arco
cangiante che va dall'idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo
vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità.
Che agita in continuazione i feticci del "politicamente corretto", una
moda americana di trent'anni fa, e della "Costituzione più bella del
mondo". Che si commuove per lo slow food e poi magari, "en passant",
strizza l'occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini.
Tutto questo non è facile da capire, almeno per me».
Alla fine la
sinistra si è alleata con Berlusconi.
«Questo governo
non piace a nessuno. Ma credo fosse l'unico possibile. Ringrazio Dio che
non si sia fatto un governo con Grillo e magari un referendum per uscire
dall'euro. Se poi molti nel Pd volevano governare con Grillo e io non
sono d'accordo non è un dramma. Ora il Pd è di moda occuparlo, prendere
la tessera per poi stracciarla. Non ne posso più di queste
spiritosaggini».
Apprezza Letta?
«Le ho detto che
seguo poco. Se mi chiede chi è ministro di cosa, magari non lo so.
Quando viaggio compro sei giornali, ma dopo dieci minuti li poso e
comincio a guardare fuori dal finestrino...».
Colpa dei
giornali o della politica?
«Magari è colpa
mia. Mi sento, mischiando Prezzolini e Togliatti, un "inutile apota".
Comunque nutro un certo rispetto per il lavoro non facile di Letta e di
Alfano. Sono stufo del fatto che, appena si cerca un accordo su una
riforma, subito da sinistra si gridi all'"inciucio", al tradimento.
Basta con queste sciocchezze. Basta con l'ansia di non avere nemici a
sinistra; io ho sempre avuto nemici a sinistra, e non me ne sono mai
occupato. Ho votato Pci quando era comunista anche Napolitano. Ma viene
il momento in cui la realtà cambia le cose, bisogna distaccarsi da
alcune vecchie certezze, lasciare la ciambella di salvataggio ed essere
liberi di nuotare, non abbandonando per questo la tua terra d'origine.
Non ce la faccio più a sentir recitare la solita solfa "Dì qualcosa di
sinistra". Era la bellissima battuta di un vecchio film, non può
diventare l'unica bandiera delle anime belle di oggi. Proviamo piuttosto
a dire qualcosa di sensato, di importante, di nuovo. Magari scopriremo
che è anche di sinistra».
Di Berlusconi
cosa pensa?
«Berlusconi è
stato fondamentalmente un uomo d'azienda. Nel suo campo e nel suo tempo
una persona molto abile, non un vecchio padrone delle ferriere. Ha fatto
politica solo per proteggere i suoi interessi, senza avere nessun senso
dello Stato, nessun rispetto per le regole e, credo, con alle spalle una
scarsa cultura generale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. È
imputato di reati gravi e si è difeso dai processi più che nei processi.
Che altro vuole sapere? Aveva ragione l'Economist : Berlusconi era
inadatto a governare l'Italia. Mi chiedo però anche se l'Italia sia
adatta a essere governata da qualcuno».
Un premier non
telefona in questura per far liberare un'arrestata dicendo che è la
nipote di Mubarak, non crede?
«Certo. Andreotti
non si sarebbe mai esposto così. Però, guardi, ho seguito con crescente
fastidio e disinteresse l'accanimento sulla sua vita privata. Forse
potevamo farci qualche domanda in meno su Noemi e qualcuna di più
sull'Ilva di Taranto? Pensare di eliminare Berlusconi per via
giudiziaria credo sia stato il più grande errore di questa sinistra.
Meglio sarebbe stato elaborare un progetto credibile di riforma della
società e competere con lui su temi concreti, invece di gingillarsi a
chiamarlo Caimano e coltivare l'ossessione di vederlo in galera. Non
condivido nulla dell'etica e dell'estetica berlusconiana, ma mi irrita
sentir parlare di "regime berlusconiano": è una falsa rappresentazione,
oltre che una mancanza di rispetto per gli oppositori di Castro o di
Putin che stanno in carcere. E ho trovato anche ridicolo che si sia
appiccicata una lettera scarlatta al sindaco di Firenze per un suo
incontro col premier».
Renzi appare
l'uomo del futuro.
«Renzi è uno che
ha sparigliato. Se il Pd avesse candidato lui probabilmente avrebbe
vinto. Ma la scelta del termine rottamazione non mi è mai piaciuta, mi è
sempre parsa volgare e violenta. E poi non sono più disposto a seguire
nessuno a scatola chiusa».
Quindi non crede
in lui? E non voterà alle primarie?
«Il verbo
"credere" non dovrebbe appartenere alla politica. Non basta promettere
bene e saper comunicare. E poi penso di non votare alle secondarie, si
figuri se voterò alle primarie. Il Pd sta passando l'estate a litigare.
E magari anche Renzi ne uscirà logorato».
Aveva acceso
speranze Grillo e l'idea della rete come veicolo di partecipazione.
«Ho trovato
inquietante la campagna di Grillo, il suo modo di essere e di porsi, il
rifiuto del confronto, le adunate oceaniche. Condivido i tagli ai costi
della politica e la richiesta di moralizzazione che viene da molti e che
Grillo ha saputo ben intercettare. Molti elettori e molti eletti del M5S
sono sicuramente persone degne e capaci di fare politica. Ma questa idea
della Rete come palingenesi e istituzione iperdemocratica mi ricorda i
romanzi di Urania».
Con Veltroni
avete fatto pace?
«Per
quell'intervista mi saltarono addosso in molti, compresi alcuni colleghi
cantanti. Qualcuno mi chiese addirittura "Chi ti ha pagato?". Con
Veltroni ci siamo incontrati per caso un paio di mesi fa al Salone del
Libro a Torino, abbiamo parlato qualche minuto e credo che questo abbia
fatto piacere a tutti e due. È sempre una persona molto ricca sul piano
umano. Ma non mi andava di essere catalogato tra i Veltroni Boys».
Non c'è proprio
nessuno che le piaccia?
«Papa Francesco,
la più bella notizia degli ultimi anni. Ma mi piaceva anche Ratzinger.
Intellettuale di altissimo livello, all'apparenza nemico del mondo
moderno e in realtà avanzatissimo, grande teologo e per questo forse
distante dalla gente. Magari i fedeli in piazza San Pietro non lo
capivano. Ma il suo discorso di Ratisbona fu un discorso importante».
Oggi non
canterebbe più «Viva l'Italia»?
«Al contrario.
Sono convinto che l'Italia abbia grandi chance per il futuro. E ogni
volta che canto quella canzone sento che ogni parola di quel testo
continua ad avere un peso. "L'Italia che resiste", ad esempio; e solo le
anime semplici potevano pensare che c'entrasse qualcosa con lo slogan
giustizialista "resistere resistere resistere". "L'Italia che si dispera
e l'Italia che s'innamora". L'Italia che ogni tanto s'innamora delle
persone sbagliate, da Mussolini a Berlusconi. Ma il mio amore per
l'Italia, e per gli italiani, non è in discussione. Sono stato
berlusconiano solo per trenta secondi in vita mia: quando ho visto i
sorrisi di scherno di Merkel e Sarkozy».
Aldo Cazzullo –
www.ilcorriere.it 31 luglio 2013 | 11:28
A Ravello De Gregori
svela i suoi progetti
Il famoso cantautore si confessa in
Costiera Amalfitana: «Sto rielaborando mie vecchie canzoni che faranno
parte del prossimo album»
«Sto rielaborando mie vecchie canzoni
che faranno parte del prossimo album". Da Ravello Francesco De Gregori,
ospite del Ravello Festival, confessa di star lavorando a un nuovo
progetto nato dal desiderio di voler reinterpretare i brani passati con
un suono nuovo che lui definisce "contemporaneo".
Se molti cantanti tendono a mettere
da parte il loro repertorio passato, non è così per lui: "Ho un ottimo
rapporto con le canzoni scritte vent'anni fa; ovviamente alcune mi
piacciono di più, altre di meno; ma di certo non sono invecchiate. Il
segreto è arrangiare i brani in modo diverso, cosa che faccio ogni volta
che salgo sul palco; mi sento come un bambino in un negozio di
giocattoli".
Se le sue canzoni non invecchiano,
non si può dire lo stesso del suo pubblico che rimane sempre ancorato al
De Gregori di "Buonanotte fiorellino" perché, come spiega, "avendo
smesso semplicemente di sentir musica, le persone vicine alla mia età
non si interessano ai nuovi progetti". Il cantautore si rinnova ma la
visione è rimasta la stessa di trenta anni fa perché, come lui stesso
afferma, "il pubblico viene e va, ma la dimensione della musica non
cambia".
Il cantautore non teme la
concorrenza delle nuove generazioni: "I talenti che raggiungono il
successo grazie ai talent show si riferiscono a un universo che non può
entrare in competizione con quello che faccio io". Questo per il
cantautore non significa denigrare quei cantanti che provengono da
programmi televisivi. De Gregori confessa di apprezzare Marco Mengoni e
Malika Ayane, cantanti che considera artisti. Anche per il panorama Hip
Hop svela il suo preferito: "Mi piace Moreno, l'ultimo vincitore di
Amici. È divertente e soprattutto, a differenza di altri rapper
italiani, scrive pezzi sensati e che non tendono al piagnisteo".
http://lacittadisalerno.gelocal.it/cronaca/2013/07/22/news/a-ravello-de-gregori-svela-i-suoi-progetti-1.7461868
Per tutti i fan è il "principe" della musica italiana. Eppure, per
qualche minuto si comporta da semplice turista, come i tanti in visita
a Ravello. È lunedì sera e Francesco De Gregori è atteso nei giardini di
villa Rufolo per un incontro -dibattito del Ravello Festival
dedicato al "domani". E, a proposito di futuro, il cantautore di
"Rimmel", "Generale" e "La donna cannone" ha appena dichiarato, proprio
nella cittadina costiera, di stare rielaborando alcune sue antiche
canzoni che faranno parte del prossimo album. De Gregori si concede una
lunga passeggiata nel verde della villa, rapito dal suo belvedere a
picco sul mare e dalle sculture di Mimmo Paladino, esposte tra un'aiuola
e l'altra. "È la prima volta che visito questo luogo - dichiara - È
meraviglioso, lascia senza fiato. Capisco perché molti artisti vi hanno
trovato ispirazone". L'incontro inizia alle 21.30 introdotto da Stefano
Valanzuolo, direttore del festival, mentre l'intervista è tenuta
dal critico Marino Sinibaldi, direttore di Radio Rai Tre. "In
quarant'anni di carriera credo di aver superato le duecento canzoni -
inizia il "principe"- quasi come i goal di capitan Totti". E non ha la
minima intenzione di fermarsi o ritirarsi dai palchi: "Credo che l'arte
non sia una questione di anagrafe. Basti pensare ai grandi vecchi della
musica come Springsteen, Bob Dylan o i Beatles, che ancora hanno
qualcosa da dire e che tutt'oggi continuo a cantare sotto la doccia,
cosi come milioni di altri fan nel mondo". De Gregori, tradizionalmente
schivo e riservato con i suoi inseparabili occhiali scuri e cappello
Panama, si apre, descrivendo il suo legame con il pubblico. "Quando ero
più giovane -spiega- ero molto più distante: credevo che il mio
rapporto con le platee nascesse e finisse in un concerto. Il risultato
era un applauso o un fischio. Oggi invece mi sono molto più ammorbidito
-continua- e se prima storcevo il naso anche per una foto rubata, ora mi
fa piacere. Il dialogo con il proprio pubblico si costruisce anche in
questi passaggi. L'ho imparato lavorando con Lucio Dalla, che aveva un
rapporto speciale con i suoi fan". Persino sulla rete e sui programmi di
condivisione musicale il principe sembra essersi ammorbidito, anche se
"Internet, che qualcuno chiama la democrazia del domani, ha accelerato
ogni cosa. Oggi viviamo una musica random (casuale): c'è cosi tanto
materiale disponibile e immediato, che non si ha il tempo di
approfondire un genere o affezionarsi un brano. La musica è cambiata ma,
allo stesso tempo, è sempre più social. E questo, comunque, non credo
sia un danno, anzi".
E se sulla politica e l'attualità il passaggio è breve ("Se scrivessi
oggi una canzone sulla situazione dei partiti in Italia, credo sarebbe
un pezzo noiosissimo"), De Gregori si congeda dal pubblico con una
confessione: "Sto scrivendo in questi giorni una nuova canzone. Mi
piacerebbe inserirvi un verso che mi ha appena citato Secondo
Amalfitano, segretario della fondazione Ravello, e che mi ha colpito
molto" . Le parole in questione sono "Ogni marinaio ha diritto ad una
sua paga", citate nelle Tavole di Amalfi, il primo codice marittimo
della Storia, risalente al decimo secolo. E tra le prime file già si
parla di un nuovo brano che si aggiungerà alla celebre trilogia dei
brani sul Titanic ("L'abbigliamento di un fuochista", "Titanic", "I
muscoli del capitano"). Ma quando qualcuno dal pubblico gli chiede se
verrà a suonarla per la prima volta proprio a Ravello, risponde:
"Vediamo". E sorride: "Non ci allarghiamo". Il principe non si smentisce
mai (paolo
de luca)
http://napoli.repubblica.it/cronaca/2013/07/23/foto/de_gregori_turista_nelle_strade_di_ravello-63526199/1/#1
Grandi
ospiti anche quest’anno al Salone Internazionale del libro di Torino
2013. Urban Post ha curiosato per voi fra gli stand più interessanti e
seguito gli interventi tenuti dagli ospiti più prestigiosi e amati dal
pubblico. Ci è piaciuta l’idea proposta dalla casa editrice Emons di
offrire ai propri clienti degli audiolibri; spicca, fra questi prodotti,
la lettura di “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad a cura del cantautore
Francesco De Gregori che traghetta l’ascoltatore, non più lettore, nel
cuore del noto romanzo. Come il musicista tiene a precisare non si
tratta di un lavoro attoriale bensì di una lettura articolata, ben
comprensibile e scandita che interpreta ma non ruba la scena al libro.
Cuore di tenebra è un libro che De
Gregori ha amato sin da giovanissimo, come lui stesso racconta durante
la presentazione presso l’Auditorium del Salone Internazionale del
libro, che potete vedere e ascoltare nel video sottostante realizzato da
Urban Post presente all’evento. Fra i volumi che aveva valutato, oltre
al capolavoro di Conrad sul quale è ricaduta la scelta finale, c’erano
anche opere di Piero Chiara, ritenuto dal cantautore uno scrittore
ancora molto sottovalutato in italia, America di Kafka e Nove racconti
di Salinger.
De Gregori, davanti ad una vasta
platea che ha affrontato paziente una lunga fila per aggiudicarsi un
posto in auditorium, ha spiegato l’attualità che ravvisa nell’opera di
Conrad nella quale vede tutto il degenero del Novecento: le guerre, le
miserie sociali, il razzismo ed il colonialismo scriteriato. Asciutto
nel linguaggio non si dilunga eccessivamente, punta dritto al cuore del
messaggio che vuole restituire ma, sorprendentemente, sorridente e meno
schivo del solito. Immancabili Ray Ban e cappello nero, barba brizzolata
sempre più decisa verso il bianco, qualche inaspettato sorriso e la sue
chiavi di lettura per codificare l’opera di Conrad; questo è il De
Gregori che ha fatto capolino a Torino pubblicamente e che potete
gustarvi nel video.
http://urbanpost.it/salone-del-libro-2013-francesco-de-gregori-legge-cuore-di-tenebra-di-conrad-video
Il sogno del menestrello:
sul palco con De Gregori
Il cantautore, a Ravenna per una
serata, è stato protagonista di un siparietto con un artista di strada
che intonava un suo motivo. L'incontro si è concluso con un invito al
concerto
di VALERIO VARESI
Se fosse stato un po’ più giovane
l’avrebbe stracciato con la fantasia, ma Francesco De Gregori, a
passeggio per le strade di Ravenna in attesa di esibirsi al teatro
Alighieri in serata, è stato molto più conciliante arrivando ad invitare
il musicista di strada, autore di un’invasione nel suo repertorio, tra
le austere poltrone della platea ad ascoltare la versione originale.
Un siparietto che ha come scenario
via Diaz nella città dei mosaici, piena zona pedonale dove Werther
Bartoletti, uno che sembra avere nel nome la vocazione alla teatralità,
si esibisce con la sua chitarra per sbarcare il lunario. La gente lo
conosce come un personaggio cittadino e gli oboli non mancano, ma oggi
l’imitatore e l’imitato si sono trovati inaspettatamente di fronte.
De Gregori sente le sue note e
s’incuriosisce, si avvicina e all’altro non par vero di vedersi
materializzato di fronte l’autore di "Rimmel". Gli si spegne la musica
sotto il plettro, la chitarra s’ammaina: guarda un po’ cosa può capitare
a un povero artista di strada. Del resto, l’ultimo album del cantautore
romano si intitola proprio "Sulla strada", espressa citazione da Kerouac
e grande giacimento di ispirazione. Forse a De Gregori è invece venuto
in mente il protagonista di una canzone, scritta per Ron una ventina di
anni fa, che si chiama "Mannaggia alla musica" e parla di un uomo
portato lontano dai suoi affetti dall’amore per il pentagramma
senza tuttavia fare fortuna. È
probabile che Bartoletti gli sia apparso come l’incarnazione di questo
personaggio, tanto da invitato al concerto serale dell’Alighieri
offrendogli anche il biglietto. Una cosa insolita per un "menestrello"
abituato alle esibizioni "en plein air"con tutti i disagi del caso,
comprese le multe dei vigili. Ma sensibile alla causa dei senza tetto al
punto di organizzare, assieme a un altro musicista, Gigi Tartaul, un
concerto di "cover" tratte da testi di De Andrè, Guccini e dello stesso
De Gregori. Per una volta, il buon Werther, non dovrà sfacchinare con la
chitarra alle intemperie, ma si limiterà ad ascoltare seduto sul velluto
quelle note e quelle parole che lui conosce ormai da tempo a memoria
proprio come un ritornello.
(16 maggio 2013)
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2013/05/16/news/il_sogno_del_menestrello_sul_palco_con_de_gregori-58955994/
De
Gregori e Piovani, “Quattro mani per strada”
Domenica 19 maggio al Teatro
Excelsior di Reggello (Firenze). Il cantautore romano e il premio
insieme per un evento esclusivo. Atmosfere confidenziali e successi dai
rispettivi repertori.
Con un bell’esercizio di fantasia
l’hanno battezzato “Quattro mani per strada”, l’evento esclusivo in
programma al Teatro Excelsior di Reggello che rinnova la collaborazione
tra due pesi massimi della musica italiana, il premio Oscar Nicola
Piovani e il “principe” Fracesco De Gregori.
Incontro tra musica da film e
canzone d’autore, verrebbe da dire. Ma sarebbe un facile escamotage. Di
Francesco De Gregori sappiamo tutto, della lunghissima carriera sul filo
della poesia, di canzoni come “Viva l’Italia, “Generale”, “Rimmel”, “La
donna cannone”, “Buonanotte Fiorellino” in cui rivivono la nostra
storia, gli amori e le emozioni.
Nicola Piovani si porta appresso una
sorta di titolo onorifico che precede il suo nome ormai in ogni dove:
quel “Premio Oscar” che rimanda ad un capitolo meraviglioso come “La
vita è bella” e inevitabilmente oscura le esperienze in campo
cantautorale, anch’esse importanti: un caso per tutti gli arrangiamenti
di “Non al denaro, non all’amore né al cielo” e “Storia di un impiegato”
di De André.
Un passato che Piovani si è ripreso,
in parte, con il progetto “Cantabile”, a cui ha preso parte anche
Francesco De Gregori, in quel pezzo-capolavoro che è “Alla fine della
Storia”. La complicità tra i due artisti torna adesso fondersi in questo
spettacolo-concerto, volutamente intimo e raccolto, lontano dalle grandi
metropoli. Quattro mani per strada, quattro mani sulla strada…
http://www.toscanamusiche.it/de-gregori-e-piovani-quattro-mani-per-strada/
Durante il tour
estivo 2013 hanno collaborato Giorgio Tebaldi al trombone,
Stefano Ribeca al sassofono e Giancarlo
Romani alla tromba
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Giorgio Tebaldi |
Stefano Ribeca |
Giancarlo Romani |
TOUR
TEATRALE 2013
23
NOV Roma (Atlantico Live) 28 NOV Milano
(Alcatraz) 06 MAR Lucerna (Stadtkeller)
07 MAR Lucerna (Stadtkeller) 08 MAR
Rubigen (Muhle Hunziken) 4 MAR Roma (Atlantico
Live) 16 MAR Campione d'Italia (Casinò)
20 MAR Bologna (Teatro Manzoni) 21 MAR Lucca
(Teatro del Giglio) 23 MAR Brescia
(Palabrescia) 26 MAR Genova (Teatro Carlo
Felice) 27 MAR Cremona (Teatro Ponchielli)
04 APR Torino (Teatro Colosseo) 06 APR
Parma (Teatro Regio) 8 APR Trento (Auditorium Santa Chiara)
09 APR Belluno (Teatro Comunale) 12 APR Bergamo
(Teatro Creberg) 13 APR Padova (Gran Teatro
Geox) 19 APR Milano (Teatro Arcimboldi)
20 APR Milano (Teatro Arcimboldi) 22 APR
Lugano (Palacongressi) 23 APR Reggio Emilia
(Teatro Valli) 24 APR Ancona (Teatro delle Muse)
29 APR Verona (Teatro Filarmonico) 01 MAG
Capannori (Piazza Aldo Moro) 03 MAG Assisi
(Teatro Lyrick) 04 MAG Firenze
(Teatro Verdi) 07 MAG Napoli (Teatro
Augusteo) 09 MAG Cosenza (Teatro Rendano)
10 MAG Catania (Teatro Metropolitan) 11 MAG
Palermo (Teatro Golden) 12 MAG Messina
(Palacultura) 13 MAG Catanzaro (Politeama)
15 MAG – S.B. del Tronto (Palariviera) 16
MAG Ravenna (Teatro Alighieri) 17
MAG Novara (Teatro Coccia)
|
Il nuovo disco, un libro
aperto per non arrendersi alla vita
Paolo Vites
http://www.ilsussidiario.net/News/Musica-e-concerti/2012/11/20/DE-GREGORI-Sulla-strada-il-nuovo-disco-un-libro-aperto-per-non-arrendersi-alla-vita/339536/
"Ci vediamo lungo la strada, che ne siamo degni”: così mi salutò una
sera Francesco De Gregori sulla porta di un camerino, anzi un “camerino
già vecchio tra un lavandino e un secchio tra un manifesto e lo
specchio”, per citare una delle sue canzoni più belle, perfetto ritratto
della vita on the road. Per vivere sulla strada, bisogna infatti esserne
degni, non è da tutti. Vivere sulla strada significa vivere con il cuore
aperto, continuando a seguirne il desiderio, rinunciare a fermarsi alla
prima risposta che possa appagare, perché risposte del genere non
bastano mai. Siamo fatti per stare sulla strada. La vita è una strada,
un cammino, verso ciò che ci completerà, “esperienza e mistero per tutta
la strada” come dice lo stesso De Gregori nella canzone che intitola il
disco, l’opposto di quanti dicono che siccome nulla potrà colmare i
nostri bisogni allora occorre eliminare il bisogno, che è quello che la
società moderna, anche quella virtuale della Rete, ci dice tutti i
giorni.
“Sulla strada” è anche il titolo del nuovo disco del cantautore romano,
a quattro anni dal suo ultimo lavoro in studio, ma non quattro anni di
silenzio. Perché negli ultimi quattro anni, ma come sempre nella sua
carriera ultra decennale, De Gregori non è stato fermo, ma sempre “sulla
strada”: tournée nei teatri più prestigiosi e nei “pub” più nascosti,
concerti con l’amico che non c’è più Lucio Dalla e tanti, tantissimi da
solo. E’ la sua vita, irriducibile passione per un mestiere che si fa
esperienza quotidiana e non passerella occasionale, quella di cantare le
sue canzoni ovunque ci sia “una città per cantare”. E allora il nuovo
disco celebra un po’ tutto questo: le parole “sulla strada” fanno
capolino in contesti diversi in ogni canzone. Sulla strada, quella di
Kerouac, libro che De Gregori ammette di aver letto solo adesso e di
aver evitato in gioventù, a differenza di tutti quelli della sua
generazione che su quel libro hanno costruito una utopia poi destinata a
rivelarsi deludente. Per De Gregori nessuna utopia, ma vita, tale da
portarlo a 60 anni compiuti e quattro decenni di carriera a uno dei suoi
dischi più innovativi e coraggiosi. “Non trovo riferimenti a Bob Dylan
in questo disco” gli faccio notare, cosa strana per un artista che da 40
anni infarcisce i suoi lavori di citazioni e tributi al suo maestro.
“Bravissimo, è verissimo” mi risponde. “E’ una novità assoluta”. Sarà,
ma un riferimento il sottoscritto lo ha trovato lo stesso. Se Bob Dylan
da anni si ispira alle musiche pre rock’n’roll, quel folk e quel blues
degli anni 30 e 40 che costituiscono l’ossatura della canzone rock, De
Gregori per questo nuovo disco sembra ispirarsi a quella canzone
italiana precedente l’ultima guerra, quella anch’essa anni trenta e
quaranta. Non è la prima volta che lo fa, questo filo è sempre presente
nel suo lavoro: una volta mi spiegò come le canzoni che cantava sua
madre al pianoforte furono la sua prima educazione musicale.
Nel nuovo disco, con eccezione del brano che lo titola, una tipica
ballata rock delle sue, l’atmosfera apre a un mondo antico e
dimenticato, tra bui appartamenti di una grande città ai tempi
dell’ultima guerra o i saloni illuminati di una festa della belle
epoque, come titola il brano omonimo. C’è l’eco dei programmi radio
quando la radio si chiamava ancora Eiar, Ente Italiano per le Audizioni
Radiofoniche e non Rai, l’odore di vecchi 78 giri che probabilmente
giravano per casa De Gregori. Anche il brano La guerra, nonostante
l’andamento rock, si apre a un ritornello corale che sembra uscire da un
canto alpino o partigiano, comunque popolare, antichissimo.
E De Gregori mai o raramente è stato così diretto e auto biografico
nelle sue canzoni, quasi a sentire il bisogno di non nascondersi dietro
più a nulla. E’ evidente nella pianistica e intensa Guarda che non sono
io, canzone imponente, onestissima il cui arrangiamento d'archi è curato
da Nicola Piovani: “non sono io quello che ti perdona e ti capisce che
ti non ti lascia sola e non ti tradisce, qualcuno mi vede e mi chiama
per nome, si ferma e mi ringrazia, vuole sapere qualcosa di una vecchia
canzone e io gli dico scusami non so di cosa stai parlando se credi di
conoscermi non è un problema mio”.
Succede di nuovo in Omero al Cantagiro con quel pianoforte anni 30, il
mandolino mediterraneo, con il ritornello che sa di quelle voci al
megafono che si usavano un tempo: “Perché ho fatto più di cento
chilometri per essere qui A farti firmare i miei dischi e ringraziarti
che esisti Fra lacrime e fischi”. Sa di swing e ricorda anche certe cose
di Domenico Modugno, il più grande interprete di canzoni che l’Italia
abbia mai avuto, Belle Epoque, mentre Passo d’uomo è ancora una ballata
pianistica impreziosita dagli archi arrangiati da Guido Guglielminettii
(anche produttore dell'intero disco) con un crescendo vocale ed
emozionale come solo De Gregori sa fare: "povero cuore, con la mano sul
cuore”. Il valzer delicato di Showtime ricorda altri maestri del
passato, certe incisioni di Vittorio De Sica ad esempio. E se Ragazza
del 95 (con il controcanto di una eroina di X Factor, Malika Ayane) con
quel ritmo latino e la tromba in primo piano potrebbe essere la nuova
Titanic, il disco si conclude in modo sommesso, ma raramente così
gioioso per questo cantautore. Un incontro sulla rotonda di Portofino?
E' il pezzo che si intitola Falso movimento: "Come sono contento, fuori
si sente il mare anche se è tutto scuro e non si può vedere Tu mi guardi
negli occhi, io non so dove guardarti stasera sono un libro aperto, mi
puoi leggere fino a tardi". Mai come in questo disco De Gregori era
stato un libro più aperto. E noi lo leggeremo fino a tardi, su questo
non c'è dubbio.
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Probabilmente dev'essere strada la vita lavorata
per il tempo ed il denaro e la casa costruita
Come un ponte su una cascata
come un ponte su una cascata
e quel che vedi dai finestrini
di questa macchina usata
E' difficile capire cos'è ma dev'essere strada
E se quindi dev'essere strada ci deve stare chi ci cammina
e chilometri di passeggiata le poche case sulla collina
E dev'esserci acqua che piove ci dev'essere acqua che piove
per il fiume che porta al mare in fondo a questa vallata
E da qui non si vede granché ma dev'essere strada
E tu che parlavi una lingua da tempo dimenticata
Dov'è che l'avevo sentita? Quand'è che l'avevo scordata?
