510218
|
SENTO
IL FISCHIO DEL VAPORE |
IL
FEROCE MONARCHICO BAVA
|
IL
TRAGICO NAUFRAGIO DELLA NAVE SIRIO
|
O
VENEZIA CHE SEI LA PIU' BELLA
|
LAMENTO
PER LA MORTE DI PASOLINI |
L'ATTENTATO
A TOGLIATTI |
DONNA
LOMBARDA DI GUALTIERI |
BELLA
CIAO |
L'ABBIGLIAMENTO
DI UN FUOCHISTA |
NINA
TI TE RICORDI |
SALUTEREMO
IL SIGNOR PADRONE |
I
TRENI PER REGGIO CALABRIA |
|
SACCO
E VANZETTI |
|
NUOVO
DISCO CON GIOVANNA MARINI. Se ancora non c’è nulla di ufficiale sul dvd natalizio
che dovrebbe documentare il tour dei quattro moschettieri Daniele-De
Gregori-Mannoia-Ron, è ormai certo che a metà novembre uscirà "Il
fischio del vapore",
nuovo album "poco cantautorale" di Francesco
De Gregori alle prese con quattordici brani della tradizione cantautorale
italiana in compagnia di Giovanna Marini, signora della canzone popolare
nostrana, protagonista della stagione della protesta e oggi apprezzata -
purtroppo ancora più in Francia che da noi - compositrice con cui Ciccio aveva
già collaborato ai tempi del "Titanic" (ricordate
"L’abbigliamento di un fuochista"?) e con la quale lo scorso 28
aprile si era ritrovato per l’inaugurazione dell’Auditorium di Roma. La
scaletta del disco, registrato in studio e non dal vivo com’era sembrato in un
primo momento, comprende brani tradizionali come "Il Sirio" o
d’autore come "Nina" del veneto Gualtiero Bertelli, ma anche pezzi
dello stesso De Gregori come appunto "L’abbigliamento del fuochista"
o "Viva l’Italia".
Suonato con gran classe
dalla band degregoriana, e
interpretato da una Marini stellare e da un De Gregori che s'è messo umilmente
al servizio dello stile delle canzoni scelte per l'album, "Il fischio del
vapore" suggerisce anche una modesta proposta: leggiamo che la Giunta del
Veneto è alla ricerca di un "inno regionale", e forse, se il
Governatore Galan si prestasse ad ascoltare una canzone come "O Venezia tu
sei la più bella", il problema si risolverebbe con eleganza.
Ovviamente,
quello che avete appena terminato di leggere è un periodo ipotetico
dell'irrealtà.
Ma è stato bello scriverlo.(RINFRESCHIAMOCI LA MEMORIA COL
NOSTRO
PATRIMONIO FOLK - "LA STAMPA
" - 16/11/2002 - GABRIELE FERRARIS)
È morta Giovanna
Marini, una delle voci più vive e autorevoli nel recupero della tradizione
popolare della musica italiana. Aveva 87 anni. Il pubblico diciamo così pop la
conosce per aver cantato nel 1982 in L’abbigliamento di un fuochista di
Francesco De Gregori, dall’album Titanic, e per avere pubblicato con lui nel
2002 Il fischio del vapore, album interamente dedicato al repertorio popolare
italiano e premiato con un disco di platino.
«Saremo per sempre
riconoscenti a Giovanna Marini, per il suo lavoro di ricerca prezioso ed anche
coraggioso. Perdiamo un’autentica cantastorie», ha scritto sui social Angelo
Branduardi. Diplomata in chitarra al Conservatorio di Santa Cecilia, ha dedicato
una vita al recupero della tradizione orale della nostra musica, canti sociali e
non andati perduti e riportati al pubblico con un lavoro di ascolto,
trascrizione, arrangiamento. Nel 1958 l’incontro con Pier Paolo Pasolini, che le
dice che «le canzoni non si trovano sui libri». Diventerà una specie di mantra.
Il primo spettacolo
importante a cui prende parte è Bella ciao del 1964 dedicato al canto politico e
sociale. Partecipa all’avventura del Nuovo Canzoniere Italiano dove confluiscono
cantautori di sinistra, da Ivan Della Mea e Paolo Pietrangeli, e allo stesso
tempo è vicina al mondo degli interpreti che recuperano la tradizione contadina
come Giovanna Daffini o il Gruppo di Piadena. L’idea di salvare canzoni
dall’oblio, e farne anche strumento politico in un periodo cruciale della storia
d’Italia, la porta a raccogliere e studiare canti di tradizione orale con
l’Istituto Ernesto De Martino.
Collabora con Dario Fo,
che cura la regia di un altro spettacolo importantissimo a cui Marini prende
parte, Ci ragiono e canto, scrive pezzi originali che porta sui palchi, fonda la
Scuola Popolare di Testaccio a Roma. Parallelamente, insegna etnomusicologia
applicata al canto di tradizione orale e scrive per cinema e teatro.
«La canzone è di tutti,
dà voce a chi non ne ha», diceva due anni fa a Rai News presentando il
documentario di Chiara Ronchini sulla sua attività Giovanna, storie di una voce.
La descrivono tutti come un’instancabile raccoglitrice di storie e musiche.
«Cerco una foto di Giovanna e le trovo tutte con la chitarra», ha scritto
Ascanio Celestini dopo la notizia della morte. La canzone per lei era
l’espressione più immediata di idee e sentimenti delle persone e per questo
prestava attenzione ai significati delle musiche che vengono dal basso,
collaborando sia con artisti affermati che con piccoli gruppi teatrali, senza
fare alcuna distinzione. «Cercavo i suoni» diceva «ho trovato le persone».
https://www.rollingstone.it/musica/news-musica/e-morta-giovanna-marini-unautentica-cantastorie/905250/
(Marino Piazza)
|
Alle
ore undici del quattordici luglio
dalla
Camera usciva Togliatti,
quattro
colpi gli furono sparati
da
uno studente vile e senza cuor.
L'onorevole,
a terra colpito,
soccorso
venne immediatamente,
grida
e lutto ovunque si sente,
corron
subito deputati e dottor.
L'assassino
è stato arrestato
dai
carabinieri di Montecitorio
e
davanti all'interrogatorio
ha
confessato dicendo così:
"«Già
da tempo io meditavo
di
riuscire a questo delitto,
appartengo
a nessun partito,
è
uno scopo mio personal"».
Rita
Montagnana, che è al Senato,
coi
dottori e tutto il personale,
han
condotto il marito all'ospedale
sottoposto
alla operazion.
L'onorato
chirurgo Valdoni,
con
i ferri che sa adoperare,
ha
saputo la pallottola levare
e
la vita potergli serbare.
Il
gesto insano, brutale e crudele
al
deputato dei lavoratori,
protestino
contro gli attentatori
della
pace e della libertà .
L'onorevole
Togliatti auguriamo
che
ben presto ritorni al suo posto,
a
difendere il paese nostro,
l'interesse
di noi lavorator.
|
Palmiro Togliatti fu
gravemente ferito nel luglio del '48 da Antonio Pallante, in seguito arrestato e
condannato. La meticolosa narrazione dell’accaduto ben esprime l’ansia
professionale del cantastorie di non omettere il minimo particolare, e il finale
rievoca felicemente il sollievo di tutti per il pronto ristabilimento di
Togliatti, che valse a contenere la protesta dei lavoratori e i disordini e la
repressione successivi. Un piccolo falso storico, dovuto sicuramente al
perbenismo che contraddistingueva nell’Italia di allora anche la sinistra: non
fu Rita Montagnana, moglie di Togliatti, ad accompagnare il marito
all’ospedale, bensì Nilde Iotti, fino alla morte compagna del segretario del
PCI.
|
Un disco come questo sembra destinato a "parlare" ad un paio almeno
di generazioni. Ti sei chiesto se lo capiranno anche i più giovani, che di
mondine, di Togliatti e forse anche di Pasolini hanno solo una vaga idea o non
hanno mai sentito parlare?
Non lo vivo come un problema, a essere franco, ma condivido la curiosità di
sapere come verrà accolto dai ragazzi di oggi. L'idea di fare un disco come
questo, e di coinvolgere Giovanna Marini, mi è venuta una sera suonando al
Palaghiaccio di Marino. Era una situazione strana, quella, e "L'attentato a
Togliatti", che con il gruppo avevamo spesso provato per divertimento, è
venuta fuori così, senza motivo. La reazione positiva del pubblico mi ha fatto
pensare di avere improvvisamente riaperto una finestra su una musica diversa da
quella di oggi, con un ritmo desueto che fa "zum pa pa" e che però
racconta cose reali. Io penso che un disco come questo possa suscitare
curiosità in chi lo ascolta. Gli arrangiamenti sono assolutamente
contemporanei, il linguaggio musicale è allineato con quello del pop odierno.
Non abbiamo voluto fare un recupero accademico, né un'operazione d'archivio e
polverosa. Non ne sarei stato neppure capace, e comunque non era intenzione né
mia né di Giovanna. Mi auguro naturalmente che venda…
C'e anche un prezzo abbordabile che aiuta …
Si parla sempre male dei discografici, ma in questo caso debbo spezzare una
lancia in loro favore: la Sony ha capito che in questo caso era giusto fare uno
sforzo.
In pezzi come "Sento il fischio del vapore" l'arrangiamento robusto
ed elettrificato sembra quasi riprendere il filo di certo folk-rock britannico
tra i '60 e i '70…
E' un genere che non conosco. Ho semplicemente chiesto alla mia band, che mi
accompagna da anni, di suonare quelle canzoni come se le avessi scritte io. Mi
sono venuti dietro spontaneamente, e con gran divertimento. Anche il batterista,
che aveva teoricamente il compito più difficile, si è adattato immediatamente
a questi moduli ritmici diversi. Lo "zum pa pa" classico, in realtà,
è rimasto solo ne "L'attentato a Togliatti": il resto è stato
rielaborato dal gruppo in due o in quattro quarti, con grande intelligenza. E
tutti, mi sembra, hanno dato il meglio di sé.
Nel disco è frequente il recupero dei canti tradizionali delle mondine. Hai
avuto modo di ascoltare la rielaborazione che ne fecero qualche anno, nell'album
"Matrilineare", gruppi e solisti che ruotavano nell'orbita dei CSI e
del Consorzio Produttori Indipendenti?
No, il disco non l'ho mai sentito, ma credo che loro abbiano affrontato la
materia da un versante molto più sperimentale. Noi invece ci siamo limitati a
riprendere in mano le partiture e a suonarle con lo spirito di oggi, utilizzando
gli strumenti consueti per me e per il mio gruppo ma senza fare uno sforzo
consapevole di aggiornamento. E' stata un'operazione di una semplicità
assoluta, in fondo…
Qualche purista potrebbe risentirsene?
Non lo so, magari qualcuno penserà che abbiamo commercializzato, deturpato una
cosa sacra. Ma questo senso di sacralità mi è estraneo: per me le canzoni sono
cose vive, che vanno continuamente rilette e rielaborate. Sicuramente un pezzo
come "Bella ciao", che è nato in risaia, non era in origine per voce
e chitarra…ma ognuno fa bene ad utilizzare gli strumenti che ha a
disposizione. Noi abbiamo voluto evitare anche quelli della tradizione colta, i
liuti le concertine e via dicendo. In fondo, siamo una garage band. Qualcuno
avrà da ridire? Io mi sento in pace con la mia coscienza.
"Bella ciao" l'ha cantata Santoro in TV, la cantano i ragazzi del
Social Forum a Firenze…E' per darle un significato diverso che avete deciso di
recuperare la versione originale, nata anche quella dalle mondine?
La rilettura partigiana è quella che è rimasta nelle orecchie di tutti, ma io
e Giovanna volevamo far conoscere quest'altra versione che, secondo me, è più
bella sotto l'aspetto lirico. La "Bella ciao" dei partigiani è
estremamente coinvolgente come canzone di lotta, come canzone politica. Ma per
qualità poetica la versione delle mondine è più densa, più profonda. C'è,
alla fine, quel verso straordinario che dice: "Ma verrà un giorno che
lavoreremo in libertà". Ricorda come queste donne fossero allora quasi in
condizione di schiavitù. Ma è anche un verso attuale, perché ancora oggi c'è
tanta gente, anche in Italia, che non lavora in libertà: pensa ai clandestini,
sottopagati e in nero, che vengono impiegati per la raccolta dei pomodori.
E dalle risaie provengono molte delle canzoni che avete scelto di includere
nel disco…
Sono state un punto di passaggio fondamentale della nostra musica popolare. Il
lavoro nelle risaie ha rappresentato un grande momento di aggregazione
collettiva, un po' com'è stato per le piantagioni di cotone nel Sud degli Stati
Uniti.
Già. Più difficile immaginare che qualcosa del genere potesse avvenire in
fabbrica, dove il lavoro è altrettanto duro ma più alienato e parcellizzato. E
l'ambiente è estremamente rumoroso.
L'operaio al tornio, se si distrae per cantare, rischia di rimetterci una mano….
Ricorre spesso il nome di Giovanna Daffini, mondina e cantautrice. L'hai
conosciuta?
Non personalmente, no. Ma ho ascoltato i suoi dischi e la sua voce mi ha sempre
sconvolto: proviene direttamente dal centro della terra, è di una bellezza e di
una drammaticità straordinarie.
Cosa apprezzi in Giovanna Marini, invece?
La voce, innanzitutto. Anche Giovanna è una cantante straordinaria, con quella
timbrica così poco consona al canto classico. Mi colpisce il suo modo di
intonare le note, di scandire le parole, di prendere le pause: "I treni per
Reggio Calabria" è una canzone difficilissima da cantare. Ma il suo non è
stato solo un apporto vocale: la scelta dei pezzi è avvenuta di comune accordo,
guidata da lei che ha una cultura in materia molto superiore alla mia. E i brani
arrangiati in maniera più moderna, più estrema, sono farina del suo sacco. La
versione più consueta de "Il feroce monarchico Bava" è giocata su
due accordi di chitarra. Nel nostro arrangiamento invece c'è un'armonia fissa
sotto la quale sono le voci a spostarsi, e questa è opera di Giovanna: è
arrivata in studio e ha detto ai musicisti cosa dovevano fare. E i ragazzi della
band erano felici di farsi dirigere da questa signora di 65 anni da cui erano
completamente affascinati.
Ripeterete l'esperienza? Insomma, ci sarà magari una seconda puntata?
Nel lavoro io mi affido sempre alla spontaneità, e questo per me è già un
capitolo chiuso. Certo, il bagaglio di esperienze è destinato a rimanere, e
magari nel prossimo disco che farò certi elementi di questo lavoro
riaffioreranno: ma non in maniera cerebrale, non in maniera programmatica.
Quello che mi piacerebbe fare piuttosto è produrre un disco di Giovanna, che
continua a scrivere canzoni, e canzoni molto belle. Mi sembra un progetto più a
portata di mano: potrei essere un buon tramite tra lei e i musicisti rock, mi
sentirei di mediare tra i due mondi. Intanto sto anche producendo un disco di
mio fratello, Luigi Grechi.
Tu e Giovanna avete spiegato di aver scelto le canzoni dell'album seguendo un
criterio di puro gradimento personale e piacevolezza musicale. Ascoltandole in
sequenza, esiste un filo che le leghi tra loro?
Mentre lo incidevamo non ci pensavo. Ma riascoltando il disco mi pare di poter
dire che se c'è un tema comune a molte canzoni dell'album questo è
l'innocenza. Sono innocenti le mondine, sono innocenti Pasolini, e Sacco e
Vanzetti, e gli emigranti che affondano sulla nave Sirio…
Innocenti e vittime, tutti quanti…
Sì. Ma dopo tanti anni è la loro innocenza a rifulgere di più. Quando guardo
la fotografia di Sacco e Vanzetti che abbiamo riprodotto sul libretto del CD
vedo le facce di due galantuomini, che però sono finiti su una sedia elettrica.
Mentre facevo il disco, però, non pensavo a quel tema: pensavo esclusivamente
ai suoni.