La tua voce era alta e credibile oltre il suono della cascata
Ed un cielo di zucchero nero e di carta stellata
prometteva esperienza e mistero per tutta la strada
E c'era una porta segreta e un'uscita mascherata
sotto gli occhi di un leone di pietra
e di una vergine chiaccherata
Usciti dalla notte dei tempi o da una pagina patinata
E c'era pianto, stridor di denti ma poi la porta fu spalancata
E finalmente la banda passò a ripulire la strada
E finalmente la banda passò a ripulire la strada
Probabilmente dev'essere strada anche la vita consacrata
al tuo corpo e alle tue mani e alla curva complicata
E rasenta l'innocenza e l'abisso della cascata
E che conosce l'invenzione prima ancora che sia inventata
E che conosce la canzone conosce la strada
E che conosce la canzone riconosce la strada
E che conosce la canzone riconosce la strada
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FRANCESCO DE GREGORI
– SULLA STRADA (SINGOLO)
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RELEASED
28
Settembre 2012
LABEL
Caravan
DISTRIBUTION
Edel
Italia
FORMAT
Digital Download MPEG-4
COUNTRY
Italia
Il primo singolo è stato pubblicato come anticipazione dell’album
Sulla strada, con un video promozionale sul canale ufficiale Youtube
di Francesco De Gregori, in occasione del lancio dell'area riservata di
francescodegregori.net, "Dock of the bay", e del raggiungimento dei
primi 100mila "Mi Piace" sulla propria fan page Facebook, Francesco ha
decise di ringraziare tutti i suoi fan per il supporto e l'apprezzamento
riferito al proprio lavoro, nella fattispecie per quanto riguarda il
web, con una anteprima esclusiva di una sua nuova canzone inedita.
Successivamente fu pubblicato sul canale i-Tunes in formato Digital
Download.
Esistono due versioni della canzone Sulla Strada che si
differenziano con qualche variante del testo, della durata e della
incisione con la versione sull’album omonimo:
- Sulla strada (Versione video Youtube).
Pubblicazione Youtube: 2 agosto 2012.
Durata: 5:08.
- Sulla strada (Radio Edit). Pubblicazione sulla piattaforma
i-Tunes: 25 Settembre 2012. Durata: 4:03.
Una strada lunga un
secolo. De Gregori si racconta a l'Unità.
di Marco Bucciantini 18 novembre.
È un racconto. È il respiro di una memoria, la sua, di Francesco De
Gregori, in un disco già in circolazione, Sulla strada, nove canzoni che
fluiscono suggestive e irrompono a passo marziale. "È il Novecento, ci
sono piantato dentro, sono nato a metà del secolo (nel '51)". Una
narrazione che usa molti materiali espressivi per un tempo che "ci ha
portato la guerra dentro casa e ci ha coccolato con l'arte, la musica,
le comodità, il progresso.
Un secolo contraddittorio, al quale sarò sempre affezionato: ho vissuto
gli anni sessanta, quelli che passavano a cento all'ora, poi i settanta,
cupi, pesanti. I nostri genitori hanno conosciuto il fascismo, i nostri
figli la leggerezza degli ultimi decenni. Ognuno alimentato da un
carburante culturale diverso. Ma sono anni che resteranno". Per Eric
Hobsbawm fu un "secolo breve": lo bloccò dentro due date, l'inizio della
Grande Guerra e la caduta del muro. Nel mezzo "un fallimento dei
programmi vecchi e nuovi per gestire e migliorare la condizione del
genere umano". Profetico (oggi) dove allora sembrava partigiano e
marxista. Questo lo storico, che deve tracciare una riga, e concludere.
L'autore di canzoni si ferma prima della riga: spesso a De Gregori viene
chiesta una supplenza: "Parlaci di politica, cosa ne pensi, cosa
faresti", o peggio ancora: parliamo dei politici. "Mi annoiano. Non
corro ad accendere la televisione per ascoltarli a ogni ora, ogni
trasmissione, rimpallarsi responsabilità. Ma non è un disimpegno: non
gonfio certo le truppe dell'antipolitica. E tutti sanno da che parte
sto". Per questo i suoi occhi sono fondamentali, la sua testimonianza da
ascoltare, a volte più diffidente che ammirata, altre volte più dolce
che storica.
Il punto di vista - "sereno" - è quello del protagonista di una canzone
di un giovane e sfortunato diamante del secolo breve, "quel verso di
Otis Redding in Sittin' on the dock of the bay: seduto sulla banchina di
un molo a passare e sprecare il tempo". Un personaggio già emerso in
Calypsos, nella magnifica canzone In onda, e che traghetta dentro questo
disco ispirato e importante. La prima canzone è quella che intitola
tutto il lavoro, Sulla strada, affiorata dall'omonimo libro di Jack
Kerouac che De Gregori ha letto "a sessant'anni, e sono contento di
averlo fatto ora, ho potuto soffermarmi su altre cose, al di là
dell'impudenza giovanile".
È una canzone promettente e forse fasulla e sicuramente spavalda come un
viaggio senza arrivo, "non si vede granché / ma dev'essere strada". La
misura e la velocità del disco sono indicate in Passo d'uomo, "altro
passo non conosco / altra parola non sono". Una cometa di inizio
Novecento attraversa la Belle époque, una camminata nel disordine
d'inizio secolo, per strade che brindano alla nostalgia, così distratte
da non accorgersi di covare i tempi dell'odio.
Uno dei simboli di quegli anni era il Titanic (dipinto nei quadri,
fotografato, salutato dal molo), che De Gregori trent'anni fa elevò a
simbolo "del fallimento di un'idea ottusa di progresso, di una modernità
che non può essere sacra. La rete - oggi - può dare molto ma non può
essere il totem della civiltà. Ha toccato le nostre vite, ha stravolto
il mio lavoro, ma se il mercato discografico si è arreso di fronte a
questa invasione di musica è solo perché non ha saputo reinventarsi. Le
novità obbligano a cambiare, a ripensare, a trasformare, a maneggiare
con il proprio talento tutte le possibilità. Faremo più concerti e meno
dischi: non è per forza negativo. In generale, c'è troppa musica
intorno, a tutte le ore, c'è una distrazione continua: non scegliamo più
cosa ascoltare, ma siamo scelti come ascoltatori di ciò che altri
vogliono.
Non è una preoccupazione ma solo un dato di fatto". Belle époque,
ancora: il sergente che si perde nel freddo e nei bordelli è il poeta
Dino Campana. I genitori - afflitti dalle sue stranezze - pensarono
d'inquadrarlo dentro un'accademia militare. "Come sempre, Dino fuggì".
La canzone è cruda come una vita perduta, incompresa, dentro e fuori dai
manicomi, "un dolore che l'elettroshock ha portato fin dentro l'anima e
le ossa di Campana": è la barbara elettricità che illumina la Belle
époque, il trapasso di due secoli, ed è "un omaggio a un poeta
spiantato, al suo pellegrinaggio, alla sua tomba bombardata, come il suo
ricordo e la sua opera volutamente dimenticata, combattuta dai coetanei
(Giovanni Papini che lo tenne a distanza, e Ardengo Soffici, che ne
perse - o nascose - il manoscritto dei Canti Orfici)".
Come e più ancora di Pasolini, altro irregolare cantato da De Gregori ma
più capace di manifestarsi nelle sue doti, Campana è "una figura
disallineata rispetto al suo panorama, al suo sfondo". Cammina al ritmo
rebetiko, l'intellettuale: ci sono nel disco molti generi che si
contaminano. "Ho assimilato tutto, da ragazzo mi sono nutrito di musica
anglosassone, Dylan e i Beatles, e anche caraibica... al Folkstudio ho
conosciuto Caterina Bueno (sue erano "le spalle da uccellino" di
Caterina) e Giovanna Marini, e mi sono innamorato della musica popolare
italiana, quelle strofe storiche, significative che paiono disadorne e
poi d'improvviso prendono fuoco, esplodono".
Eccola, quella semplice potenza: è nel ritornello di La guerra, vista
accanto a sentimenti disperati del soldatino, che lascia sola a casa una
moglie "disarmata", che ripensa "al suo rancio disgraziato", che non può
mai vincerla, la guerra, perché la violenza vuole qualcosa in cambio (la
perdita della pietà), anche quando è legittima. La guerra è una rapina.
Il Novecento, ripete De Gregori, "ce l'ha portata nelle stanze". La
canzone è una marcia ad orologeria, un meccanismo emozionante e
perfetto. Poi nel disco arriva Omero. "Proprio lui, cieco, immenso.
Pensavo a questo raduno musicale, festoso, una specie di sagra e allora
ho ricordato il Cantagiro, anche questo è un impulso del mio vissuto: lo
guardavo in televisione, Morandi, Caterina Caselli...". E Omero: "Volevo
che salisse sul palco un cantante qualsiasi con quel curioso soprannome.
Poi suonando la canzone, ascoltandola...mi è parso bello che per
miracolo apparisse veramente Omero e cantasse l'Odissea, commuovendo il
pubblico". Omero al Cantagiro è "la rivendicazione del ruolo di una
canzone, del turbamento che sa provocare", in qualunque forma, colta,
popolare, ricercata o semplice.
È anche un prodigio di creatività, un dono che ancora fortunatamente
tormenta De Gregori, dopo tanta musica. "Succede, nemmeno io so come e
perché. Chissà: sento un ritmo, provo tre note, rammento l'impressione
di un libro. Poi accade". Verso la fine c'è una presa di distanza,
Guarda che non sono io. Dieci anni fa, con Sempre e per sempre De
Gregori marcò la sua presenza - privata - e la sua rintracciabilità,
"dalla stessa parte / mi troverai". Adesso racconta la sua separazione
pubblica. "Non sono io / quello che ti spiega il mondo". Percepisce lo
sgomento dell'ammiratore.
E rassicura: "È l'altra faccia della stessa medaglia. Ho un patto
d'amore con gli altri. Ed è onesto essere sinceri: mi riconoscono per
una canzone, non per quello che sono. Divento un loro sentimento, una
loro immagine, mi fermano mentre rincaso con le buste della spesa in
mano e mi dicono: ho chiamato mia figlia Alice, in suo onore. E posso
solo rispondere: credi di conoscermi / ma guarda che non sono io". Lui è
sul molo, che batte il tempo con il piede: questo è il punto di
osservazione. È una bella dichiarazione di privilegio. Alcune canzoni
arrivano immediate, altre vogliono un ripasso. Sono scritte con superbia
stilistica, e straordinaria ricchezza, esattamente limate, punteggiate
di immagini affascinanti. Sul molo, appunto, ma con le spalle al mare.
De Gregori guarda piccoli o grandi corsi d'acqua risalire l'enorme
montagna, le espressioni preferiscono la complessità del falso piano.
Vorrebbe un compagno accanto, con cui passare il tempo e ricordare il
suo secolo infinito. "Vorrei ci fosse Fellini. L'artista autentico,
puro, che sapeva raccontare se stesso e allacciarsi al suo tempo e al
suo mondo, e renderlo, rappresentarlo con tenerezza e ferocia,
raccontarlo con soavità e senza sconti".
http://www.unita.it/culture/una-strada-lunga-un-secolo-br-de-gregori-si-racconta-a-l-unita-1.466347
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Guarda che non sono io quello che stai cercando
Quello che conosce il tempo, e che ti spiega il mondo,
quello che ti perdona e ti capisce,
che non ti lascia sola e che non ti tradisce.
Guarda che non sono io quello seduto accanto,
che ti prende la mano e che ti asciuga il pianto
Cammino per la strada, qualcuno mi vede
e mi chiama per nome
Si ferma e mi ringrazia, vuole sapere qualcosa
di una vecchia canzone
Ed io gli dico "Scusami, però non so di cosa stai parlando.
Sono qui con le mie buste della spesa. Lo vedi, sto scappando.
Se credi di conoscermi non è un problema mio.
E guarda che non sto scherzando, guarda come sta piovendo
Guarda che ti stai bagnando, guarda che ti stai sbagliando.
Guarda che non sono io"
Guarda che non sono io quello che mi somiglia.
L'angelo a piedi nudi, o il diavolo in bottiglia,
Il vagabondo sul vagone, la pace fra gli ulivi, e la
rivoluzione.
Guarda che non sono io la mia fotografia
che non vale niente e che ti porti via.
Cammino per la strada, qualcuno mi vede
e mi chiama per nome
Si ferma e vuol sapere e mi domanda qualcosa
di una vecchia canzone
Ed io gli dico "Scusami però non so di cosa stai parlando,
sono qui con le mie buste della spesa.
Lo vedi, sto scappando
Se credi di conoscermi non è un problema mio.
E guarda che non sto scherzando, guarda come sta piovendo
Guarda che ti stai bagnando. guarda che ti stai sbagliando.
Guarda che non sono io"
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GUARDA CHE NON SONO IO (SINGOLO)
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RELEASED
30 Novembre 2012
LABEL
Caravan
DISTRIBUTION
Edel Italia
FORMAT
Digital Download MPEG-4
COUNTRY
Italia
Il
secondo singolo è tratto dalla versione originale dell’album Sulla strada.
Fu presentato senza video pubblicato sul canale Youtube.
-
Guarda che non sono io (Versione Album).
Pubblicazione sulla piattaforma i-Tunes: 20 Novembre 2012. Durata:
4:37.
Il tardo stile di Francesco
De Gregori
Alessandro Basile
Si è ormai abbastanza radicata
nell’opinione comune l’idea che le recenti produzioni di Francesco De
Gregori non abbiano più nulla a che vedere con quanto da lui sfornato in
passato, specialmente con i senz’altro indiscutibili capolavori dati
alle stampe tra la seconda metà degli anni Settanta e l’inizio degli
Ottanta. Sono infatti diverse, purtroppo, le persone convinte che il
celeberrimo cantautore capitolino abbia col tempo perso gran parte del
suo smalto, gran parte della sua creatività in grado di fare la
differenza nelle sue prime raccolte. Altre hanno poi constatato che il
non eccelso livello degli ultimissimi album sia pure in parte dovuto
alla pubblicazione un po’ troppo rapida di fatiche discografiche forse
di base non proprio stratosferiche e, secondo alcuni, rilasciate così in
fretta giusto per rispettare determinati obblighi contrattuali.
Tuttavia, anche se a molti i risultati di questo decennio non sono
apparsi così esorbitanti, non si può comunque dire che lavori come Amore
Nel Pomeriggio, Pezzi (entrambi vincitori della Targa Tenco
rispettivamente nel 2001 e nel 2005), Calypsos e Per Brevità Chiamato
Artista siano stati deludenti, tantomeno mediocri. È chiaro che non c’è
paragone con pietre miliari della musica leggera italiana quali Buffalo
Bill e Viva L’Italia piuttosto che Titanic. Ma è altrettanto chiaro che
quello di oggi è un De Gregori diverso, più astuto e posato, e non
potrebbe nemmeno essere altrimenti. Anzi, è giusto così. È giusto che
con il passare degli anni “Il Principe” abbia tentato in vari modi di
aprirsi a nuove soluzioni sonore, seguendo sempre il suo istinto ed
evitando, al
tempo stesso, di ripetersi. È normale che si cambi: il cambiamento va
accettato, soprattutto nella musica. Non si possono mica scrivere
canzoni sempre uguali, con gli stessi suoni, con arpeggi già sentiti,
con strutture e dinamiche identiche solo per soddisfare i nostalgici del
caso. E questo i suoi estimatori (di lunga data e non) dovrebbero
cominciare a capirlo, anche perché il De Gregori di questi anni sembra
avere ancora molto da dire. E continua a farlo a modo suo, avvalendosi
del prezioso apporto dei suoi fidati collaboratori, componendo,
scrivendo bene e tanto non appena gli è possibile, anche tra un concerto
e l’altro, dal momento che è quasi sempre in tour. Un po’ come Dylan, ha
da tempo optato per questo “meccanismo”. Insomma: stimoli e voglia di
mettersi in discussione ci sono tutti. E la vena poetica, unita ad una
saggezza straripante e crescente, garantisce ancora composizioni di
spessore, sempre variegate nei rispettivi approcci, nelle chiavi di
lettura e negli arrangiamenti, puntualmente sublimi, eleganti.
Suggestivo è ad esempio il sound che nell’ultimo quinquennio De Gregori
e i suoi fantastici musicisti hanno raggiunto e quindi scelto di
coltivare. Un suono raffinato, artigianale, delicato.
n suono pieno di rimandi al miglior
folk rock di tradizione angloamericana (andato smarrendosi, salvo rare
eccezioni, tra gli Ottanta e i Novanta per essere poi recuperato appieno
con l’avvento del nuovo millennio), reso più succulento dal costante
apporto di strumenti sempre affascinanti come mandolino, banjo, pedal
steel guitar e violino alternati con tappeti d’archi e fiati. E poi
tante chitarre, non solo acustiche, ma spesso e volentieri elettriche.
Chitarre numerose, preponderanti (come accadde nel 2005 per il già
citato Pezzi), ma non di certo esagerate, invadenti, bensì calibrate.
Chitarre che non sembrano mancare neppure nel nuovissimo Sulla Strada,
ennesimo gioiellino che il cantautore classe ’51 ha pubblicato lo scorso
20 novembre per la Caravan. Sulla Strada, anticipato dall’omonimo ed
efficace singolo apripista, giunge a circa quattro anni e mezzo di
distanza dal precedente Per Brevità Chiamato Artista, altro Lp alquanto
pregevole ma sottovalutato dalla critica. Si può dire che determinate
affinità con il disco del 2008 ci siano, anche se non si tratta affatto
di una “raccolta-fotocopia”. De Gregori non torna mai per caso. Lo fa
solo se ci sono i presupposti, le condizioni giuste per proporre al
pubblico e ai media un qualcosa di interessante, ponderato a lungo e
prodotto con passione. Se nel marzo del 2006 Calypsos uscì pochi mesi
dopo Pezzi fu soltanto perché l’autore aveva l’esigenza di condividere
con i suoi ascoltatori i nuovi componimenti accumulati in tempi assai
brevi uniti altre idee non concretizzate in passato. Discorso simile per
quanto riguarda Per Brevità Chiamato Artista: anche quello fu un album
venuto fuori di getto ed inciso con i propri musicisti sull’onda
dell’entusiasmo dopo una intensissima tournée. Tornando invece a Sulla
Strada, dicevamo: nove sono le canzoni originali presenti nel cd,
prodotto nuovamente dal suo fedelissimo braccio destro – nonché bassista
– Guido Guglielminetti. E nove sono le perle, senza esagerare. Si sente
quanto impegno ci abbia messo l’artista non solo nella fase di stesura,
ma anche e soprattutto nel lavoro fatto in studio con il proprio
entourage. Lo ribadiamo: non è il classico disco realizzato tanto per
rispettare qualche tipo di accordo. C’è un po’ di tutto all’interno di
Sulla Strada. C’è il De Gregori ispirato, sensibilissimo, emozionante di
Showtime, Guarda che non sono io e dell’incantevole Falso movimento
(ultima traccia in scaletta); c’è il De Gregori ironico, scaltro,
sornione e sereno, ma non di certo superficiale, di Omero al Cantagiro e
di Ragazza del ‘95; c’è il De Gregori storico-analitico della geniale
Belle Époque, ma anche quello esemplare della “cavalcata” La Guerra; e
c’è quindi il De Gregori più sontuoso e personale di Passo d’uomo, forse
la traccia-perno di tutto l’album. C’è tanta, tantissima magia
all’interno di Sulla Strada. C’è una scrittura sempre all’altezza,
visionaria, confortante, matura e a tratti tagliente. C’è una capacità
straordinaria di trattare determinate tematiche con idonei registri e
con musiche adeguatissime, mai spigolose e quindi calzanti. Si potrebbe
concludere affermando che questo lavoro è tanto eterogeneo nei testi
quanto omogeneo nel sound. Ordinato, preciso, compatto, privo di
sbavature ma in ogni caso variegato e addirittura in linea con i tempi,
moderno. Che piaccia o no, questo è quanto De Gregori può fare oggi, con
ben diciotto album d’inediti (Theorius Campus incluso) sulle spalle. E a
noi il suo tardo stile piace, e pure molto. Perciò lo consigliamo, così
come tutto “l’ultimo De Gregori”.
http://www.caffenews.it/avanguardie/43188/il-tardo-stile-di-francesco-de-gregori/
“Sulla strada” mi sento
musicista
Francesco De Gregori lancia il suo disco “Sulla strada” al quale hanno
collaborato Nicola Piovani e Malika Ayane. Due i concerti di
presentazione dell’album martedì a Roma e il 28 a Milano. Due mesi per
registrarlo con la sua band perché avesse l’immediatezza studiata del
live
Esce il nuovo disco, otto canzoni che lo fotografano oggi: “È un fatto
fisico, senza tour ho i sensi di colpa”
GABRIELE FERRARIS - La
Stampa, 15.11.2012
TORINO. C’è questa immagine, in Guarda che non sono io, una delle
canzoni del nuovo disco di Francesco De Gregori, Sulla strada, che dice
tutto. Al punto che il resto dell’articolo potrei anche risparmiarmelo.
Insomma, c’è uno che riconosce Francesco per strada, e gli domanda
qualcosa di una vecchia canzone. E lui risponde, in musica e parole: «E
io gli dico scusa, però non so di cosa stai parlando / sono qui con le
mie buste della spesa, lo vedi che sto scappando / Se credi di
conoscermi non è un problema mio / e guarda che non sto scherzando /
guarda che non sono io».
È il gioco di specchi che ha accompagnato le nostre vite e la sua.
Risposte rimaste nel vento.
«Non è un atteggiamento malmostoso - spiega De Gregori, - ma l’imbarazzo
di chi si trova davanti a una sfasatura, perché ciascuno in una canzone
trova qualcosa che non necessariamente è ciò che aveva in mente chi l’ha
scritta...». E così sia anche di queste otto canzoni nuove, con le quali
il Principe si fotografa nei suoi sessantuno anni portati con orgoglio e
allegria, unico fra i nostri cantautori storici a conservare la voglia
di mettersi in gioco, senza arrendersi alla routine né chiudersi nel
silenzio. «Secondo me in questo disco c’è molta verità, racconto senza
troppi diaframmi, sono canzoni semplicissime che la band ed io abbiamo
voluto lasciare così, con l’immediatezza di un live. Ma voluta, cercata.
Abbiamo lavorato per due mesi alle registrazioni: per gli ultimi album
era bastato molto meno».
Per raggiungere l’obiettivo, De Gregori non si è negato nulla, dalla
collaborazione con Nicola Piovani, che ha scritto e diretto gli archi in
Passo d’uomo e Guarda che non sono io, a Malika Ayane, che canta in
Ragazza del ‘95 e Omero al Cantagiro. Il brano che dà il titolo al disco
è il «manifesto» del De Gregori di oggi:
«Io mi sento musicista solo andando in giro a suonare: ci sono quelli
che fanno un solo concerto per ventimila persone, io preferisco farne
dieci per duemila. È un fatto fisico. Il momento peggiore, per me, è
quando sono fermo: ho come un senso di colpa, mi sento un perdigiorno».
Quindi, subito due concerti di presentazione dell’album, il 20 novembre
all’Atlantico di Roma e il 28 all’Alcatraz di Milano. E a marzo il tour.
Tanto per non poltrire.
Di otto, solo due sono canzoni d’amore, Showtime e Falso movimento.
«Non volevo fare un disco di canzoni d’amore. Ma questo non vuol dire
che l’amore sia espulso dalla vita di un uomo di una certa età. Magari
può essere un amore narrato, come in Falso movimento , o non risolto,
come in Showtime. Però sono canzoni reali, parlano di sentimenti veri».
Poi, come sempre, De Gregori racconta la Storia, al ritmo rebetiko
di Belle Epoque e nella piana e disperata quotidianità del soldatino de
La guerra, che «ripensa al suo rancio disgraziato». E guarda al futuro
in «Ragazza del ‘95»:
«Mi sono immaginato questa ragazza di diciassette anni, probabilmente
bellissima, che spicca il volo, che cerca la sua strada, in un momento
che è quello che sappiamo, in cui tutto sembra più difficile. Ma quando
sento parlare di “diritto al futuro”, mi viene da rispondere che il
futuro sarà affidabile quanto più lo si penserà come un dovere, non
soltanto un diritto».
Infine, una strana canzone: Omero al Cantagiro, ritmi latini e un
testo che si presta a mille letture.
«Beh, io sono affezionato al ricordo del Cantagiro, quando non facevo
ancora questo mestiere mi affascinava quel mondo, i cantanti mi
sembravano figure mitologiche, Caterina Caselli era una dea... E così mi
sono immaginato un cantante chiamato Omero, o forse è Omero stesso, che
compare nella domesticità di quel mondo per regalare qualcosa di
poetico, per rivendicare a questo lavoro una dignità spesso negata...».
Però c’è un verso che suggerisce altre interpretazioni, «Lo sai che
privato e politico si confondono spesso / Cambia la musica ma il
controcanto è lo stesso»: «Ma certo, Omero è privato e politico, la
guerra di Troia e il ritorno di Ulisse... La faccenda del privato che è
politico mica me la sono inventata io con Rimmel»,
Ride l’inafferrabile Principe. E allora il giornalista fellone ci prova
e gli domanda se, tra privato e politico, ha visto in tivù il dibattito
per le primarie del Pd.
«No: stavo facendo le prove con la band».
Poco interesse per la politica di oggi?
«Il fatto che non abbia visto il dibattito la dice lunga».
Diavolo d’un uomo.
C'è un soldato in mezzo
al campo e una casa nella valle, attenzione soldatino c'è il tramonto
alle tue spalle.
Sei una sagoma nel sole, un bersaglio in mezzo al fuoco e per prendere
la mira basta niente e serve poco.
Occhi neri di carbone, bocca scura di corallo. Attenzione soldatino!
Muore il giorno e canta il gallo.
Nella casa c'è una sposa con il cuore disperato, più non dorme da quel
giorno che il suo amor partì soldato
Resta sempre sola sola nel suo letto abbandonato, occhi neri di carbone
sono pronti per l'agguato.
Abbiamo preso la campagna, abbiamo perso la città,
abbiamo preso l'innocenza, abbiamo perso la pietà.
Per essere partiti chi ci ringrazierà? Per essere tornati chi ci
saluterà?
Per essere partiti chi ci ricorderà? Per esserci salvati chi ci
perdonerà?
E ripensa il soldatino, al suo rancio disgraziato, all'odore della notte
e del sangue che ha versato.
Quella volta che la morte gli è passata proprio accanto, lo ha guardato
di traverso e se ne è andata zoppicando.
Sotto il seno della sposa batte un cuore innamorato, canta forte e ride
piano mentre stende il suo bucato.
Scotta il sole a mezzogiorno, sulla casa in mezzo al campo c'è una sposa
disarmata e il soldato non ha scampo.
Abbiamo preso la campagna, abbiamo perso la città,
abbiamo preso l'innocenza, abbiamo perso la pietà
Per essere partiti chi ci ringrazierà? Per essere tornati chi ci
saluterà?
Per essere partiti chi ci ricorderà? Per esserci salvati chi ci
perdonerà?
Innamorati con le mie canzoni? Non è colpa mia, sono solo un cantante.
Renato Tortarolo -
http://www.ilsecoloxix.it/p/cultura/2012/11/16/APJGnYxD-innamorati_canzoni_colpa.shtml
Genova. Se è vero che il tempo fa un gran bene ai poeti, quelli veri,
“Sulla strada” di Francesco De Gregori, album di inediti nei negozi da
martedì, rende giustizia a un autore che nella sua carriera ha sbagliato
ben poco. Anzi, continua a raccontare un Paese incerto ma fiducioso,
umiliato e offeso eppure pronto a lottare.
Con una scrittura poetica di altissimo livello e una confluenza musicale
fra mondo latino e quello rock, De Gregori, 61 anni, romano, affida a
“Omero al Cantagiro”, “Guarda che non sono io” e “Ragazza del ’95" una
riflessione su ciò che si può fare per rimanere integri, mentre la
società corre verso il collasso.
De Gregori, lei affronta temi terribili con leggerezza...
«... perseguita e raggiunta con difficoltà. Tutto nasce da voce e
pianoforte, poi con la band scatta la tentazione a complicare tutto.
Poi, però, si torna all’inizio del cerchio».
Anche quando l’atmosfera diventa latina?
«Musicalmente sì perché, se parliamo di contenuti, non sono mai stato un
gran lettore di “Cent’anni di solitudine” di Garcia Marquez, che pure
apprezzo. Appartengo più ai tempi di Harry Belafonte e ho sempre pensato
che la musica sudamericana o caraibica fosse più semplice da percepire.
Io scrivo da sempre canzoni che all’inizio hanno una bassa soglia
ritmica».
Così va a parare...
«... più a una beguine, un calypso, una rumba che a “Satisfaction”.E poi
noi abbiamo parole più lunghe,piane e non tronche...».
La canzone che farà più discutere sarà “Guarda che non sono io”, dialogo
con un fan...
«Eh sì, sarà così. Gli dico: non pensare di conoscermi. Però in questo
avvertimento non c’è nulla di drammatico. Anzi, c’è molta serenità
nell’accettare che gli altri ti conoscano...».
Ma non lo tratta neppure bene.
«Vede, tante persone vengono da me e mi spiegano che “Buona notte
fiorellino” o “La storia siamo noi” sono state manifesti della loro
vita. Io rispondo: prendete pure le mie canzoni, fatene l’uso che volete
ma io c’entro poco. È come se ricamare un fazzoletto...».
Un fazzoletto? Sa cosa direbbe un lettore se lo scrivessi?
«E io le dico che mi rendo conto di aver scritto belle canzoni solo
quando la mia autostima straripa. Sì, a volte erano più ispirate, altre
meno. E così i miei dischi, più importanti alcuni, altri venuti meno
bene. Ma le pare che davanti all’Ultima Cena di Leonardo tutti vedano la
stessa opera? L’arte non è mica un reagente chimico».
E dai. Lei non concede mai nulla. Va sul palco, poi sparisce.
«Perché ho consapevolezza della mia assoluta normalità. Faccio l’artista
ma non me la tiro. Non divento il maestro di nessuno. Scrivere canzoni è
come fare il pane o montare una lampadina. Non c’è nulla di mitologico.
I privilegiati che raccontano se stessi sono sempre esistiti, ma
dovrebbero fare qualche servizio in più alla comunità».
Come quando canta “La guerra”?
«Anche lì, non voglio che si dica: ora De Gregori ammonisce contro la
guerra. Piuttosto parlarne è una mia necessità. È un fattore potente dal
punto di vista evocativo. Un po’ come le canzoni d’amore, che sono
grandi detonatori letterari».
Invece in “Ragazza del ’95” lei descrive una giovanissima...
«Sì, se dovessi esprimere la mia idea di futuro sceglierei questa
apparizione: lei all’aeroporto, svagata e molto contemporanea. Posso
ammirarla per la sua bellezza, la capirei poco ma le farei tanti
auguri...».
Ha solo 17 anni, se li merita...
«Sì perché non è l’ultraventenne che combatte per i suoi diritti, nella
parabola post universitaria. La immagino con più opportunità, diversa
dai giovani trascinati nel travaglio storico e sociale di oggi».
Le ricorda qualche canzone?
«... un po’ “La leva calcistica della classe ’68. Lì c’era l’homo novus,
qui una donna nuova. Non che sia ottimista di natura, ma volevo creare
un modello positivo».
Perché le canzoni non sono ancora considerate cultura?
«I nostri messaggi sono semplici, ci esibiamo in piazze di paese. Poi,
un giorno, arriva Omero che non è un cantante sfigato ma proprio lui, e
allora le sue parole di possono cambiare la vita. Le sue, non le mie».
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Van le troie illuminando, il cammino sgangherato
del sergente innamorato che di notte se ne va
che di notte, che di notte, tutti i gatti sono grigi,
tutti i cani sono neri, non è ancora già domani
ma non è nemmeno ieri.
Il sergente innamorato già si sente un generale,
già si affaccia la sorella sulla cima delle scale
La sua bocca butta latte, idromele e cioccolato,
linfa, lacrime e saliva, il sergente è stramazzato,
ma la bestia è ancora viva.
Ti bacio e ti butto, vita mia, come un pezzo di pane
che passi attraverso le ossa come un filo di rame.
Ti bacio e ti butto, vita mia, nella bocca di un cane
ti bacio e ti butto, vita mia, come un pezzo di pane.
Van le troie sgangherando la fanfara del sergente
che ritorna dritto in sella nella notte di dicembre.
Fischia il sasso, fischia il vento, sta arrivando il Novecento,
dopo aprile viene maggio, il sergente va a casaccio
sotto i portici nel ghiaccio
Soffia il mantice del cuore alla fine dell'impresa
il sergente si addormenta sul portone di una chiesa,
candeline elettriche profumano d'incenso,
le troie si rivestono e chiedono il compenso
ma non restituiscono l'amore avuto in prestito.
Ti bacio e ti butto, vita mia, come un pezzo di pane
che passi attraverso le ossa come un filo di rame
ti bacio e ti butto, vita mia, nella bocca di un cane
Ti bacio e ti butto, vita mia, come un pezzo di pane.
Van le troie illuminando il cammino sgangherato
del sergente innamorato che di notte se ne va
che di notte che di notte.. tutti i gatti sono grigi
tutti i cani sono neri non è ancora già domani
ma non è nemmeno ieri.
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Sulla strada
Paola De Simone -
http://mobile.rockol.it/recensione-5036/Francesco-De-Gregori-SULLA-STRADA
Viviamo giorni strani, giorni che stanno ormai diventando anni e che
ricorderemo per la dolorosa perdita di Lucio Dalla, il rispettabile
abbandono artistico di Ivano Fossati, il forzato prendi e lascia di
Vasco Rossi e il temuto annuncio di un ultimo disco a firma Francesco
Guccini. Colonne che si sgretolano e che ci lasciano tra vuoti e
interrogativi. Per fortuna, però, in questo scenario sconfortante
qualche pilastro resta e dignitosamente resiste. Francesco De Gregori è
tra questi. Il tempo non sembra averlo preso di mira e si presenta in
gran spolvero all’interno delle nove tracce che compongono “Sulla
strada”, suo nuovo disco di inediti che segue di quattro anni il
precedente “Per brevità chiamato artista”. L’ispirazione è chiara:
galeotto fu il libro “On the road”, manifesto della beat generation
scritto da Jack Kerouac, che il Principe ha letto solo di recente, a 55
anni dalla sua pubblicazione. Così nasce anche la title track, chiamata
a rappresentare il disco come singolo di lancio, anticipazione energica
che sceglie il folk-rock a ritmare l’esperienza del viaggio.
Ma “Sulla strada” è solo la copertina di questo lavoro ricco di altre
suggestioni: innamoramento, ironia, vita quotidiana e velata malinconia
sono il mood di una narrazione realistica e sognante. Nove capitoli,
nove racconti brevi, altrettanti colori musicali in un assortimento
sonoro che varia con fluidità dal folk-rock (“Sulla strada”, “La
guerra”) ai ritmi latineggianti (“Omero al Cantagiro”, “Ragazza del
‘95”), passando per il rebetiko di “Belle époque”, fino al valzer lento
che sostiene la bella “Showtime”. Il tutto per la sempre riconoscibile
produzione di Guido Guglielminetti, bassista e fedele capo banda dalle
ottime intuizioni. Ma i meriti vanno condivisi anche con Malika Ayane,
che ha prestato il suono della sua (seconda)voce ad accompagnamento di
“Omero al Cantagiro” e “Ragazza del ‘95”, e soprattutto con Nicola
Piovani, che ha scritto e diretto gli archi di “Guarda che non sono io”,
aggiungendo bello al bello. E su questa canzone vale effettivamente la
pena soffermarsi, perché il testo è così personale che De Gregori sembra
nudo davanti alle sue parole, raccontando la fatica di riconoscersi
nella proiezione che di lui arriva a ciascuno di noi attraverso le sue
canzoni. Il punto esatto dove finisce l’artista e inizia l’uomo è qui
identificato ed espresso con grande semplicità e immediatezza: “Qualcuno
mi vede e mi chiama per nome, si ferma e mi ringrazia, vuole sapere
qualcosa di una vecchia canzone e io gli dico scusami, però non so di
cosa stai parlando, sono qui con le mie buste della spesa. Lo vedi sto
scappando, se credi di conoscermi non è un problema mio. Guarda che non
sto scherzando, guarda come sta piovendo, guarda che ti stai bagnando,
guarda che ti stai sbagliando, guarda che non sono io”. Gli archi di
Piovani, poi, fanno il resto.
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Piove che Dio la manda sulle bocche aperte,
piove che ci si bagna sulle macchine scoperte
Sarà bellissimo fermare il tuo spettacolo in un fotogramma,
raccogliere pioggia e canzoni come fosse la manna
Perché ho fatto più di 100 km per essere qui
a farti firmare i miei dischi, a ringraziarti che esisti
fra lacrime e fischi.
Cantami, Omero, cantami una canzone,
di ferro e di fuoco e di sangue e d'amore e passione.
Lo sai che privato e politico li confondono spesso
Sarà diversa la musica ma il controcanto è lo stesso
Servono piedi buoni per la salita, fortuna e talento
e calli sulla punta delle dita
per vedere di far suonare questa chitarra
che sotto la pioggia risplende come un'arma da guerra.
Giove dall'alto scaglia le sue saette
e si alzano dieci palette ed è subito notte,
e la radio trasmette e la pioggia non smette
Cantami, Omero, cantami una canzone!
Che nascondi nel pugno fallimento e successo
Sarà diversa la musica ma il pentagramma è lo stesso
Sarà bellissimo fermare questa musica in un fotogramma
raccogliere pioggia e canzoni come fosse la manna
perché ho fatto più di 100 km per essere qui
a farmi bagnare i miei dischi, a vedere se esisti
ma ognuno si prende i suoi rischi
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OMERO
AL CANTAGIRO (SINGOLO)
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RELEASED
24
Gennaio 2014
LABEL
Caravan
DISTRIBUTION
Edel
Italia
FORMAT
Digital
Download MPEG-4 (Versione Album)
COUNTRY
Italia
Il sesto
ed ultimo singolo, tratto dall’album Sulla strada, fu presentato con
video ufficiale pubblicato sul canale Youtube. La
versione presenta delle diversità sia per la durata più corta rispetto alla
versione originale su Album, sia per piccole differenze del testo. Sulla
piattaforma i-Tunes non è presente la versione Edit.
Omero al Cantagiro.
Pubblicazione sul canale Youtube: 12 Marzo 2014. Durata:
3:58
Pubblicazione sulla piattaforma i-Tunes: 20 Novembre 2012. Durata:
5:18.
Io, un Omero sulla strada», De Gregori racconta il suo Novecento
di Marco Molendini
(il Messaggero)
Il De Gregori che non ti aspetti. O forse, a ben pensarci, quello che ti
aspetti. Un Omero che canta il suo Novecento fatto di cose perdute,
seduto sulla riva di un fiume chiamato Italia.
L’immagine sa di retorica, ma forse serve a descrivere con qualche
precisione il momento contemplativo del più rigoroso dei cantautori, che
sfida se stesso con nove canzoni ispirate, che non temono confronti con
l’illustre passato, ma si tengono ben lontane dalle polveri
dell’attualità.
«Mi sento come dice quel verso di Otis Redding in Sittin’ on the dock of
the bay: seduto su un molo della baia a perdere tempo», dice Francesco
aspirando una Gitane («Avevo smesso, il vizio me lo ha riattaccato Lucio
Dalla durante la tournée. Fumava in continuazione e diceva: vedi, non
aspiro. Non era vero»). Scorrono con facilità e aristocratica eleganza
le nuove canzoni suonate in relax, cantate con la spontaneità delle cose
riuscite. Una sorpresa felice, perché un disco come Sulla strada è raro,
specie in tempi di crisi anche artistica e di album inzeppati di inutili
riempitivi. «Ho sempre cercato di fare dischi che avevano una loro
necessità, evitando di scrivere per forza. E infatti per quattro anni
non ho scritto».
Quanto ha pesato nella scorrevolezza musicale la lunga collaborazione
con Dalla, quasi due anni di tour assieme? Quando Lucio è morto lei ha
rifiutato ogni commento, oggi ne possiamo parlare?
«Era un uomo diverso da me, gioioso, toccato dalla grazia di Dio,
comunicativo e con cui si riusciva a fare facilmente il pane assieme.
Quando, fra lo scetticismo generale, abbiamo deciso di incontraci di
nuovo, nessuno si aspettava che sarebbe stato meglio della nostra prima
volta. Banana Republic è stato un evento, ma Work in progress
musicalmente è stato superiore, siamo riusciti a integrarci, a fare cose
importanti, con sincerità e intensità. Mi manca molto».
Uno si aspettava, magari, che lei scrivesse una nuova Viva l'Italia, non
si può dire che il momento che viviamo non sia privo di suggerimenti.
«E’ il destino delle canzoni significative diventare un manifesto. Ma i
tempi che stiamo vivendo sono eloquenti da soli. E, francamente,
preferisco starmene da un lato, vedendo le cose passare dolcemente.
Anzi, non dolcemente. Non è necessario che chi scrive Viva l'Italia sia
costretto a farlo sempre».
Oggi tutti si sentono autorizzati a esprimere i loro pensieri, cercando
anche la condivisione, come invita Facebook.
«Visto che lo fanno tutti, preferisco evitare. I comici, i cantanti, i
segretari di partito dicono in continuazione quello che pensano. Quello
che penso sta nelle mie canzoni e internet lo uso per notificare i miei
movimenti d'artista».
È passato nelle schiere ampie del Paese che si astiene?
«Ho le mie idee politiche e non le ho mai nascoste. Solo che non voglio
essere trascinato nella mischia. Per me contano altre cose».
Per esempio?
«Le reminiscenze che riguardano il secolo che mi ha generato. È il mio
modo di guardare il mondo in questo periodo, come dice la canzone
Showtime: vedo le cose dolcemente passare. E lo faccio con lo sguardo di
un uomo di 61 anni che si sente capace di vedere tutto con grande
serenità».
C'è il rischio di cadere in un sentimento nostalgico?
«Questo non vuol dire essere ancorato al passato. Il Novecento mi
avvolge, è la mia culla, ma considero gli anni ’70 i più terribili
vissuti da questo Paese, anche se hanno coinciso con il mio successo
personale».
C’è anche una rievocazione nel pezzo Omero al Cantagiro.
«Era un concorso musicale, oggi ce ne sono altri. Nella canzone piove
dall'inizio alla fine. È una pioggia come quella di Blade runner: piove
sul mondo del mio mestiere. C'è crisi forte, non solo economica, ma
anche artistica. Nella pioggia un Omero miracolosamente sale sul palco e
canta la guerra di Troia. Per fortuna nella musica ci sono tanti piccoli
Omeri che tirano la baracca, mentre nessuno pensa più alla musica. La
discografia non c'è più. Lo Stato aiuta altri prodotti come il cinema,
anche quando non lo merita. So che non è il momento di chiedere soldi,
ma è come se noi producessimo gomma da masticare, come se con De Andrè,
Paoli, Jannacci o Ligabue la musica leggera non avesse scritto pagine
importanti per questo Paese».
Lei la chiama musica leggera: così non la sminuisce?
«La chiamo per quello che è. Detesto definizioni come musica d’autore o
cinema d’autore che metteva uno steccato fra Monicelli, che non veniva
considerato tale, e Fellini».
A proposito d'autori, il suo disco deve il titolo a un libro manifesto
della sua generazione come Sulla strada di Kerouac.
«L’ho letto a 60 anni. E sono contento di averlo fatto ora, perché tutta
la parte trasgressiva e generazionale del libro, in particolare quella
sessuale, mi avrebbe fatto un’impressione diversa. Invece mi sono
soffermato su quanto di omerico c’è nel racconto e sul jazz. Ma il disco
non ha nulla a che fare con il libro, a parte il titolo».
La ragazza di 17 anni (la canzone
è del 2012) è l’immagine dei ragazzi contemporanei e incarna il
futuro: stacca l’ombra da terra su un volo a basso costo, quelli che
ti fanno arrivare dovunque con pochi euro, e va incontro al futuro.
Una condizione molto diversa
dalla ragazza di "Stella stellina" ritratta trent’anni prima nel
disco "Viva l’Italia". Nessuna retorica, in questo ritratto di
giovane donna che viaggia verso la vita: sa che deve camminare in
salita, sa che il futuro non è solo un diritto che tutti a quell’età
dovrebbero avere, ma anche un dovere. Il richiamo al dovere farà
storcere il naso a molti, e invece affiancato alla parola futuro è
un ponte formidabile verso la consapevolezza di sé. Quella che a 17
anni non si ha e si imparerà ad avere. .
Il futuro è intoccabile, racconta
De Gregori, ma ai giovani bisogna anche spiegare che va coniugato
con l’impegno, i sacrifici. E' un futuro, quello della giovane
ragazza, fatto di opportunità e di rischi, dove non tutto è dovuto
ma che dovrà affrontare da sola comunque. Quando comincia il viaggio
è ancora tutto da capire e da decidere, è ancora tutto da sperare,
come dice un orwelliano Ministro della Speranza (quello vero con
questo cognome era molto di là da venire). Salita a bordo, spegne il
cellulare: adesso è davvero sola nel viaggio oltre Gibilterra. Quel
viaggio dovrà farlo senza poter chiedere nulla, solo con il proprio
bagaglio e senza poter controllare, verificare, avere risposte, come
il cellulare consente costantemente. La ragazza del ’95 è
magnificamente sola almeno per la durata del viaggio verso il mare,
lasciandosi la terra alle spalle.
Giommaria Monti, autore
di "Francesco De Gregori. Dell'amore e di altre canzoni" per
https://www.rockol.it/news-735724/8-marzo-otto-donne-cantate-da-francesco-de-gregori
|
Oggi è un giorno
perfetto per volare
per staccare l'ombra nel cortile.
La signora dei passaporti ha messo un timbro speciale,
Oggi è un giorno perfetto per volare,
oggi è un giorno perfetto per non morire.
Perchè una rosa è una rosa, è una rosa
anche se c'è da camminare
e la strada non è in discesa
una rosa è una rosa, è una rosa.
Diversamente non si può chiamare.
Una ragazza del '95 che si sta per imbarcare
Una ragazza del '95 che si sta per imbarcare
Una rosa è una rosa, è una rosa
anche nel sole di Gibilterra.
Il tempo scivola sull'orizzonte, comincia il mare
comincia la terra.
Comincia il mare, comincia la terra.
Comincia il mare, ricomincia la terra.
Oggi è un giorno perfetto per volare,
oggi penso che il futuro sia un dovere
Il ministero della speranza ha detto che si può sperare.
Oggi è un giorno perfetto per volare,
oggi è un giorno che c'è tutto da capire.
Perchè una rosa è una rosa, è una rosa
anche nel fuoco di ferragosto!
Una ragazza del '95 in questo volo a basso costo
rimette a posto il cellulare, intanto scivola su Gibilterra
comincia la terra e ricomincia il mare
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RAGAZZA DEL ‘95 (SINGOLO)
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RELEASED
30
Maggio 2013
LABEL
Caravan
DISTRIBUTION
Edel
Italia
FORMAT
Digital
Download MPEG-4 (Versione Album)
COUNTRY
Italia
Il
quarto singolo è differente dalla versione Album per via della durata più corta
e non è presente sulla piattaforma i-Tunes. Fu realizzato un nuovo video dove
non partecipa al controcanto Malika Ayane, ma la violinista Elena Cirillo.
Francesco De Gregori, a proposito di questo brano, ha detto che se dovesse
esprimere la sua idea di futuro, sceglierebbe proprio questa apparizione: una
ragazza di 18 anni all'aereoporto in partenza per una vacanza low cost, che
spicca il volo ed entra nella vita e varca le Colonne d'Ercole. Si apre lo
spazio infinito davanti agli occhi di un'adolescente. Le balena l'idea che il
futuro è un dovere. Spegne addirittura il cellulare, come se dicesse un no anche
alla tecnologia spicciola e la sostanza è che si può vivere anche un po’
staccati e non sempre connessi.
Regia: Nik Bello
- DOP e
Steadycam: Cristiano Natalucci - Ass.
operatore: Giorgio Perluigi - Video
assist: Andrea Issich - Capo
elettricista: Carlo Catin - Capo
macchinista: Roberto Moreschini
Ragazza del ‘95 (Edit).
Pubblicazione sul canale Youtube: 13 Giugno 2013. Durata:
3:29.
Pubblicazione sulla piattaforma i-Tunes: 30 Luglio 2013. Durata:
3:29.
«Sulla strada» a 40 anni dall'esordio. Quando Kerouac diventa musica
di Francesco Prisco
Si intitolerà «Sulla strada», in omaggio al romanzo capolavoro di Jack
Kerouac, il prossimo disco di inediti di Francesco De Gregori, la cui
uscita è programmata per novembre. La notizia però non è tanto il fatto
che il Menestrello di Monteverde pubblichi un album di inediti a quattro
anni di distanza dal precedente «Per brevità chiamato artista», quanto
piuttosto il suo sorprendente coming out: De Gregori confessa infatti di
aver letto per la prima volta il testo fondamentale della Beat
Generation soltanto due mesi fa.
Una scoperta «tardiva», insomma, di quella che per le migliori (e
le peggiori) menti della sua generazione è stata l'opera della svolta,
il libro dopo il quale si abbandonava giurisprudenza per lettere, ci si
faceva crescere barba e capelli, si fondava una comune o s'andava a
Lisbona sulla Due Cavalli. Il tutto sognando la California attraversata
da Sal Paradise e Dean Moriarty. Un romanzo che, letto a 20 anni, è un
capolavoro assoluto; a 30 appare già pretenziosetto e un tantino acerbo;
a 40 grondante di giovanili furori. Ebbene «L'uomo che cammina sui pezzi
di vetro» del cantautorato italiano lo ha letto a 61 e, a quanto pare,
non gli è neanche dispiaciuto. «Anch'io pensavo fosse per sentimenti
giovanili, – ha detto in un'intervista – invece credo di averne tratto
il senso autentico del viaggio, della ricerca». Se lo dice Francesco,
che è un ragazzo di buone letture, ci si può fidare.
Un'annata perfetta. Seppure non siete d'accordo, in quest'anno per
lui così importante sarete disposti a sorvolare: il 2012 saluta infatti
il quarantennale di «Theorius Campus», l'esordio discografico condiviso
con l'amico (poi nemico) Antonello Venditti. Il prossimo saranno
trascorsi 40 anni di «Alice non lo sa», sua prima uscita solista. Tra
pochi giorni verrà festeggiato nientemeno che al Festival del Cinema di
Venezia, dove Stefano Pistolini presenterà il documentario «Finestre
rotte» che si preannuncia assai interessante. Vogliamo star qui a
disquisire su quale sia l'età giusta per leggere Kerouac? Mettiamola
così: per quanto non avesse aperto «Sulla strada», il giovane De Gregori
attinse a piene mani da uno che da Kerouac aveva attinto a piene mani.
Ossia un certo Bob Dylan.
Sua
Bobbità e il giro dei Beat. Di dieci anni più vecchio di De Gregori,
il Menestrello di Duluth l'influenza di zio Jack la sentiva eccome.
Frequentavano amici comuni: il poeta Allen Ginsberg, per esempio, che
appare pure nel geniale promo di «Subterranean Homesick Blues». Due
brani di Dylan, poi, sono evidentemente ispirati al romanzo di Kerouac
«Angeli della desolazione»: «Just like Tom Thomb's Blues» e «Desolation
Row». E indovinate un po' quale giovane cantautore aiutò il grande
Fabrizio De André a tradurre in italiano quest'ultimo brano nell'intensa
«Via della Povertà»? Risposta esatta: proprio Francesco De Gregori.
Quando un libro suona bene. La verità è che pochi romanzieri al
mondo hanno avuto la stessa influenza di Kerouac su chi fa musica. Gli
omaggi all'autore de «I vagabondi del Dharma» non si contano a
cominciare da «Like Young», uno swing di Ella Fitzgerald datato 1959 in
cui la Signora del Jazz tesse le lodi di un hipster che «beve caffè al
Cafe Expresso/ legge Kerouac» e fa sentire lei – donna all'epoca 42enne
- «come giovane». Per quanto non proprio diretto, l'omaggio più celebre
al romanziere statunitense è il boogie acido «On the road again» dei
Canned Heat ma spicca anche l'orecchiabile «Modern Times» di Al Stewart
in cui c'è una lei che lascia casa con il fatidico sacco in spalla e si
mette in viaggio sulla Highway con i suoi «anelli e Kerouac».
Omaggi parecchio espliciti quelli dei 10.000 Maniacs («Hey, Jack
Kerouac») e del poeta-attore-cantautore Tom Waits, autore di «Jack and
Neal», brano che rilegge l'amicizia tra il romanziere e Neil Cassady,
fulcro dell'intero «Sulla strada». Più che un omaggio una citazione
quella di Morrissey, leader degli Siths che attinge da «I vagabondi del
Dharma» il titolo di uno dei suoi cavalli di battaglia di sempre:
«Pretty girls make graves». Qualcosa come: le ragazze carine vanno in
bianco. Potremmo continuare per ore, annoverando anche l'operazione «One
fast move or I'm gone», documentario dedicato al Nostro con colonna
sonora in cui Ben Gibbard e Jay Farrar hanno messo in musica le liriche
di «Big Sur». Preferiamo fermarci ai raffinatissimi Belle and Sebastian
di «Le Pastie de la Boureoisie»: «Non ti piacerebbe andare via?/ Kerouac
ti fa cenno con le braccia aperte/ e strade aperte di eucalipti/ in
direzione ovest». Molli tutto e finisci per seguirlo. A quanto pare, può
capitare pure a 61 anni.
di Francesco Prisco - Il Sole 24 Ore
leggi su
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-08-24/gregori-strada-anni-esordio-164955.shtml?uuid=Abvwa7SG
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Che posso farci
se mi fai innamorare,
dove devo mettermi per non precipitare.
Che posso dirti se non ho di parole,
tutto è così stupido che è inutile parlare.
Ho paura a guardarti negli occhi,
ho paura a
guardarti nel cuore.
Tutti i miei trucchi sono da buttare,
lo vedi, non
servono più.
Che posso farci se mi fai sognare?
Chissà se sogni
anche tu.
Ecco il ragazzo e la sua bella chitarra
appena sbarcati
dal treno.
Ecco il torero e l'orecchio del toro, ecco l'applauso,
e il sorriso, e
l'inchino.. l'inchino..
Che posso farci se mi fai sognare?
Devi proprio
andartene? Davvero vuoi scappare?
Fermati ancora in questo pezzo di tempo,
dentro questa musica, in questo ballo lento
che si muove davanti ai tuoi occhi,
come un onda si muove nel cuore.
Vedo le cose dolcemente passare,
non chiedo niente
di più.
Che posso farci se mi fai sognare?
Chissà se sogni
anche tu.
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SHOWTIME (SINGOLO)
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RELEASED
14 Marzo 2013
LABEL
Caravan
DISTRIBUTION
Edel Italia
FORMAT
Digital Download MPEG-4
COUNTRY
Italia
Il terzo
singolo è tratto dalla versione originale dell’album Sulla strada. Fu
presentato senza video pubblicato sul canale Youtube.
Showtime (Versione Album).
Pubblicazione sulla piattaforma i-Tunes: 20 Novembre 2012. Durata:
3:38.
De Gregori on the road. "Il
mio canto sulla strada"
L'artista romano annuncia il nuovo album: dieci brani che usciranno a
novembre. Canzoni come "Belle epoque" o "Passo lento" che parlano della
vita e dei sentimenti di oggi con evocazioni di Kerouac, Fellini e
McCarthy
di ANNA BANDETTINI - repubblica.it
ROMA - Sono passati
quarant'anni dall'album d'esordio che sono molto più di un anniversario,
sono una vita, sono musica, ricerca espressiva, arte e canzoni
straordinarie come La leva calcistica del '68, La donna cannone,
Atlantide...dove anche i ragazzini di oggi trovano nelle parole eleganti
un po' di se stessi.
Sulla strada uscirà a novembre, dieci brani, il segno di un momento
felice, dice, e preparato intrepidamente nel mezzo della doppia tournée
estiva, una con Ambrogio Sparagna e l'altra col suo "Factory tour",
autentico percorso d'artista in 25 canzoni, e con in più l'impegno di
Venezia il 7 settembre per la presentazione alle Giornate degli autori
di Finestre rotte, affettuoso video-ritratto di Stefano Pistolini, e la
sfida di avviare, lui che odia gli sproloqui, sul sito
www.francescodegregori.net un suo "Post Office", dove rispondere ai
lettori su temi più disparati, da come smettere di fumare all'Ilva di
Taranto.