Molti dei fatti di cronaca raccontati dalle canzoni abbracciano un periodo
storico che va da fine Ottocento agli anni '70 del secolo appena concluso. E
poi? Manca la prospettiva, la distanza storica sufficiente per affrontare
episodi più recenti? O sono scomparsi piuttosto gli eredi dei cantastorie?
Ad un certo punto la musica è diventata industriale e ha privilegiato altri
mezzi di comunicazione: si è cominciato a far dischi, ad ascoltare la radio. I
tempi coincidono anche con gli inizi della mia carriera: a quel punto,
cominciando a scrivermi i versi da solo, sono diventato un po' parte in causa.
Esistono canzoni importanti di commento sociale scritte dopo quel periodo: ad
esempio "I morti di Reggio Emilia" o "Contessa", che sono
bellissime. Ma noi non abbiamo voluto fare un disco di canzoni di lotta. Abbiamo
voluto fare un disco di canzoni popolari. E sicuramente con
l'industrializzazione della musica la canzone popolare ha cambiato tono e
spessore. A parte il mio pezzo, "L'abbigliamento di un fuochista", e
quelli di Giovanna, il brano più recente che abbiamo scelto è "Nina ti te
ricordi" di Gualtiero Bertelli che, credo, risale a fine anni '60 o ai
primi '70. Ma anche in questo caso non si è trattato di una scelta
programmatica.
Non è che oggi la canzone pop ha più difficoltà ad interpretare ed
esprimere il sentire comune?
Ma no, molte canzoni di oggi sono altrettanto popolari, nel senso che parlano al
popolo. Cambiano i modi di comunicazione, perché oggi si passa attraverso la
discografia, ma non i contenuti. Mi viene in mente "Vita spericolata":
è una canzone popolare che descrive in modo straordinario lo stato d'animo di
una generazione. Se vai primo in classifica non sei più "popolare"?
Forse è vero il contrario. Credo che lo spartiacque tra la canzone tramandata
oralmente e quella diffusa attraverso i mezzi di comunicazione di massa possa
essere fatto risalire alla nascita del festival di Sanremo e alla sua diffusione
in TV. C'è stato indubbiamente un cambiamento di temperatura, in quegli anni,
sia nel modo di scrivere canzoni che nel modo di ascoltarle. Ma sempre di musica
popolare si tratta.
Quelle vecchie canzoni le hai messe in circolazione anche su Internet:
tradizione e modernità…
Mi sembra un'evoluzione del tutto naturale, fisiologica, e non è la prima volta
che lo faccio. Internet oggi è come il telefono, un mezzo a disposizione di
tutti.
In certi paesi, ad esempio in Irlanda, è normale che la musica tradizionale
venga rielaborata e assorbita nella produzione pop corrente. In Italia molto
meno: non abbiamo più memoria storica?
E' vero. E non è una bella cosa. Io spero, con un disco come questo, di aver
lanciato un sasso nello stagno, ricordando a qualcuno che anche noi abbiamo un
patrimonio di musica popolare straordinario e che si presta ad essere
rielaborato. E' un codice impresso dentro di noi.
Avevi familiarità con tutte le canzoni?
Sì, tranne un paio. Questa versione di "Sacco e Vanzetti" me l'ha
fatta conoscere Giovanna.
Alcune le hai cantate la prima volta tanti anni fa, ai tempi del Folk Studio.
Gli attribuisci un significato diverso, oggi?
Stiamo parlando di trent'anni fa….Comunque direi di no: adesso come allora le
amo per la loro bellezza intrinseca. Fossero state brutte canzoni, non avrei
fatto un disco come questo: invece sono belle melodie, e cantarle dà gusto. Le
parole hanno un senso, e cantare con Giovanna è davvero divertente.
Lo hai detto prima: non avete voluto fare un disco politico. Sbaglierebbe,
dunque, chi gli attribuisse un significato militante?
Io credo che si tratti di un'interpretazione sbagliata. Un disco militante
sarebbe stato fatto di altre canzoni, ci sarebbero stati "I morti di Reggio
Emilia", "Contessa", "La ballata di Pinelli". Ma resta
il fatto che il popolo è sempre stato di sinistra e che è difficile trovare
una canzone popolare di destra. Come Togliatti, anche Mussolini, durante il
Ventennio, è stato vittima di attentati, tre addirittura. Eppure non ci sono
tracce di canzoni scritte su quegli episodi. Solo in questo senso "Il
fischio del vapore" è un disco di sinistra.
Eppure molte canzoni sembrano gettare una luce su episodi di attualità
politica. Molti hanno tirato in ballo il ritorno dei Savoia…
Lasciamoli stare, che hanno già i loro problemi da risolvere…E' vero che
molte canzoni - quella che racconta della nave di emigranti, o quella che parla
di Sacco e Vanzetti e di pena capitale - restano di un'attualità sconvolgente.
Gli innocenti esistono anche oggi, e anche oggi sono vittime.
Perché ti sei tirato fuori da alcuni brani?
Per rispetto al lavoro di Giovanna. Inutile aggiungere qualcosa ad un risultato
che è già perfetto in sé. Così è stato per "I treni per Reggio
Calabria", per "Bella ciao" e per "Lamento per la morte di
Pasolini". Quest'ultima l'abbiamo anche provata insieme: ma mi è venuta
fuori una voce da cantautore che non c'entrava nulla con il suono che doveva
avere la canzone.
Quando hai scritto "L'abbigliamento di un fuochista" hai fatto uno
sforzo consapevole di stare nel solco di una certa tradizione?
No, per quanto mi ricordi. Ma dopo averla scritta per l'album "Titanic",
nell '82, mi resi conto che dovevo cantarla con Giovanna. E così avvenne. Ci
conoscevamo dal '70, ma quello è stato l'inizio ufficiale della nostra
collaborazione. Per questo era giusto riprenderla anche in questa occasione.
Dell'Italia descritta nell'album abbiamo perso qualcosa? Forse la capacità
di indignarci?
No, quella no. Mi pare che oggi siamo indignati a sufficienza. Ma sono mondi
completamente diversi, quello di oggi e quello di allora, certe cose le abbiamo
perse ed altre le abbiamo guadagnate. Comunque, non ho nessuna nostalgia di
quell'epoca.
Ora tu e la Marini state preparando due concerti a Roma. Che ci sarà in
scaletta?
Tutti i pezzi del disco. Poi Giovanna farà alcune canzoni sue con le tre
cantanti con cui lavora normalmente e con cui si produce spesso in
improvvisazioni straordinarie, tra il classico e il contemporaneo. Io ci
metterò dentro qualcosa del mio repertorio: e magari alle canzoni de "Il
fischio del vapore" ne aggiungeremo qualcun'altra.
Non avete materiale scartato dal disco tra cui pescare?
No, abbiamo registrato insieme "Viva l'Italia" ma l'abbiamo tolta
perché era una canzone troppo programmatica, che non c'entrava nulla con il
resto. E' un pezzo troppo attuale: quando canto nei concerti un verso come
"Viva l'Italia che resiste" mi rendo conto che viene naturale pensare
ad un paese antagonista rispetto a questo governo…
Anche se in passato, come "Born in the USA" di
Springsteen, era
diventata una canzone ad uso e consumo di tutti, buona per tutte le stagioni…
E' vero, ognuno l'ha indossata come ha preferito. Ma se sono io a cantarla
davanti al mio pubblico, io e loro sappiamo benissimo di cosa stiamo parlando. E
in questo disco non c'era bisogno di una bandiera da sventolare.
Per promuovere l'album andrete anche in TV. Una scelta inattesa da parte di
un artista riservato come te…
Andremo da Gianni Morandi, siamo stati invitati per il 30 novembre. Mi
piacerebbe fare un paio di canzoni mie e un paio con Giovanna. Ma dobbiamo
parlarne anche con lui, prima…Imbarazzi? Assolutamente no. Questo è un disco
di cantastorie: e oggi il sabato sera da Morandi equivale ad esibirsi sulla
piazza della chiesa o del comune cinquant'anni fa.
E' un periodo in cui ti stai spendendo molto…Quasi in contemporanea esce il
disco del "quartetto" con Pino Daniele, Ron e la Mannoia.
Non sono mai stato ritroso quando si tratta di collaborazioni artistiche, e
quello è stato un incontro di una piacevolezza unica. Io e Pino, per esempio,
non ci eravamo mai trovati di fronte: ed è stato bello scoprire che ogni sera
sul palco scaturivano delle idee, delle scintille nuove. So che molti
giornalisti, soprattutto all'inizio, l'hanno presa con scetticismo, come
un'operazione puramente commerciale: ricordo una conferenza stampa terribile…Ma
facevano male a non fidarsi: il divertimento è stata la motivazione principale,
e sono state proprio le nostre diversità artistiche a rendere più gustoso il
cocktail. Anche questo è passato, comunque. Il disco? Me ne sono
disinteressato, è stato Pino ad incaricarsi dell'organizzazione e della
produzione. Ma sono contento che ci sia in giro una testimonianza di quello che
abbiamo fatto, come il vecchio "Banana Republic" con Lucio Dalla.
E che succederà adesso, dopo queste deviazioni di percorso?
Non so se possano davvero essere considerate tali. Sto facendo molti concerti,
mi diverto a suonare e vado ovunque, nei teatri, nei palazzetti e nei piccoli
club…
Una specie di "neverending tour"?
Lasciamo perdere questi paragoni, per favore. Il fatto è che con i musicisti
del gruppo c'è ormai un rapporto quasi simbiotico. Ci ritroviamo in modo quasi
automatico, ci divertiamo e non sentiamo la fatica. E dove ci chiamano a
suonare, noi andiamo. Questo è il mio presente e il mio futuro immediato. Prima
o poi metterò le mani a un disco nuovo: ma in che direzione andrò di qui in
poi, proprio non ne ho idea. (Alfredo Marziano -
Rockoil)
|
|
Nina
ti te ricordi
quanto
che gavemo messo
a
andar su 'sto toco de leto insieme
a far a l'amor.
Sie
ani a far i morosi
a
strenserla franco su franco
e
mi che sero stanco
ma
no te volevo tocar.
To
mare che brontolava
«Quando
che se sposemo»;
el
prete che racomandava
che
no se doveva pecar.
E
dopo se semo sposai
che
quasi no ghe credeva
te
giuro che a mi me pareva
parfin
che fusse un pecà.
Adesso
ti speti un fio
e
ancuo la vita xe dura
a
volte me ciapa la paura
de
aver dopo tanto sbaglià.
Amarse
no xe no un pecato,
ma
ancuo el xe un lusso de pochi
e
intanti ti Nina te speti
e
mi so disocupà.
E
intanto ti Nina te speti
e
mi so disocupà.
|
|
LUZZI: Pronto? Pronto, De Gregorio?
FDG: De Gregorio lo dici a Luzzi…..De Gregorio!
BASSIGNANO: No, l’ha detto lui.
FDG: Mi chiamo Luzzo io?
BASSIGNANO: Ha chiamato Dalla Lucio Palla….
FDG: Senti Bassignano, io ho sentito questa
presentazione tutta in ghingheri che hai fatto, però ho sentito
anche le solite volgarità. Ho sentito che parlavi della tua colite…
però…. non si fa alla radio… alla gente che gliene frega?
LUZZI: Ma non è vero! Ma anche da giovane aveva
la colite?
FDG: Sì, sempre. E altri malanni che non sto qui
a dire. Bassignano sa di che sto parlando.
BASSIGNANO: Ma sì, lo so. Ma quelle non sono
proprio radiofoniche.
FDG: Comunque, io sto qui in un bell’Autogrill.
Ho appena mangiato con Filippo e c’erano tutti quei bei panini,
c’era il Rustico, il Camogli….
BASSIGNANO: Quale ti sei fatto?
FDG: Il Mefistofele mi sono fatto!
BASSIGNANO: Non c’è! Il Mefistofele l’hai
inventato tu adesso.
FDG: No, c’è. E’ quel panino che se ne scende,
quel panino che ormai….
BASSIGNANO: E te lo sei mangiato lo stesso?
FDG: Sai, è quel panino che si avvia alla
maturità. Era rimasto solo quello.
BASSIGNANO: Questo sta a dimostrare che
nonostante tu sia De Gregori, sei uno che ancora fa strada, va in
giro, si ferma ai grill..
LUZZI: Ha mangiato anche i panini che camminano
da soli..
FDG: Sì, ho mangiato il Mefistofele. Quello che
si imbarca, con la fetta di pane che si imbarca con la maionese…
prima verde e poi lucida, trasparente.
BASSIGNANO: Verdastra… Parliamo seriamente.
Francesco, io ti voglio dire che siamo tutti molto orgogliosi del
fatto che tu abbia fatto quel disco, che tu abbia fatto degli
spettacoli con Giovanna (che rifarai fra pochi a giorni a Roma
all’Auditorium) e che quel sabato sera sei andato in uno spettacolo
di varietà. Va bene che Gianni è un nostro amico….
FDG: …spettacolo di arte varia.
BASSIGNANO: Insomma, di pajette e lustrini…
FDG: di arte varia…
BASSIGNANO: Guarda Francè, mo te lo dico perché
siamo in diretta e tu sai che so “de core”. Mi è venuta in mente,
per un attimo, una sera del ’67 quando io, giovane cunese a Roma,
vidi a teatro lo spettacolo di Dario Fo “Ci ragiono e canto”: tutto
così serio, nero, bianco e nero, coi pali, poche cose, molta musica.
Insomma, ho visto per un attimo in uno spettacolo del 2000, in uno
spettacolo della televisione, uno spettacolo di Saccà…. tutto quello
che vuoi… di pajette e lustrini… la CANZONE!
FDG: E’ stato bello, sì.
BASSIGNANO: E’ stato bello. Ci siamo emozionati
tutti.
FDG: Ma ci siamo emozionati anche Giovanna ed io.
Però anche
divertiti, e pure Morandi si è divertito. E comunque Morandi è un
uomo popolare, nel senso nobile del termine secondo me. E lo
spettacolo del sabato sera è lo spettacolo popolare di oggi, non c’è
niente da fare.
BASSIGNANO: Esattamente! E poi siccome è fatto
bene grazie a Gianni Morandi, c’è stata benissimo quella cosa,
perché lui anche due o tre puntate prima aveva fatto una cosa sulla
Fiat molto commovente. Quindi siete lì, questo gruppo di persone che
marciava come in quel quadro famoso di Pellizza Da Volpedo … e mi
avete fatto un po’ emozionare..
FDG: Senti un po’, ma anche a Luzzo gli è
piaciuto?
LUZZI: Sempre mi piace! Tutto quello che fai tu,
De Gregorio. Io ti seguo sempre.
FDG: Ma Bassignano non canta più in trasmissione?
LUZZI: Ma che canta? Quando canta succedono delle
cose incredibili.
FDG: Bassignano deve cantare!
BASSIGNANO: Va bene Luzzi, gielo voleva chiedere?
Glielo chieda!
LUZZI: Adesso, onestamente: ma come cantava
Bassignano?
FDG: Bassignano? Benissimo. Dal punto di vista
tecnico e vocale era il migliore di noi. Poi ha scelto di fare un
mestiere serio e quindi adesso non ha più …
LUZZI: Adesso è un poveraccio!
BASSIGNANO: Quant’è bravo a prendere per i
fondelli. Francesco, allora il 9 e il 10 all’Auditorium.
FDG: Sì, grazie. Venite tutti, mi raccomando.
BASSIGNANO: Tutti veniamo! Sei pronto a
raccogliere tutta la banda del Trend?
FDG: Assolutamente sì, mi fa piacere. Anche Luzzo.
BASSIGNANO: Viene anche Luzzo. Questo sei tu con
Giovanna che canta quella che cantavamo tutti in coro, quella di
Gualtiero Bertelli. Una delle canzoni popolari più belle.
FDG: Bellissima!
BASSIGNANO: Grazie Francesco!
FDG: Ciao, arrivederci!
|
|
Alle
grida strazianti e dolenti
Di
una folla che pan domandava,
Il
feroce monarchico Bava
Gli
affamati col piombo sfamò.
Furon
mille i caduti innocenti
Sotto
il fuoco degli armati caini
E
al furor dei soldati assassini:
"Morte
ai vili!", la plebe gridò.