È sempre difficile dire cosa faccia di più un grande artista, se il
talento, la fortuna, il perfezionismo, l'intelligenza, la cultura, il
feeling con il pubblico, e De Gregori li raccoglie un po' tutti. "Ho
aspettato quattro anni per fare un disco nuovo perché scrivere canzoni è
difficile. Nella tua testa scatta subito il già detto, il già visto... E
poi forse, sì, ora c'è anche la preoccupazione di mettere su carta cose
che pensi possano stare al livello di quello che hai già scritto", dice
con quella sua voce lenta, arcana, seduto nello studio di Michele
Mondella, amico e storico addetto stampa, stessa figura alta di sempre,
la faccia barbuta, il famoso cappello e gli occhiali scuri, un bel
sorriso e l'aria prudente ma come discrezione necessaria, buon gusto,
non diffidenza.
Partiamo da Kerouac?
"Un'anomalia, lo so, averlo letto così tardi. Ma ho mancato molti
appuntamenti canonici della mia generazione. Per esempio non ho mai
letto Siddharta. È che non mi è mai piaciuto fare le cose obbligatorie.
"On the road" mi è capitato. Partivo per le vacanze, l'ho pescato dalla
libreria. Il vecchio Oscar Mondadori, prova che comunque a suo tempo
l'avevo comprato".
Non
l'ha delusa?
"Anch'io pensavo fosse per sentimenti giovanili, invece a 61 anni credo
di averne tratto il senso autentico del viaggio, della ricerca. Il
romanzo è la ricerca del padre, evocato, cercato, è Denver.... Ma tutto
questo non c'entra poi molto col mio disco".
E allora perché "Sulla strada"?
"È che non ho trovato titoli più convincenti. L'appartenere alla strada
piuttosto che alla propria stanza penso sia il sentimento di molte delle
cose che ho scritto nel disco. Che riverberano Kerouac, ma anche Fellini
e Cormac McCarthy che mi ha fatto conoscere mio fratello, da "Cavali
selvaggi" in poi, e di cui ho amato tutto, meno proprio "La strada" che,
da appassionato di fantascienza, mi ha deluso".
Lei sulla strada c'è mai stato?
"Quella americana, solitaria dove l'individuo vede la sua ombra noi
europei ce la sogniamo. La strada per me è la disponibilità agli altri.
E il disco parla del mio star bene o meno al mondo, ma non è un concept,
sono canzoni diverse per temi e ambienti musicali diversi. Una, Belle
epoque, per esempio, è la storia di un sergente che festeggia il
passaggio dall'Ottocento al Novecento, in un delirio di alcol e sesso,
vino e bordelli. È la canzone meno personale ma riflette la mia visione
del mondo".
Così disastrosa?
"Sono un uomo del '900 e
non posso fare a meno di vedere il mondo attraverso quel secolo,
incubatrice di mali e di disastri, due guerre mondiali, i campi di
concentramento... E ancora oggi non vedo tutti questi scenari di pace".
E la canzone dell'album che sente più "sua"?
"Passo d'uomo. Vuol dire lentezza, ma anche la misura con cui camminare
nella vita, un passo da esseri umani. Spero che anche la musica esprima
tutto questo".
Che vuol dire?
"Da anni con i miei musicisti lavoro per arrivare a una linea povera di
suoni, contrappunti... Avevo 15 anni quando i primi grandi gruppi rock,
Beatles e Rolling Stones, hanno seminato nella mia testa. Mi piace fare
dischi in quella direzione ma con la semplicità della canzone con
quattro accordi e uno strumento come nella musica popolare che da
ragazzo ascoltavo al Folkstudio di Roma".
Essenziale. "Mi piace togliere gli stereotipi: del rock come del genere
"cantautore", parola che odio,
innesto linguistico sgraziato che evoca un mondo di ragazzetti
supponenti, reclini sulla loro chitarra a narrare le loro disperate
storie sentimentali".
E allora lei cos'è?
"Un artista e basta, uno che va sulla strada, ha i calli alle dita...
dopodiché un cantautore lo sono, visto che me le scrivo e me le canto".
Contento? "Sì, di fare musica sì. E se capita, come in questo tour, di
suonare e sentire che quello che fai ingrana, che quello che pensavi è
in sintonia con la gente, allora capisci che questo è uno dei più bei
mestieri del mondo. Perché puoi sentirti compreso".
(25 agosto 2012)
http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2012/08/25/news/francesco_de_gregori-41444992/
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Come sono contento che il vino sia di tuo gradimento
che sia arrivata finalmente la notte su questa cittá
Sará stato un appuntamento o la forza di gravità,
oppure un falso movimento a scaraventarci qua.
Te ne devo parlare..l'amore é mascalzone!
Viaggia contro mano, parcheggia sempre dove vuole,
fa vedere la lingua, parla con la bocca piena.
Si presenta cosí, senza un invito, proprio in mezzo alla cena!
Come sono contento, cosa stiamo ad aspettare?
Che dici, sará il caso di ordinare?
E scusa la domanda, ci siamo mica conosciuti giá?
...in una vita precedente o solamente qualche giorno fa?
In una vita differente o solamente qualche tempo fa?
Vallo a spiegare l'amore, non si spiega..
muove le mani in fretta, rovescia il sale e non fa una piega
Come un gatto della placa sono qui a aspettare,
io che mi lecco i baffi, tu che continui a mangiare...
Come sono contento fuori si sente il mare,
anche se é tutto scuro e non si puà vedere...
Tu mi guardi negli occhi, io non so dove guardarti..
Stasera sono un libro aperto, mi puoi leggere fino a a tardi.
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FALSO
MOVIMENTO (SINGOLO)
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RELEASED
11
Ottobre 2013
LABEL
Caravan
DISTRIBUTION
Edel
Italia
FORMAT
Digital
Download MPEG-4 (Versione Album)
COUNTRY
Italia
Il
quinto singolo è tratto dalla versione originale dell’album Sulla strada.
Fu presentato con video ufficiale pubblicato sul canale Youtube in occasione del
lancio del suo nuovo online store.
Falso movimento (Versione Album).
Pubblicazione sulla piattaforma i-Tunes: 20 Novembre 2012. Durata:
4:01.
De Gregori: io,
cantautore non più di Antonacci e Ferro
"Domani suono al Regio di Torino con Maria Nazionale - dice De Gregori -
e sto registrando un disco di inediti Sulla strada , trionfo della
fantasia". In "Finestre rotte" l'artista si racconta: "Ora posso
rischiare"
MICHELA TAMBURRINO
In fondo, come canta Francesco de Gregori, non c'è niente da capire; di
un artista, di un grande artista, a spiegare, a certificare il percorso
lungo 40 anni senza compromissioni stonate, sono le canzoni. E non c'è
niente da capire anche se questo percorso diventa film che documenta una
tournée, su e giù dalle Dolomiti alla Sicilia, da una Roma calda e
avvolgente passando per una Torino algida e asettica; un modo di essere
Francesco De Gregori che non indulge alla cinepresa ma registra il suo
stare con gli artisti scelti lungo il cammino. Finestre rotte di Stefano
Pistolini, prodotto da Rai Cinema per le Giornate degli Autori, è tanto
perché non è molto di più, guardarsi attraverso vetri sbrecciati che
offrono un varco più ampio alla vita e una possibilità in più per
conoscere un autore al di là dell'icona. "Né biografia né storia ma
istantanea del presente", era nelle premesse.
De Gregori, insidiosa l'idea di un film su se stessi.
"Ho capito che non aveva nulla del celebrativo e neanche di
promozionale, riguardava il mio percorrere la strada da musicista, dare
un senso al movimento senza una precisa progettualità".
Perchè adesso?
"Posso rischiare. Un anno fa mi sono detto, compio 60 anni senza mai
un'incursione nel cinema, era arrivato il momento di raccontare quello
che ero e apparivo".
Una bella differenza?
"A volte appaio diverso anche a me stesso. Non ho la chiave del 100%
di me. Vedermi mi ha anche stupito".
Che impressione le ha fatto il film?
"Prima mi sono augurato fosse indolore, durante mi sono divertito,
vedendolo me ne sono compiaciuto. Un'ora e mezza a parlare di me senza
noia né paura. Scava a fondo nel mio modo di fare il mestiere, gli
restituisce dignità, proprio qui a Venezia dove emerge spesso il senso
vacuo della popolarità. Nel film si testimonia la sostanza".
Nel film c'è Giovanna Marini con cui ha inciso un disco, Ambrogio
Sparagna, famoso organettista, entrambi studiosi di musica popolare,
Cristina Donà e Vasco Brondi. Che rapporto ha con i colleghi?
"Con alcuni ci sono stati momenti di sintonia, poi ognuno è tornato per
la sua strada. Con tutti è stato così tranne che con Lucio Dalla".
Perché questa eccezione?
"Abbiamo fatto un grande lavoro insieme a fine Anni 70 mai più
pensando di tornare insieme. Poi, come una malattia esantematica abbiamo
sentito la necessità di ritrovarci, due anni fa, con un risultato
incomprensibilmente migliore di quello fatto prima".
Lei detesta la definizione di cantautore, si sente un poeta?
"Non mi piacciono le parole composte come cantautore ma lo sono.
Poeta no, parlando al contemporaneo, poeti sono Caproni, Penna, Cucchi,
gente che non ha a che fare con la chitarra. Faccio parte della
letteratura contemporanea, non più di Antonacci o Tiziano Ferro".
Che peso ha la politica nella sua vita artistica?
"Avendo scritto Viva l'Italia, non posso negare come la penso.
Eppure, paradossalmente, non è una canzone politica, è una dichiarazione
d'amore per un paese che ha due anime. Oggi però quella spinta la sento
meno. Non mi sveglio più la mattina pensando alla politica".
Prima accadeva?
"Prima accadeva".
Le canzoni che sono nel film come sono state scelte?
"Loro mi seguono e cambiano con me, un po' come la mia voce. Sono lì
per caso tranne quella che chiude il film, La leva calcistica della
classe '68.
Prima la musica o prima le parole?
"Nessun predominio dell'una sull'altra, piuttosto la terza: chi
canta".
La canzone del cuore?
"Il ragazzo della via Gluck, con quella ho imparato a suonare la
chitarra".
Zalone arruola il generale De Gregori
“Stiamo scrivendo il film nuovo, ma mi mancano le musiche. Se ci fosse
un cantautore italiano bravo che mi aiutasse…”. Checco Zalone stuzzica
con la consueta ironia Francesco De Gregori, alla conduzione della
trasmissione Hollywood party di Radio 3 per pochi giorni, al fianco di
Steve Della Casa. E De Gregori non si lascia sfuggire l’occasione per
scherzare: “Le musiche devi farle tu, io potrei fare l’attore”. Non è
una novità, che la voce di capolavori come “Rimmel” e “Cardiologia”
apprezzi il comico di Capurso, ma la notizia che si candidi a recitare
nel prossimo film di Checco Zalone stupisce lo stesso Luca Medici:
“Sarebbe un sogno”. Per ora l’unica cosa certa sulla nuova fatica
cinematografica di quest’ultimo è che uscirà a ottobre, “ma non mi viene
il titolo”. De Gregori ha poi ammesso pubblicamente di aver amato “Che
bella giornata”, soprattutto la scena dell’incontro tra il padre di
Checco e i terroristi, e ha confessato di non sapere come rivolgersi a
Medici: “Se incontro Sean Connery lo chiamo James, quindi mi viene da
chiamarti Checco”. “Tu puoi tutto, Francesco”, è stata la pronta
risposta dell’attore
di ANNA PURICELLA
http://video.repubblica.it/edizione/bari/zalone-arruola-il-generale-de-gregori/115984/114392
Quest’anno il Premio Tenco era dedicato
al centenario della nascita di Woody Guthrie. Soltanto il leggendario
padre della canzone sociale e politica poteva ricongiungere sullo stesso
palco Luigi Grechi e Francesco De Gregori.
E’ accaduto l’altra sera al Club Tenco, per la prima volta dai tempi del
Folkstudio, quando Luigi sognava l’America e Francesco, dietro di lui,
la scopriva. Ed è la prima volta che il fratello maggiore, durante il
convegno pomeridiano intorno alla figura di Guthrie, usa il suo vero
cognome, presentandosi come Luigi Grechi De Gregori. C’è anche Giovanna
Marini che alla notizia pare rincuorata, lei che li ha visti crescere e
ha lo spirito inalterato, una schiettezza e un entusiasmo genuini sulla
scena e nella vita per cui è pronta a lanciarsi se ritrova due vecchi
amici con cui cantare e a cui risponde pure “fate un po’ come vi pare”,
se si defilano con un’argomentazione inoppugnabile: il problema di
conciliare le diverse tonalità.
Più che un cavallo di battaglia del Folkstudio, il vero colpo di scena
sarebbe stato il bis con “Il bandito e il campione”, fatto a due voci
dall’autore e dal suo primo interprete, con l’ausilio prezioso di
Ambrogio Sparagna e la sua banda, ma il mio volo mentale e di autrice
radiofonica che mette in connessione le cose si scontra a volte con un
sipario già calato.Nel rituale Dopofestival (niente di tutto quello a
cui il Tenco negli anni ci aveva abituato), agguantiamo Grechi che ci
onora della sua presenza mentre gli altri artisti lo attendono al
ristorante nel sano e meritato posto a tavola, che qui è come dire pesto
a tavola. Siamo gli unici tre giornalisti romani, “gli irriducibili”,
Pinto, Pellegrini, Pistolini, privi quest’anno della compagnia di
pilastri come Felice Liperi, Elisabetta Malantrucco, Giorgio Galleano.
Uno dei motivi della diaspora, oltre al fatto che il Tenco è diviso tra
la manifestazione sanremese e la consegna delle “Targhe” che avverrà a
Novara nei giorni dell’Immacolata e qualcuno ha dovuto scegliere su
quale trasferta puntare, è che la stampa, anche quella che sopravviveva
e lottava insieme a noi, non ha più spazio per il Tenco. Credo, però,
che alla resa delle radio non ci si debba rassegnare e che anche il
Tenco debba fare uno sforzo di comunicazione, perché a volte il lavoro
nelle redazioni culturali è vittima di meccanismi ed automatismi dove ci
si desta e ci si organizza intorno ad un’agenda dettata da chi parla e
fa parlare di più, grazie agli uffici stampa accreditati a cui lo stesso
sistema dei media ha dato un prezioso potere e sacrosanto (se usato
bene): “è l’ufficio stampa, bellezza!” dico spesso tra me e me
parafrasando la celebre battuta di Bogart. Insomma, ma non voglio
dilungarmi su questo, non ci si poteva organizzare per una bella diretta
radiofonica?
Tornando invece al Club Tenco e a
quando ho intercettato Luigi Grechi al buffet per avere conferma di
quella che ritenevo la vera notizia della serata e che ho sintetizzato
nel titolo “Fratelli d’America”. “Già… – risponde Luigi, “pastore di
nuvole” con aria sorpresa – “forse non era mai accaduto”. E poi sempre
più convinto: “non accadeva da un bel pò“.
Non potevo trovare occasione migliore per inaugurare questo blog: tre
miti che stanno alla base delle scelte, del lavoro e delle fantasie
della mia vita: Giovanna Marini, Francesco De Gregori e Alessandro
Portelli. De Gregori che consegna il Premio Tenco a Portelli dicendo
“una cosa sola ci divide: io amo molto Dylan, lui Springsteen. Però vuol
dire che entrambi amiamo Woody Guthrie da cui sia Dylan che Springsteen
hanno attinto”. Naturalmente non si tratta della Roma e della Lazio
(altro argomento che li divide) e così Portelli, non disdegnando affatto
il menestrello di Duluth, ci tiene a precisare di essere stato il primo,
nel 1966, a trasmettere Dylan alla radio in Italia. “Ed io ad ascoltarlo
grazie a Portelli” chiosa elegantemente come solo il Principe sa fare.
Sempre elegantemente, De Gregori offre un condensato del suo tour con
Ambrogio Sparagna, rileggendo i suoi classici “Santa Lucia” e “San
Lorenzo”, quest’ultimo inteso come il quartiere romano squartato dal
bombardamento del 19 luglio 1943 e l’affronto più brutale da parte dei
bombardieri “alleati”nei confronti della inerme popolazione civile (e
quindi ulteriore omaggio allo storico Sandro Portelli).Alla fine della
giostra musicale (quanto me li vorrei portare a casa sul comodino in
formato carillon), De Gregori, anche qui per la prima volta, in un “ubi
maior” ribaltato, lascia la scena a Luigi Grechi, perché gli stivali da
cowboy in casa li ha sempre portati lui. C’è da fare almeno un pezzo di
Woody Guthrie e Luigi ne fa due, “My land is your land” e “Hard
travelin’”, e Francesco con l’armonica a bocca e grande riverenza ne
sottolinea il legame emotivo ed esistenziale, avvicinandosi a Luigi e al
suo microfono solo nel lirico afflato finale.
Parola all’esperto, dunque, Luigi, il primo a cantare Guthrie al
Folkstudio, e quindi in Italia. Ci assicura che quella di Dylan nel
celebre locale di Cesaroni, Giancarlo Cesaroni, non è una leggenda ma la
verità. “Perché Bob venne in occasione di un tour europeo di Pete Seeger
ed era in compagnia di Susy Porco che studiava a Perugia”. In ogni caso,
dietro lo sbarco della musica americana in Italia c’era sempre una
donna. Pensiamo ad un’altra studentessa, Deborah Kooperman, per Guccini,
o alla hostess di cui racconta lo stesso Grechi che gli faceva da
corriere di vinili da importazione. “E’così che entrai in possesso di
Dust Bowl Ballads e scoprii che l’Oklahoma era un catino di sabbia
perché una terribile tempesta costrinse tutti i coltivatori ad emigrare
in California. Woody era uno che come vedeva rosso scriveva una
canzone”.C’è anche Davide Van de Sfroos, grande cultore di Gutrhie,
tanto da citarlo (a proposito di miti) insieme a Johnny Cash, Robert
Johnson e Jimi Hendrix, nel suo brano “Il camionista ghost rider”:
Sull’autostrada a Casalpusterlego c’è un gran polverone, non si vede
niente, non è nebbia non è fumo, è tutta sabbia e nel mezzo c’è un uomo,
ha in testa un cappello che sembra quasi uno straccio, ha la salopette e
gli scarponi grossi, ride un po’ poi tossisce, ha terra sulla faccia e
dentro ai polmoni. Questa è la traduzione dal tremezzino (detto anche
laghée), lingua che risuona nel Lago di Como. Nel suo dialetto tronco e
sanguigno, Van De Sfroos traduce “My land is your land” e un classico
del folk statunitense da tutti conosciuto per la versione degli Animals
di Eric Burdon, entrato tra i classici di Guthrie, “The house of the
rising sun”.
“Le canzoni di Woody sono sovrapponibili all’oggi in modo inquietante. –
dice il cantautore comasco. – Le cose che ha scritto non sono svanite
nella sabbia, nonostante tutte le tempeste di polvere”.Certo, anche
sentir parlare del periodo della “Grande Depressione” ci fa pensare al
clima in cui siamo sommersi negli ultimi tempi, al quale nemmeno il
Tenco è immune, e ci fa pensare anche che la musica, proprio grazie e a
partire da Guthrie debba essere un bene comune, e come tale, tutelata.
Ero con Giovanna Marini, nel famoso camerino di Pippo Baudo che sta
subito dietro al palco, ma senza neanche una stufetta. Giovanna si mette
lo scialletto sulle gambe e comincia a raccontare la storia dei suoi
anelli, dopo avermi interrogato sui miei. Poi mi dice, ma lo sai che
ogni volta che accompagno all’aeroporto la donna che mi aiuta in casa
penso sempre a te? Tutti in Romania volano su Timisoara.
La nipote di Woody Guthrie è intanto sul palco per il suo set di quattro
canzoni. “Te la racconto io una storia curiosa Giovanna, lo sai che
Sarah Lee Guthrie, figlia di Arlo e nata nel ’79, dodici anni dopo la
morte del nonno, è sposata con Johnny Irion che è il nipote di John
Steinbeck e girano il mondo suonando insieme?” “Ma tu guarda che coppia,
nipoti d’arte, si potrebbe dire”. Sì Giovanna… nipoti d’America…
http://www.bravonline.it/cronache-dal-premio-tenco-fratelli-damerica/
(ANSA) - AOSTA, 28 SET - I grandi successi di Francesco De Gregori
riarrangiati da L'Orage e cantati dalla band valdostana assieme al
cantautore romano. Un po' come la Pfm fece nel 1979 con Fabrizio De
Andre'. Il progetto, nato alcuni mesi fa, si sta concretizzando in
questi giorni e sara' presentato al pubblico durante un concerto in
programma a febbraio 2013 al Palais di Saint-Vincent nell'ambito della
Saison Culturelle.
Non sono uno scontroso! Adesso ho anche un sito...
Maestro Francesco
De Gregori, lei ritorna a Marostica esattamente dieci anni dopo quella
serata del tour con Pino Daniele, Fiorella Mannoia e Ron in cui su
Piazza degli Scacchi si abbattè un acquazzone che vi costrinse a una
lunga interruzione e a una ripresa "unplugged" dato che la
strumentazione elettrica era pressoché fuori uso. Noi spettatori ne
conserviamo un ricordo comunque molto bello. E lei? È un ricordo
piacevole anche per me: rammento l'affetto del pubblico che non volle
andarsene nonostante la pioggia torrenziale. Il concerto
non
saprei dire quanto fosse ineccepibile dal punto di vista strettamente
musicale, non avevamo mai provato una cosa del genere e probabilmente i
risultati tecnicamente non furono eccezionali, ma il clima... quello sì!
E certamente gli spettatori quella sera poterono assistere a qualcosa di
unico. Ricordo anche che dovetti buttare via un bel tappeto che avevo
portato da casa per allestire il mio camerino, dov'erano entrati dieci
centimetri d'acqua, e che alla fine risultò irrecuperabile. Alla Mostra
del Cinema di Venezia è stato appena presentato il docu-film "Finestre
rotte" che le ha dedicato Stefano Pistolini, il suo sito web è entrato a
pieno regime da non molto, offrendo chicche come il lungo video "Dress
Rehearsal", il disco "Pubs and Clubs" è stato diffuso prima in Rete e
poi stampato: tutto ciò rappresenta una svolta rispetto alla sua
carriera precedente. È sintomo d'una maggior voglia da parte di
Francesco De Gregori di comunicare con i fan, specie quelli di nuova
generazione? Forse è così, oppure semplicemente mi sono stufato di
sentir dire che sono scontroso. Faccio un mestiere che richiede
visibilità e ne sono sempre stato consapevole, ma ho sempre cercato di
evitare la sovraesposizione, quella che mi capita spesso di chiamare
"ipertrofia dell'immagine". Credo che sia il film di Pistolini che il
carattere del mio sito siano lontani da tutto ciò. Documentano il mio
lavoro e anche il mio modo di essere senza sbavature troppo celebrative
e questo mi piace. Il sito naturalmente nasce anche da un'esigenza
promozionale, ma non si limita a questo, è pieno di materiali visivi e
musicali ufficialmente inediti che credo possano risultare una bella
sorpresa per tutti quelli che mi seguono. E poi, fondamentalmente, la
Rete dà oggi a uno che fa il mio mestiere delle possibilità di
comunicare che fino a qualche tempo fa erano impensabili. L' importante
è non strafare. Nei suoi ultimi album si nota una grande ricerca dal
punto di vista del suono, specie nei brani più rock, frutto anche del
livello e dell'omogeneità raggiunta dalla band che lei ha saputo
costruirsi attorno, tra collaboratori storici e nuovi innesti. Inoltre,
la sua attuale stagione di concerti è denominata "Factory Tour", mentre
il suo prossimo disco, annunciato per novembre, s'intitola "Sulla
strada": Kerouac e Warhol a parte, sembra trattarsi di due concetti
fortemente intrecciati, vale a dire il lavoro "live" che dà frutti anche
nella "fabbricazione" in studio e quest'ultima che si nutre
dell'esperienza maturata sera dopo sera sul palco: è così? Sicuramente
il rapporto con la band (ma ormai mi piace chiamarla "Factory ") è
sempre più importante. Sono tutti musicisti che come me amano stare
lontani dagli stereotipi musicali di qualsiasi genere e che, come me, se
ne fregano abbastanza della bella calligrafia musicale. Sono disposti a
sperimentare cose nuove come anche a suonare, quando è il caso, in
maniera semplicissima. Credo che non mi considerino il Capo, anche se
per scherzo ormai ognuno di noi chiama gli altri "Capo". Il risultato è
una musica veramente condivisa, anche se per ora l'unico che scrive le
canzoni sono io. È così che abbiamo pensato al lavoro di questa estate
come a un lavoro unico, fra concerti e sala di registrazione. E ci
stiamo avvicinando - forse ci arriveremo la prossima volta - a un disco
suonato in studio come se fosse una serata. Un'ultima e inevitabile
domanda: l'album di Bob Dylan uscito in questi giorni, "Tempest", è
stato accolto unanimemente come un capolavoro: condivide? Di Dylan ho
sentito qualche brano in streaming sulla Rete e mi sembra, come al
solito, un grandissimo lavoro. D'altra parte, cosa si aspettava che le
dicessi?
http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/407085_non_sono_uno_scontroso_adesso_ho_anche_un_sito/
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Povero cuore.
con la mano sul cuore, giuro, che mai non ti vedrò
accompagnare il male e voltare la testa
e piegare la schiena abbassare la testa
e abbandonare la scena.
Povero cuore
come un povero scemo apro la finestra
e sono qui che fumo
e vivo la mia vita a passo d'uomo
altro passo non conosco
soltanto questo passo d'uomo.
Qualcuno sta aspettando all'uscita della chiesa
benedici il suo cappello vuoto, la sua lunga attesa
è una vita che si affanna e cerca e ruba
illumina il suo tempo, insegnagli la strada
Sono solo un operaio lungo la massicciata
il mio pane sa di polvere, la mia acqua è salata.
E lavoro per la ruggine e respiro il carbone,
costruisco per niente e non ne vedo la fine.
Sono qui che guardo fuori, senza troppo pensare
vedo cadere la cenere, vedo il fumo che sale
e non c'è niente da nascondere, niente da svelare
niente da tenere stretto, non c'è niente da lasciare.
Povero cuore
come uno straniero giro, la mia terra abbandonata
abbandonato e solo e vado per la vita
a passo d'uomo
altra misura non conosco altra parola non sono.
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De
Gregori al Lido: "Non parlo di politica"
"Non è il mio primo pensiero
quando mi alzo alla mattina". Francesco De Gregori a Venezia liquida con
queste parole la richiesta di un commento sulla situazione politica ed
economica in Italia. Il cantautore è passato al Lido per il documentario
di Stefano Pistolini, "Francesco De Gregori - Finestre rotte" in
cartellone alle Giornate degli Autori.
Riguardo a "Sulla strada", album che uscirà a novembre, il musicista
dice: "Sono partito da me stesso. Non descrivo il paese, se volessi fare
un paragone filmico potrebbe essere un 8 e mezzo felliniano in cui cerco
di raccontare sogni e delusioni. Molti dei miei colleghi stanno parlando
di quello che sta succedendo nel paese, mi sono impegnato politicamente
quando mi andava di farlo, oggi tocco corde diverse".
"Non avevo mai pensato di raccontarmi in un documentario - dichiara
ancora il cantautore - oggi invece a sessant'anni mi piaceva l'idea di
raccontarmi, di tirare una linea sulla mia vita artistica lunga
quarant'anni, forse ho una maggiore accettazione di me stesso, mentre a
cinquant'anni avevo paura". Il documentario è un viaggio nella musica di
De Gregori e "un viaggio nell'Italia moderna che mostriamo attraverso i
suoi occhi - spiega Pistolini - Non volevo realizzare una biografia, ma
il ritratto di un artista adulto nel presente".
Non è mica da
questi particolari... che si giudica un cantautore
a cura di Marco Minniti -
Il documentario di Stefano Pistolini offre un interessante ritratto di
uno dei più rappresentativi esponenti della musica d'autore italiana,
che si racconta attraverso interviste alternate a spezzoni di
esibizioni.
Non è mica da questi particolari... che si giudica un cantautore Tra i
cantautori espressi da una generazione e da una scena musicale (quelle,
rispettivamente, degli anni '70 e del Folkstudio di Roma) Francesco De
Gregori resta tra i più rappresentativi, ma anche tra i più schivi. Così
come quella di Nanni Moretti, altro rappresentante di una sinistra che
da sempre rivendica la propria autonomia rispetto a ortodossie e
schieramenti, la scarsa propensione di De Gregori alla luce dei
riflettori e ai convenevoli sociali è diventata proverbiale; non destano
stupore, in questo senso, frasi leggermente tranchant contenute in
questo documentario di Stefano Pistolini, quali "non mi è mai piaciuto
stare in mezzo a una moltitudine di persone" (affermazione quantomai
curiosa per chi fa questo mestiere) oppure "gli artisti valgono sempre
più dei critici, ma gli spettatori valgono molto più degli artisti". Che
siano provocazioni o espressioni autentiche di un modo di essere, o
piuttosto (più verosimilmente) un insieme delle due cose, queste
affermazioni sono ben caratterizzanti il personaggio-De Gregori: non
tanto cantautore, termine che lui stesso ha dichiarato di non amare,
quanto piuttosto "artista", uomo che usa la musica come mezzo di
espressione di sé, e che da questa, nella sua natura autoesplicativa, si
sente evidentemente rappresentato a sufficienza.
Eppure, sarebbe ingeneroso negare al cantautore romano (non ce ne
voglia, De Gregori, se continuiamo ad usare questo termine: lo facciamo
per comodità) di essersi raccontato e lasciato raccontare (a suo modo)
in questo Francesco De Gregori - Finestre rotte: magari senza molti
sorrisi, ma con l'essenzialità e la schiettezza che lo caratterizzano,
puntando ogni volta al centro delle questioni. Come quando rievoca, con
parole molto chiare, il discusso "processo" intentato contro di lui da
un gruppo di giovani dei collettivi studenteschi, durante un suo
concerto a Milano nel 1976: qui, De Gregori dice senza mezzi termini che
le cose da lui allora dette e cantate restano valide, e sostenibili,
tuttora; lo stesso non si può dire delle accuse che gli furono mosse da
quei contestatori, che non potrebbero essere ripetute oggi "a patto di
non cadere nel ridicolo". Il suddetto processo, in realtà, è una delle
poche rievocazioni storiche di un documentario che non vuole essere
prettamente biografico: più che raccontare filologicamente la carriera
dell'artista, il film di Pistolini intende infatti gettare una luce
(ulteriore) sul modo di scrivere e comporre di De Gregori, sul suo
procedimento creativo e sulle istanze alla base della sua arte.
Lo fa attraverso interviste allo stesso cantautore e ad alcuni dei
personaggi che hanno collaborato con lui negli ultimi anni, alternati a
spezzoni di alcune sue recenti esibizioni.
Tra le collaborazioni in questione, spiccano quella con la folksinger
romana Giovanna Marini (autrice di musica popolare) per l'album Il
fischio del vapore; nelle confessioni incrociate in cui i due artisti si
raccontano, singolarmente e a vicenda, è interessante rilevare elementi
di confronto generazionale, tra una scuola di musica popolare ormai
quasi dimenticata, e quella scena cantautoriale, di fatto anch'essa
pienamente storicizzata, di cui l'artista romano è tra i principali
rappresentanti. L'altra collaborazione interessante, raccontata e
sviscerata in molte delle sue curiosità dal film, è quella con il
musicista Ambrogio Sparagna; il quale ha recentemente tenuto un
concerto, insieme all'Orchestra Popolare Italiana, all'Auditorium Parco
della Musica di Roma (documentato nel suo album Vola Vola Vola) che ha
visto la partecipazione straordinaria di De Gregori. Occasioni, quelle
di tali confronti, per raccontare e capire meglio la versatilità di un
musicista, attraverso quegli elementi di contaminazione, a volte
dimenticati, che tuttavia hanno sempre fatto parte della sua arte.
L'esibizione su cui tuttavia il documentario si concentra maggiormente è
quella tenutasi a Torino, nella centrale Piazza San Carlo, il 7 luglio
2011: un concerto in cui De Gregori si esibì insieme a Cristina Donà e
Vasco Brondi, importanti rappresentanti dell'attuale musica d'autore
italiana. Ed è un peccato, in questo senso, che nel film non siano stati
intervistati anche questi due artisti, che avrebbero potuto allargare
ulteriormente lo sguardo trans-generazionale offerto dal documentario.
Il film di Pistolini si chiude con altre due singolari 'esibizioni', una
pubblica e una privata: quella, dalle immagini estremamente suggestive,
che il cantautore tenne in Val di Fassa, sulle Dolomiti, nell'agosto
2011, una specie di Woodstock montana nella cornice della quale
assistiamo a un'intensa esecuzione di Generale; e quella, tenuta nel suo
appartamento di fronte alla sola videocamera del regista, con cui De
Gregori ha acconsentito ad eseguire una strofa di un altro dei suoi
pezzi più rappresentativi, La leva calcistica del '68. Un'esecuzione
sofferta, una specie di "concessione" che, a detta dello stesso
cantautore, va contro quella che è sempre stata la sua prassi.
Evidentemente, malgrado le sue dichiarazioni, De Gregori si sente molto
più a suo agio ad esibirsi tra una moltitudine di persone, quella
rappresentata, da ormai quattro decadi, dal suo pubblico.
___________________
da un'intervista rilasciata a Checco
Zanone:
"Ero in barca a Bari quando mi è arrivato uno strano sms: sono in città
per un concerto, mi farebbe piacere incontrarti. Firmato Francesco D.
Convinto che si trattasse di Dj Francesco (Francesco Facchinetti, ndr),
ho risposto: mi spiace, non posso, ho una pizza con gli amici. Che
figura! Era Francesco De Gregori". Parola di Checco Zalone. Trascorre
qualche giorno e De Gregori dichiara a Venezia di essere un fan dei film
del comico pugliese. Scatta la telefonata: "Francesco, ma che sostanze
hai preso per fare un’affermazione del genere?" chiede Zalone. "Non ti
sto prendendo in giro" è la risposta del cantautore. "Penso che ci
incontreremo presto" anticipa Checco. "Gli amici più stretti mi
sfottono, dicono che ormai sono diventato un intellettuale di sinistra".
la
cosa che mi lega più a lui è la grande onestà che ha nel rapporto con
gli altri. Questo è quello che ci insegnava, forse senza nemmeno
rendersene conto. Il rispetto
per gli altri.
Una volta fece ascoltare a
me e Antonello una canzone di un nostro collega: la canzone non era
bella e questo collega non attraversava un momento felice della sua vita
professionale. Noi ci mettemmmo a sghignazzare come due deficienti e
allora Lilli s'incazzò e ci disse che non dovevamo permetterci di
ridicolizzare a quel modo un collega.
Ci tolse il saluto per
qualche mese. Aveva perfettamente ragione.
(FdG - da "C'era una volta
la RCA")
"Ciao Italo, che Dio ti
benedica"
|
Il cantautore
romano al Lido a presentare il documentario sulla sua carriera, firmato
da Stefano Pistolini. Musica, interviste e ricordi. Con una missione:
smontare il mito di se stesso
di V. Colosimo · 07 settembre 2012 - Vanity Fair
Festival di Venezia 2012, le "finestre rotte" di De Gregori
In piedi sul ciglio della strada, come Bob Dylan nella cover dei Bootleg
Series: 7. Con le auto che gli sfrecciano accanto, il sole negli occhi e
la voce a tratti coperta dai rumori della statale. Per la prima volta in
un film, Francesco De Gregori parla della sua vita, della sua carriera
dagli esordi a oggi, delle sue canzoni e della sua poetica. A compiere
il "miracolo" di potare sul grande schermo il più schivo tra i
cantautori italiani è il giornalista musicale Stefano Pistolini in
Finestre rotte, il documentario presentato al Festival di Venezia nella
Settimana della Critica. Quasi due ore di canzoni, dalla Leva calcistica
del '68 a Generale: interviste, ricordi, incontri (Giovanna Marini,
Cristina Donà, Vasco Brondi e Ambrogio Sparagni) e testimonianze, che
Pistolini ha raccolto in quattro mesi di tour, fra tappe come Torino,
Segesta, la Val di Fassa e l'Auditorium Parco della Musica di Roma.
Obiettivo: "Dare il cinema al cantante cinematografico", capace di
evocare visioni da film con i suoi versi. Si comincia, inevitabilmente,
dalla definizione e da quella parola, "cantautore", che De Gregori mal
sopporta, perché, spiega, "quello che faccio io ha più a che vedere con
l'arte, che è una sola: non esiste un'arte con la maiuscola e una con la
a minuscola". Lo scopo di quest'arte resta comunque altissimo: "Cercare
la verità". Con canzoni che nascono da un "accumulo di note e versi, che
un giorno prendono forma". E poi le influenze, a partire da quella,
predominante, di Bob Dylan, "un esempio enorme". E non solo
musicalmente. Da Dylan, De Gregori prende anche quella che lui chiama
"una certa rivendicazione della propria autonomia".
Quella autonomia che in molti, negli anni, hanno scambiato per carattere
difficile se non spocchia. Lui un po' se ne frega, un po' ci tiene a
sottolineare che no, il punto è un altro, e cioè che "se non aderisci al
protocollo dello spettacolo, se non vai alle feste, se non ridi in
alcuni programmi televisivi, questo atteggiamento viene scambiato per
imbarazzo. Ma io sono per niente imbarazzato, forse sono solo una
persona imbarazzante".
Di certo, De Gregori non spicca per disponibilità verso il pubblico,
quando, una scena del documentario, si rifiuta di farsi fotografare da
un gruppo di fan e li liquida con un "spero che abbiate di meglio da
fare". Pazienza. È che nei riti dello showbusiness non si ritrova e
neanche gli interessa. Dalle sue parole emerge soprattutto questo suo
distacco dall'industria dell'immagine.
Anche in politica, spiega, ha scelto di mantenere una distanza, "di non
farmi arruolare a sinistra", e oggi "la politica non è il mio primo
pensiero". E c'è poi il ricordo di uno degli eventi più traumatici della
carriera di De Gregori: il processo pubblico al Palalido di Milano, nel
1976, con un gruppo di autonomi che lo costringono a salire sul palco
dopo il concerto e lo sottopongono a un interrogatorio "del popolo".
"Quanto hai preso stasera?", o "Se sei un compagno, non a parole ma a
fatti, lascia qui l'incasso", o "Vai a fare l'operaio e suona la sera a
casa tua". Dice De Gregori che quello fu "un sequestro di persona: fui
costretto a tornare sul palco a rispondere a domande inquisitorie", ma
il tempo ha fatto giustizia se "le cose che dicevano quei contestatori
non possono più essere dette oggi, mentre le mie canzoni di allora sono
ancora valide".
Come La leva calcistica della classe '68, che De Gregori canta unplugged
nella scena finale del documentario. E sfata una delle costruzioni e
ipotesi di Pistolini, che come tutti i fan si arrovellano nell'esegesi
delle sue canzoni. Pistolini domanda se quel primo verso, "Il sole che
batte sui palazzi in costruzione" sia un riferimento a Pasolini e al
cinema neorealista. De Gregori lo smonta con un sorriso: "Non c'è niente
di culturale, è solo un'immagine della mia infanzia, in un quartiere
dove crescevano i palazzi. È Monteverde nuovo".
«Viva l'Italia, ancora il
mio augurio» Francesco De Gregori il 23 a Zafferana. In autunno disco di
inediti, alla Mostra di Venezia documentario su di lui
Domenica 12 Agosto 2012 - La Sicilia - Maria Lombardo
Del nuovo disco in lavorazione parla il nome dato a questo tour estivo
2012, «Factory tour», con il quale Francesco De Gregori sta percorrendo
la penisola da Tortona (prima tappa) a Zafferana Etnea dove il 23 agosto
il Principe dei cantautori terrà l'unico concerto siciliano di questa
stagione per Rapisarda Management nell'ambito di Etna in scena. Una
canzone nuova senza titolo è nascosta anche tra le pieghe delle
scalette. Per chi saprà riconoscerla. E non è l'unica novità. In autunno
il nuovo disco con una ventina di inediti, il primo dopo Per brevità
chiamato artista (2008).
Che i fan del mitico (la sua «Donna cannone» è stata riconosciuta una
delel canzoni più belle del mondo) si tengano forte. De Gregori va pure
alla Mostra di Venezia o meglio sullo schermo per la sezione Venice
Nights nel documentario «Finestre rotte» (titolo mutuato da un canzone
dell'ultimo album) diretto da Stefano Pistolini, in programma il 6
settembre. Vi partecipano artisti che fanno parte del mondo di De
Gregori e che si sono accompagnati a lui nei tour, come Ambrogio
Sparagna (proprio questa estate nell'altro tour che s'intreccia con
«Factory») e poi Vasco Brondi, Cristina Donà, Giovanna Marini. Un
ritratto dell´artista al presente lungo un´estate di concerti e una
serie di conversazioni. Pistolini ci fa ascoltare i suoi pezzi,
testimonia i suoi esperimenti, registra gli stati mentali dell'artista,
i suoi incontri e le sue riflessioni. «Francesco De Gregori - dice il
regista - è un uomo accurato nei movimenti, nei ragionamenti, nelle cose
che dice, in come le dice: praticamente non sbaglia mai. Nella sua
musica c´è la sublimazione del discorso: Francesco è esigente prima di
tutto con se stesso. Colloca le sue canzoni sul piano dell´arte, come
quadri, sculture, pezzi unici. Va filmato con delicatezza: si lavora con
un´estetica complessa, sebbene ci sia la familiarità con quei pezzi e
con quella voce. Contano i punti di vista, il rispetto delle
proporzioni, la profondità di campo. De Gregori va aspettato a
centrocampo». Pistolini, giornalista, scrittore, autore tv, ha
partecipato al Festival di Locarno nel 2004 con «Skateboard
Confidential», alla Festa del Cinema di Roma nel 2010 con «Nessuna
Speranza Nessuna Paura» e l'anno seguente con «Killer Plastic - Tu ti
faresti entrare? ». Per La7 ha diretto dei documentari.
Ma sentiamo Big Francesco (big nel senso della statura: il suo fisico a
61 anni resta asciutto come lo era a 20). Al telefono dalla sua Umbria,
terra d'adozione dove trascorre il tempo libero e le giornate di pausa
nel verde della campagna.
Un'estate divista fra due fronti. Un artista diviso in due?
«Faccio con Sparagna un tour legato alla canzone popolare, ai suoni
tradizionali italiani, usando strumenti come l'organetto, la tamorra, la
zampogna. Stavolta sono io ospite nel concerto di Ambrogio con
l'orchestra popolare italiana. Ma sono un ospite molto invadente,
presente con 15 canzoni. Ma con questo tour che si chiama «Vola, vola,
vola» non veniamo in Sicilia. «Vola, vola, vola» è la nota canzone
popolare che ho ripreso e messo nel mio ultimo disco».
Ma parliamo di Factory Tour, il tour che ti porta in Sicilia.
«Nella playlist ci stanno canzoni recenti e non recenti. Ma alcune
sono come il vino: più invecchiano e meglio sono. Tuttavia io sono molto
legato alla contemporaneità e le vecchie canzoni le metto in scaletta ma
arrangiate con suoni di oggi. Sennò non avrebbe senso. Insomma canzoni
antiche e nuove convivono in maniera pacifica. Mi sono accorto, dopo
aver fatto la scaletta, che le 25 canzoni rappresentano 15 miei dischi.
E' come se ognuno di questi Dischi continuasse ad avere significato.
Seguo l'istinto della musica, seguo la band. Il brano più vecchio è
Alice del ‘71 ma si arriva fino all'ultimo che è di quattro anni fa».
Il pubblico cosa mostra di gradire maggiormente?
«Il pubblico non è mai un'unica entità. I coetanei di De Gregori sono
più legati al repertorio classico, tipo La donna cannone ma non solo.
Prediligono Vai in Africa Celestino o Il cuoco di Salò. Credo che
vecchio e nuovo convivano senza grandi difficoltà».
Lucio Dalla che d'estate era spesso a Milo non avrebbe mancato
questo concerto di Zafferana. Ci penserai? Senti la sua mancanza dopo
aver fatto tante cose assieme?
«Aver fatto della strada assieme a lui è stato un privilegio. Non
scherzo. Dalla è stato un artista dal talento smisurato. Pochi come lui.
La sua assoluta vitalità e generosità l'ha portato a morire sul
palcoscenico: ci ha fatto capire che il suo lavoro non era un mestiere
ma il prolungamento della vita stessa. Raramente due artisti dividono il
palco con la stessa sincerità a distanza a 30 anni come abbiamo fatto
sulle orme di Banana Republic. E non per nostalgia. Avevamo sentito
entrambi la necessità vera di far incontare due anime diverse. Eravamo
molto differenti e perciò producevamo scintille».
Capitano, è stagione di viaggi in mare, di navigazione
«E' vero che d'estate navigo a vista lungo le coste dei luoghi dove
vado a cantare: è anche un modo di fare vacanza. Zafferana Etnea è
bellissima, ci ho già fatto un concerto».
C'è bisogno di musica per tirarsi su, per dimenticare spread e
default.
«Siamo tutti consapevoli di avere dei problemi, dei sacrifici da
fare. Mi sembra che però ci sia in Italia la consapevolezza che i
sacrifici abbiano un senso, un valore, mi sembra che gli italiani non
siano sopraffatti dal senso della sconfitta».
E allora «Viva l'Italia, l'Italia che resiste... ».
«La canto tutte le sere, è un augurio».
Il mercato discografico risente pure della crisi.
«Certo, girano meno soldi ma non è detto che sia un momento difficile
per la musica. Ci sono molte possibilità per chi vuole fare musica, c'è
il mondo della rete».
A parte il «Castello» di Kafka tuo «livre de chevet» cosa leggi in
questo momento?
«Grisham. I suoi romanzi sono solo apparentemente dei gialli. E' un
bravo scrittore. Ho letto casualmente Sulla strada di Kerouac perchè
forse 30 anni fa non era il momento giusto per leggerlo. Non avrei
capito. Invece oggi mi ha dato una grande scossa. E' un libro sulla
ricerca del padre, del senso della vita. Ovviamente a 20 anni capisci
delle cose, a 61 delle altre».
Zafferana
Etnea, 23.8.2012 - E’ lì quella linea cartoons, figura in controluce che
ricorda sempre un certo Corto Maltese ma stavolta in carne e ossa.
Inconfondibile e fin troppo riconoscibile da chi lo segue da
quarant’anni e che come un segugio è capace di stanarlo come un Foxhound
che fiuta la volpe nelle campagne inglesi.
Dopo l’intervista concessa a Maria Lombardo, arriva il nostro turno come
nella sala d’attesa dal medico della mutua. Cappellino alla capitan
Findus e RayBan graduati fin troppo fumè che mi impediscono di rivedere
quelli occhi verdi che ormai conosco troppo bene. E’ il consueto e cordiale
Francesco che saluta il Rimmel Club e il Titanic, gli unici siti web (ma
guarda un po’, catanesi) che orbitano attorno al suo sito ufficiale.
Io e Daniele Di Grazia, mio compagno di avventure degregoriane, siamo
ormai troppo navigati per farci fare la fatidica foto ricordo,
specialmente immortalati con qualcuno che le destesta, le foto ricordo.
Un breve saluto e quattro parole che, credo, non susciterebbero la
curiosità di nessuno.Per chi non l’avesse capito, la serata è
“speciale”. A Zafferana quest’anno, come sottolineato dal Capobanda su
FB, c’era una grande squadra: Daniele Di Grazia, Francesco Corallo,
Michela Bi, Alessandro Noto, Gabriele Fasan, Serena Ilgrande (figlia
della grande Pippina), Salvo Cascone. Peccato non sia riuscita a venire
da Madrid Elena Pardo e da Milano Marcello Antonetti, ma un po’ dello
zoccolo duro del Rimmelclub era lì. Ciliegina sulla torta la grande
Valeria Bissacco e family, che ha colorato la sera con i suoi magici
scatti, autorizzati direttamente dal Principe.
Quelli presenti ieri sera erano persone che si conoscono da più di dieci
anni e che attraverso un collante col nome di un cantante (a questo
punto non importa se sia De Gregori o Antonacci) sono diventati amici,
fidanzati, mogli, mariti, fratelli, compari, nipoti, zii. Quasi un
fenomeno sociale.
L’incontro è nato dalla voglia di re-incontrarsi tutti assieme dopo
anni, molto meglio di una rimpatriata liceale, a seguito di tamtam su
Faceboock. Non è più necessario se a qualcuno di questi, dopo tanto
tempo, di De Gregori non gliene può più fregà de meno; non importa se
capisce se ci sia lui o no o quanto possa essere fondamentale scandire
il suo nome. La cosa essenziale, invece, è rivedersi, rimanere sempre
amici anche dopo un decennio; ritrovarsi esattamente sullo stesso luogo
coi capelli bianchi ma con lo stesso spirito e lo stesso entusiasmo di
allora, quando si sventolava un mitico striscione sotto il palco come
quindicenni. Quindi, al di là del personaggio "De Gregori", al quale non
stringevo la mano da quasi tre anni, mi ha fatto un immenso piacere
rivedere tutti questi miei amici in questa itinerante e permanente "gita
scolastica", come ci ha definito tempo fa.Il concerto? C’è gente molto
più brava di me a recensirlo. Posso solo dire che è stato bellissimo,
tutto da ascoltare. Perché chi paga il biglietto deve sentire musica,
buona musica, e basta. Queste nostre estati musicai stanno diventando
sempre più inzuppate di concerti di questi evergreen all’ultima spiaggia
che cercano di allungare il brodo con personali concetti filosofici
citando poesie, pensieri appartenenti a scrittori del passato e
contemporanei o addirittura raccontando cose personali. Non si paga il
biglietto per sapere che sei amareggiato perchè tua figlia
(trentasettenne!) ha avuto due gemelle e che le vizierai per farle
dispetto.
De Gregori è diverso. Tutto quello che vuole dirti che te lo dice
cantando e suonando le sue canzoni, magari dicendoti Grazie (se gli va)
alla fine se si accorge che le hai capite. Poi è contento se ti accorgi
di certe sue magie che non hanno bisogno di spiegazioni. Ieri sera, per
esempio, ha cantato Santa Lucia (la preferita di Dalla) mischiandola con
il riff di Come è profondo il mare. Alla fine della canzone si è tolto
il cappello e, guardando le stelle, ci ha invitati ad alzarci in piedi e
ad applaudire il cielo in segno di rispetto a Lucio. Un grande.
L’avranno capito tutti? Macchè, dopo mezz’ora qualcuno, dalla platea,
gli ha chiesto un omaggio in memoria di Lucio Dalla, beccandosi un
sonante “perché parli?”. Gli epitaffi facciamoli fare a Gigi D’Alessio.
Non a De Gregori.
Bella serata. Grazie Francesco, grazie ai ragazzi della band sempre
affettuosi con noi, ma soprattutto …. grazie amici miei.
Il Nostromo - Dal giornale di bordo, 24.8.2012.
04 LUG - San Marino - Teatro Concordia 05 LUG - Tortona
(AL - Piazza Duomo 06 LUG - Gardone Riviera (BS)
Anfiteatro del Vittoriale 17 LUG - Prato (Piazza Duomo) 24 LUG - San
Leucio (CE) Cortile del Belvedere 22 LUG - Itri (LT) Piazza Rodari
03 AGO - Civitavecchia (Piazzale della Marina) 05 AGO - Aosta
(Teatro Romano) 10 AGO - Perugia (PIazza IV Novembre) 11 AGO -
Rispescia (RG) - Festambiente 14 AGO - Gallipoli (LE) Parco
Gondar 16 AGO - Corleto Perticara (PZ) - PIazza del Plebiscito 21
AGO - S. Stefano di Magra (SP) Area ex Vaccari 23 AGO - Zafferana
Etnea (Anfiteatro) 02 SET - Govone (CN) Collina degli Elfi
14 SET - Marostica (VI) - Piazza degli Scacchi
Alessandro Arianti
tastiere e fisarmonica
|
Paolo Giovenchi
chitarre
|
Stefano Parenti
batteria
|
Elena Cirillo
violino elettrico e voce
|
Alex Valle
pedal steel guitar e mandolino
|
Guido Guglielminetti
basso, contrabasso, capobasso e capobanda
|
Lucio Bardi
chitarre
|
ROMA - Francesco De Gregori raccontato al presente. Sul palco e fuori.
Con chitarra e senza. Così lo voleva Stefano Pistolini, giornalista,
scrittore e regista, che l' anno scorso, per tre mesi, ha seguito il
musicista in una delle sue tournée più riuscite; così lo ha avuto, non
senza fatica, e così, molto piacevolmente, lo vedremo. Il 7 settembre
alle Giornate degli Autori alla Mostra di Venezia sarà presentato
Finestre rotte, un documentario on the road che, come dice Pistolini,
potrebbe avere come sottotitolo "ritratto dell' artista da adulto". Le
finestre rotte del titolo sono quelle attraverso le quali De Gregori ama
guardare il mondo. Finestre che non separano, ma neanche uniscono. "E'
così con lui" dice il regista "Difficile arrivargli vicino, ma se ci
riesci ti dà tutto". Lettore di Pistolini giornalista, De Gregori gli
chiese di firmare un' intervista promozionale per un suo disco. Nacque
una amicizia. "Il nostro primo incontro professionale fu totalmente
concordato, schematico, preparato. Quello che gli proposi in seguito
avrebbe dovuto essere il contrario. Non disse di no, disse: devo
pensarci. Poi accettò". Finestre rotte segue il tour dell' anno scorso,
inizia dall' abbraccio di piazza San Carlo a Torino, scende in Sicilia,
risale in Val di Fassa (nei "Suoni delle Dolomiti")". Tra un brano dal
vivo e l' altro, tra l' incontro con Giovanna Marini e quello con
Ambrogio Sparagna - alla fine è evidente di come, iniziato con Dylan, il
percorso di De Gregori sia meravigliosamente approdato alla nostra
musica popolare - il musicista parla. "Convincerlo a parlare non è stato
facile, ma una volta deciso ho proposto alcune location. Avevo pensato a
Roma, la sua casa o altri luoghi evocativi. Non gliene piaceva alcuno.
Allora lo ha trovato lui, il luogo: sul bordo di un' autostrada, con le
auto che sfrecciano, lo spostamento d' aria dei tir, e a momenti ci
ammazziamo; una citazione del video di "Subterranean homesick blues" di
Dylan girato per strada, ma senza traffico. Alla fine sono riuscito a
filmarlo in casa sua. Piano piano si è sciolto, ha accettato. E la
performance casalinga voce e chitarra della "Leva calcistica del ' 68" è
una delle cose più emozionanti che mi siano capitate di girare".
LAURA PUTTI (La Repubblica)
VOLA VOLA VOLA - In tour con gli organetti di Ambrogio Sparagna
La musica popolare ha radici talmente
profonde che ognuno di noi, seppur nato lontano dalle assolate cittadine
salentine o dai vicoli di Napoli, sente familiare il rumore del
tamburello della pizzica e il ritmo forsennato della taranta. E’ la
nostra terra che si muove e che fa sentire che è viva. E l’Orchestra
Popolare Italiana, guidata da quel grande menestrello che è Ambrogio
Sparagna, ha riportato ancora una volta sul palco, questa volta quello
dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, il calore e i colori delle
terre aspre del nostro Sud. Menestrello, cantore, maestro concertatore,
in completo scuro e con in spalla il suo organetto, Sparagna ieri ha
deliziato e divertito il numeroso pubblico accorso, con al fianco ottimi
musicisti e tre meravigliose figure femminili.
Valentina Ferraiolo al tamburello, il ritmo, il calore, il cuore del
Salento; Lucia Cremonesi alla viola, l’eleganza e la delicatezza, come
un soffio di vento sul golfo di Napoli; Maria Nazionale, voce potente e
sensuale di tutte le donne del Sud. E se tutto questo non fosse bastato
alla
creazione di uno spettacolo vivo, coinvolgente e appassionato, al resto
ha pensato Francesco De Gregori. Salito sul palco in jeans, scarpe
bianche e l’immancabile cappello in testa, lui che senza la sua chitarra
sembra sentirsi nudo di fronte al pubblico, lui che cammina sempre un
po’ dinoccolato, che quando non canta sta lì, braccia conserte e piede
destro che tiene il tempo. Lui che ha regalato un’emozionante versione
di ‘Santa Lucia’, in coppia con Maria Nazionale, una sentita ‘San
Lorenzo’, e poi ‘Sotto le stelle del Messico a trapanar’, ‘La ragazza e
la miniera’, ‘Stelutis Alpinis’, ‘Vola vola’ e ‘Terra e acqua’.