Deh,
non rider, sabauda marmaglia:
Se
il fucile ha domato i ribelli,
Se
i fratelli hanno ucciso i fratelli,
Sul
tuo capo quel sangue cadrà.
La
panciuta caterva dei ladri,
Dopo
avervi ogni bene usurpato,
La
lor sete ha di sangue saziato
In
quel giorno nefasto e feral.
Su,
piangete mestissime madri,
Quando
scura discende la sera,
Per
i figli gettati in galera,
In
quel giorno nefasto e feral.
Su,
piangete mestissime madri,
Quando
scura discende la sera,
Per
i figli gettati in galera,
Per
gli uccisi dal piombo fatal.
|
Nel
1898 scoppia la guerra tra Spagna e Stati Uniti che provoca subito un
forte rincaro
del pane: questo significa un aggravio per le popolazioni
in Italia le quali già patiscono la fame. Il governo non provvede e in
tutta la penisola si moltiplicano le
manifestazioni di protesta contro
il caro vita che sfociano in tumulti e scontri con la forza pubblica.
Gli scioperi e le agitazioni saranno repressi soprattutto a Milano dove
il generale Bava Beccaris, per ordine del "re buono" Umberto
I, soffocherà nel sangue i tumulti. L'ordine di sparare sulla folla
inerme provocherà
ufficialmente 80 morti e per questo gesto, per aver riportato
"l'ordine", Bava Beccaris sarà decorato dal re.
Sulla carneficina perpetrata durante le quattro giornate di Milano (dal
6 al 9 maggio 1898) la storiografia riprende l'informazione governativa
che indica in numero di 80 i morti nelle strade del capoluogo lombardo e
450 i feriti; altre fonti non riportano alcun numero limitandosi a
scrivere di numerose morti, altre notizie parlano di centinaia di morti.
La sanguinosa repressione dei tumulti
milanesi del 1898 valse al generale Bava Beccaris la croce di Grand’ufficiale
dell’Ordine Militare dei Savoia. Lo stile aulico del testo lascia intendere
come l’anonimo autore fosse di buona cultura borghese e padroneggiasse il
linguaggio letterario dell’epoca. Sulla stessa linea melodica fu scritta la
Ballata di Pinelli, dopo la misteriosa morte dell’anarchico precipitato da una
finestra della Questura di Milano nel corso delle indagini per l’attentato di
Piazza Fontana del dicembre 1969
|
Francesco De Gregori e Giovanna Marini
all’Auditorium- Parco della Musica
W l'Italia Roma, 29 aprile 2002
Un incontro tra canzone d'autore e canzone popolare
stasera si riassume in due nomi: Francesco De Gregori e Giovanna Marini.
Il primo non ha bisogno di presentazioni. Il secondo,
purtroppo, può capitare di doverlo introdurre. Giovanna Marini è
musicista e musicologa di fama internazionale, docente di etnomusicologia
all'Università di Parigi e tra i maggiori esperti della nostra musica
tradizionale. L’impegno sociale e politico è ciò che da sempre unisce
i due musicisti, e che li porta qui, insieme, per questa serata
dall'emblematico titolo 'W l'Italia'. UnAuditorium è un vociare lieve di
attesa, sottilmente insaporita dal luogo che accoglie l'evento, uno
spettacolo nello spettacolo: la firma di Renzo Piano su quello che
promette di diventare un tempio della musica e che ha appena cominciato la
sua storia. Puntuali, i due protagonisti si presentano al pubblico. E che
bello vederli insieme sul palco! Cominciano con L'attentato a Togliatti;
poi L'abbigliamento di un fuochista, che già li vedeva insieme in "Titanic":
una presenza, quella della Marini, di grande significato, in questo brano
dai forti contenuti sociali. Dopo Il Sirio il palco è lasciato alla
Marini, che introduce al pubblico gli altri elementi del suo straordinario
quartetto vocale: Patrizia Nasini, Francesca Breschi e Patrizia Bovi. Il
loro omaggio alla storia comincia con Canto per il giudice Falcone, e
inaugura una serie di brani che vedono protagonisti piccoli e grandi
personaggi, che la storia l'hanno fatta o subita, tra pezzi popolari, di
facile ascolto, e le sue composizioni complesse di armonie raffinate e
suoni dissonanti: I treni per Reggio Calabria, Mi pesa andar lontano,
Passione Evviva Maria.
De
Gregori, insolitamente loquace e spiritoso, non
convince dal punto di vista musicale: gli arrangiamenti sono poveri
timbricamente e l'organo Hammond la fa da padrone, appiattendo brani
classici"come Alice, Rimmel, Generale. Inoltre sembra mettere da
parte quell’asciuttezza quasi declaratoria, dylaniana, che sapeva
emozionare tanto. Nina ti ricordi di Gualtiero Bertelli, intonata da
entrambi, chiude il primo set. Affascinante, nella seconda parte, il
discorso "prettamente etnomusicologico" della Marini, che spiega
l'usanza di determiriate culture di affidare ai cantanti l'intonazione dei
diversi gradi della scala musicale, che hanno funzioni gerarchiche, in
base alla loro posizione sociale.
Spiega le diverse sensazioni che danno gli intervalli
musicali - le terze, le seste, e così via - parole che poi trasforma in
esempi sonori, descrivendo tensioni armoniche e modulazioni, facendo
capire che tutto è semplicemente legato a sensazioni istintive, che la
costruzione mu sicale non è un fatto elitario di teorie complicate, ma
profondamente umano. Commovente poi il suo racconto dell'incontro con
Pasolini, il primo a parlarle della cultura musicale contadina, facendo
vacillare le sue certezze di giovane istruita tradizionalmente. Il ricordo
non è fatto solo di parole: tra i momenti più toccanti infatti c'è
proprio il Lamento per la morte di Pasolini. Ma il coinvolgimento del
pubblico è massimo sul finale, con il palco al completo e quel verso
"viva l'Italia che resiste" che fa esplodere la platea in canti
e applausi. Alessia Pistolini DA "L’ISOLA CHE NON C’ERA" –
Luglio 2002
|
|
Stamattina
mi sono alzato
o
bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
stamattina
mi sono alzato
e
ci ho trovato l'invasor.
O
partigiano, portami via
o
bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
o
partigiano, portami via
che
mi sento di morir.
E
se muoio da partigiano
o
bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
e
se muoio da partigiano
tu
mi devi seppellir.
Seppellire
lassù in montagna
o
bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
seppellire
lassù in montagna
sotto
l"ombra di un bel fior.
E
le genti che passeranno
o
bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
e
le genti che passeranno
e
diranno: o che bel fior!.
E"
questo il fiore del partigiano
o
bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
è
questo il fiore del partigiano
morto
per la libertà
___________________________
Bella
Ciao (delle Mondine)
Facente
parte del repertorio di Giovanna Daffini, è stata
riproposta recentemente dal
gruppo "Les Anarchistes". Si tratta del canto originale
dal quale
si
sviluppò il canto partigiano
Alla
mattina appena alzata o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
alla mattina
appena alzata in risaia mi tocca andar.
E
fra gli insetti e le zanzare o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
e fra
gli insetti e le zanzare un dur lavor mi tocca far.
Il
capo in piedi col suo bastone o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
il
capo in piedi col suo bastone e noi curve a lavorar.
O
mamma mia, o che tormento! o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
o mamma
mia o che tormento io t'invoco ogni doman.
Ma
verrà un giorno che tutte quante o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
ma verrà un giorno che tutte quante lavoreremo in libertà.
Bella
Ciao (Il canto partigiano)
Questa
è la versione del canto partigiano generalmente
conosciuta, in una versione
"mediamente accettabile".
Ma esistono innumerevoli versioni differenti
a volte per una parola...
Stamattina
mi sono alzato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
Stamattina mi
sono alzato E ho trovato l'invasor.
O
partigiano portami via o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
O
partigiano portami via Che mi sento di morir.
E
se io muoio da partigiano o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
E se
io muoio da partigiano Tu mi devi seppellir.
E
seppellire lassù in montagna, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao,
E
seppellire lassú in montagna Sotto l'ombra di un bel fior.
E
le genti che passeranno o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
E le
genti che passeranno Mi diranno o che bel fior.
E'
questo il fiore del partigiano o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao,
E' questo il fiore del partigino Morto per la libertà.
E'
questo il fiore del partigiano Morto per la libertà.
Bella
Ciao (versione inglese)
"Bella
Ciao" è stato tradotto ed adattato in una caterva di lingue.
La presente
è una versione inglese, di Antoinette Fawcett:
I
woke this morning and all seemed peaceful
Bella ciao, bella ciao, bella ciao
ciao ciao I
woke this morning and all seemed peaceful But
oppression still
exists.
Oh
freedom fighter, I want to fight too Bella ciao, bella ciao, bella ciao
ciao Oh freedom fighter, I want to fight too Against their living
death.
And
if I die, a freedom fighter, Bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
And if
I die, a freedom fighter, Then you’ll have to bury me.
Let
my body rest in the mountains Bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao
Let
my body rest in the mountains In the shadow of my flower.
And
all the people who will pass by there Bella ciao, bella ciao,
ciao And all the people who will pass by there Will show that lovely
flower.
This
is the blossom of those that died here Bella ciao, bella ciao,
ciao
ciao This is the blossom of those that died here For land and liberty. |
Mondine
o partigiani: chi cantò prima "Bella ciao"?, Cos’è il “canto
sociale”, come si lega alla battaglia politica, all’idea di musica
popolare. di FRANCO FABBRI da l’Unità, 7 dicembre 2003
Perché
la canzone "ufficiale" della Resistenza è Bella ciao, anche se
i partigiani cantavano di più Fischia il vento? E cos'è la
"versione delle mondine", quella inclusa nell'album ll fischio
del vapore di Francesco De Gregori e Giovanna Marini? Le risposte a queste
e a molte altre domande si trovano nella raccolta di saggi sul "canto
sociale" di Cesare Bermani, pubblicata da Odradek col titolo Guerra
guerra ai palazzi e alle chiese (un verso de L'inno dell'Internazionale,
sull'aria della Marsigliese, circa 1874). Non preoccupatevi: le risposte
verranno date anche qui, e il bel libro di Bermani non è una raccolta di
fatterelli, buona per una serata di quiz in qualche vecchia Casa del
Popolo. Tutt'altro. Ma è lo stile dell'autore, la tenacia con la quale
rincorre e quasi sempre trova documenti e prove decisive, a suggerire il
paradigma indiziario per questi saggi storico-antropologici rigorosi,
densi, di lettura appassionante. Quasi sempre? Sì, perché ad esempio la
vicenda della "versione delle mondine" di Bella ciao non è
ancora conclusa, e Bermami ci lascia in sospeso al termine del saggio,
dopo aver smontato e rimontato i fatti più o meno noti, e quelli di cui
solo pochi ricercatori sono a conoscenza. Ci torneremo fra poco, abbiate
fiducia. Ma cos'è il "canto sociale"? Dai titoli si intuisce
che abbia a che fare con gli inni e le canzoni politiche e con il canto
popolare. Bermani usa questa espressione consapevole delle contraddizioni
insite nell'impiego disinvolto della categoria del "popolare".
Se popolare, per consuetudine etnomusicologica, è sinonimo di contadino e
di tradizione orale, allora gli inni di lotta, dei quali è rintracciabile
un originale scritto, e che in buona parte sono nati dalla penna di
intellettuali urbani, non possono essere iscritti nella categoria del
popolare, se non in quanto il loro uso, la proliferazione delle modalità
esecutive e delle varianti, i metodi di ricerca di chi voglia studiare
questo materiale sono riconducibili a quelli tipici della musica di
tradizione orale. Allora Bermani ricorre a un termine diverso per
l'oggetto delle sue inquisizioni, e ci ricorda che "il canto sociale
è quindi, sin dalle sue origini, fenomeno di frontiera tra culture
ufficiali (sia dominante che di opposizione) da un lato e culture popolari
dall'altro, utilizza a volte testi e musiche provenienti dalle culture
egemoni (...), a volte di produzione popolaresca (...), a volte interni
alla produzione popolare". Insomma, in modo davvero esemplare Bermani
ci mostra come per studiare un insieme di musiche occorra prima di tutto
riflettere sulle categorie. E la categoria "canto sociale"
riunisce musiche di origini e caratteristiche disparate, riunite dall'uso
e dalla funzione. Parafrasando Gramsci si potrebbe dire: non conta se
questi canti siano nati sociali, ma se sono stati accolti come tali.
Difficile obiettare. Eppure, un tempo l'identificazione fra popolare e
contadino esercitava un'attrazione irresistibile proprio sui ricercatori
delle tradizioni, che al tempo stesso coltivavano la canzone politica
cercando di modellarla su quelle tradizioni. Si discuteva se il canto
popolare fosse di opposizione in sé, o se il ricercatore e l'operatore di
folk revival dovesse privilegiare il repertorio che - si sarebbe detto
allora - sviluppava al massimo grado la coscienza politica delle masse.
Ecco, la storia della Bella ciao delle mondine inizia da qui. Quando
Giovanna Daffini, mondina e cantastorie, cantò davanti al microfono di
Gianni Bosio e Roberto Leydi una Bella ciao nella quale ai noti versi del
partigiano che ha "trovato l'invasor" era sostituita la
descrizione di una giornata di lavoro delle mondine, non parve vero di
aver rintracciato l'anello mancante fra un inno di lotta, espressione
della più alta coscienza antifascista, e un precedente canto di lavoro
proveniente dal mondo contadino. Nonostante qualche incongruenza e qualche
sospetto, la versione venne accettata. E il Nuovo Canzoniere Italiano nel
1964 partecipò al Festival di Spoleto con lo spettacolo dal titolo Bella
ciao. In quegli anni dei primi governi di centro-sinistra si compie quella
che Bermani, riprendendo il concetto da Hobsbawm, chiama
"l'invenzione di una tradizione". Bella ciao, una canzone
cantata durante la Resistenza da sparse formazioni emiliane, e da membri
delle truppe regolari durante l'avanzata finale nell'ltalia centrale viene
sempre più frequentemente preferita nelle manifestazioni unitarie a
Fischia il vento, canto di larghissima diffusione fra tutte le formazioni
partigiane, riconosciuto nell'immediato dopoguerra come l'inno della
Resistenza. Fischia il vento ha il "difetto" di essere basata su
una melodia russa, di contenere espliciti riferimenti socialcomunisti
("il sol dell'avvenir"), di essere stata cantata soprattutto dai
garibaldini. Bella ciao è più "corretta", politicamente e
perfino culturalmente, anche se molti partigiani del Nord non la
conoscevano nemmeno. Era poi un canto delle mondine, no? No. Nel maggio
del 1965 arriva una lettera all'Unità. La scrive Vasco Scansani, da
Gualtieri, lo stesso paese della Daffini. Dice di essere lui l'autore
della Bella ciao delle mondine, e di averla scritta nel 1951, basandosi
sulla versione partigiana. Dice che la Daffini gli ha chiesto le parole,
nel 1963. Allarmatissimi i ricercatori del Nuovo Canzoniere Italiano
interrogano Scansani e la Daffini: si rendono conto, nella confusione
delle testimonianze, che il mondo dei cantori popolari è più complesso e
contaminato di quanto non credessero, che ci sono esigenze di repertorio,
desiderio di compiacere il pubblico, e di compiacere gli stessi
ricercatori. Parte un nuovo studio, si individuano tracce di Bella ciao in
vari canti popolari, non si esclude che fossero parte anche del repertorio
delle mondine: ma no, quella versione della Daffini è posteriore alla
Bella ciao dei partigiani. La storia, come ho anticipato, non è finita:
nel 1974 salta fuori un altro preteso autore di Bella ciao, ma di una
versione del 1934: è Rinaldo Salvadori, ex carabiniere, che avrebbe
scritto una canzone, La risaia, per amore di una ragazza marsigliese che
andava anche a fare la mondina. Il testo, con versi come "e tante
genti che passeranno" e "bella ciao", glielo avrebbe messo
a posto Giuseppe Rastelli (futuro autore di Papaveri e papere,
politicamente "più nero che rosso"), e la Siae dell'epoca
fascista ne avrebbe rifiutato il deposito. Il resto della vicenda lo
potete trovare nel libro, splendido e utilissimo, di Bermani.
|
La
"Bella Ciao della Crouzet"
Nel
1971 le operaie e gli operai della Crouzet di Milano,
che aveva una fabbrica
anche a Zingonia,
furono protagonisti
di lotte contro i licenziamenti e per
migliori condizioni di lavoro. Ne nacque una "Bella ciao" adattata
alla particolare situazione:
Alla
mattina appena alzata a Zingonia mi tocca andar.
con la nebbia e il brutto
tempo a noi tocca anche viaggiar.