E così, la musica d’autore del principe dei cantautori italiani si
sporca, si mescola con le tradizioni popolari delle tarante e, se perde
quella sacralità che molti dei suoi brani hanno, si rinnova in suoni che
le danno un nuovo splendore. Si spoglia così di tutto la musica di De
Gregori e, tra tamburelli, zampogne e organetti, ritrova una forza
essenziale e primordiale. Le strade di Sparagna e De Gregori si sono
ormai incrociate anni fa e sembrano, seppur proseguendo su binari vicini
ma diversi, avere molto piacere a intrecciarsi ogni tanto lungo il
cammino. Questo loro sodalizio fa piacere anche a noi, che ci lasciamo
trasportare dai ritmi di canzoni che non hanno tempo e che il tempo
l’hanno evidentemente battuto, e che guardiamo ammirati ancora una volta
Francesco De Gregori. Lui nudo senza la sua chitarra, sempre un po’
dinoccolato, che sul palco se non canta non sa che fare e sembra
sentirsi un po’ perso. Poi tira fuori quella sua voce, inconfondibile,
raccontandoci la vita. E la magia si compie di nuovo.
http://www.newsmag.it/21667/musica/francesco-de-gregori-tra-i-tamburelli-e-gli-organetti-di-ambrogio-sparagna-auditorium-roma
A migliaia con De Gregori in Piazza Grande, a cantare Santa Lucia
(la prediletta di Dalla).
E' questo il suo speciale saluto a un amico che non c'è più.
fotografie di
Valeria Bissacco
Ultime note per Dalla: "Ciao Lucio".
Sono arrivati a migliaia per ascoltare il Principe che ha suonato
un'ora, chiudendo con le sue canzoni la Repubblica delle idee. Da
'Rimmel' a 'Titanic', da 'Generale' a 'W l'Italia'.
di KATIA RICCARDI
BOLOGNA - Il giornale torna a casa sulle note del Principe. Francesco De
Gregori è stato il gran finale di una Repubblica che le sue idee le ha
appoggiate qui, per le strade di Bologna, per tutti, e le ha lasciate a
disposizione. Con il concerto di Piazza Maggiore il cantautore ha reso
omaggio alla musica, alla gente, e alla memoria di un amico che ora non
c'è più ma che nella stessa piazza grande, come cantava, avrebbe voluto
morirci. Così come ci aveva sempre vissuto, tra amori, santi, gatti e
vagabondi. De Gregori il suo saluto l'ha fatto cantando, tenendo in vita
la stessa piazza. E l'ha fatto con una canzone, Santa Lucia, la
preferita di Dalla.
La sua perdita l'ha celebrata in privato. Non ha partecipato ai funerali
e il suo saluto ha scelto di non renderlo pubblico. Tornare oggi in
questa piazza, e cantare sotto il palazzo dove Dalla amava festeggiare
il capodanno tra i barboni, è un gesto che le parole avrebbero sminuito
e che le canzoni hanno invece incorniciato. E quando ha cantato Compagni
di viaggio, ha detto 'due buoni compagni di viaggio non dovrebbero
lasciarsi mai. Potranno scegliere imbarchi diversi, saranno sempre due
marinai'. E l'ha fatto a suo modo. Con un "Ciao Lucio"
alla fine del concerto, diretto a lui, e alla piazza.
Il distacco che il Principe mantiene in ogni occasione, stasera, per
un'ora, si è annullato sul palco di Piazza Maggiore dove già dal
pomeriggio, le persone sono arrivate a rubare qualche nota di prove.
Sotto il sole forte, sedute sparse sulle sedie bollenti, hanno guardato
il palco e visto Paolo Giovenchi accordare le chitarre, Alessandro Valle
il mandolino, Elena Cirillo impugnare il violino e Alessandro Svampa il
cajón. Scintille. Pezzi di vetro che durante la sera, alle 18 quando il
concerto è cominciato, hanno preso forma. "La gente si deve divertire, e
anche noi che suoniamo. Questa è la regola", dice spesso il cantautore.
E la Repubblica delle idee il suo finale l'ha voluto far cantare a
tutti. W l'Italia, che uscì nel '79 pochi mesi dopo il live 'Banana
Republic' proprio di Dalla e De Gregori, è ancora la colonna sonora
perfetta di quanto si è visto in questi giorni per le strade e le piazze
di Bologna. L'Italia che resiste. L'Italia che non muore. L'Italia che
un terremoto ha scosso ma non ha fatto arrendere.
Un'ora di musica. Un'ora di pausa. Un'ora per chiudere anche le
redazioni di un giornale trasportato qui, in messo alla gente. De
Gregori è salito sul palco davanti alla pizza gremita. Ha salutato, poi
ha cominciato seduto suil palco con la chitarra, l'armonica, con il
cappello. Com'è il Principe. E i suoi testi, oggi, hanno preso
significati che sono andati oltre quello con cui sono nati. Com'è
successo con Finestre rotte, quando dice 'i vetri alle finestre sono
rotti e il tetto è da rifare'. O con Vai in Africa Celestino, e il suo
'pezzi di pericolo, pezzi di coraggio. Pezzi di vita che diventano
viaggio', che è anche contenuto in Work in Progress 2010, l'album della
lunga tournée che fece insieme a Dalla in giro per tutta Italia,
pubblicato trent'anni dopo Banana Republic.
Le canzoni sono di tutti. I principi le scrivono e poi le regalano. I
testi acquistano significati diversi e cambiano, ancora più degli
arrangiamenti con cui De Gregori gioca spesso a nascondino. Si sciolgono
e si ricompongono quando a cantarle sono persone che il viaggio adesso
lo stanno facendo su una terra che gli si è aperta sotto i piedi.
Titanic, di nuovo.
De Gregori le canzoni che canta su un palco le sceglie con cura, ne
prende alcune in mezzo a centinaia perché siano adatte alla piazza dove
prenderanno forma. La melodia e l'amore di Rimmel, ma anche Tempo reale,
uscito nel 2005 e che ritrae un Paese arrivato deludente alle porte di
un terzo millennio appena cominciato ('se potessi rinascere ancora...
Preferirei non rinascere qua') . O Generale, la sua potenza, fino a
Sempre e per sempre. Cantata al piano. Richiesta come bis. Insieme a
Pezzi di vetro. Pezzi di idee, che da oggi, con la fine di questi
giorni, restano qui. A cambiare forma nelle mani di tutti quelli che
decideranno di ricordarle.
http://www.repubblica.it/speciali/repubblica-delle-idee/edizione2012/2012/06/17/news/de-gregori_ultima-sera-37392214/
www.valeriabissacco.it
Lucio Dalla, l'amico che mi manca, ma il "primo tempo" della vita
continua...
Francesco De Gregori si racconta:
la gioia di suonare con Lucio Dalla dopo tanti anni
di Paolo Vites - 31.5.2012
Qualche mese fa, nel buio di un minuscolo camerino perso da qualche
parte nella bassa padana, parlando di colleghi cantautori che
annunciavano il ritiro dalle scene, Francesco De Gregori mi confidava,
un po' perplesso dalla notizia: "Ma come si fa a vivere senza musica?".
Difficile, quasi impossibile, per chi della musica non ha fatto un
mestiere come tanti, e neanche una passione, un hobby. Della musica ne
ha fatto invece un mezzo, anzi il mezzo, per scrutare la vita, il
fascino del suo mistero: come si fa a vivere senza musica? Sarebbe come
strapparsi un braccio. Le sapeva bene queste cose un grande amico di De
Gregori, e cioè Lucio Dalla, morto nel modo più vero e più bello per chi
ha vissuto sempre di musica. La mattina dopo un concerto preparandosi a
un altro concerto che avrebbe dovuto tenere quella sera stessa.
Per la prima volta dalla scomparsa di Dalla, Francesco De Gregori, che
con lui aveva condiviso canzoni e concerti per molti anni, parla della
sua morte e di quanto gli manchi. Quando Lucio è morto, De Gregori aveva
rifiutato di rilasciare ogni commento, troppo provato dal dolore di
quella morte. Adesso, che qualche mese di distanza ha permesso se non di
cancellare il dolore, almeno di metabolizzarlo, lo può fare: "Non c’è
solo la mancanza, ma proprio un distacco improvviso, qualcosa con la
quale ti sembra di non poter fare i conti. La verità è che tutto è
scritto e dobbiamo convivere anche con il distacco e il rimpianto. Ma
lui lascia dietro di sé qualcosa di vivo, di non definitivo e quindi di
vitale e questa in qualche modo è una consolazione". In questa
intervista concessa in esclusiva a IlSussidiario.net, De Gregori parla
anche in anteprima del nuovo disco a cui sta lavorando e dei concerti
che terrà questa estate, tra cui alcuni insieme al grande musicologo ed
esperto di musica folk Ambrogio Sparagna.
L’estate si avvicina e si torna sulla strada, ai concerti, al pubblico.
E’ la tua prima serie di esibizioni dopo la scomparsa del tuo grande
amico e compagno di avventure Lucio Dalla. Con che sentimento ti rimetti
al lavoro?
Beh, sai, è stato terribile. Io e Lucio avevamo finito di lavorare
insieme da pochi mesi quando lui è morto, quindi non c’è solo la
mancanza, ma proprio un distacco improvviso, qualcosa con la quale ti
sembra di non poter fare i conti. Quando giravamo insieme lui parlava
spesso della vita – e della morte – ma senza fare chissà quali discorsi.
Ne parlava in maniera semplice. E’ vera questa cosa, che Lucio diceva
sempre, che la vita era solo il primo tempo. Ci credeva, era sicuramente
un uomo sereno da questo punto di vista, magari su tante cose fingeva,
ma non su questo: quando eravamo in tour qualche imbecille mise in rete
la notizia che era morto Lucio Dalla e a lui non gliene fregò niente. Io
gli dicevo “Lucio io mi arrabbierei moltissimo se lo facessero a me”, ma
lui era così, la cosa non lo colpì più di tanto. Lascia un grande vuoto
e un grande pieno, mi sento privilegiato ad aver condiviso con lui gli
ultimi momenti della sua vita d’artista. Credo che insieme siamo
riusciti a scrivere e cantare cose importanti, con una sincerità e
un’intensità rara che ha sempre superato diversità di carattere, di
stile, di cultura, di educazione.
Come si convive con la perdita di una persona cara?
Banalmente non posso alzare il telefono e dirgli “Ehi, come stai, hai
sentito questo, hai sentito quello, quando passi da Roma?”. Non posso
più progettare niente di comune, intendo dire nemmeno prendere un caffè
insieme, no. Tanto meno scrivere ancora canzoni insieme o salire su un
palco. La verità è che tutto è scritto e dobbiamo convivere anche con il
distacco e il rimpianto. Ma lui lascia dietro di sé qualcosa di vivo, di
non definitivo e quindi di vitale e questa in qualche modo è una
consolazione. Sarà difficile che Lucio Dalla possa diventare un santino,
la sua musica continuerà a piacere e a influenzare gli artisti più
sensibili e innovativi.
So che stai lavorando a un disco nuovo e intanto torni a fare concerti:
è difficile?
Credo che mi sia capitato altre volte lavorare contemporaneamente ai
concerti e in sala, sicuramente ai tempi di "Rimmel". Mi ricordo che
lasciavo i musicisti in sala con dei compiti da fare e Renzo Zenobi
fungeva da produttore mentre io andavo in giro a suonare solo con la mia
chitarra. Anche quest’estate andrà così solo che la band è con me e
quindi lavoreremo al disco nelle pause fra un concerto e l’altro.
L’abbiamo chiamato per questo “Factory Tour”, perché è l’estate in cui
stiamo fabbricando qualcosa tutti insieme e quindi ci sarà
inevitabilmente un unico suono intorno al nostro lavoro.
Proporrete qualche pezzo inedito in anteprima? Sai che Bob Dylan una
volta presentò un intero disco inedito in tour, poi non lo ha più fatto
per paura dei dischi pirata. Ti preoccupa che qualche pezzo finisca
sulla Rete prima che sul disco finito?
Non so se faremo già qualche pezzo nuovo, forse sì. Del fatto che possa
andare in giro sulla Rete me ne frega poco, casomai la preoccupazione è
che la gente si affezioni alla versione live e poi non gli piaccia più
quella in studio - il contrario di quello che succede di solito! Però
suonare i pezzi nuovi dal vivo ci può aiutare molto. Vedremo. In qualche
occasione già l’ho fatto, e poi se l’ha fatto anche Dylan… Insomma ci
può anche stare. Bisogna vedere però che succede quando dovremo suonare
pezzi che magari in studio hanno un arrangiamento più complesso, con gli
archi, le sovrapposizioni, sai, quel tipo di problema che ebbero anche i
Beatles negli ultimi concerti. Solo che loro smisero di suonare dal vivo
e io non vorrei fare quella fine. In molti per risolvere questo tipo di
cose usano sequenze e campionatori ma io non li ho mai sopportati.
Quest’estate
ti “sdoppierai”. Hai in programma anche una partecipazione straordinaria
nel concerto di Ambrogio Sparagna, amico musicale di vecchia data.
L’idea di sdoppiarmi mi piace molto, la trovo caotica e molto
promettente sul piano del divertimento. Sparagna sta portando in giro
uno spettacolo gioioso che mette al centro alcune sonorità tipiche della
musica popolare italiana… Organetti, zampogna, ciaramelle, un cantare
molto basato sull’importanza dei testi, sul racconto. Allora un giorno
lui mi invita a pranzo, più o meno un anno fa e mi dice che vorrebbe
“importarmi” dentro questa cosa, arrangiando alcuni miei pezzi – non
molto mainstream, per la verità – in questa veste strumentale. Allora io
dico subito di sì e parte questa cosa dove io (ma a volte anche Maria
Nazionale, a volte anche un coro di cento persone) interveniamo qua e là
con le nostre voci. L’abbiamo già fatto a Roma l’anno scorso e a
Barcellona all’inizio dell’anno e adesso faremo altre undici date in
giro per l’Italia. Avremmo voluto farne anche di più, ma come ti ho
detto io gioco anche sull’altro fronte, quello del “Factory”.
E quali sono queste canzoni “non troppo mainstream” che canterai come
ospite del concerto di Ambrogio?
Cose tipo Ipercarmela o San Lorenzo, La ragazza e la miniera o Babbo in
prigione e anche qualcuna molto recente come Vola Vola, che per inciso
dà il titolo al tour. Sono pezzi che raramente faccio dal vivo e che si
sposano bene con la musica di Sparagna. Poi canto anche un paio di cose
di Ambrogio e qualche terzina della Divina Commedia, come già ho fatto
anni fa alla Notte della Taranta di Melpignano.
E’ difficile sdoppiarsi artisticamente?
Più facile che nella vita.
Nel “Factory Tour”, invece, hai intenzione di ripescare qualche perla
meno conosciuta tipo Informazioni di Vincent o Cardiologia?
Sì, certamente ci sarà qualche sorpresa di questo tipo… Magari
Informazioni di Vincent non lo so, è un pezzo così vecchio… Non è che
non mi piaccia più, ma ho sempre trovato che l’inciso melodicamente è un
po’ troppo enfatico, quasi Sanremese per intenderci… Comunque sentirò la
band, in certi casi – in molti casi, direi - decidono loro. Fare la
scaletta è sempre una rogna, c’è sempre qualcuno che si lamenta perché
non faccio Generale oppure perché la faccio. Comunque la gente si deve
divertire, e anche noi che suoniamo. Questa è la regola.
Negli anni settanta dicesti che a quarant’anni non ti ci vedevi ancora
su di un palcoscenico a esibirti…
Avrò detto questa cosa un sacco di volte, e altrettante il contrario. La
verità è che non lo puoi sapere cosa ti andrà di fare domattina, figurati
fra un anno o dieci anni. Suonare per gli altri mi ha sempre dato gioia, a
questo punto posso solo dire che la mia vita fin qui è stata la vita di un
uomo di musica, il mio mestiere è scrivere canzoni e cantarle, se non
facessi questo non farei niente, e non ho molta voglia di non fare niente,
capisci cosa voglio dire. Cosa dovrei fare, andare a pesca o giocare a golf
o chiudermi in casa oppure viaggiare? E’ molto più semplice continuare a
fare quello che faccio, finché mi riesce e mi piace.
Per questo novo disco in cantiere hai in mente qualche collaborazione? In
passato ne hai fatte diverse.
Ho avuto dei produttori in passato, non troppi in verità, e devo dire col
senno di poi che mi pare che nessuno abbia lasciato il segno. Forse un paio,
Edoardo De Angelis e Vincenzo Mancuso, loro hanno fatto un buon lavoro, ma
gli altri… Un produttore di solito vuole mettere il suo suono al posto del
tuo, è convinto che il suo suono sia migliore del tuo, che tu sia un ragazzo
alle prime armi. Corrado Rustici mi voleva spiegare addirittura come dovevo
cantare. E poi comunque mi sembra che questo nuovo disco mi appartenga in
maniera troppo viscerale per
farci
entrare un altro, ovessi descriverlo in due parole direi che è l’istantanea
di quello che sono oggi, del mio modo di stare al mondo. Non credo che ci
sia molto spazio per interventi esterni di qualsiasi tipo. E’ vero che sto
lavorando con Sparagna, nei concerti, ma credo che neanche lui interverrà in
questo nuovo lavoro anche se in passato abbiamo lavorato insieme in studio
in qualche occasione.
Come è oggi il rapporto con i tuoi fan? Vedi ancora dei talebani in mezzo a
loro? Ci sono un sacco di ragazzi che non erano neanche nati quando hai
scritto tante tue canzoni oggi ai tuoi concerti.
Ho sempre pensato che tutti quelli che mi vengono a sentire o ascoltano un
mio disco - e in qualche caso addirittura lo comprano - merito rispetto se
non addirittura amore. Magari con alcuni di loro potrei anche andare a
mangiare una pizza e sono sicuro che mi piacerebbe… Poi ce ne sono altri un
po’ maniacali, ma non credo che siano tanti, i famosi talebani. Da quelli
uno si deve un po’ guardare perché ti vogliono esattamente come ti
immaginano e spesso immaginano cose sbagliate, comunque va bene così, fa
parte del gioco. A parti rovesciate credo che anche a me è capitato e capita
anche adesso di fare così con gli artisti che ammiro. Dopo un po’ di anni
che hai scritto una canzone inevitabilmente non è più solo tua e anche chi
l’ha scritta diventa un po’ di tutti. Non è che non ci dormo la notte. Poi
il fatto che molti siano giovanissimi mi fa piacere, ma mi stupisce anche un
po’ perché non è che le mia canzoni siano mai andate molto per radio…
Probabilmente è proprio merito della Rete se hanno potuto ascoltarle, meglio
così.
(Paolo Vites)
http://www.ilsussidiario.net/News/Musica-e-concerti/2012/5/31/L-INTERVISTA-De-Gregori-Lucio-Dalla-l-amico-che-mi-manca-ma-il-primo-tempo-della-vita-continua-/3/285873/
Allo Sferisterio di Musicultura, arriva De Gregori. Inaugurerà le serate
finali
Il direttore artistico
Piero Cesanelli: «La sua presenza era un desiderio che cullavamo da
anni» Tra gli ospiti anche Paolo Villaggio e Mark Strand, premio
Pulitzer per la poesia contemporanea
Macerata, 15 maggio 2012 - Sarà Francesco De Gregori a inaugurare
le serate finali del Festival Musicultura, venerdì 15 giugno, all'Arena
Sferisterio. «E' uno dei pochi artisti che coniuga con grande
sensibilità intelligenza, buon gusto e gentilezza d'animo, la sua
presenza allo Sferisterio è un desiderio che cullavamo da qualche anno»,
commenta il direttore artistico Piero Cesanelli. Altro grande atteso
ospite, domenica 17 giugno, Paolo Villaggio. Tra gli ospiti
internazionali, ci sarà uno dei più grandi poeti americani e in assoluto
una delle voci più rilevanti della poesia contemporanea, Mark Strand,
vincitore del premio Pulitzer per la poesia nel 1999.
Strand proporrà una lettura e sarà anche ospite della Controra, la
manifestazione che accenderà le piazze storiche di Macerata nella
settimana del Festival con un ricco programma di eventi. Continuano
intanto a girare vorticosamente i contatori dei voti e la gara si fa
sempre più accesa in tutta Italia, dove migliaia di fans sostengono e
selezionano i nuovi cantautori del 2012. Due degli otto vincitori del
Festival saranno infatti decretati rispettivamente dal popolo di
Facebook e dal risultato finale del Televoto.
C'è tempo fino al 18 maggio per votare. Oltre che nel web, su
www.radiouno.rai.it e www.musicultura.it, si possono ascoltare le
canzoni finaliste e le interviste agli artisti su Radio 1 Rai, in
compagnia di Gianmaurizio Foderaro e Alessandro Mannozzi. E procede a
ritmo serrato anche il lavoro del Comitato artistico di garanzia,
composto da Claudio Baglioni, Edoardo Bennato, Luca Carboni, Ennio
Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Teresa De Sio, Tiziano
Ferro, Giorgia, Maurizio Maggiani, Curzio Maltese, Fiorella Mannoia
Dacia Maraini, Gino Paoli, Pau (Negrita), Vasco Rossi, Enrico Ruggeri,
Michele Serra, Daniele Silvestri, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Sandro
Veronesi, Antonello Venditti e Lello Voce, che dovranno decretare gli
altri sei vincitori del Festival. Gli otto vincitori accederanno alle
serate finali di Musicultura il 15, 16 e 17 giugno, in diretta su Radio
1 Rai.
(l Resto del Carlino)
"Pubs and Clubs live @ The
Place": una città per cantare...
Paolo Vites -
martedì 15 maggio 2012
ESCLUSIVA/ Francesco De Gregori si racconta: la gioia di suonare con
Lucio Dalla dopo tanti anni
Dopo aver fatto il giro dell’Italia almeno due volte nel corso di due
anni, chiunque si sarebbe concesso del riposo. Francesco De Gregori no.
Archiviato lo straordinario "Work in Progress", il tour insieme
all’amico Lucio Dalla che per ben due anni li aveva portati sui
palcoscenici dei più prestigiosi teatri della penisola, De Gregori fa
giusto in tempo ad appoggiare le valigie per riprenderle in mano.
D’altro canto, per lui è sempre stato così, almeno da un certo punto
della sua carriera: impossibile fare a meno della dimensione live,
dell’adrenalina da palcoscenico, della sfida che si rinnova sera dopo
sera con se stessi e con gli spettatori davanti. Live, che vuol proprio
dire “vivo”: così è la musica per il cantautore romano, cosa viva che va
rimodellata e riproposta proprio come la vita. Che è movimento,
insoddisfazione, tensione a dipingere quel capolavoro che si può solo
ambire a sfiorare.
Ecco allora che si riparte ancora una volta e questa volta è “Pubs and
Clubs Tour”: un giro nei piccoli locali, a volte piccolissimi, dove
riproporsi come a inizio carriera. Se allora si doveva sperare che gli
spettatori venissero a sentirti, adesso invece magari se ne lasceranno a
casa parecchi, ma non importa. Tanto ci sarà già un altro tour in
arrivo. Registrato nell’ultima data di questa serie di concerti, lo
scorso 15 dicembre 2011, al The Place di Roma, e trasmesso quella sera
in diretta video su canale Youtube, ecco adesso su cd la testimonianza
di quell’ultima data. “Pubs and Clubs Live @ The Place” esce in questi
giorni non solo su cd ma diponibile da qualche tempo anche su iTunes, un
“instant album” come è stato definito.
Istantaneo, ma straordinario. Forse consapevoli di essere arrivati
all’ultima tappa di un tour, forse la tensione di esibirsi in diretta
davanti alle telecamere, De Gregori e band offrono una performance
smagliante, vibrante e ricca di vivacità. Non è finita fino a quando non
è finita, sembrano dire a se stessi, agli spettatori e adesso agli
ascoltatori, e allora le 14 tracce qui presentate (non il concerto
integrale, la cui scaletta viene mischiata e ricomposta a dare
l’immagine di qualcosa che sta accadendo ora, “live”) brillano di una
energia e di una coesione espressiva rare nei dischi dal vivo.
La qualità sonora poi con cui è registrato il concerto è smagliante:
suoni caldi, la voce del cantante al centro in primissimo piano, le
chitarre che escono dal singolo amplificatore calde, avvolgenti, toniche
e piene di intensità; il batterista che si inventa passaggi inediti
trascinato dall’esecuzione; basso, tastiere, violino. Che bellezza.
Finestre rotte, pulsante, swingante, nella sua torrida essenza blues è
sorretto dall’armonica guizzante di Francesco De Gregori che sembra non
averne mai abbastanza, mentre i due bravissimi Paolo Giovenchi e Lucio
Bardi si sbizzarriscono a duellare e a incalzarsi a vicenda. Il panorama
di Betlemme è altrettanto vibrante, decisamente rock questa volta, ma
ecco che ci sono cose che quando eri lì sotto al palco ti sono sfuggite
e adesso ti sorprendi a sentire come se cadessero giù dal cielo in
questo istante: una Compagni di viaggio che suona diversa e nuova come
mai ti era accaduto di ascoltare. Anche questo è il belli dei dischi dal
vivo: recuperare attimi, momenti persi, riappropriarsene insieme
all'artista.
Aperta da un riff che sembra quello di Honky Tonk Women, subisce
l’assalto vocale di De Gregori che la strapazza e la grida con
sentimento inappagato: che festa. Se Battere e levare è adesso un
incalzante country da festa paesana, ben guidato da violino della brava
Elena Cirillo, ecco l’altra sorpresa che nella disattenzione ti era
sfuggita. Sempre e per sempre solo voce e piano elettrico di una purezza
che fa quasi male al cuore a sentirla . “Il vero amore può nascondersi,
confondersi, ma non può perdersi mai”: è certamente così, perché il modo
in cui lo canta De Gregori, non può mentire, l’amore è certamente così.
Alice vive di incanto e di delicatezza nuove con qualche accenno al
Dylan più romantico, mentre Buonanotte fiorellino è la sarabanda festosa
presa in prestito questa sì dalla dylaniana Rainy Day Women. La donna
cannone, Titanic, Bellamore e l’irruente versione hard blues di A chi,
antico classico di Fausto Leali, completano un disco che si candida a
miglior live tra quelli pubblicati da Francesco De Gregori, e sono
tanti.
O forse no: basta aspettare che l’uomo decida di riprendere in mano la
valigia e rimettersi ancora una volta sulla strada. Magari con il cuore
un po’ più gonfio pensando agli amici che ci hanno lasciati tra un
palcoscenico e l’altro. Ma proprio per questi amici, varrà la pena
cantarle ancora una volta queste benedette canzoni. Cantare la vita, che
altro di meglio può fare un uomo? In fondo, “eccoci qua siamo il padre e
la figlia capitati fin qua siamo una grande famiglia abbiam lasciato
soltanto un momento la nostra vita di là nel camerino già vecchio tra un
lavandino ed un secchio”. Quello che ci aspetta è un'altra città. Una
città per cantare.
Paolo Vites
http://www.ilsussidiario.net/News/Musica-e-concerti/2012/5/15/FRANCESCO-DE-GREGORI-Pubs-and-Clubs-live-The-Place-una-citta-per-cantare-/2/277868/
Ambrogio Sparagna e l'OPI
con Francesco De Gregori suoneranno a Roma presso l'Auditorium Parco
della Musica per Luglio Suona Bene 2012
Concerto di Ambrogio Sparagna e l'OPI, con la partecipazione del
cantautore Francesco De Gregori, il 25 giugno 2012 presso l'Auditorium
Parco della Musica durante la manifestazione musicale dell'Estate Romana
Luglio Suona Bene 2012.
Sarà una serata di canto e musica popolare quella proposta da Ambrogio
Sparagna e Francesco De Gregori, i quali si avvarranno dell'Orchestra
Popolare Italiana dell'Auditorium Parco della Musica anche per
reintarpretare con un suono tutto nuovo il repertorio del cantautore
romano. Lo show "Vola Vola Vola" non proporrà solo canti tradizionali,
quindi, ma anche canzone d'autore, per uno straordinario viaggio che lo
spettatore potrà vivere ascoltando i suoni tipici degli strumenti della
nostra musica popolare quali organetti, zampogne e chitarre battenti. De
Gregori, non si limiterà al suo repertorio, ma interpreterà anche
canzoni popolari in varie lingue e dialetti, oltre a voler rendere
omaggio all'antica usanza di cantare terzine della Divina Commedia, per
uno spettacolo tutto incentrato sulla tradizione.
Il costo del biglietto è di 20€ , mentre il concerto inizierà alle
21.00.
http://www.romavisibile.it/concerti/4182/luglio-suona-bene-2012-concerto-di-ambrogio-sparagna-e-lopi-con-francesco-de-gregori.roma
Lucio Dalla: il silenzio di
De Gregori. Michele Mondella: "Lucio tornerà"
Lucio
Dalla: il silenzio di De Gregori. Il press-agent: "Lucio tornerà"
Il press-agent di Dalla e De Gregori: "Morire non è nello stile di
Dalla. Qualcuno l'avrà chiamato. Tanto poi torna". Francesco De Gregori
preferisce il silenzio: "Non vuole fare dichiarazioni. Ha solo detto che
è molto triste"
"Lui da morto non esiste. Era immortale. Come fa a morire? Lucio diceva
che la morte era la fine del primo tempo. Ora c'è l'intervallo, si starà
riposando. Poi torna, vedrai...". Il press agent Michele Mondella stenta
a crederci. La morte improvvisa di Lucio Dalla, avvenuta questa mattina
a Montreux, ha lasciato tutti basiti, lui per primo. Mondella ha passato
una vita accanto al cantautore bolognese. La loro collaborazione è
iniziata dai primi anni Settanta. Notissimo negli ambienti
dell'industria musicale italiana, ha curato e cura la promozione e la
comunicazione di tanti big, da Francesco De Gregori ad Antonello
Venditti, da Gianni Morandi a Eros Ramazzotti, da Luca Carboni a Samuele
Bersani, Enrico Ruggeri e Ron.
DE GREGORI - E proprio quello che più si fa sentire in queste ore è il
silenzio di De Gregori, che non ha la forza di parlare per esprimere il
dolore della perdita di un grande amico. "E' passato da me, a
consolarmi. Siamo stati un po' qui, storditi. Non vuole fare
dichiarazioni. Ha solo detto che è molto triste", racconta con la voce
rotta dall'emozione il manager riferendosi al cantante romano. "Forse è
uno scherzo. Morire non è nello stile di Dalla. Qualcuno l'avrà
chiamato. Tanto poi torna, io non mi fiderei tanto...", afferma tra
l'amaro e l'ironico Mondella che racconta gli ultimi momenti di vita di
Dalla. "L'altro ieri avevamo fatto l'anteprima del tour a Sassuolo,
c'era anche Pierdavide Carone", dice riferendosi all'ex concorrente di
Amici con il quale Dalla ha deciso, dopo 40 anni di assenza, di tornare
sul palco dell'Ariston con un pezzo co-firmato dal titolo "Nanì''. E poi
l'ultimo concerto: "Ieri a Montreux il concerto era andato molto bene.
Stamattina si era alzato, ha fatto colazione, e poi si è sentito male".
http://www.romatoday.it/cronaca/morte-lucio-dalla-1-marzo-2012.html
De Gregori torna nei club:
“Avevo bisogno di respirare”
ROMA – “Avevo bisogno di respirare”. Francesco De Gregori abbandona il
tour con Lucio Dalla. Il cantautore tornerà a suonare nei club. Il suo
nuovo disco “Pubs and clubs live at the Place”, registrato nei live,
sarà venduto solo sul web. De Gregori ha dichiarato di capire i giovani
che sperano nei talent show. La televisione e internet sono per lui gli
strumenti che hanno i giovani per emergere oggi nel panorama musicale.
Tra i rapper invece il cantautore vede un ansia di protestare, che
troppo speso sfocia nella superficialità dei modi e dei temi trattati.
“Non è stata una scelta nostalgica, volevo cambiare regime, uscire da
un’ esperienza intensa che è durata un anno e mezzo. Lucio e io avevamo
bisogno di respirare. Così, da amici, abbiamo diviso le nostre strade.
In quarant’anni ho visto diecimila cambiamenti intorno a me, l’unica
cosa che è rimasta la stessa è suonare dal vivo. Sul palco trovo il
senso più profondo di questo mestiere. Dopo le arene e i teatri ho
scelto di tornare nei club perché credo che per continuare a salire su
un palco sia importante riuscire a contraddirsi. Eppoi le mie origini
sono queste, ancora prima del Folkstudio suonavo nei locali da ballo,
allora si chiamavano così. Non dico che mille persone siano meglio di
quarantamila. È diverso. Sui palchi minuscoli, da dove riesci a vedere
gli occhi della gente, avverti anche una predisposizione all’ ascolto
diversa. È così che si rompono le vetrine del mausoleo”, ha detto De
Gregori.
Dal 20 gennaio il suo cd live sarà in vendita sul web: “Sulla rete passa
molta musica, quindi è lì che devo andare. È un esperimento, non mi
aspetto grossi risultati commerciali, voglio vedere come si muovono le
cose. Nelle mie canzoni ho sempre raccontato me stesso e poi è venuta
fuori anche l’ Italia… continuerò così. – ed ha aggiunto parlando della
distribuzione - Ora non ci penso, certo la diffusione non potrà avvenire
solo su internet. E ormai il cd è diventato un prodotto da autogrill.
Provo imbarazzo quando vedo i dischi miei e dei miei colleghi infilati
negli scaffali fra i dentifrici, la schiuma da barba e i maialini che
quando ci passi davanti ridon”.
Parlando dei rapper moderni e dei cantautori De Gregori ha detto: “Li
capisco. Però sono contro le generalizzazioni. Il cantautore, come il
rapper, rischia di diventare uno stereotipo. Per quel poco che conosco
dell’ hip hop, mi sembra che i rapper abbiano solo l’ ansia di
protestare e spesso lo fanno con superficialità. E non li trovo ritmici,
gli manca lo swing. Ma fra loro ce ne sono di bravi. A me piace Frankie
Hi Nrg”.
De Gregori non condanna i giovani che scelgono i talent show: “Se avessi
18 anni oggi, forse anche io ci andrei. Cercherei di sfruttare le
opportunità che offrono internet e la tv come un mezzo per fare
ascoltare la mia musica. Quando ero un emergente andavo ovunque. Ricordo
che nel ‘ 73 portai “Alice” a “Un disco per l’ estate” e finì male:
arrivai ultimo. Ma sono convinto che la televisione non debba essere il
riferimento più importante per chi fa questo mestiere. Chi propone una
musica che si discosta dalle mode, come i cantautori di quaranta anni
fa, è all’ avanguardia ed è sempre 2 o 3 anni avanti rispetto a una
certa tv o a chi dà i giudizi in pagella. Gli artisti che escono dalle
cantine ci mettono un po’ per essere riconosciuti, per diventare
“mainstream”. E dipendere da un voto mi sembra poco. Chi ha talento
sopravvive anche ai talent show”.
17 gennaio 2012
http://www.blitzquotidiano.it/musica-showblitz/dalla-de-gregori-tour-rapper-talent-show-1084105/
De Gregori in diretta su
YouTube "L'arte prescinde dai mezzi"
Al The Place di Prati il 15 dicembre in scena il "gran finale" dello
show dell'artista romano. Non più di un centinaio di fan potranno
assistere al concerto che andrà in contemporanea sul web. "Ho voluto
fissare un punto d'approdo nel mare magnum della rete, che esiste ed è
legittimato"
di PIETRO D'OTTAVIO
Per la prima volta un grande artista italiano, Francesco De Gregori, si
esibisce in concerto in diretta su YouTube. L'evento è in programma per
il 15 dicembre, quando il "principe dei cantautori" suonerà dal vivo sul
palco del club romano The Place (via Alberico II 27, 15 dicembre ore 21,
info 0668307137). "Mi sembra molto interessante questa nuova via, per
questo registro anche il concerto per realizzare un "istant live", che
quindi uscirà su iTunes - spiega l'artista - È un intervento a 360 gradi
tutto su internet, che in realtà frequento da sempre come utente non
accanito: fino a qualche tempo compravo on line solo il biglietto del
treno, andavo su Google per scoprire l'attore di cui non mi ricordavo il
nome o magari per ascoltare musica".
Il rapporto di De Gregori con internet si è rafforzato quando il
cantautore ha varato il suo nuovo sito, attraverso il quale si potrà
anche conquistare un posto in platea al concerto. "Mi è sembrato
opportuno mettere un po' d'ordine nell'affettuoso caos che si produce su
internet nei confronti di un artista - aggiunge De Gregori - Ho voluto
fissare un punto d'approdo nel mare magnum della rete, che esiste ed è
legittimato, ma ora c'è un punto di riferimento preciso. Ma non credo
che sia un bivio quello tra internet e le case discografiche: ci sono
stati tanti cambiamenti dal grammofono in poi... La discografia ha fatto
diventare di massa l'ascolto e finora ha sempre colto
le novità tecnologiche. Ora la discografia è in crisi, ma la rete è una
opportunità per superarla. E l'arte prescinde dai mezzi tecnologici, se
Van Gogh avesse cambiato pennello sarebbe comunque rimasto un grande
artista".
Il concerto è anche il gran finale di "Pubs&Clubs Tour", una serie di
appuntamenti in piccoli spazi giocati sul filo del rock e del ritmo
tirato quanto sull'atmosfera che si crea con il pubblico così a stretto
contatto con il palco. "Questa formula è uno snodo importante nella mia
vita di musicista - dice De Gregori - perché sono riuscito ad avere una
sonorità che mi sta bene addosso: non è la band che accompagna il
cantante, sono il cantante di una band".
(02 dicembre 2011 - repubblica.it)
"De Andrè non è stato il più
grande poeta italiano del ’900"
Il principe alla radio: "Fabrizio è stato una
grande voce narrante. Ma le iperboli non sarebbero piaciute neanche a
lui"
Roma, 10 dicembre 2011 - AL PRINCIPE non piacciono le iperboli, fuori
luogo, le considera, se partono dalla musica leggera e sfiorano
l’altezza della poesia. Così a chi piace dire che Fabrizio De André è
stato il più grande poeta del Novecento, Francesco De Gregori manda a
dire che è una esagerazione senza fondamento. "Quando si dice è stato il
più grande poeta italiano del Novecento, ecco, mi sembra troppo. La
poesia è altro dalla canzone. Detto questo, De André è De André".
GELOSIE pregresse fra due grandi cantautori? In
effetti, anche se gli esperti riconoscono a De André momenti di poesia
vera, quella propria dei poeti - solo alcuni versi magari: "l’amore ha
l’amore come solo argomento" - è anche vero che poeta e cantautore sono
due mestieri differenti e tutt’e due appartengono alla 'letteratura',
come vi appartengono la musica e il cinema. Fabrizio De André, anche
autore di poesie mai diventate canzoni, ha attinto molti testi da altri
autori, come sottolinea De Gregori: è noto a tutti il gran lavoro fatto
insieme a Fernanda Pivano per trasfigurare nove poesie della Spoon River
di Edgar Lee Master in altrettante canzoni per l’album 'Non al denaro,
non all’amore né al cielo'.
"DE ANDRÉ - ha detto De Gregori ai microfoni di 'Start', Radiouno Rai -
si è circondato di collaborazioni, quindi ciò che è ascrivibile
direttamente a lui non è la gran parte del suo lavoro. Questo non gli
toglie nulla, perché se non avesse avuto quell’autorevolezza insita
nelle sue corde vocali la musica italiana sarebbe molto, molto più
povera". Aggiunge: "Per me De André resta una grande voce narrante. Ma a
volte si sentono dire cose iperboliche. Credo che questo non faccia bene
né a lui né alla gente che deve capire e ascoltare. E credo che non
sarebbe piaciuto neanche a Faber".
Fra le «collaborazioni» c’è ovviamente anche il suo nome: da un incontro
e un soggiorno in Sardegna, fra sigarette e alcol, con uno che scriveva
di giorno (De Gregori) e l’altro di notte (De André) sono nati grandi
pezzi come “La cattiva strada”, “Oceano”, “Le storie di ieri”, “Dolce
Luna”, “Canzone per l’estate”.
"CI SIAMO CONOSCIUTI, aveva un carattere difficile. Abbiamo avuto
scontri e incomprensioni". Ma Francesco ammette anche di aver avuto la
sua poetica come riferimento, almeno per un periodo. "Fabrizio De André
è stato fondamentale all’inizio del mio lavoro. Mi ha fatto capire che
la canzone, anche quando parla d’amore, può avere l’ambizione di
raccontare la realtà in modo più profondo, di raccontare la
sgradevolezza del mondo. Credo che non avrei fatto questo mestiere se
non mi fossi imbattuto a dodici anni in canzoni come 'Il testamento' o
'La guerra di Piero'’. Poi il nostro rapporto si è modificato. Lui ha
scritto cose molto belle, magari non tutte così fondamentali, per me".
Annalisa Siani
http://qn.quotidiano.net/spettacoli/musica/2011/12/10/635083-gregori_stoccata_andre.shtml
De Gregori canta il nuovo
inizio
Il cantautore da sempre a sinistra ha fiducia nel governo Monti. "Con le
dimissioni di Berlusconi spero che sia finita un'epoca".
Una medicina, per quanto amara, quando serve tocca prenderla. Nell'epoca
del governo Monti gli Italiani lo hanno capito. E inghiottono con
misurati mugugni. Ma il bello del governo Monti è anche la mancanza di
look... c'è chi la pensa così? E come no: un grande della nostra
canzone, un poeta, appena appena di parte: Francesco De Gregori. Quello
della canzone «Titanic», insomma uno che di catastrofi se ne intende. De
Gregori, ieri, un po' dopo l'ora di pranzo, era ospite di «Ma anche no»,
ultimo dei talk show dell'anchorman Antonello Piroso su La7.
Alla domanda sul nuovo esecutivo De Gregori non ha esitato, se
l'aspettava, forse la voleva: «Mi hanno fatto un'ottima impressione.
Forse non è un caso che non vengano dalla politica, perché sono persone
che non hanno obblighi di look, per cui non devono essere simpatici e
accattivanti per forza e poi sono investiti di una grande serietà e
dimostrano un grande senso di responsabilità». In questa risposta del
cantautore sembra sottinteso che i sacrifici bisogna farli. Ma
un'anticchia di dispiacere per i guai passati da chi non arriva alla
fine del mese non ci sarebbe stata male. E invece il «Principe» (una
volta lo chiamavano così), dopo aver detto che quelli del governo Monti
«hanno un problema terribile da risolvere», dà per scontato, come una
sorta di immanenza metafisica, che si debbano fare sacrifici. Come le
lacrime del ministro del Welfare Elsa Fornero che sono inevitabili:
«Credo di capire la sua sofferenza, perché questa manovra è sicuramente
dolorosissima, soprattutto per i più deboli». E poi sospira di sollievo
per una cosa che gli sembra importante: l'addio al Cav. «Spero sia
finita un'epoca - ha detto - abbiamo vissuto anni dati in appalto a
un'opinione pubblica che si fronteggiava, a volte con molta violenza, su
un argomento unico, che era la legittimazione o la delegittimazione di
Berlusconi». Sì, vabbé: ma il problema qual è, o qual era? Che era
arrivato a Palazzo Chigi uno che ai «politicamente corretti» della
«sinistra progressista e democratica» proprio non andava giù? O magari
che c'era un pezzo di Paese che continuava a non voler considerare il
verdetto politico delle urne? Quella si chiama democrazia. Vince chi
prende più voti. «Ognuno può pensarla come vuole su Berlusconi - ha
spiegato ancora il cantautore - ma credo che questa contrapposizione
abbia bloccato la discussione politica nel nostro Paese. Ci siamo
impantanati per anni e adesso che è finita staremo meglio». Staremo
meglio? Speriamo, ma invece di continuare a parlare del Cav sarebbe
meglio concentrarsi su una crisi che rischia di travolgere le idee per
le quali hanno combattuto Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e tutto il
Manifesto di Ventotene. Al momento rischia di sparire, dalla realtà e
dalle idee, quel «solido stato internazionale» che si sta costruendo con
il nome di Europa. E di fronte a questo la caduta del governo Berlusconi
(che comunque ha fatto un passo indietro come forma di responsabilità
civile e politica) appare come una ben misera consolazione. Insomma il
momento è difficile, Monti è una medicina amara, ma c'è chi un po' si
consola, (a sinistra) nell'illusione che quella purga, che è contro la
crisi dell'Eurozona, sia servita in realtà contro il Cav.
Insomma muoia Sansone e tutti i filistei. Curioso è il fatto che
l'esecutivo Berlusconi, al netto dei procedimenti giudiziari nei quali
compare come testimone e imputato, è stato sottoposto ad una sorta di
«tribunale del popolo», legittimato non si sa bene da chi. Mentre chi
sta a sinistra con moderazione (come Rutelli) quando Berlusconi ha vinto
ha detto: «Ha vinto lui e noi andiamo all'opposizione», chi sta a
sinistra roso dal fuoco della rivoluzione a tutti i costi ha detto che
il Cav la politica... non la poteva fare. Insomma il tribunale del
popolo aveva emesso la sua sentenza. Strano allora che della caduta del
Cav sia sollevato uno che, come De Gregori, con i «tribunali del popolo»
ha avuto i suoi momenti tristi. Era più o meno il 1976 quando, al
Palalido di Milano, il povero Francesco De Gregori, senza preavviso da
artista di una bel concerto, divenne imputato di un processo
improvvisato. Durante la sua esibizione un gruppo di facinorosi
extraparlamentari di sinistra si impossessò manu militari del palco, lo
mise con le spalle al muro e lo accusò di essere «uno di sinistra per
finta».
Insomma uno che sfruttava le idee dei compagni solo per far soldi.
Francesco dopo quell'esperienza dichiarò che alla squadraccia rossa
«mancava solo l'olio di ricino». Ecco non vorremmo che oggi qualcuno, al
Berlusconi che ha fatto un passo indietro per senso di responsabilità,
volesse dare pure l'olio di ricino. In nome della democrazia.
Antonio Angeli (Il Tempo)
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Year Of Release: 2012 Label: Caravan
Tracklist: 01. Finestre rotte 02. Il panorama di Betlemme 03.
Sempre e per sempre 04. La storia 05. Tempo reale 06. Alice 07.
Buonanotte fiorellino 08. La donna cannone 09 Titanic 10.
Bellamore 11. Compagni di viaggio 12. Battere e levare 13. A chi
14. Generale |
Tour dopo tour, De Gregori è sempre sulla strada. Da dove ci troviamo
noi, nel minuscolo retro palco, un camerino dove si fatica a starci in
due, anche abbastanza trasandato con scritte balorde sui muri, viene da
pensare: qua va bene per chi è a inizio carriera, non per uno che ha
riempito stadi e palazzetti dello sport da quasi quarant'anni. A De
Gregori invece va bene anche così, l'importante è suonare. E' una star,
ma non si comporta da star, sia sul palco che fuori dal palco. La porta
del suo camerino è aperta agli amici, una bottiglia di vino rosso da
condividere, i racconti della vita, una band straordinaria che lo
aspetta come si aspetta un comandante, pronta ad entusiasmarsi con lui.
Con l'aggiunta della bravissima Elena Cirillo al violino ma anche alla
seconda voce, questa band è probabilmente la miglior formazione rock
oggi esistente in Italia. In un paese come il nostro dove fare musica
rock, il che significa fare musica americana, è sempre stato nel miglior
dei casi imitazione, questa band ha invece assimilato l'essenza di uno
spirito, di una dimensione impalpabile evitando la piaggeria.
Trascendendo qualcosa che non ci appartiene Francesco De Gregori e i
suoi si muovono perfettamente a loro agio in un vocabolario musicale che
appare e scompare dentro alle canzoni stesse, citazioni che emergono a
dire di una passione profonda. Il concerto vive così momenti e sussulti
differenti che la dimensione ridotta del locale amplifica ed esalta:
dall'inizio tenue, sussurrato di una Generale pregna di emozioni, dove
il violino nuovo arrivato dona un respiro profondo, ai ritmi scatenati
di un rock che deborda dalla dimensione garage - perfetta per i club - a
sentimenti pregni di blues oltreoceano: è il caso de L'agnello di Dio,
Pezzi, Tempo reale, Il panorama di Betlemme. Stupisce ancora una volta,
ma non è una novità per De Gregori, la voglia e la capacità di dare
dimensioni nuove, a tratti estreme come la rilettura del super classico
Rimmel che inizia per sola voce e ukulele per debordare in un reggae ad
alta tensione. I fan, sembra di capire, apprezzano.
Non mancano le citazioni dylaniane, sempre più presenti nel repertorio
del cantautore romano: Buonanotte fiorellino ad esempio è costruita
sulla scrittura musicale di Rainy Day Women di Bob Dylan mentre Non
dirle che è così viene introdotta con queste parole: "Una canzone di Bob
Dylan che ho tradotto e che Bob Dylan ha inserito in un suo film". Magia
purissima. Un concerto che passa in rassegna pagine meno eclatanti ma
ugualmente belle, come Gambadilegno a Parigi, Bellamore e La casa, così
come i grandi classici, Non c'è niente da capire a ritmo country-rock e
Alice dove ci si stupisce della capacità del suo autore di trovare
ancora nuovi risvolti melodici per nulla stucchevoli, anzi, a un brano
che è un classico della canzone italiana da quasi quarant'anni. Fino
alla sorpresa finale: A chi, il famoso pezzo portato al successo da
Fausto Leali e che diventa un torrido blues sudista con una
interpretazione vocale impressionante. Al termine di una serata così,
dove appare evidente che si è assistito a una testimonianza di
appartenenza a un qualcosa che va "oltre", la domanda è inevitabile: ma
come si fa a vivere senza la musica? No, non è possibile.
http://www.ilsussidiario.net/News/Musica-e-concerti/Recensioni-Live/2011/10/10/DE-GREGORI-Pubs-and-Clubs-Tour-come-si-fa-a-vivere-senza-musica-/212774/
TRENTO. Sono saliti in tantissimi - quasi diecimila - quest'oggi al
rifugio Fuchiade per ascoltare il cantautore romano, che in un'ora e
mezza di musica ha proposto alcuni dei suoi più grandi successi, da
"Generale" a "La donna cannone", passando per "Rimmel", "La storia" e "W
l'Italia"
Si è concluso oggi il percorso all'interno della musica d'autore
italiana proposto da I Suoni delle Dolomiti, che ha visto alternarsi
nomi del calibro di Roberto Vecchioni e Max Gazzè, per concludersi con
Francesco De Gregori. E quello del musicista romano è stato un live set
di grande intensità, che ha richiamato sui verdi e ampi prati attorno al
rifugio Fuchiade un pubblico foltissimo e colorato, che ha potuto
perdersi tra i successi di oltre trent'anni di carriera.
Agli strumenti in una formazione essenziale ed acustica, ha aggiunto la
violinista e vocalist Elena Cirillo e il pianista Alessandro Arianti,
mentre De Gregori, col proprio immancabile cappellino, si è mosso tra
chitarra, armoniche a bocca e pianoforte. Il risultato è stato un'ora e
mezza di musica in cui, senza i fronzoli dell'elettronica, l'artista è
tornato alla forma canzone nella sua essenzialità più pura e
affascinante, a partire da "Finestre rotte", che ha aperto il concerto,
fino al bis de "La donna cannone", accolta da un autentico boato del
pubblico.
Nel mezzo alcune dei brani più belli della sua storia e della canzone
italiana, cantate dal pubblico, tra tutte "Generale" e "Rimmel". Nella
scaletta proposta si è intravisto un progetto chiaro, che ha portato De
Gregori a occuparsi di padri e figli, di amore, di destino, per lasciare
infine i sentimenti a favore dell'impegno civile. E così ecco che dopo
"La casa di Hilde" è stato il turno di "Niente da capire", "Bellamore",
"L'uccisione di Babbo Natale", "Alice". Sempre impossibile da
imbrigliare e da definire, per la profondità dei suoi testi e la
ricchezza di rimandi che contengono, De Gregori ha poi proposto
"Atlantide" e "Vai in Africa, Celestino".
Per le canzoni che si potrebbero definire "politiche", ossia legate al
rapporto dell'uomo con la storia e il proprio destino nel mondo,
l'artista romano si seduto al pianoforte ed ha proposto "La storia siamo
noi" e "W l'Italia", al termine della quale ha ringraziato dicendo
«Questo è davvero un bel posto dove cantare, grazie per avermi invitato
qui a farlo».
Richiamato a gran voce agli strumenti, ha poi regalato un intenso bis
con una canzone di montagna, sacrificio e amore dal titolo "Stelutis
Alpinis", dall'andamento tipico di un canto d'Alpi e guerra, e la già
ricordata "Donna Cannone". 26 agosto 2011
IMPERDIBILI! |
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Ha chiuso con le case
discografiche. E ha aperto un nuovo canale con il pubblico attraverso il
web. Da grande artista De Gregori reinventa la propria storia.
di GIOMMARIA MONTI -
Left n. 27, 8 LUG 2011
Si
firmava "Ciccio quello che canta" ed era davvero lui, Francesco De
Gregori che parlava con il suo pubblico nel forum del sito creato dalla
Sony, allora la sua casa discografica. Ma era quasi dieci anni fa,
sembra la preistoria. Erano anni nei quali lui, Francesco De Gregori,
raccontava di "uomini nella rete senza una meta", i naviganti di
Internet. Il forum durò pochi mesi, Francesco parlava di scalette dei
concerti, di libri, i fan gli
chiedevano chitarre in regalo. Poi su sua richiesta fu chiuso, anche
perché qualcuno si spacciò per i suoi figli. Adesso De Gregori ha con
Internet un rapporto nuovo e ricco di sorprese. Tanto da aver consegnato
ai suoi moltissimi ammiratori (tre generazioni spalmate su quarant'anni
di carriera) un magnifico video in esclusiva sul suo sito (www.
francescodegregori.net).
Un filmato che non è "un semplice backstage (come spiega il sito), bensÌ
settanta minuti di prove di un concerto visto dal palco; dalla creazione
della scaletta fino al giorno prima dell'esibizione, il tutto ripreso
dall'accurata mano di Niccolò Bello". Nel filmato ci sono canzoni,
ovviamente, ma anche prove, errori, battute seguite con mano sapiente da
Bello che alterna la narrazione cinematografica al montaggio stile
videoclip con una luce e un colore che danno al magazzino dove vengono
fatte le prove un fascino che nessun palco riesce a dare. Il filmato si
intitola Dress Rehearsal, ovvero la prova dei costumi, la prova generale
di uno spettacolo. Che è anche il titolo di una vecchia, bellissima
canzone di Leonard Cohen (nell'anno di grazia 1968 cantava: "Hey
principe, hai bisogno di raderti"). E questo è il modo esatto con il
quale vengono presentate le canzoni che hanno fatto la storia della
musica italiana: vestite di un costume spesso nuovo, cioè un modo
diverso di eseguirle e interpretarle. Uno modo per De Gregori di
interpretare il suo lavoro sul palco, di restituire al pubblico pagante
con sorpresa le cose che conosce. E cosÌ è vedendo il video e
riascoltando le canzoni. Presentando il filmato e il sito a Repubblica
tv, De Gregori spiega che Internet non gli suscita nessun entusiasmo
messianico, non è "la scoperta dell'elettricità". È
invece un modo molto veloce e
diretto, senza mediazioni, di raggiungere il pubblico, proporgli le cose
che fa l'artista De Gregori, di raccontare il suo mestiere. "È la
banchina del porto dove espongo le mie mercanzie, come le balle di
cotone scaricate dalle navi", dice ridendo con l'ironia che pervade il
suo lavoro da sempre. E sul sito, appena inaugurato nella sua nuova
veste, si possono trovare interviste, fotografie, canzoni note vecchie e
nuove, date delle tourné. Altra novità, è possibile acquistare cinque cd
a 6.99 l'uno con iThunes (Il fischio del vapore, Per brevità chiamato
artista, Calypsos, Pezzi, Left € Right), di fatto introducendo una
modalità nuova per far circolare il suo lavoro di artista.
De Gregori con le grandi case discografiche ha chiuso, adesso è libero
di inventarsi ogni modo di raccontare la sua arte, senza vincoli
contrattuali, uffici stampa che impongono cose inutili e spesso
imbarazzanti, scadenze. Il sito è per lui una specie di palo intorno al
quale far ruotare le molte cose che circolano in rete sul suo lavoro e
sulla sua persona. Ci sono decine di siti dedicati a lui: alcuni storici
e molto ben fatti, come Rimmelclub di Daniele Di Grazia che si è
guadagnato la citazione sulla copertina di un disco o Il Titanic.com di
Mimmo Rapisarda. Fan discreti e meticolosi, che hanno raccolto con
grande gusto e dedizione il lavoro di De Gregori e al quale lui ha
guardato con grande simpatia. Altri approssimativi e perfino dannosi,
con falsi De Gregori che raccontano a suo nome cose improbabili. Lui a
sessant'anni vuole stupire ancora, salendo su un palco e anche
presentandosi in modo nuovo al pubblico che con devozione lo segue
qualunque cosa faccia. "Ora voglio una vita vivace e disordinata", dice
a La Stampa. Dopo aver cantato "Vita spericolata" di Vasco Rossi e
proprio quando l'artista emiliano annuncia di voler chiudere la sua
carriera di roker, il mite De Gregori dagli anni Novanta, imbracciando
la Takamine elettrica, ha riscoperto la sua versione rock che lo
accompagna in ogni concerto. Lui che ha attraversato gli anni Settanta
cantando Alice e Rimmel, gli anni Ottanta cantando Titanic e La donna
cannone. Del resto ha raccontato spesso che con i primi rock 'n roll
italiani ha imparato a cantare. Fino alla scoperta di De André che gli
ha fatto capire come si scrivono le canzoni.