E
a Zingonia noi troveremo nuovi ritmi di lavor.
il capo in piedi col suo bastone
e noi curve a lavorar.
Compagne
mie, ma che tormento ma che vita ci tocca far.
Il salvagente lui ha avanzato e a
noi la barca per affondar.
Il
"papà" che mi vuol bene a Zingonia mi vuol mandar.
E senza mezzi per
arrivare a Zingonia a lavorar.
CON MORANDI
A “UNO DI NOI” - Mimmo
Rapisarda
Buongiorno e buona Domenica a tutti!
L’avete visto Ieri sera in TV su “Uno di noi”? Eccezionale! Speriamo che questo
suo stato di grazia rimanga ancora per un po’, perché se si rituffa in quei
lunghi periodi di silenzio e riservatezza non lo sentiremo per un paio di anni.
Ho letto che qualcuno lo preferiva come era prima. Ma perché? Lasciamolo stare
così, non roviniamo questo incantesimo, facciamolo fare.
Alle 20 mi sono accorto che la VHS era guasta. Mi sono dovuto rivestire, andare
in garage, prendere l’auto e cercare un’altra videocassetta. Ma ne è valsa la
pena, ecco perchè:
- ne è valsa pena perché quando alla fine dell’esecuzione de “La donna cannone”
(interpretata come solo un grande della musica sa fare e offerta alla gente come
un collier da donare alla donna amata) tutto il pubblico si è alzato in piedi
applaudendolo, in quel momento mi sono sentito gelare il sangue;
- ne è valsa la pena perchè, vedendo anche Ciccio spiazzato da quella forma di
rispetto nei suoi confronti, mi sono sentito vicino a lui, da storico
degregoriano;
- ne è valsa la pena perché chi ieri mi diceva che “Il fischio del vapore” non
gli piaceva, oggi dovrà ricredersi;
- ne è valsa la pena perché l'ho visto finalmente in pace con Morandi (anche se,
cantata da Gianni, devo dire che Francesco aveva effettivamente ragione);
- ne è valsa la pena per l’altro brivido che mi ha regalato Francesco quando con
il coro di Testaccio, Giovanna e Gianni si sono mossi tutti insieme in avanti,
con lo sfondo colorato di rosso, rendendo reali i personaggi raffigurati ne “Il
quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo;
- ne è valsa la pena perché è stato bello vedere i componenti dell’orchestra
entusiasti di suonare per lui;
- ne è valsa la pena perché ieri, dopo la standing ovation, ho visto nei suoi
occhi la certezza di essere ormai riconosciuto come un monumento nazionale da
esportazione come la Ferrari, Valentino, Sophia Loren, Alberto Sordi, la Torre
di Pisa, O sole mio, gli spaghetti;
- ne è valsa la pena perché, dopo ieri, mai più rivedrò De Gregori dire in
diretta TV “stop alle telefonate”;
- ne è valsa la pena perché ho visto YuYu;
- ne è valsa la pena perché mi convinco sempre di più di non aver fatto male a
seguire per 28 anni la musica di questo signore.
Storica serata di RaiUno. RAI, di tutto, di più. Ma quel “di più” ieri sera non
è stato certo Robbie Wiliams.
Grazie Francesco! Grazie Giovanna! Grazie Gianni!
Mimmo Rapisarda
(FORUM RIMMEL CLUB – DIC. 2002)
Dopo
averci travolti con un’overdose di album dal vivo, De Gregori ora si fa
interprete di un importante momento di (ri)scoperta del nostro patrimonio
popolare, più o meno politicizzato che sia. Qualcuno leggerà anche questo
episodio come un indizio di un certo
esaurimento della sua vena artistica, ma chi ama la canzone d’autore non
dovrebbe gridare allo scandalo se un artista non sforna il suo chilo di riso,
pardon le sue dieci canzoni nuove di zecca ogni anno, ma, in attesa dell’ispirazione
giusta, preferisce valorizzare brani altrui. L’ha fatto persino sua maestà
Bob Dylan, perché non dovrebbe farlo il principe Ciccio? E poi, perché negarsi
il piacere di ascoltarlo alle prese con "Nina ti te ricordi"? DE
GREGORI SCEGLIE IL FOLK CON LA MARINI)
|
O
Venezia che sei la più bella
E
te di Mantova che sei la più forte
Gira
l’acqua d’intorno alle porte
Sarà
difficile poterti pigliar
O
Venezia ti vuoi maritare
Ma
per marito ti daremo Ancona
E
per dote le chiavi di Roma
E
per anello le onde del mar
Un
bel giorno entrando in Venezia
Vedevo
il sangue scorreva per terra
E
i feriti sul campo di guerra
E
tutto il popolo gridava pietà
|
Sempre dal repertorio di Giovanna
Daffini questa canzone, ricca di echi e suggestioni Verdiane, narra
dell’insurrezione di Venezia del 1848 e della repressione Austriaca
dell’anno successivo. L’ultima strofa, delicata e misteriosa, di rara
intensità poetica, sembra in qualche modo evocare il sogno dell’Unità
d’Italia.
|
|
Il
ventidue d'agosto
a
Boston in America
Sacco
e Vanzetti
sopra
la sedia elettrica
e
con un colpo di
elettricità
all'altro
mondo
li
vollero mandar.
Circa
le undici e mezzo
giudici
e la gran corte
entran
poi tutti quanti
nella
cella della morte
«Sacco
e Vanzetti
state
a sentir
dite
se avete da
raccontar».
Sacco
e Vanzetti
tranquilli
e sereni
«Noi
siamo innocenti
aprite
le galere».
E
Ior risposero «Non
c'è pietà
voi
alla morte dovete
andar».
Entra
poi nella cella
il
bravo confessore
domanda
a tutti e due
la
santa religione.
Sacco
e Vanzetti
con
grande espressione
«Noi
moriremo senza
religion».
E
tutto il mondo intero
reclama
la loro innocenza
ma
il presidente Fuller
non
ebbe più clemenza
«Siano
pure di
qualunque nazion
noi
li uccidiamo con
gran ragion».
«Addio
moglie e figlio
a
te sorella cara.
E
noi per tutti e due
c'è
pronta già la bara.
Addio
amici, in
cuor la fe',
viva
l'Italia
e
abbasso il re.
Addio
amici, in
cuor la fe',
viva
l'Italia e
abbasso il re.
|
Nicola
Sacco (1891-1927) e Bartolomeo Vanzetti (1888-1927) furono due anarchici
italiani che vennero arrestati, processati e giustiziati negli Stati Uniti
negli anni '20, con l'accusa di omicidio di un contabile e di una guardia
di una fabbrica di scarpe. Sulla loro colpevolezza vi furono molti dubbi
già all'epoca del loro processo;non vennero nemmeno assolti dopo che un
altro uomo ammise, nel 1925, la responsabilità di quei crimini.
Sacco,
di origine pugliese, di professione faceva il ciabattino mentre Vanzetti -
che gli amici chiamavano Tumlin, ed era originario di Villafalletto, Cuneo
- gestiva una rivendita di pesci. Furono giustiziati sulla sedia elettrica
a Dedham, Massachusetts, il 23 agosto 1927.
Arrivarono
entrambi negli Usa nel 1908, senza conoscersi tra loro. Sacco aveva
diciassette anni e Vanzetti venti. Quest'ultimo, al processo, descriverà
così l'esperienza dell'immigrazione: "Al centro immigrazione, ebbi
la prima sorpresa. Gli emigranti venivano smistati come tanti animali. Non
una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello
di dolori che pesa così tanto su chi è appena arrivato in America".
E in seguito scrisse: "Dove potevo andare? Cosa potevo fare? Quella
era la Terra promessa. Il treno della sopraelevata passava sferragliando e
non rispondeva niente. Le automobili e i tram passavano oltre senza badare
a me".
Sacco,
che in Italia era stato calzolaio di professione, trovò lavoro in una
fabbrica di calzature a Milford, nel Massachusetts. Si sposò e andò ad
abitare in una casa con giardino. Ebbe un figlio, Dante, e una figlia,
Ines. Lavorava sei giorni la settimana, dieci ore al giorno. Nonostante ciò,
partecipava attivamente alle manifestazioni operaie dell'epoca, attraverso
le quali i lavoratori chiedevano salari più alti e migliori condizioni di
lavoro. In tali occasioni teneva spesso dei discorsi. A causa di queste
attività venne arrestato nel 1916.
Vanzetti
fece molti lavori, prendeva tutto ciò che gli capitava. Lavorò in varie
trattorie, in una cava, in un'acciaieria e in una fabbrica di cordami, la
Plymouth Cordage Company. Leggeva molto: Marx, Darwin, Hugo, Gorkij,
Tolstoj, Zola e Dante furono tra i suoi autori preferiti. Nel 1916 guidò
uno sciopero contro la Plymouth e per questo motivo nessuno volle più
dargli un lavoro. Si mise quindi in proprio, facendo il pescivendolo.
Fu
in quell'anno che "Nick" e "Bart" si conobbero ed
entrarono entrambi a far parte di un gruppo anarchico italoamericano.
Tutto il collettivo fuggì in Messico per evitare la chiamata alle armi,
non per vigliaccheria ma perché per un anarchico non c'è niente di
peggiore che morire per uno stato.
Nicola
e Bartolomeo tornarono nel Massachussets dopo la guerra, ma non sapevano
di essere inclusi in una lista di sovversivi compilata dal Ministero di
Giustizia, nè di essere pedinate dagli agenti segreti Usa. Nella stessa
lista era incluso anche un amico di Vanzetti, il tipografo Andrea Salsedo.
Questi, il 3 maggio 1920, venne assassinato dalla polizia in un modo che
non può non ricordare la storia di Giuseppe Pinelli: venne buttato dal
quattordicesimo piano di un edificio appartenente al Ministero di
Giustizia. Sacco e Vanzetti organizzarono un comizio per far luce su
questa vicenda, comizio che avrebbe dovuto avere luogo a Brockton il 9
maggio. Purtroppo però i due vennero arrestati prima, e l'imputazione fu
il possesso dei volantini che pubblicizzavano tale iniziativa. Per tale
reato rischiavano fino a un anno di carcere. Nel mentre, però, vennero
accusati del doppio omicidio del contabile e della guardia giurata,
delitto che aveva avuto luogo circa un mese prima.
Alla
base del verdetto di condanna - a parere di molti - vi furono da parte di
polizia, procuratori distrettuali, giudice e giuria pregiudizi e una forte
volontà di perseguire una politica del terrore suggerita dal ministro
della giustizia Palmer e culminata nella vicenda delle deportazioni.
Sotto
questo aspetto, Sacco e Vanzetti venivano considerati due "agnelli
sacrificali" utili per testare la nuova linea di condotta contro gli
avversari del governo. Erano infatti immigrati italiani con una
comprensione imperfetta della lingua inglese (migliore in Vanzetti, che
terrà un famoso discorso, in occasione della lettura del verdetto di
condanna a morte); erano inoltre note le loro idee politiche radicali. Il
giudice Webster Thayer li definì senza mezze parole due anarchici
bastardi.
Si
trattava di un periodo della storia americana caratterizzato da una
intensa paura dei comunisti, la paura rossa del 1917 - 1920. Né Sacco né
Vanzetti avevano avuto precedenti con la giustizia, né si consideravano
comunisti, ma erano conosciuti dalle autorità locali come militanti
radicali che erano stati coinvolti in scioperi, agitazioni politiche e
propaganda contro la guerra.
Sacco
e Vanzetti si ritenevano vittime del pregiudizio sociale e politico.
Vanzetti, in particolare, ebbe a dire rivolgendosi per l'ultima volta al
giudice Thayer: "Io non
augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata
creatura della Terra — io non augurerei a nessuna di queste ciò che io
ho dovuto soffrire per cose di cui io non sono colpevole. Ma la mia
convinzione è che ho sofferto per cose di cui io sono colpevole. Io sto
soffrendo perché io sono un radicale, e davvero io sono un radicale; io
ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano
[...]" (dal discorso di Vanzetti del 19 aprile 1927, a Dedham,
Massachusetts)
Ed
è proprio in questo senso che oggi molti anarchici sostengono che i loro
compagni ingiustamente incarcerati o uccisi non sono affatto innocenti;
sono invece perseguitati perché sono ciò che sono, e dal punto di vista
del potere, sostengono, non vi è alcun errore di giudizio.
Quando
il verdetto di morte fu reso noto, si tenne una manifestazione davanti al
palazzo del governo, a Boston. La manifestazione durò ben dieci giorni,
fino alla data dell'esecuzione. Il corteo attraversò il fiume e le strade
sterrate fino alla prigione di Charlestown. La polizia e la guardia
nazionale li attendevano dinanzi al carcere e sopra le sue mura vi erano
mitragliatrici puntate verso i manifestanti.
Dopo
la morte dei due anarchici, due catafalchi furono eretti nella camera
ardente. Kenneth Whistler vi si recò e spiegò sui catafalchi un enorme
striscione, sul quale era scritta una frase pronunciata dal giudice Thayer,
rivolta a un amico, pochi giorni dopo aver pronunciato la sentenza:
"Hai visto che cosa ho fatto a quei due bastardi anarchici, l’altro
giorno?".
|
THE
BALLAD OF SACCO & VANZETTI (testo di Baez - musica di Morricone)
|
PARTE
1
"Portatemi
i vostri stanchi e i vostri poveri
le vostre masse riunite per respirare libere
i rifiuti scartati delle vostre rive affollate
mandateli, i senzacasa, quelli colpiti da tempesta, da me"
Benedetti siano i perseguitati
e benedetti siano i puri di cuore
benedetti siano i misericordiosi
e benedetti siano i portatori di lutto
Il passo è difficile che strappa le radici
e dice addio ad amici e famiglia
i padri e le madri piangono
i bambini non possono capire
ma quando c'è una terra promessa
i coraggiosi andranno e gli altri seguiranno
la bellezza dello spirito umano
è la volontà di provare i nostri sogni
e così le masse si affollano attraverso l'oceano
in una terra di pace e speranza
ma nessuno udì una voce o vide una luce
e furono sbattuti contro la riva
e nessuno fu accolto dall'eco della frase
"alzo la mia lampada dietro la porta d'oro"
Benedetti siano i perseguitati
e benedetti siano i puri di cuore
benedetti siano i misericordiosi
e benedetti siano i portatori di lutto
|
PARTE
2
Sì
Padre, son carcerato
Non aver paura di parlare del mio reato
Crimine di amare i dimenticati
Solo il silenzio è vergogna.
Ed ora ti dirò cosa abbiamo contro di noi
Un'arte che è stata viva per secoli
Percorri gli anni e troverai
cosa ha imbrattato tutta la storia.
Contro di noi è la legge con la sua immensa forza e potere
Contro di noi è la legge!
La Polizia sa come fare di un uomo un colpevole od un innocente
Contro di noi è il potere della Polizia!
Le menzogne senza vergogna dette da alcuni uomini
saranno sempre ripagate in denari.
Contro di noi è il potere del denaro
Contro di noi è l'odio razziale ed il semplice fatto
Che siamo poveri.
Mio caro padre, son carcerato
Non vergognarti di divulgare il mio reato
Crimine d'amore e fratellanza
E solo il silenzio è vergogna.
Con me ho il mio amore, la mia innocenza, i lavoratori ed i poveri
Per tutto questo sono integro, forte e pieno di speranze.
Ribellione, rivoluzione non han bisogno di dollari,
Ma di immaginazione, sofferenza, luce ed amore e rispetto
Per ogni essere umano.
Non rubare mai, non uccidere mai, sei parte della forza e della vita
La Rivoluzione si tramanda da uomo ad uomo e da cuore a cuore
E percepisco quando guardo le stelle che siamo figli della vita
... La morte è poca cosa.
|
PARTE
3
Figlio
mio, invece di piangere sii forte
sii coraggioso e conforta tua madre
non piangere perché le lacrime sono sprecate
non lasciare che anche gli anni siano sprecati
Perdonami figlio, per questa morte ingiusta
che ti porta via tuo padre
perdona tutti coloro che sono miei amici
io sono con te, quindi non piangere
Se tua madre cerca di essere distratta
dalla tristezza e dalla depressione
portala a camminare
lungo la campagna tranquilla
e riposa sotto l'ombra degli alberi
dove qua e là raccogli fiori
oltre la musica e l'acqua
è la pace della natura
che lei apprezzerà molto
e sicuramente anche tu l'apprezzerai
ma figlio, devi ricordarti
non agire tutto da solo
ma abbassati solo un passo
per aiutare i deboli al tuo fianco
Perdonami figlio, per questa morte ingiusta
che ti porta via tuo padre
perdona tutti coloro che sono miei amici
io sono con te, quindi non piangere
I più deboli che piangono per un aiuto
il perseguitato e la vittima
sono tuoi amici
e compagni nella lotta
e sì, qualche volta cadono
proprio come tuo padre
sì, tuo padre e Bartolo
sono caduti
e ieri combatterono e caddero
ma nella ricerca di gioia e libertà
e nella lotta di questa vita troverai
che c'è amore e a volte di più
sì, nella lotta troverai
che puoi amare e anche essere amato
Perdona tutti coloro che sono miei amici
io sono con te, ti prego non piangere
|
HERE'S
TO YOU
(joanBaez / Ennio Morricone) |
Here's
to you Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph! |
Vi
rendo omaggio Nicola e Bart
Per sempre restino qui nei nostri cuori
Il vostro estremo e finale momento
Quell'agonia è il vostro trionfo! |
La memoria in musica. Giovanna Marini si racconta
Giovanna Marini è nata a Roma nel 1937 da una famiglia di musicisti. Studia
composizione con i maestri Ferdinandi e Pinelli. Nel 1959 consegue il diploma di
chitarra classica presso il Conservatorio romano di Santa Cecilia, dove impara a
suonare altri strumenti antichi. Studia anche musica medioevale e
rinascimentale. Partendo da una cultura classica, si avvicina in seguito alla
cultura contadina. Compie ricerche etnografiche, trascrive e suona i canti
popolari delle varie regioni d’Italia facendosi portavoce del canto sociale
insieme ad altri musicisti del Nuovo canzoniere italiano. Nel 1975 fonda insieme
ad altri musicisti la Scuola popolare di musica di Testaccio a Roma. Impossibile
dar conto di tutte le sue incisioni. Ricordiamo le ultime due: Il fischio del
vapore con Francesco De Gregori (2001), Buongiorno e buonasera (2002).
Vorrei partire dagli albori della sua carriera. Per quale motivo decise di
approfondire lo studio della musica trobadorica?
Accadde per caso, nel 1958 quando mi trovavo a Siena all’Accademia Chigiana a
seguire i corsi di Andres Segovia. Al piano superiore, mi ricordo, c’era il
maestro Pujol: un magnifico insegnante di liuto e musica trobadorica che
insegnava le tablature, un antico modo di scrivere utilizzato anche dagli Aedi.
Ero molto interessata allo studio del Liuto e degli strumenti a corde. Per
questo motivo decisi di seguire, ma solo da uditrice, quelle lezioni.
Nei primi anni Sessanta portò i canti popolari e di lavoro al Folkstudio di
Roma. Come vennero accolti?
Riproposi i canti popolari e di lavoro insieme a Maria Teresa Bulciolu, anche se
in quel periodo non eravamo le sole. C’erano altri come Otello Prefazio e
questo tipo di musica era accolta molto bene. Personalmente ho amato molto il
canto popolare americano, per esempio i classici di Woody Guthrie. Poi ho
cominciato ad apprezzare anche quelli italiani.
Dopo i primi dischi entra, a far parte del Nuovo canzoniere italiano, cosa
ricorda volentieri di quel periodo?
Ne entrai a far parte nel 1963, cosa ricordo più volentieri? Beh, la vita di
allora era molto eccitante e avventurosa, ma la cosa più bella sono sempre
stati i viaggi, in macchina o in treno, questi viaggi lunghissimi con Michele
Straniero grande intellettuale, grande ricercatore e poeta che era una fonte
inesauribile di conoscenza, un ragazzo coltissimo seppur giovane. Ricordo quei
momenti quando si parlava per ore, si stava insieme e le riunioni duravano fino
alle tre, le quattro del mattino dentro la cascina di Piadana, la cascina dei
cantori di Piadana. Sono ricordi straordinari che non passeranno mai, anche le
camminate fatte per raggiungere i luoghi dove dovevamo cantare che tante volte
non erano raggiungibili in macchina e talvolta perdevamo l’ultimo trenino.
Ricordo una sera che facemmo quasi dieci chilometri a piedi con Ivan Della Mea
in testa che ci guidava raccontando cose divertentissime prima dello spettacolo
di Spoleto. C’era uno stare insieme che non si è più ripetuto, forse si
ripete adesso con i miei allievi, ma senza quel senso di urgenza che avevamo
noi. A quel tempo c’era proprio un senso di necessità di queste cose. Adesso
c’è meno urgenza e forse più saggezza nella riflessione, ma allo stesso modo
c’è uno spirito di grande unione fra le persone che amo moltissimo: un corpo
unico nella diversità delle persone.
Lei ha vissuto un periodo negli Stati Uniti e subito dopo il 1966 ha composto
“Vi parlo dell’America”. Com’era l’America di quegli anni?
Era terribilmente somigliante all’Italia di adesso e questo mi fa molta
impressione. Quella America dove non si poteva andare a piedi, senza macchina,
perché si rischiava di essere aggrediti, dove tutti facevano una vita molto
uniforme, molto uguale. Noi eravamo favoriti perché abitavamo a Cambridge,
città universitaria di Haward e Mit, mentre chi viveva nella città vecchia non
poteva girare di notte. Un’altra somiglianza con la nostra Italia erano le
scuole pubbliche, costruzioni prefabbricate, fatte apposta per non fare arrivare
i loro ragazzi all’Università perché all’Università dovevano andarci solo
quelli della scuola privata o in qualche rarissimo caso qualcuno della scuola
pubblica che riusciva a prendere la borsa di studio. Proprio come stanno
cercando di fare adesso qui da noi, in Italia.
Quando lei era in America, ci fu l’assassinio di J. F. Kennedy. Come
reagirono gli studenti e gli intellettuali?
C’era un lutto profondo, perché Kennedy era amatissimo dalla maggioranza
degli studenti e da tutti gli intellettuali. Il presidente aveva dato una grande
spinta innovativa e una speranza di cambiamento radicale alla società
americana. I giovani si fidavano di lui. Fu un duro colpo il suo assassinio.
E gli anni della guerra in Vietnam?
La protesta contro quel conflitto fu folgorante. Pensi che l’America era un
paese dove non si poteva scioperare, non era permesso fare marce di protesta.
Infatti, eravamo tutti costantemente spintonati dalla polizia e portati via. La
protesta coinvolse larghi strati di società civile: moltissimi intellettuali e
docenti persero il posto di lavoro solo per il fatto di essersi opposti all’atteggiamento
guerrafondaio e imperialista dello Stato americano.
Insomma, era un’America piena di conflitti?
Sicuramente un’America con molti conflitti che assomigliava terribilmente all’Italia
di adesso. Immense zone commerciali dove tutti dovevano comprare. Mi ricordo
questo incubo: comprate, comprate! Come vede, l’Italia aziendalistica di oggi
non ha fatto altro che copiare il modello statunitense.
Perché ha deciso di tornare in Italia?
Dopo due anni e mezzo siamo tornati in Italia, perché non era possibile
restare: non c’era assistenza sanitaria, i bambini dovevano per forza andare
alla scuola pubblica dove sapevamo che non gli avrebbero insegnato niente.
Portarli alla privata non era possibile, perché mio marito prendeva lo
stipendio del Cnr italiano che non era assolutamente sufficiente per vivere in
America.
Come vede gli Stati Uniti di oggi?
Li vedo male, li vedo malissimo perché sono in mano a Bush e ai signori della
guerra. Ritengo la rielezione di questo volgare guerrafondaio una tragedia per l’umanità.
Peccato, perché l’America è un grande paese. Mi ricordo ancora quando
giravamo col pullman insieme ai bambini e vedevamo queste zone bellissime.
Vedevo la gente che lavorava i campi e dicevo “mamma mia, questo è un grande
paese, potrebbe essere un paese straordinario, ha proprio una grande anima”.
Pensavo alla storia di ribellione dei neri, a Malcom X, a Martin Luther King.
“I treni per Reggio Calabria” del 1975 è una delle sue ballate più
note. Cosa prova, quando canta trent’anni dopo “Il treno era pieno di
bandiere rosse”?
Sono molto sensibile a quel verso. Lo canto spesso in luoghi dove so che non è
gradito: voglio vedere la reazione del pubblico. Ma siccome quello è un pezzo
di bravura, perché bisogna ricordarsi tutte quelle parole e dirle tutte quante
in modo comprensibile mantenendo un ritmo da talking blues. La gente rimane
colpita da questo e applaude lo stesso. Quanto a me, provo una grande nostalgia:
sembrava che fosse dato per scontato che ci sarebbero sempre state le bandiere
rosse.
Le bandiere rosse non sono scomparse del tutto…
E’ vero, non sono scomparse del tutto. Però si sono stinte in rosa e
talvolta, nemmeno troppo di rado, trovo difficoltà a focalizzare il rosso. E’
un pasticcio, una mistura di colori senza identità. La mia bandiera resta
rossa.
Lei incise in Francia nel 1984 “Pour Pier Paolo”. E in Italia “Partenze”
nel 1995. Cosa rappresentava e cosa rappresenta oggi Pasolini per la nostra
cultura?
Spero che per la nostra cultura – ma non ne sono sicura – rappresenti quello
che rappresenta per la Francia e per la Germania. In quei due paesi europei,
Pasolini è considerato un grandissimo: come poeta, filosofo, pensatore, uomo di
cinema, come genio multiforme, grande insegnante e docente. Io, quando canto
quei pezzi di Pasolini ho sempre una grandissima commozione. Li ho cantati in
Belgio recentemente e hanno riscosso un grande successo. Spero di poterlo
cantare anche in Italia, come ho già fatto nel passato con De Gregori.
Ha citato De Gregori. In “Il fischio del vapore”, nel brano “Sento il
fischio del vapore” si parla di solidarietà di classe, coscienza politica ed
emancipazione femminile. Secondo lei sono concetti ancora attuali?
Non so se siano concetti attuali nel senso che la gente ne parla o cerca di
viverli, ma ce n’è bisogno. Sono attuali perché se ne sente la mancanza.
Probabilmente, per i nostri politici è ingombrante parlare di coscienza di
classe: magari hanno paura di scontentare una parte di borghesia alleata o
qualche banchiere progressista. C’è però a mio avviso bisogno di
solidarietà. Nessuno può pensare di fare per sé, nessuno deve pensare che
aiutare gli altri sia una perdita di tempo. Lo stare bene è un diritto di
tutti, non è possibile continuare a vivere con questa corsa del privato, del
singolo, perdendo completamente di vista la società e lo stare insieme.
Alcune canzoni di quel Cd provengono dal repertorio di Giovanna Daffini. Chi
era questa straordinaria mondina cantastorie?
Era una donna molto intelligente, simpaticissima e affettuosa, una mondina
emiliana morta nel 1969, all’età di 54 anni. Aveva fatto la cantastorie col
padre e quando fu consapevole del valore dei canti che aveva imparato nella
monda li ha insegnati, spiegati e divulgati. Giovanna aveva una voce con il
vibrato, quasi da operetta, dall’imposto vocale classico della cantastorie.
Ne “Il tragico naufragio della nave Sirio” concorda che ci sia una
similitudine drammatica con la situazione attuale dove le bagnarole affondano?
Questo è proprio il motivo per cui noi la cantiamo, perché la nave Sirio era
una bagnarola piena di disperati alla ricerca di una nuova vita. Insomma, è un
racconto terribilmente attuale. Ivano Malcotti
|
|
Saluteremo
il signor padrone
Per
il male che ci ha fatto
Che
ci ha sempre maltrattato
Fino
all’ultimo momen’
Saluteremo
il signor padrone
Per
la sua risera neta
Pochi
soldi in la casseta
Ed
i debiti a pagar
Macchinista
macchinista faccia sporca
Metti
l’olio nei stantuffi
Di
risaia siamo stufi
Di
risaia siamo stufi
Macchinista
macchinista faccia sporca
Metti
l’olio nei stantuffi
Di
risaia siamo stufi
A
casa nostra vogliamo andar
Con
un piede con un piede sulla staffa
E
quell’altro sul vagone
Ti
saluto cappellone
Ti
saluto cappellone
Con
un piede con un piede sulla staffa
E
quell’altro sul vagone
Ti
saluto cappellone
|
Il lavoro delle mondine era massacrante:
lontane da casa, sottoposte a turni disumani in condizioni ambientali spesso
proibitive, ricevevano una paga irrisoria ed erano alla mercé del proprietario
della risaia, padrone assoluto delle loro esistenze. La fine del periodo di
lavoro era per loro un vero e proprio ritorno alla vita. Il “cappellone” cui
si allude nei versi finali di questa canzone è probabilmente il largo cappello
di paglia che le mondine usavano per proteggersi dal sole e che può finalmente
essere abbandonato al momento di tornare a casa
|
|
Andavano
col treno giù nel meridione
per
fare una grande manifestazione
il
ventidue d'ottobre del settantadue
in
curva il treno che pareva un balcone
quei
balconi con la coperta per la processione
il
treno era coperto di bandiere rosse
slogans,
cartelli e scritte a mano
da
Roma Ostiense mille e duecento operai
vecchi,
giovani e donne
con
i bastoni e le bandierearrotolati
portati
tutti a mazzo sulle spalle
Il
treno parte e pare un incrociatore
tutti
cantano bandiera rossa
dopo
venti minuti che siamo in cammino
si
ferma e non vuole più partire
si
parla di una bomba sulla ferrovia
il
treno torna alla stazione
tutti
corrono coi megafoni in mano
richiamano
"andiamo via Cassino
compagni
da qui a Reggio è tutto un campo minato,
chi
vuole si rimetta in cammino"
dopo
un'ora quel treno che pareva un balcone
ha
ripreso la sua processione
anche
a Cassino la linea è saltata
siamo
tutti attaccati al finestrino
Roma
ostiense Cisterna Roma termini Cassino
adesso
siamo a Roma tiburtino
Il
treno di Bologna è saltato a Priverno
è
una notte una notte d'inferno
i
feriti tutti sono ripartiti
caricati
sopra un altro treno
funzionari
responsabili sindacalisti
sdraiati
sulle reti dei bagagli
per
scrutare meglio la massicciata
si
sono tutti addormentati
dormono
dormono profondamente
sopra
le bombe non sentono più niente
l'importante
adesso è di essere partiti
ma
i giovani hanno gli occhi spalancati
vanno
in giro tutti eccitati
mentre
i vecchi sono stremati
dormono
dormono profondamente
sopra
le bombe non sentono più niente
famiglie
intere a tre generazioni
son
venute tutte insieme da Torino
vanno
dai parenti fanno una dimostrazione
dal
treno non è sceso nessuno
la
vecchia e la figlia alle rifiniture
il
marito alla verniciatura
la
figlia della figlia alle tappezzerie
stanno
in viaggio ormai da più di venti ore
aspettano
seduti sereni e contenti
sopra
le bombe non gliene importa niente
aspettano
che è tutta una vita
che
stanno ad aspettare
per
un certificato mattinate intere
anni
e anni per due soldi di pensione
erano
venti treni più forti del tritolo
guardare
quelle facce bastava solo
con
la notte le stelle e con la luna
i
binari stanno luccicanti
mai
guardati con tanta attenzione
e
camminato sulle traversine
mai
individuata una regione
dai
sassi della massicciata
dalle
chine di erba sulla vallata
dai
buchi che fanno entrare il mare
piano
piano a passo d'uomo
pareva
che il treno si facesse portare
tirato
per le briglie come un cavallo
tirato
dal suo padrone
a
Napoli la galleria illuminata
bassa
e sfasciata con la fermata
il
treno che pareva un balcone
qualcuno
vuol salire attenzione
non
fate salire nessuno
può
essere una provocazione
si
sporgono coi megafoni in mano
e
un piede sullo scalino
e
gridano gridano quello che hanno in mente
solo
comizi la gente sente
ora
passa la notte e con la luce
la
ferrovia è tutta popolata
contadini
e pastori che l'hanno sorvegliata
col
gregge sparpagliato
la
Calabria ci passa sotto i piedi ci passa
dal
tetto di una casa una signora grassa
fa
le corna e alza una mano
e
un gruppo di bambini ci guardano passare
e
fanno il saluto romano
Ormai
siamo a Reggio e la stazione
è
tutta nera di gente
domani
chiuso tutto in segno di lutto
ha
detto Ciccio Franco "a sbarre"
e
alla mattina c'era la paura
e
il corteo non riusciva a partire
ma
gli operai di Reggio sono andati in testa
e
il corteo si è mosso improvvisamente
è
partito a punta come un grosso serpente
con
la testa corazzata
i
cartelli schierati lateralmente
l'avevano
tutto fasciato
volavano
sassi e provocazioni
ma
nessuno s'è neppure voltato
gli
operai dell'Emilia-Romagna
guardavano
con occhi stupiti
i
metalmeccanici di Torino e Milano
puntavano
in avanti tenendosi per mano
le
voci rompevano il silenzio
e
nelle pause si sentiva il mare
il
silenzio di qulli fermi
che stavano a guardare
e
ogni tanto dalle vie laerali
si
vedevano sassi volare
e
alla sera Reggio era trasformata
pareva
una giornata di mercato
quanti
abbracci e quanta commozione
il
nord è arrivato nel meridione
e
alla sera Reggio era trasformata
pareva
una giornata di mercato
quanti
abbracci e quanta commozione
gli
operai hanno dato una dimostrazione
|
La
rivolta inizia con la designazione di Catanzaro a capoluogo della regione
nel luglio '70, subito dopo le (prime) elezioni regionali del 7 giugno
1970. E' un pretesto. Dietro c'è tutta la frustrazione del sud emarginato
e oppresso da mafia, clientele e disoccupazione.