Adesso vuole reinventarsi anche musicalmente. La sorpresa è vederlo
fianco a fianco a giovanissimi artisti con origini musicali opposte alle
sue. Giovedì scorso era sul palco del Traffic di Torino a cantare "Viva
l'Italia" insieme a Cristina Donà e Vasco Brondi, ovvero Le Luci della
Centrale elettrica. Cristina Donà è una straordinaria cantautrice con
alle spalle molti cd: proviene dalla musica degli Afterhours e dei La
Crus. Vasco Brondi è invece un ragazzo di ventisei anni con una
formazione musicale legata al punk. Ma che chiudeva la sua Per
respingerti in mare con una citazione di De Gregori a diciotto karati:
non c'è niente da capire. L'incontro tra generazioni così distanti è un
evento non comune nel panorama italiano, dove gli artisti hanno la
tendenza o a sentirsi i tutori dei giovani talenti (gli scopritori, i
talent-scout), oppure a sentirsi superiori e distanti, forti di una
carriera spesso decennale. Il modo con il quale De Gregori si è
avvicinato a due artisti come Cristina Donà e Vasco Brondi è simile a
quello con il quale ha approcciato Internet, il suo sito, le nuove
tecnologie. Curiosità e rispetto, nessuna fede incondizionata (quella
che porta a dire: Internet è la nuova rivoluzione o i giovani sono
sempre più avanti di tutti), ma grande predisposizione all'ascolto e
soprattutto attenzione. Non è un caso che De Gregori, uno degli artisti
più acuti e attenti del panorama italiano, abbia unito negli stessi
giorni i due esperimenti. Non è un caso forse perché entrambi gli eventi
appartengono a un universo nuovo e inesplorato, quello dal quale De
Gregori raccoglie le sue storie e le parole con le quali le rac-conta. È
stato lui con le sue canzoni a spalancare finestre su mondi sconosciuti
per milioni di ragazzi nel corso di quattro decenni. Misurarsi col mondo
nuovo, con i suoni nuovi dà la misura dell'intelligenza di un artista
che ha ancora molto da dire. E soprattutto da dare.
http://www.avvenimentionline.it/content/view/4092/145/
De Gregori gioca d'anticipo
e duetta con Cristina Donà. Era atteso dopo le 22,30, a sorpresa arriva
alle 20
Traffic, musica d'autore nel salotto di Torino
Torino, 7 luglio 2011
PAOLO FERRARI - LA STAMPA.IT
«Sono occasioni preziose per incontrarsi, scambiare musica e idee,
condividere». Parola di Francesco De Gregori, appena sceso dal palco per
la prima delle sue apparizioni alla serata inaugurale del Traffic Free
Festival. Sono quasi le 21, sta per salire sul palco Le Luci della
Centrale Elettrica, con tutto il gruppo, a differenza del formato
minimale in cui si era presentato in apertura di Jovanotti al
PalaOlimpico.
Strano, questo Traffic. Al nuovo trasloco, si trova catapultato in
piazza San Carlo con un programma per la prima volta tutto italiano.
Alle 19,30 parte Esma, torinese, bravo e concentrato. Ma tutto il
materiale pubblicitario dava l’inizio della kermesse per le 20,30, e il
povero Enrico è penalizzato. Poi Cristina Donà scalda le prime migliaia
di spettatori in arrivo alla spicciolata; quando il Principe la
raggiunge sul palco per «Miracoli», sono almeno diecimila ad andare in
delirio per il duetto inatteso.
Non un’improvvisazione, precisa De Gregori: «Abbiamo fatto un’intensa
giornata di prove mercoledì, con lei e con Vasco Brondi. Cristina la
conoscevo, in pratica l’ho voluta io qui; Le Luci della Centrale
Elettrica me lo ha suggerito Max Casacci dei Subsonica, il direttore del
Traffic, ed è stato una piacevole sorpresa». Al punto che per il gran
finale tocca proprio al ventisettenne di Ferrara l’onore di cantare
«Viva l’Italia», canzone simbolo della serata, del festival, un po’
anche della Torino dei 150 anni dell’Unità. E De Gregori, 33 anni più di
lui, compiaciuto, divertito e coinvolto nel ruolo di gregario alla
chitarra, naturalmente complice la stessa Donà.
A quel punto i 50.000 sono raggiunti, e la scommessa, almeno per il
primo giorno, è vinta. Traffic dimostra di rimanere sé stesso,
nonostante in rete il fermento del pubblico rock indipendente lo abbia
bollato di essere un affare per vecchi, lontano dai fasti internazionali
conosciuti con Manu Chao, Daft Punk, Arctic Monkeys, Aphex Twin. La
sensazione è che i ventenni siano qui soprattutto per De Gregori, e che
agli over 40 sia venuta una maledetta curiosità di conoscere una
Cristina Donà applaudita dai figli agli Mtv Days, il Vasco Brondi che
canta a squarciagola di gigantesche scritte Coop, amore ai tempi del
licenziamento dei metalmeccanici, paesaggi disadorni.
Altro segnale positivo, l’atmosfera nel backstage, con il Principe che
sorseggia vino rosso, chiacchiera, curiosa; tra una tenda e l’altra, nel
retropalco spartano, il traffico umano è palpabile. Sono occasioni
importanti, come dice De Gregori. È vero, Traffic le crea, ma bisogna
saperle cogliere, porsi nella maniera giusta; lui lo ha fatto, e se la
gode.
STORYTELLING
Sorrisi e
canzoni - agosto 2013
SULLA
STRADA con la bonus «La casa di Hilde» e Book Photo
Edition di 96 pagine . PUBS AND CLUBS con il cofanetto
in omaggio e la versione inedita in digital download di
«Ti leggo nel pensiero CALYPSOS
+ bonus «Renoir». PEZZI + bonus «Jazz». PER
BREVITÀ CHIAMATO ARTISTA + bonus «Buenos Aires».
LEFT & RIGHT + bonus Quattro cani» (live version).
IL FISCHIO DEL VAPORE + bonus «Caterina» +
libretto digitale «Unplugged 2.0» in download.
TAKES & OUTTAKES + bonus «Il ‘56». DRESS REHEARSAL +
bonus t «Battere e levare».
Francesco De Gregori: "Ora
voglio una vita vivace e disordinata"
L'artista aprirà Traffic a
Torino con Brondi e Donà: «Perchè no? Amo gli incontri musicali»
GABRIELE FERRARIS - TORINO
Francesco De Gregori inaugura giovedì prossimo a Torino i concerti
dell’ottava edizione di Traffic, il più grande fra i free festival
europei, che resiste impavido ai tagli dei finanziamenti pubblici
sciorinando su quattro sere un cartellone tutto italiano, in omaggio al
Centocinquantenario dell’Unità. Sul palco di piazza San Carlo si
confronteranno generazioni e stili diversi, dalla Pfm ai Verdena, da
Edoardo Bennato ai rinati Area con Manuel Agnelli chiamato a ricoprire
il ruolo che fu di Demetrio Stratos.
De Gregori condividerà il palco con Cristina Donà, rappresentante della
leva cantautorale degli Anni Novanta, e con il giovanissimo Vasco
Brondi, il giovanissimo talento che si fa chiamare Le Luci della
Centrale Elettrica. Nuovi incontri per il Principe, dopo lo
straordinario sodalizio con Lucio Dalla.
«Il tour con Lucio è finito – conferma De Gregori. - Dopo cento e passa
concerti, quello che volevamo dire l’abbiamo detto. Non è escluso che ci
siano altre occasioni, altre idee. Ma non sarebbe la prosecuzione di
questo tour, che è durato già ben più di quanto prevedessimo».
E adesso Traffic: l’aspettavano da un bel po’...
«Sì, già due anni fa Max Casacci (leader dei Subsonica e direttore
artistico del Festival, Ndr) mi aveva proposto un progetto, che non si
realizzò perché già stava prendendo forma quello con Dalla. Stavolta Max
è tornato alla carica: a novembre ero a Torino, e lui è venuto a
parlarmi di questa serata sulla canzone d’autore, con Cristina e Vasco
Brondi. Beh, mi sono detto, perché no?».
Che cosa farete?
«Faremo qualche pezzo insieme, ma non vorrei anticiparli, per lasciare
un minimo di sorpresa. Se non li scrive, mi fa una cortesia».
Sono cortese. E con Vasco Brondi pensa di intendersi? L’hanno definito
«il nuovo De Gregori».
«Penso che Vasco basti a se stesso, e poi non mi sembra che le sue
canzoni assomiglino alle mie; lui viene da un mondo musicale diverso,
molto sperimentale, però è ben ancorato alla forma canzone, in quel
senso è davvero un cantautore».
Termine che lei ha a lungo rifiutato.
«E’ un termine che una volta gente come me un po’ si vergognava ad
usare, ma le cose cambiano. Certo che se per cantautore si intende uno
che, reclinato sulla chitarra, canta con voce flebile su tre accordi,
beh, allora quel termine lo rifiuto. E chi lo accetterebbe?».
La serata di Traffic promette bene.
«Cristina e Vasco sono due artisti interessanti, e ho sempre amato gli
incontri musicali, soprattutto in un festival, dove tutto accade con
molta naturalezza. Anche di recente, al festival Poiesis di Fabriano,
c’era Neri Marcorè e così, sui due piedi, abbiamo improvvisato insieme
Caterina e Viva l’Italia, che ormai è una canzone che non si può non
fare...».
E la situazione di oggi – la situazione sociale, politica, morale del
Paese – non le ispira un’altra canzone così, di quelle che una volta si
dicevano «impegnate»?
«Guardi, sto pensando a un nuovo album, ci lavorerò su quest’inverno, ho
già parecchi spunti, ad esempio un pezzo sul mio famigerato “processo
del Palalido”: però non credo proprio che parlerò di quello che avviene
oggi in Italia: lo fanno già i comici».
Si chiama fuori?
«No, non è un rifiuto a priori, semplicemente non mi viene. Non mi
interessa “esternare”, lo fanno già in tanti, a destra e a sinistra.
Anche in passato, se ho scritto canzoni di un certo tipo, l’ho fatto
sempre con un linguaggio sfumato, e senza un legame immediato con
l’attualità. Viva l’Italia e La Storia, per dire, non sono legate alla
loro contemporaneità. Per questo sono diventate dei classici: sono
sempre attuali».
Purtroppo. Non tenterò quindi di estorcerle dichiarazioni «politiche».
Sarebbe avvilente per entrambi. Però una sua opinione sulle ultime
vicende, quanto meno sull’esito dei referendum, potrebbe darmela...
«Che vuole che dica? Il fatto che la gente vada a votare è positivo,
sono contento: però le assicuro che al mattino non mi alzo con
l’ossessione dei referendum, o di qualsiasi altra questione legata alla
politica di giornata».
Con quale ossessione si alza?
«Beh, non parlerei di ossessioni, per mia fortuna. Oggi penso alla
musica, ho rimesso insieme la mia band dopo la parentesi con Lucio, ho
ripreso in mano il mio suono, le mie carabattole, sono in un periodo di
grande effervescenza, proprio ora sto lavorando su una canzone, La testa
nel secchio, che non ho mai suonato dal vivo, e che mi piacerebbe
inserire nelle scalette del prossimo tour. Sarà un tour molto
divertente: ho convinto i miei impresari a portarci in giro per i club,
andremo al Vox, al Fuori Orario, a Hiroshima, in quei posti dove passa
la musica più viva, e dove c’è un pubblico speciale, esigente, non
“addomesticato”. Dopo tanti teatri, dopo un bagno di velluti rossi,
sento il bisogno di ritrovare una dimensione, come dire?, più
“disordinata”...».
Abbasso la routine, insomma.
«Non l’ho mai fatta, la routine. E’ faticosa e frustrante. E pure
scomoda. Cerco di rimanere vivace, di non ragionare per schemi, di non
dare retta a chi di default mi indica una strada ovvia. Cerco di
metterci del mio, insomma».
Allora mi sorprenda. Lei è stato e resta il massimo avversatore di
Sanremo: al Festival non ci ha mai messo piede, e secondo logica mai ce
lo metterà. Benché, dopo la vittoria del nostro amico Vecchioni, fors’anche
uno come lei potrebbe farci un pensiero...
«Chiariamo: non è importante andare o non andare al Festival di Sanremo.
Sono scelte personali, legate alla cultura in cui sei cresciuto fin dai
tuoi esordi. Non sono un integralista, e se mi piacesse il Festival ci
andrei. Non è che non ci vado perché devo rispettare un fioretto:
semplicemente, ciò che vedo a Sanremo non mi piace, e quindi non ci
vado. Mi pare logico. Ma non è una questione di vita o di morte, Sanremo
non è lo spartiacque della musica italiana».
Nastro d'argento a De
Gregori: migliore canzone originale
Premiato per la
Miglior canzone originale, Francesco De Gregori, che
vince il Nastro d'argento 2015, per il brano "Sei mai
stata sulla luna?", colonna sonora dell'omonimo film di
Paolo Genovese. E intanto prosegue con grande successo
il "VIVAVOCE Tour", con cui l'artista presenta live
"VIVAVOCE", il doppio album certificato disco di platino
(certificazioni FIMI/GfK Italia) dove rivisita con
arrangiamenti inediti 28 tra i piu' importanti e
significativi brani del suo repertorio.
Durante il tour" l'artista e' accompagnato dalla sua
band formata da Guido Guglielminetti (basso e
contrabbasso), Paolo Giovenchi (chitarre), Lucio Bardi
(chitarre), Alessandro Valle (pedal steel guitar e
mandolino), Alessandro Arianti (hammond e piano),
Stefano Parenti (batteria), Elena Cirillo (violino e
cori), Giorgio Tebaldi (trombone), Giancarlo Romani
(tromba) e Stefano Ribeca (sax). E il 22 settembre
all'Arena di Verona, l'artista sara' protagonista di
"RIMMEL2015", un unico concerto-evento in cui per la
prima volta suonera' integralmente il suo disco piu'
amato (insieme ai suoi piu' grandi successi) in
occasione dei 40 anni dall'uscita di "Rimmel" (1975).
Ospiti della serata saranno alcuni tra i piu' importanti
artisti italiani, amici e colleghi del cantautore che si
alterneranno sul palco per omaggiare le sue canzoni piu'
amate. I primi nomi confermati sono Malika Ayane,
Caparezza, Elisa, Fedez, Giuliano Sangiorgi, Ambrogio
Sparagna e L'Orage.
E’ Francesco De Gregori a firmare la
colonna sonora dell’atteso film di Paolo Genovese dal titolo “Sei mai
stata sulla luna?”.
Nelle sale dal 22 gennaio il film è
una commedia sentimentale sospesa tra città e campagna che racconta
l’incontro tra due mondi diversi.
Da un lato il caos della città dove
si muove con disinvoltura la nostra protagonista (Liz Solari), il suo
fidanzato (Pietro Sermonti) e la sua assistente (Giulia Michelini).
Dall’altro un piccolo paese della Puglia stravolto dall’arrivo della
bella giornalista, dove troveremo un carosello di personaggi esilaranti
e originali: il fattore Renzo (Raoul Bova), il barista avanguardista
(Emilio Solfrizzi); e quello tradizionalista (Sergio Rubini), Pino (Neri
Marcore’), il cugino autistico aspirante prete; Mara (Sabrina
Impacciatore), la bancaria sognatrice e Anita, la veterinaria
misteriosa; Oderzo (Nino Frassica), il contadino emigrato al nord e il
notaio latinista (Dino Abbrescia); l’agente immobiliare macellaio (Paolo
Sassanelli), la mucca Celestina e tanti altri.
Il brano di De Gregori, che porta il
titolo del film, è un inedito che non è contenuto in “Vivavoce”, il
doppio album in cui l’artista rivisita con arrangiamenti inediti 28 tra
i più importanti e significativi brani del suo repertorio, per cui
inizierà un tour il 20 marzo a Roma, cui seguiranno tappe nelle
principali città italiane.
LA STAMPA
I TESTI E GLI ACCORDI
Una commedia romantica di quelle
fanno sognare ed emozionare, fin dal titolo Sei mai stata sulla luna? e
dalla canzone omonima, composta ad hoc nientemeno che da Francesco De
Gregori. È il nuovo film di Paolo Genovese (già regista di
successi come Immaturi e Immaturi – Il viaggio e di Tutta colpa di
Freud) con protagonista Raoul Bova e Liz Solari, modella e attrice
argentina già conosciuta nel nostro paese per avere partecipato ad Ex -
Amici come prima di Carlo Vanzina e allo show di Raiuno con Enrico
Brignano. La storia è sospesa tra città e campagna e racconta l’incontro
tra due mondi diversi. Da una parte quello di Guia, giornalista di una
prestigiosa rivista di moda, che vive tra Milano e Parigi, gira su auto
di lusso e jet privati e manda avanti un rapporto di coppia a dir poco
vacuo tra aperitivi e riunioni di lavoro. Dall’altra un contadino
affascinante (Raoul Bova), un “papà rimasto vedovo che dedica le sue
giornate alla cura della fattoria e al figlio. L’amore è stato
accantonato e sostituito con la cura per gli animali e con una vita
scandita dai ritmi della campagna”.Un carosello umano fatto da grandi
attori - A farli incontrare, o meglio scontrare, un’eredità: un casale
in uno sperduto paese della Puglia nel quale vive un carosello umano
fatto di un piccolo plotone di umanità variegate: il barista
avanguardista (Emilio Solfrizzi) e il barista tradizionalista (Sergio
Rubini), il cugino autistico aspirante prete (Neri Marcoré) e la
bancaria romantica (Sabrina
Impacciatore).
Nel cast anche Giulia Michelini nei panni dell’assistente della
protagonista e Pietro Sermonti, in quelli dell’arido fidanzato. Come
andrà a finire? Gli amori che sulla carta sembrano impossibili hanno
qualche chance? Ecco cosa ci ha detto Raoul Bova a proposito della sua
vita: “L’amore anche più difficile può diventare possibile. L’importante
è rimanere se stessi, portare sempre comn sé il proprio bagaglio di
convinzioni e di ideali. Poi, il resto, le cose materiali, possono
cambiare senza grandi scossoni. Se uno ha uno spirito libero il suo
amore lo insegue e lo realizza”.21 gennaio 2015
RAI RADIO2: AL SOCIAL CLUB DE GREGORI
E CARMEN CONSOLI
Francesco De Gregori, Carmen Consoli
e Raoul Bova: ecco gli invitati della grande festa che animerà la nuova
puntata di Radio2 Social Club, il programma condotto da Luca Barbarossa
con Andrea Perroni e Neri Marcoré, in onda il sabato e la domenica su
Rai Radio2 alle 11.35. Nella puntata di sabato, il Social Club ospiterà
il cantautore Francesco De Gregori che suonerà, accompagnato dalla
Social Band, la canzone scritta per il film ‘Mai Stata sulla Luna’. E,
vista la presenza della cantautrice Carmen Consoli, chissà che tra lei,
De Gregori e Barbarossa non possa nascere una inedita jam session
firmata Radio2.
INTERVISTE, TRAILER E BACKSTAGE DEL FILM
Roma, 22 dicembre 2014 - Francesco De
Gregori firma la colonna sonora dell'atteso film di Paolo Genovese 'Sei
mai stata sulla luna?', nelle sale dal 22 gennaio. Il brano del
cantautore romano è ancora top secret: la canzone, inedita, porta il
titolo del film e non è contenuta in 'Vivavoce', il doppio album che
contiene, riarrangiati, 28 tra i più importanti brani del suo
repertorio.
Le note di De Gregori faranno da
sfondo a una commedia sentimentale che avrà come protagonisti, fra gli
altri, Raoul Bova, Emilio Solfrizzi, Sabrina Impacciatore, Nino
Frassica, Pietro Sermonti, Giulia Michelini. Distribuito da 01
Distribution, il film, prodotto da Pepito e Rai Cinema, è una storia
sospesa tra città e campagna che racconta l`incontro tra due mondi
diversi. Da un lato il caos della città dove si muove con disinvoltura
la protagonista (Liz Solari), il suo fidanzato (Pietro Sermonti) e la
sua assistente (Giulia Michelini). Dall`altro un piccolo paese della
Puglia stravolto dall`arrivo di una bella giornalista, con un carosello
di personaggi esilaranti e originali: il fattore Renzo (Raoul Bova), il
barista avanguardista (Emilio Solfrizzi); e quello tradizionalista
(Sergio Rubini), Pino (Neri Marcorè), il cugino autistico aspirante
prete; Mara (Sabrina Impacciatore), la bancaria sognatrice e Anita, la
veterinaria misteriosa; Oderzo (Nino Frassica), il contadino emigrato al
nord e il notaio latinista (Dino Abbrescia); l`agente immobiliare
macellaio (Paolo Sassanelli), la mucca Celestina e tanti altri.
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come
si diverte a farla il Principe, con Carmen Consoli
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Come
si diverte a farla Neri Marcorè |
Francesco De Gregori conduttore di
Hollywood Party!
Una grande notizia per tutti gli
ascoltatori di Hollywood Party e di Radio3.
Francesco De Gregori condurrà una
intera settimana della trasmissione di attualità e approfondimento
cinematografico Hollywood Party.
dal 19 al 23 gennaio, in diretta
dalle ore 19.00, il cantautore romano sarà negli studi di via Asiago
nelle vesti inconsuete di conduttore radiofonico.
Grande appassionato di cinema,
Francesco De Gregori torna dopo due anni al microfono di Hollywood
Party: sarà lui, insieme a Steve Della Casa, a intervistare i registi e
gli attori ospiti del programma, a confezionare il quiz quotidiano e a
ripercorre l’opera cinematografica degli autori più amati.
Una settimana ricca di ospiti, musica
e grandi film.
Lunedì 19 gennaio saranno in studio
il regista Paolo Genovese, Raoul Bova, Neri Marcorè e Pietro Sermonti
per presentare Sei mai stata sulla luna?, la nuova commedia a cui De
Gregori ha regalato l’omonima canzone dei titoli di coda.
La puntata di martedì 20 gennaio sarà
invece dedicata al ricordo dell’alluvione di Firenze del 1966: De
Gregori quindicenne era tra gli angeli del fango, gli stessi ragazzi di
cui parla Marco Tullio Giordana ne La meglio gioventù. Insieme al
regista, Hollywood Party rifletterà su come il cinema ha mostrato quelle
giornate di dolore e impegno civile.
La storia e la settima arte
protagoniste delle ultime due serate. Giovedì 22 gennaio i film che
narrano la campagna di Russia, mentre venerdì 23 gennaio sarà in studio
Marco Bechis, autore del documentario Il rumore della memoria, la storia
di Vera Vigevani, costretta ad affrontare la Shoah e il dramma dei
desaparecidos.
Sul sito di Hollywood Party, oltre
che riascoltare le puntate in podcast, si può rivedere in esclusiva
l’intervista televisiva del 1981 in cui un giovane De Gregori racconta
dell’importanza della sua esperienza fiorentina.
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-9af360e0-7175-45ec-bc91-fb943138fe8b.html
TORINO, 03 DICEMBRE 2014 - Posti a
sedere esauriti due ore prima del suo arrivo. Francesco De Gregori è
stato atteso con trepidazione dai suoi fans all’interno dello spazio
incontri della Feltrinelli di Porta Nuova a Torino per la presentazione
del suo nuovo album. Al suo fianco il vicedirettore de La Stampa Massimo
Gramellini a fare da relatore ed intervistatore.
L’album “Vivavoce” è il ventunesimo
del cantautore romano, si tratta di una raccolta dei suoi maggiori
successi, reinterpretati nel modo in cui De Gregori concepisce oggi la
musica. Prima del suo ingresso viene fatto partire il video del singolo
“Alice”, che vede la partecipazione straordinaria di Luciano Ligabue,
seguito da “La donna cannone”. Ed il pubblico è commosso già prima
dell’evento.
Gramellini introduce con il proprio
primo ricordo del “Principe”, risalente al 1979. Più precisamente la
notte prima degli esami del giornalista volto di Che Tempo Che fa, in
cui con alcuni suoi amici assistette al maxi concerto allo stadio
Comunale di De Gregori con Lucio Dalla del tour Banana Republic. Tra
l’altro quello fu il concerto che aprì gli stadi italiani alla musica.
Poi il ricordo al grande Cantautore
bolognese è doveroso, e proprio alla Feltrinelli di Porta Nuova
presentarono insieme il doppio album “Work in progress”. Un tributo che
si riscontra anche nel cd. Alla fine di “Santa Lucia”, De Gregori
fischietta la canzone “Come è profondo il mare” in uno stupendo omaggio
puramente musicale.
La domanda d’obbligo in periodo come
questo è: la musica dei cantautori esiste ancora? Qua De Gregori si fa
serio ma allo stesso tempo rassicurante: “Il cantautorato c’è sempre
stato. Il primo che io mi ricordi fu Edoardo Spadaro. Oggi mi da fiducia
il fatto che ci sia ancora l’attenzione per le parole, soprattutto nei
rappers, che della parola fanno ancora il loro strumento di forza”.
Un De Gregori, che sembra molto
cambiato durante gli anni non risparmia aneddoti divertenti sui propri
colleghi: “Quando con Dalla facemmo ‘Gelato al limon’ di Conte, che
allora non era ancora famoso, lui ci disse grazie, ma potevate fare
meglio”. E ancora: “Si è vero, con Baglioni ci mettemmo a suonare per le
strade di Roma e in pochi ci riconobbero, fu lui quello a rimanerci più
male perché è il più vanitoso…si vede dal modo in cui si pettina”.
La data del prossimo Vivavoce tour a
Torino ancora non c’è, sicure finora soltanto Roma e Milano, ma dopo
questa scoppiettante presentazione che ha contagiato il pubblico
presente, si può sperare che una puntata sul capoluogo piemontese De
Gregori la faccia.
Jacopo Bergeretti
http://www.infooggi.it/articolo/fracesco-de-gregori-e-il-suo-nuovo-album-vivavoce/73874/
Francesco De Gregori e Mario Martone,
ospiti di "Capri Hollywood", domenica sera sono saliti sul palco del
cinema Paradiso ad Anacapri, accolti da Peppino Di Capri, davanti a un
platea gremita di ospiti e si sono consegnati a vicenda i premi
assegnati dalla rassegna cinematografica caprese, diretta da Pascal
Vicedomini.
De Gregori ha ricevuto il Capri
Legend Music Award, mentre Martone il premio per il miglior film
dell'anno per "Il giovane favoloso". "Essere sul palco con De
Gregori è un'emozione indimenticabile - ha detto il regista -
ricordo perfettamente il momento esatto in cui da ragazzino sentii per
la prima volta "Alice" nel jukebox di un paesino del Cilento dove ero in
vacanza". Il cantautore a sua volta si è detto fan di Martone sin dai
tempi del suo primo film "Morte di un matematico napoletano".
De Gregori ha regalato un
miniconcerto a sorpresa alla platea gremita di fan e ospiti
internazionali, tra questi il presidente della diciannovesima edizione
di Capri Hollywood il regista indiano Shekar Kapur. Standing ovation per
il menestrello romano, in scaletta i brani dal disco d'oro "Vivavoce"
che contiene i suoi più grandi successi, da "Alice" a "Generale" ,
e per la prima volta dal vivo l'inedito "Sei mai stata sulla luna?", non
contenuto nell'album, composto da De Gregori per la commedia romantica
di Paolo Genovese con Raul Bova al cinema dal 22 gennaio. La serata è
stata aperta dalla proiezione del documentario su De Gregori "Finestre
rotte" di Stefano Pistolini.
Tra il pubblico ad applaudirlo anche
Peppino Di Capri: "Un poeta, un mito, figuratevi la mia sorpresa quando
una volta incontrandomi mi disse: sei tu il mio mito!", ha raccontato il
cantante caprese. De Gregori, che ha trascorso qualche giorno sull'isola
azzurra, ha rivelato: "Grazie al film di Pistolini ho capito che dovevo
aprirmi, parlare, questo film per me è stato una svolta".
Nei giorni scorsi a Capri sono stati
premiate anche le star di "Gomorra - La serie" Marco
D'Amore, Salvatore Esposito e Maria Pia Calzone e il cantante Franco
Ricciardi, vincitore del David di Donatello per la canzone del film
"Song 'e Napule". I riconoscimenti sono stati consegnati dal
co-presidente della kermesse Fabio Testi ( l'attore a 73 anni convolerà
a seconde nozze proprio a Capri il 3 gennaio con la fidanzata la
gallerista Antonella Liguori) e dalla madrina Pasqualina Sanna. In
questa foto, da sinistra: Shekar Kapur, Francesco De Gregori, Peppino Di
Capri, Mario Martone e Pascal Vicedomini. (ilaria urbani)
http://napoli.repubblica.it/cronaca/2014/12/29/foto/peppino_di_capri_premia_de_gregori_e_martone-103952303/1/#1