La
lotta appare da subito molto dura.
Dalla sinistra Lotta
Continua pensa di volere "starci dentro" e fonderà un giornale
nel 1971 a sostegno delle rivolte nel meridione (Mo' che il tempo si
avvicina). Anche vari gruppi anarchici vedono nella rivolta una possibilità
"rivoluzionaria".
L'internazionale
situazionista scriverà: “Il 18 ottobre i comunisti di Reggio ammettono
soltanto di “avere perso il treno”, mentre in realtà hanno perso
anche i ferrovieri”. E altri anarchici: “Presto verrà che le bandiere
rosse saranno issate dal popolo di Reggio sui quartieri in lotta. E allora
cosa diranno i filistei che hanno volutamente confuso il terrorismo
fascista con la ribellione di un popolo sfruttato? Dovranno nascondersi
davanti ai lavoratori che li hanno ascoltati non sapendo la vera
situazione che si è creata a Reggio Calabria!”.
Scriverà
il gruppo anarchico milanese Kronstadt: “Assurdo è però vedere in
questa lotta l’espressione più alta dello scontro di classe in Italia
solo per la sua violenza come sembrano fare i compagni di Lotta Continua
che sono arrivati a definire Reggio “capitale del proletariato”.
La
violenza della lotta non basta a qualificarla come rivoluzionaria ma unico
elemento di giudizio valido è il rapporto in cui si pone per forme e
contenuti rispetto alla crescita della lotta di classe e quindi la sua
capacità di generalizzarsi e di essere fatta propria da tutta la
classe.”
Quando
Adriano Sofri, allora leader di Lotta Continua, giunge a Reggio per
convincere alcuni gruppi extraparlamentari e gli anarchici ad inserirsi
nella rivolta per poi pilotarla a sinistra, Casile, Scordo e il gruppo
anarchico rifiutarono. Si concentreranno su un'inchiesta
"fotografica", che documenta la presenza di Delle Chiaie, Rauti
e Borghese e dei loro attivisti nella rivolta. Finiranno uccisi in uno
strano incidente stradale (vd. oltre). Queste le parole scritte in un
volantino dall'anarchico Casile: "Padroni bastardi, del capoluogo non
sappiamo che farcene! Il capoluogo va bene per i burocrati, gli
speculatori, i parassiti, i padroni e i politicanti più grossi; va bene
per le manovre dei caporioni locali, per il sindaco Battaglia e per i
caporioni falliti. Va bene per il tentativo di questi “uomini
importanti” di accrescere il loro potere locale, la loro area di
sfruttamento, facendoci sfogare anni di malcontento con la falsa lotta per
il capoluogo, dopo che hanno mandato i nostri figli e i nostri fratelli a
lavorare all’estero e continuano a sfruttarci nella stessa Reggio I
cosiddetti “datori di lavoro”, che in realtà sono luridi padroni,
sono i nostri nemici, quegli stessi che ci mandano allo sbaraglio per il
capoluogo, per la Madonna o per la squadra di calcio. Il capoluogo non ci
serve! Lottiamo per farla finita con l’emigrazione, con la
disoccupazione, con la fame!"
In
sostanza ad appoggiare la "rivolta proletaria" furono, in vario
modo, Lotta Continua, il Movimento Studentesco milanese, Servire il
Popolo, il PCd'I e una parte degli anarchici.
La presenza
dell'estrema sinistra nei moti sarà comunque marginale. Ma i moti di
Reggio serviranno a Lotta Continua per individuare nel sud (nella mafia,
nella disoccupazione) alcuni temi centrali di intervento.
Da
destra è Ciccio Franco (inizialmente in contrasto col partito) a voler
cavalcare la rivolta. Ma ci sono anche i gruppi extraparlamentari di
estrema destra (Avanguardia Nazionale, Fronte Nazionale). Cosi' come c'è
il sindaco di Reggio, Piero Battaglia, democristiano.
Già
dal 1969 opera un "Comitato di agitazione per la difesa degli
interessi di Reggio" che unisce amministratori locali di vari partiti
(soprattutto Dc, Pri, Pli e Msi).
La rivolta e i comitati clandestini di Ciccio Franco vengono finanziati da
alcuni industriali reggini: da Mauro (quello del caffè) all'armatore
Amedeo Matacena. I due industriali sono stati poi accusati da pentiti di
mafia per la strage di Gioia Tauro e per le operazioni bombarole del '70,
attuate dalla 'ndrangheta, tramite Ciccio Franco.
L'15
luglio 1970 la polizia carica e uccide l'operaio Bruno Labate, iscritto
Cgil. A guida della polizia c'è il questore Emilio Santillo.
A
settembre scoppia la seconda ondata di manifestazioni. E i "boia chi
molla" diventano sempre più egemoni. Il 7 settembre a Reggio
Calabria scoppia la dinamite in 4 luoghi. Altre bombe sui treni il 9
settembre. Il 15 vengono incendiate la sede del Psi e l’esattoria
comunale. Il 17 settembre ci sono scontri tra fascisti e polizia, che si
concludono con un morto (probabilmente estraneo ai moti): Angelo
Campanella. Otto manifestanti rimangono feriti e Ciccio Franco viene
arrestato. Con lui vengono arrestati altri rivoltosi, tra cui l’ex
comandante partigiano Alfredo Perna. Ciccio Franco verrà processato e
condannato a lievi pene.
Il
26 settembre 1970 sera cinque giovani anarchici (Gianni Aricò, Angelo
Casile e Franco Scordo di Reggio Calabria, Luigi Lo Celso di Cosenza ed
Annalise Borth, la giovanissima moglie tedesca di Aricò) trovano la morte
in un drammatico incidente nel tratto autostradale fra Ferentino ed Anagni,
alle porte di Roma. L'incidente è causato dall'improvvisa manovra di un
camion che taglia la strada alla Mini Minor dei compagni in corsia di
sorpasso: manovra che nella sua dinamica non riesce a trovare alcuna
logica spiegazione. Nonostante le evidenti stranezze e incongruenze subito
rilevate dalla Stradale e la drammaticità di un incidente che vede morire
sul colpo ben quattro persone ("Muki" Borth morirà in un
ospedale romano dopo venti giorni di coma profondo), le indagini vengono
prontamente insabbiate per poi essere archiviate. Sulla morte dei 5
anarchici è uscito un libro nel 2001: Cinque anarchici del sud. Una
storia negata, Città del Sole Edizioni. Il camion è guidato da due
dipendenti del principe nero Junio Valerio Borghese, il fascista al centro
di tutte le trame nere di quegli anni, che di li' a poco metterà in piedi
un golpe evitato di un soffio. Il 30 settembre 1970 il Ministro degli
interni Restivo annuncia che dal 14 luglio al 23 settembre a Reggio
Calabria ci sono stati tredici attentati dinamitardi, sei assalti alla
prefettura, quattro alla questura.
Il
23 dicembre Eugenio Castellani, Ciccio Franco, Alfredo Perna e Giuseppe
Lupis ottengono la libertà provvisoria, mentre rimangono latitanti
Antonio Dieni e Angelo Calafiore. Si costituiranno in gennaio e saranno
rilasciati dopo alcuni giorni.
Il
16 gennaio 1971 muore a Messina l'agente di Pubblica Sicurezza Antonio
Bellotti, 19 anni, due giorni prima raggiunto da una sassata mentre con il
I Reparto Celere di Padova abbandonava Reggio in treno. Il 4 febbraio del
1971 viene lanciata una bomba contro la folla, dopo una manifestazione
antifascista a Catanzaro. L’operaio socialista Giuseppe Malacaria rimane
ucciso dall’esplosione che provoca anche il ferimento di altre sette
persone.
Il
16 febbraio 1971 Catanzaro viene proclamato capoluogo regionale e Reggio
Calabria sede del consiglio regionale. A Reggio ricomincia la protesta.
Il
23 febbraio 1971 la polizia espugna il quartiere di Sbarre. Nel
marzo del 1971 la rivolta di Reggio è definitivamente sedata. Nel
1971 Ciccio Franco collabora a Avanguardia.
Ciccio
Franco diviene, sull'onda della rivolta, parlamentare del MSI nel 1972. E'
eletto senatore e il MSI a Catanzaro, con Ciccio Franco capolista, ottiene
il 36,2%.
Ancora
nel 1992 Fini dichiarava: «È più che mai attuale il “Boia chi
molla” di Ciccio Franco».
Tra
i protagonisti della rivolta di Reggio ci sono Fortunato Aloi (missino,
poi parlamentare di AN), il
marchese Felice Genoese Zerbi, massone e
missino. Fortunato (Natino) Aloi dirà 30 anni dopo: "Io ci sono
stato dentro, sono stato addirittura alla testa di quel corteo che ha
innescato la rivolta il 14 luglio del '70: siamo partiti in pochi dal
rione di santa Caterina ma a piazza Italia ci siamo arrivati in
trentamila".
Il
bilancio finale è di 2 morti, 230 feriti, 300 arresti, tredici attentati
dinamitardi, trentadue blocchi di strade porti e aeroporti, sei assalti
alle prefetture, quattro alla questure, sei attentati sui treni. Secondo
altri dati il bilancio è di cinque morti, dieci mutilati e invalidi
permanenti, oltre cinquecento feriti tra le forze dell’ordine e un
migliaio tra i civili. Milleduecentotrentuno persone denunciate per
duemila reati complessivi. Solo nel periodo luglio- settembre 1970 ci
furono diciannove scioperi generali, dodici attentati dinamitardi,
trentadue blocchi stradali, quattordici occupazioni delle stazioni, due
della posta, una dell’aeroporto, quattro assalti alla prefettura e
quattro alla questura. I danni economici alla città, paralizzata per
molti mesi in quasi tutte le sue attività, furono dell’ordine di
diverse decine di miliardi di lire.
|
Catania - "Seduto ad un
caffé, io sto pensando a
te...". No, questa non è una canzone di De Gregori e neanche di Battiato.
Ma cosa starà pensando De Gregori seduto al bar? Forse che è "solo come
un cane per le strade di Roma senza neanche un amico per bere un caffè"?
Ma qui, sul set di Battiato, di gente ce n'è tanta. E i caffè vengono
distribuiti in continuazione. Comparse, amici sbirciano Francesco che, dopo
l'uscita del suo disco "Il fischio del vapore" a due voci con Giovanna
Marini, debutta come attore, proprio qui a Catania con Battiato come regista.
Chi l'avrebbe detto! (…) Francesco, dimmi di questa strana idea di fare
l'attore. "Io amo il cinema da dilettante. Amo i film vecchi e i nuovi. Più
quelli vecchi, per la verità. E avevo da sempre la curiosità di vedere
dall'altra parte che succede". Non eri mai stato su un set? "No. E
quindi ho colto l'occasione che Battiato faceva questo film e, siccome ci
sentiamo ogni tanto, anche un po' provocatoriamente scherzando, gli ho detto
"E dai, fammi fare una particina, fammi fare una particina".
Gliel'ho
chiesto io. Battiato è stato così ottimista sulle mie possibilità di fare la
particina...". (…) Come pensi che la prenderanno i tuoi fan? "Come
l'ho presa io, divertendosi". In questi ultimi anni sono tanti i cantanti
che si sono cimentati nel cinema come registi o come interpreti: da Ligabue a
Guccini, a Paolo Conte e Gino Paoli. "Sì ma la mia è proprio una
particina" Un film tuo non lo faresti? "Ma stai scherzando?!".
(…) Mi hai già detto che Catania ti piace. Non è che stai pensando di
comprarti una casa sull'Etna come Battiato e Dalla? "Mi colpisce la
piacevolezza e la vitalità di questa città. Una casa, no! Non è che posso
dividermi la vita fra tante case. Però è bello tornare. Stavolta sono qui per
lavoro - si fa per dire - altre volte spero di venire come turista". (AVEVO VOGLIA DI PROVARE - LA
SICILIA 24.11.2002 - MARIA LOMBARDO)
De Gregori e Giovanna Marini - "Il fischio del
vapore" in uscita il 15 novembre 2002 - La Sicilia, 9.11.2002 – Maria Lonbardo
Una nuova creatura, figlia delle emozioni e della
sensibilità civile nel momento che attraversiamo, volta alla memoria o
meglio alla vitalità della memoria s'affaccia sul mercato discografico.
E' "Il fischio del vapore" di Francesco De Gregori e Giovanna
Marini.
"Questo disco è nato perchè Francesco è
venuto a propormi di farlo - esordisce Giovanna Marini nell'intervista
duplice - mi ha lasciata un po' stupita. Ho sentito poi che era una specie
di necessità. Sono canzoni molto belle che ci stavano nel cuore ad
entrambi. Cantare a due voci ci è sempre piaciuto. Francesco è molto
intonato e fa delle terze magnifiche. Sentire di fare le terze così bene
con Francesco come le abbiamo fatte ne "L'abbigliamento del
fuochista" mi ha fatto molto piacere e infatti nel disco cantiamo
quasi sempre tutti e due per terze in questa polifonia elementare ma che
ci ha dato molta soddisfazione".
Naturalmente la melodia che tira viene cantata un po'
dall'una un po' dall'altro. Ma l'affiatamento è scontato, la sintonia sul
piano dei valori civili e democratici è la condizione preliminare.
- Giovanna Marini, perchè "Bella ciao delle
mondine"?
"Non l'avevo mai incisa. L'aveva incisa Giovanna
Daffini che era una mondina di Reggio Emilia. E' lei che ha insegnato
negli anni Sessanta a me ed a tutto il gruppo del Nuovo Canzoniere
Italiano i canti della monda. Ho avuto piacere di inciderla adesso in
questo disco con Francesco".
- Signora Marini. Un'Italia semplice, di sentimenti
più elementari, più genuini di quelli che presentano l'Italia e il mondo
di oggi, di passioni civili. C'è anche un po' di nostalgia?
"Direi che i sentimenti che si presentano non
sono tanto semplici, sono più semplici le parole. Però l'emigrazione è
sempre quella, anzi si è rovesciata. Adesso c'è gente che arriva da noi
con barche che fanno naufragio. Prima eravamo noi. Ma erano sempre
sentimenti terribili, da apocalisse. Mi sembra appunto che le parole con
cui venivano espresse tragedie come la morte di Sacco e Vanzetti siano
serene, di grandissima dignità. Anche oggi c'è gente che riesce a morire
con grandissima dignità e c'era ieri durante la Resistenza. E questo,
raccontato in un disco, a me pare cosa bella, deve nutrire i ragazzi
giovani: deve dare loro idee ed emozioni".
- Francesco De Gregori: "Bella ciao" quest'anno
è stata riportata nelle piazze e persino in Parlamento. E' ancora tempo
di resistenza, dunque?
"Il fatto che venga riportata nelle piazze e in
Parlamento ne dimostra la vitalità: se nel 2002 questo canto risulta
ancora utile, vuol dire che ha un'innervatura formidabile. Vuol dire anche
che è un bel canto, che ha un valore artistico assoluto il quale gli
consente di attraversare i decenni, mentre sul piano narrativo continua ad
essere attuale. Giovanna canta la versione delle mondine, precedente alla
più nota. E' stata una scelta forse un po' "colta" ma ci
sembrava giusto far sentire alla gente una versione meno nota ma non meno
bella né meno politica: c'è quel verso straordinario che dice "Ma
verrà un giorno in cui lavoreremo in libertà". Ragazzi, questa è
un'affermazione pesantissima politicamente perchè ancora oggi nel mondo,
e anche in Italia, non è che si lavori sempre in libertà!".
- Francesco Guccini in questi giorni ha detto che la
scelta di riportare nelle scalette dei suoi concerti canzoni degli anni
Sessanta nasce dalla considerazione che oggi sono tornate attuali, in
quanto diritti per i quali si lottava allora e che sembravano
definitivamente acquisiti oggi sono rimessi in discussione.
"Sì, certo. Non so di quali canzoni parlasse
Guccini. Ma è vero che molte canzoni conservano un valore di attualità,
un'ascoltabilità che attraversa il momento della loro uscita, della loro
comparsa".
- In "Titanic" nell'82 c'era Giovanna
Marini a fare da controcanto. Oggi "Titanic" è palesemente
citata nel "Tragico naufragio della nave Sirio".
"E' una mia citazione molto chiara. Però mentre
si parlava del naufragio del "Titanic", io avevo nella testa la
melodia del "Sirio" e l'ho messa dentro a ragion veduta: era
congrua rispetto alla narrazione della canzone. Era un prelievo
innocente".
- De Gregori, i canti popolari oggi, come si diceva
prima, sono una scelta colta.
"Non so cosa succede negli altri paesi. Ieri
sono stato in un grande negozio di dischi qui a Roma. C'era un grande
scaffale dedicato al folk internazionale. E c'erano canzoni popolari
francesi, spagnole, cubane. Nello scaffale del folk italiano il 90 per
cento dei dischi era di canzoni napoletane, in parte di buon livello,
altre di risulta. Mi vien da chiedermi se forse altri Paesi non sappiano
tutelare le loro memorie canzonettistiche meglio di noi. In Italia c'è
stato un drappello di coraggiosi: l'Istituto De Martino, il circolo Gianni
Bosio".
Interviene la Marini: "Ma in Italia però c'è
un fenomeno che all'estero non esiste: i canti sono mantenuti più in vita
nei luoghi in cui nascono. Così in Sardegna, in Umbria, in Sicilia".
- Viceversa siamo noi oggetto di studio come dimostra
il fatto che lei, Giovanna, sia stata chiamata in Francia per insegnare la
tradizione del canto popolare italiano.
"Gli italiani non sanno ancora di avere questo
bendidio sul piano della musica popolare. Vengono studiosi e studenti
francesi a studiare i canti dei paesini sperduti della Calabria mentre uno
studente di Cosenza non sa nulla. I massmedia poi fanno proprio
poco".
- Una delle corde preferite di De Gregori è quella
della tradizione popolare.
"Non nasce dal nulla. C'è dietro un amore e una
conoscenza che porto da sempre dentro".
E per presentare le canzoni de "Il fischio del
vapore" dal vivo è in programma un doppio concerto (9 e 10 dicembre)
a Roma nell'Auditorium - Parco della Musica. Oltre ai motivi del disco,
ciascuno dei due artisti ne eseguirà altri propri. Il 22 novembre esce
anche l'album live della tournée estiva di De Gregori, Ron, Fiorella
Mannoia e Pino Daniele.
Armato di chitarra
Francesco De Gregori parla del suo disco di Canzoni
popolari e di politica. E dei giovani che preferiscono i cortei al Noioso
lavoro di sezione. di Roberto Cotroneo (L’Espresso – novembre 2002)
Ho apprezzato molto quello che ha fatto Nanni
Moretti, per dare un orientamento al popolo di sinistra, che sicuramente
era, ed è demotivato. Ma non mi sembra che la sinistra accolga questo
invito a ricompattarsi e a scegliere un leader credibile. No, forse sta
addirittura peggiorando...
Sono le parole di Francesco De Gregori, che dopo anni
di assoluto silenzio, parla di quest'Italia in cui viviamo e che ha
cantanto molte volte nelle sue canzoni. Complice un nuovo disco, ragiona
sulla destra, su D'Alema, sulla politica italiana, ma racconta anche delle
sue canzoni più famose, della sua amicizia con Fabrizio De André, di
quella volta al Pantheon con Claudio Baglioni...
Insomma, lo schivo De Gregori, ha abbandonato il suo
riserbo, per una volta.
Anche se negli ultimi tempi lo si è ascoltato più
spesso del solito. Non solo nei superconcerti assieme a Pino Daniele, Ron
e Fiorella Mannoia. Ma anche sul palco di San Giovanni a Roma, al
girotondo più grande di tutti, quello da ottocentomila persone. Una
dichiarazione di impegno che non stupisce nessuno, se si guarda la sua
storia politica di questi anni. Ma che, nel modo trasversale e silenzioso
che gli è consueto, tende ad accentuarsi. Basta ascoltare il suo ultimo
lavoro che uscirà il prossimo 16 novembre. Un disco del tutto
particolare, suonato, arrangiato e cantato con Giovanna Marini, figura
carismatica della canzone popolare italiana.
Giovanna e Francesco - così è firmato il disco -
hanno interpretato assieme "Il fischio del vapore": 14 canzoni
della tradizione popolare della sinistra italiana. Prodotto e registrato
in uno studio assai particolare, la casa del cantautore romano. Un disco
filologico, certo, ma anche un segnale politico preciso.
Domanda - Non è così De
Gregori?
Risposta - Non credo a queste cose. Quando fai un
disco devi poi valutare la parte sonora, non devi valutare l'aspetto
culturale o l'aspetto programmatico di quello che fai, se un pezzo suona,
va bene. Il risultato deve essere la musica, quello che ascolti. Non la
politica.
D. - Ma la politica poi c'è però. E' uno dei
risultati. L'impegno insomma.
R. - Ma non è a quello che penso.
D. - Senta, De Gregori, in questo disco avete inciso
canzoni come "I treni per Reggio Calabria", "Lamento per la
morte di Pasolini", "Saluteremo il signor padrone",
"L'attentato a Togliatti", "Sacco e Vanzetti". Non è
solo musica. Come nasce l'idea di fare un disco con Giovanna Marini?
R. - Dall'"Attentato a Togliatti". La
cantavo come bis nei miei concerti. Ma avevo un problema di diritti. A chi
dovevo pagarli? Chiamai Giovanna Marini, che è un'autorità assoluta. E
parlando con lei, ci è venuta l'idea di fare questo disco.
D. - Che in questo momento assume un significato
particolare. In questa nuova Italia movimentista, erano anni che un autore
importante non incideva un disco che ha il sapore degli anni Settanta.
R. - Io non so se ha il sapore degli anni Settanta.
Quello che posso dire è che queste canzoni parlano del popolo. Sa cos'è
secondo me, che può racchiudere tutte le narrazioni di questo disco? Un
discorso sull'innocenza.
Questo disco parla di innocenti. Perchè alla fine
sono innocenti Sacco e Vanzetti, è innocente Pasolini, sono innocenti le
mondine. Che poi innocenti voglia dire essere di sinistra...
D. - Non è un dettaglio da poco.
R. - Certo, capisco che non si può fare un paragone
tra la spedizione in Albania della prima guerra mondiale e il pacifismo di
oggi. Ma una guerra non voluta è pur sempre un discorso attuale. Sarebbe
stato diverso però se noi avessimo messo dentro il disco canzoni come
"Contessa" o "La ballata di Pinelli, canzoni che sono
ancora attuali, ancora è nell'aria.
D. - "Contessa" è ancora nell'aria?
R. - Beh devo dire una cosa. Il '68 mi sembra l'altra
ieri. Eppure sono passati 34 anni. Ma nel '68 non mi sembrava affatto che
la guerra d'Abissinia - di 32 anni prima - fosse l'altro ieri. Eppure gli
anni, la distanza era la stessa.
D. - Perchè è avvenuto questo?
R. - Aveva ragione Pier Paolo Pasolini quando scrisse
"ci hanno distrutto, ci hanno ammazzati", era incazzatissimo.
Vent'anni di fascismo non hanno fatto quello che hanno combinato anche
soltanto cinque anni di consumismo. Eravamo nel '75 quando lui lo disse
forte, proprio in quell'intervista famosa, prima di morire. Il consumismo
ha cancellato le distanze, il senso della storia, ha appiattito ogni cosa.
D. - E' un'affermazione forte.
R. - Ma vera.
D. - Ma a San Giovanni lei era sul palco, alla
manifestazione. Lei è sicuro che questo vuol dire essere distanti dalla
politica?
R. - Io ci sono andato perchè ho letto quella
manifestazione come una protesta contro la legge Cirami. Per la legalità.
Quindi, la mia partecipazione è stata, fondamentalmente, legata a questo.
D. - Tutto qui?
R. - Ma no, io ho la sensazione che la gente voglia
partecipare. Però ho anche una paura: quella che la politica, soprattutto
da parte dei giovani, venga vissuta solo nei momenti delle manifestazioni.
Che venga un po' saltata invece tutta la parte, logicamente più noiosa
della politica, meno appariscente, che è quella che si fa lavorando
semplicemente, iscrivendosi ad un partito. Quello che era la sinistra di
una volta. Insomma, se tutti quelli che portano la bandiera di Che Guevara
fossero anche in grado di capire che la politica si fa e si gioca anche
all'interno dei partiti...
D. - Un De Gregori
dalemiano...
R. - Non lo vedo più da anni, l'ho conosciuto
quindici anni fa. Mi ha dato l'impressione di un uomo timido, che la sua
freddezza nasca non dall'arroganza, ma l'arroganza è quella che lui tira
fuori per nascondere una timidezza di fondo. Dopo di che le giuro che
tutte le diatribe interne al Pds e ai Ds le ho seguite sempre con minore
fascinazione, e con una noia sempre crescente, con una noia spaventosa.
D. - Meglio i movimenti?
R. - Ma, i girotondi... Con la politica io mi sento
abbastanza sprovveduto, se non per quanto riguarda una mia partecipazione
emotiva a concorrere ad un'Italia migliore, a un'Italia più onesta, più
giusta, in cui siano difesi i deboli.
D. - Adesso mi diventa idealista.
R. - Appassionato, semmai. Guardi, aspiro anche a un
paese più chiaro: sono perfettamente cosciente che, al contrario, il governo
non persegue interessi politici, ma persegue interessi di altro tipo,
personali. Vagheggio anche una vera destra, una destra per bene.
D. - Forse quella dovrebbero vagheggiarla quelli di
destra...
R. - Viviamo in una democrazia, per cui bisogna
prevedere l'esistenza di una sinistra e di una destra. Poi, se sei di
sinistra fai il tifo per la sinistra. Come il derby: devi prevedere che ci
sia la Lazio, non puoi pensare che si giochi il derby solo con la Roma.
D. - Si, ma poi sarebbe il caso di vincere 4 a 0...
R. - Purchè la partita sia regolare, che ci sia un
arbitro credibile, e che la Lazio faccia gli interessi della Lazio.
Preferisco non essere governato da una destra, ma se ci deve essere una
destra, che sia una destra.
D. - Meglio i democristiani di una volta?
R. - I democristiani di un tempo avevano il senso
dello Stato. Ma non mi faccia parlare troppo di politica.
D. - Torniamo alla musica, alle sue canzoni. Un
giorno mi ha detto che ci sono delle sue canzoni che non ama.
R. - Ah già, si
D. - Vogliamo stupire i suoi fan?
R. - Può succedere. "La leva calcistica del
'68": è una canzone che in qualche modo io reputo falsa. L'ho
scritta pensando: adesso faccio questa bella parabola del ragazzino del
'68, era molto costruita. Oggi, non la suono più neanche ai concerti.
D. - Canzone amatissima.
R. - Ne vuole un'altra?
D. - Un'altra rivelazione?
R. - Un'altra canzone con cui ho quasi gli stessi
problemi è "La donna cannone". E' una canzone ingombrante.
D. - Mi salvi almeno "Generale". Adesso la
canta anche Vasco Rossi...
R. - Bella, molto bella, mi piace molto
l'interpretazione di Vasco.
D. - Adesso a lei toccherà cantare "Vita
spericolata"
R. - E' la più bella canzone di Vasco, un bel
manifesto di vita.
D. - Non la pensavo così vicino a Vasco. In realtà
De Gregori si associa di più a Fabrizio De André.
R. - Se non c'era De André, non avrei mai cominciato
a scrivere canzoni. Poi riuscimmo perfino a litigare. Alla fine degli anni
Settanta con De André andammo a fare un viaggio in Canada. Mia moglie
Chicca, io, Fabrizio e Dory Ghezzi: che si eramo appena messi insieme. Un
po' come io e Chicca, che ci eravamo appena fidanzati. Sa, questi viaggi
che parti con grande entusiasmo. Poi, in realtà il viaggio, chiaramente,
è una cosa che può provocare grandi scontri, grandi incomprensioni.
D. - Cosa accadde?
R. - Fabrizio soffriva molto di una cosa, che eravamo
in Canada, eravamo a Toronto, e lì si parla inglese. Lui era convinto che
si parlasse francese. Poi io guidavo la macchina, perchè avevo la patente
e lui no. E se bisognava chiedere un'indicazione, una cosa, al ristorante,
per forza di cose la chiedevo io... Questa cosa gli provocò una specie di
ingelosimento. Un giorno tornò in albergo e disse: "Guarda cosa mi
sono comprato". Tira fuori un Winchester con le pallottole. Io dico:
si, ma che ci devi fare, noi dobbiamo viaggiare. Poi lui voleva guidare la
macchina, senza avere la patente. L'avevo noleggiata io, se per caso
andava a sbattere... Insomma, alla fine litigammo. Ci separammo su
un'isola, mandandoci affanculo. Loro rimasero là e io proseguii con
Chicca, prendendomi la macchina. Dopo di che non ci siamo più sentiti,
fino a quando non l'hanno rilasciato, dopo il rapimento. Allora ci siamo
riappacificati.
D. - Ha anche una storia divertente con Claudio
Baglioni...
R. - Quella è una storia ai confini della realtà.
Dopo un pranzo in un ristorante al centro di Roma, ci mettemmo a suonare
sulla piazzetta al Pantheon. Pensammo: adesso succederà un casino.
Speravamo che qualcuno si fermasse, e invece non si fermava nessuno.
Eravamo nel periodo della massima fama, nel 1975. Noi canatavamo le nostre
canzoni e la gente passava come se niente fosse.
D. - De Gregori, parliamo del prossimo disco. Ci sta
già pensando?
R. - No, veramente no, perchè adesso esce il disco
con Giovanna. Poi non ho mai pensato molto ai dischi, a come farli. Ho
due, tre canzoni, stanno lì. Tra un po' vedremo.
D. - Sarà un disco politico, visto quello che
succede di questi tempi?
R. - Sarà il disco di un musicista, soltanto di un
musicista. Come tutti gli altri miei dischi. Dopotutto.
CATANIA, TEATRO
METROPOLITAN - 29 OTTOBRE 2002
BATTICUORE NEL POMERIGGIO
-
Davvero brillanti le
recensioni tecniche del webmaster Daniele di Grazia e quella di Salvo da
Ragusa. E ora di che parlo, degli stivaletti di Guglielminetti? Andiamo
a incominciare con la cronaca delle emozioni.
Attendere Francesco ti
attanaglia quasi sempre le gambe perché la sua presenza suscita sempre
una certa trepidazione ma alle 18 di ieri ci ha attanagliato
le gambe anche un’altra cosa: un “movimento ondulatorio” che dopo ti fa
sentire come quando scendi dalle montagne russe. Ma noi attendiamo lo
stesso, anche con la testa svuotata. Dunque, quante volte avete sentito
in televisione o alla radio un personaggio, anche famoso, che prima di
cominciare a parlare col Principe dice di essere emozionato perchè se lo
vede davanti? E’ vero.
Il momento atteso arriva.
Alle 18.30 vediamo arrivare il Maestro che, con portamento regale e con
un passo alla “Corto Maltese”, si avvicina verso di noi e si accinge ad
andare in auto con Filippo Bruni. Ha un nuovo look: barba accorciata,
capelli con un nuovo taglio più corto e una forma davvero smagliante.
Con coraggio gli vado
incontro, mi presento, lo saluto e gli chiedo come sta. Lui,
stringendomi la mano, mi saluta sorpreso e mi dice “Mimmo! …Ciao, come
stai?”. Cambiando subito il suo itinerario (e dopo aver tranquillizzato
Bruni) ci invita a prendere qualcosa al bar. Devo dire che, da buon
mastino, Filippo sa fare bene il suo mestiere perché poi ci ha
confessato di essersi già accorto di noi prima dell’incontro. Caffè per
noi e un bicchiere d’acqua per Ciccio.
“L’avete sentita la
scossa?”. E qui comincia il colloquio con Francesco, abilissimo nel
metterci subito a nostro agio. Abbiamo parlato della limpidezza e della
discrezione del nostro sito, della decadenza del vecchio forum della
Sony e di Fascio, dei prossimi CD con Giovanna Marini e con i
Superquattro, di Otello Diotaiuti, del mio racconto con lui ad Adrano,
del viaggio Coast to Coast proposto dal sottoscritto nel forum, di
quanto mi volete bene e di tante altre cose. Un consiglio per tutti: se
lo incontrate non gli rompete le palle con domande tipo “che significa
quella canzone?”, “a chi era dedicata?”, “la tua produzione musicale in
quale contesto politico si colloca?”, “che relazione c’era fra le tue
canzoni e l’Italia degli anni di piombo?”, oppure l’inevitabile “ma chi
era veramente Pablo?”!!!
Smettiamola. Non lo fate
scervellare a scovare chissà quale risposta per accontentare colui che
vuole fare la bella figura da intellettuale formulandogli domande alla
Marzullo. Fatelo divertire invece, fatello rilassare, fatelo ridere.
Penso che quando è con un suo ammiratore preferisca di più parlare di un
vecchio film di Totò che di altre rotture di scatole.
Si è divertito quando gli ho
ricordato del concerto del ’76 a Catania, quello riportato nel forum,
quello di “Alice guarda i gatti e i gatti che se magnano i topi”. Anzi,
mi ha corretto precisando che quel concerto doveva essere del 1975 e non
del 1976. (ma era del76).
Dopo aver autografato la
cartolina del sito ha inviato un saluto, tramite noi, a tutti i
forumisti del Rimmel Club aggiungendo di essere contento che i suoi
ammiratori dimostrino tanto affetto nei suoi confronti.
Poi abbiamo parlato delle
sue chitarre. E quando due suonatori di chitarra parlano di chitarre è
come se parlassero di belle donne, di curve flessuose, di fedeltà negli
anni, di corde che sembrano capelli neri, dell’importanza del tocco
quando le fai vibrare, ecc.. Alla fine ho vuotato il sacco
spifferandogli i nomi delle sue amanti: Martin D41, e Francesco
annuisce; Martin D45, e Francesco annuisce; Aria Elecord AE100, e
Francesco annuisce; Takamine EG560, e Francesco: “Quella non ce l’ho
più”; Gibson L7-C, e Francesco annuisce; Ovation Legend 1617, e
Francesco annuisce; Fender Stratocaster, e Francesco annuisce; Fender
Telecaster, e Francesco annuisce; Mantra del liutaio Bonora di Milano, e
Francesco: “Ma come cazzo fai?”
Poi, sorridendo: “Eh..Mimmo…
ma una l’hai dimenticata: stasera suono con la Taylor!”
Poi usciamo fuori tutti e
quattro. Parliamo ancora con lui e quando stavo per dirgli “Francesco,
svegliami” arriva Filippo Bruni con l’auto. Ci accorgiamo che Francesco,
invece, si attarda; forse vuole continuare a stare con noi, quasi
dispiaciuto per non averci incontrati prima. Comunque li salutiamo e
voltiamo loro le spalle, già pienamente appagati.
All’improvviso sentiamo una
voce: “Dai, venite al soundcheck. Fate strada voi?” Con Daniele ci
guardiamo negli occhi come due rincoglioniti. Un’occasione da non
perdere, quando ricapiterà mai? Dando disposizioni a Bruni, ci dà
appuntamento all’ingresso del Teatro.
Corro a casa per darmi una pulita e
cambiarmi, nell'androne incontro mia moglie che esce dall'ascensore che
mi dice "dove stai andando così di fretta?". Quando le rispondo "mi
aspetta De Gregori in teatro!" mi guarda e alza egli occhi al
cielo come per dire "va bè, è completamente pazzo!".
Fra
la polvere nera che si sollevava per le strade di Catania per via
dell'eruzione, in prossimità del teatro compio in dieci minuti tutte le
infrazioni del codice stradale occorrenti per conquistare il ritiro
della patente. .Daniele arriva prima di me ed entra trionfalmente in
teatro abbracciato da Francesco mentre io arrivo subito dopo.
All’ingresso non mi fanno entrare e così, forte di un’autorizzazione
principesca, faccio chiamare Bruni. Ora ditemi voi, chi è quel fan di De
Gregori che trovandosi faccia a faccia con l’Orco cattivo Filippo viene
invitato ed accompagnato da questi in sala durante le prove?
Entro nel grande teatro buio
e vuoto. Soltanto il palco è illuminato dalle luci e dalla figura
longilinea di Francesco che suona con la band. Mi avvicino, arrivo in
prima fila accanto a Daniele che era già lì in semicoma e appena mi
siedo accanto vedo che, mentre canta la Casa di Hilde, il Generale si
accorge di me e mi fa un cenno col saluto militare! Il Generale che
saluta il soldato! Senza parole!!!
Con Daniele, felicissimi di
essere entrati nelle stanze di un indimenticabile pomeriggio, guardavamo
dietro di noi tutte le poltrone rosse vuote e ci sembrava di sognare.
Ascoltando le canzoni i nostri discorsi erano soltanto “dammelo tu… no,
dammelo tu…” (che cosa? il pizzicotto per svegliarci a vicenda!). Ha
provato: L'abbigliamento di un fuochista, Baci da Pompei, Signor Hood, I
muscoli del capitano, Caldo e scuro, Cercando un altro Egitto, Bufalo
Bill, La casa di Hilde.
Ricordate di quanto ho
scritto che 26 anni fa mi ero mangiato il velluto della poltrona che
avevo davanti per l’occasione perduta? Ebbene, ieri sera quella poltrona
non c’era più, anzi non c‘era proprio niente, solo un palco a un metro
di distanza e una leggenda vivente che sembrava cantasse solo per noi.
Le persone normali tutto questo non lo potranno capire mai, ma proponete
una cosa del genere a un degregoriano e poi vedete cosa succede.
Alla fine delle prove ci
risaluta e andiamo a staccare i nostri biglietti. Dopo, in sala, ci
conosciamo per la prima volta con i simpatici forumisti Mauro, Francesco
e lo storico Salvo da Ragusa del forum Sony. E’ stato bello ritrovarci
lì, con mogli e fidanzate che alzavano gli occhi al cielo sospirando,
coscienti di vivere accanto ad eterni bambinoni che non hanno ancora
deciso di crescere (e meno male!!).
Il concerto è già stato
descritto in modo magistrale da Salvo. Questa la scaletta (in ordine
alfabetico): Alice, Battere e levare, Bufalo Bill, Buonanotte
fiorellino, Caldo e scuro, Cercando un altro Egitto, Chi ruba nei
supermercati?, Compagni di viaggio, Condannato a morte, Dr. Dobermann,
Generale, Il bandito e il campione, I muscoli del capitano, I shall be
release di Dylan con testo suo, La casa di Hilde, La donna cannone,
L’attentato a Togliatti, Niente da capire, Pentatlon, Pezzi di vetro,
Rimmel, Signor Hood, Viva l'Italia. Stupenda la versione della Donna
cannone fatta da solo con la chitarra e sempre coinvolgenti “Chi ruba
nei supermercati?” e “Cercando un altro Egitto”. Via via tutte le altre.
Ora vi voglio dire (no, mio
padre non è un guardiano di mucche) che da ieri in me è cambiato
qualcosa e sono certo che Francesco, se mi legge, condividerà. Sì, lo
avevo visto cinque anni fa, ma continuavo ad immaginarlo sempre come un
mito. Rivedendolo ieri, questo mito è caduto (ma come, Mimmo, che dici?)
ma non in senso negativo per una delusione ma in senso positivo per una
conquistata familiarità col personaggio che ho ammirato da sempre.
Quando stavolta ho parlato a lungo con lui e al bar mi ha chiesto “che
prendi, Mimmo?” detto come te lo dice ogni mattina il tuo collega
d’ufficio, mi sono accorto che l’emozione in me cominciava stranamente a
svanire per lasciare il posto alla consapevolezza di trovarmi davanti ad
una persona normale, fatta di carne ed ossa e non di spirito; il sapere
di essere stato riconosciuto da lui (perché anche lui, come tutti gli
uomini, è curioso) ha stravolto tutti quei miei convincimenti sulla sua
presunta superbia e scontrosità, peraltro costruita dalla stampa; il
sentirmi quasi invitare ad entrare con lui in auto per andare al Teatro
ha fatto crollare nella mia mente tutte le immagini fatte di fotografie,
di carta stampata, di recensioni, di chicche, di libri, di riviste.
Chi ha letto il mio racconto
sul vecchio sito di Calvani sa che concludo dicendo di aver raggiunto la
mia “Isola che non c’è” perché ero stato, anche soltanto per cinque
minuti, un amico di Francesco De Gregori. Sapendo che ieri sera quei
cinque minuti erano aumentati di parecchio, tornando a casa ho guardato
tutti i miei “altarini” su Francesco ed ho pensato “ma si possono mai
costruire degli altarini dedicati a un amico?” e stavo quasi per
toglierli di mezzo.
C’è da crederci? Tanto,
ormai, non mi crederà più nessuno. Specialmente voi. Ciao a tutti. Alla
prossima.
Mimmo Rapisarda
(TO: RMS TITANIC - FROM:
FORUM RIMMEL CLUB)
Rinfreschiamoci la memoria col nostro patrimonio
folk.
da "tuttoLibritempoLibero", inserto
settimanale di "La Stampa". 16/11/2002 Gabriele Ferraris
Oggi un altro argomento s'impone. Difatti, oggi esce
"Il fischio del vapore", l'album nato dalla collaborazione tra
Francesco De Gregori e Giovanna Marini, i quali hanno ripreso una manciata
di canzoni della tradizione popolare italiana con il lodevole scopo di
rinfrescare la memoria a un Paese stolidamente immemore: immemore intanto
del proprio straordinario patrimonio folklorico - ascoltiamo cantanti
tuvane e percussionisti algerini e ciò è buono; però ignoriamo
"Donna Lombarda", e ciò è idiota. Ma immemore pure - direi
soprattutto - di ciò che è stato. Riascoltare canzoni quali "Il
tragico naufragio della nave Sirio", per esempio, potrebbe far
riflettere chi guarda all'"invasione" dal Terzo Mondo con rabbia
e disprezzo, e non si emoziona più di tanto se qualche carico di
disperati finisce in pastro ai pesci.
Operazione ampiamente no-profit (tra l'altro, il
disco viene venduto a un prezzo inferiore alle correnti, rapinose
tariffe), "Il fischio del vapore" ha già sortito alcuni
effetti: De Gregori, solitamente restìo a pubbliche sortite promozionali,
s'è ampiamente speso in interviste e pubbliche dichiarazioni; le gazzette
nazionali, che di solito preferiscono dedicare una paginata a una
trasmissione tv decerebrata piuttosto che spendere due righe su un
fenomeno culturale, si sono accorte dell'esistenza di Giovanna Marini, uno
dei pochi monumenti della musica italiana del Novecento; e, last but not
least, abbiamo sul mercato della grande distribuzione (la Sony metterà
l'album in vendita persino nei supermercati) un prodotto discografico di
cui non vergognarci.
Suonato con gran classe dalla band degregoriana, e
interpretato da una Marini stellare e da un De Gregori che s'è messo
umilmente al servizio dello stile delle canzoni scelte per l'album,
"Il fischio del vapore" suggerisce anche una modesta proposta:
leggiamo che la Giunta del Veneto è alla ricerca di un "inno
regionale", e forse, se il Governatore Galan si prestasse ad
ascoltare una canzone come "O Venezia tu sei la più bella", il
problema si risolverebbe con eleganza. Ovviamente, quello che avete appena
terminato di leggere è un periodo ipotetico dell'irrealtà. Ma è stato
bello scriverlo.
De Gregori su Rokol.it
- Alfredo Marziano - 22 novembre 2002
Inaspettatamente loquace, il cantautore romano
racconta il nuovo 'Il fischio del vapore', ma anche...
Chi l’avrebbe detto: Francesco De Gregori ha voglia
di esporsi in pubblico. Parla volentieri con i giornalisti, si concede al
rito delle conferenze stampa (l’ha fatto di recente in occasione delle
avventure estive del "quartetto" con Fiorella Mannoia, Pino
Daniele e Ron), va persino in televisione a far promozione. Una mutazione
imprevedibile, la sua. Merito soprattutto dell’ultimo disco uscito quasi
senza preavviso, "Il fischio del vapore", collezione di canzoni
popolari aggiornate in chiave elettroacustica che lo vede al fianco di
Giovanna Marini, icona e musa del folk revival nostrano dai tempi eroici
del Nuovo Canzoniere Italiano (roba di quarant’anni fa…). Dov’è
finita la leggendaria ritrosia del Principe, vien subito da chiedersi (e
chiedergli)? "Sono sempre sfuggito ai media, è vero", ammette
lui. "Ma questo disco meritava un’eccezione. E’ talmente
controcorrente, talmente estraneo ai canoni commerciali odierni, che ha
bisogno di una visibilità speciale: se io e Giovanna non ci rendiamo
disponibili a spiegarlo e a farlo sentire in giro rischia di essere
dimenticato". Al telefono, Francesco è cordiale, loquace, puntuale
nelle descrizioni e nei commenti. Magari resterà un’occasione rara,
data la naturale riservatezza del personaggio. E non era il caso di
farsela scappare…
Un disco come questo sembra destinato a
"parlare" ad un paio almeno di generazioni. Ti sei chiesto se lo
capiranno anche i più giovani, che di mondine, di Togliatti e forse anche
di Pasolini hanno solo una vaga idea o non hanno mai sentito parlare?
Non lo vivo come un problema, a essere franco, ma
condivido la curiosità di sapere come verrà accolto dai ragazzi di oggi.
L’idea di fare un disco come questo, e di coinvolgere Giovanna Marini,
mi è venuta una sera suonando al Palaghiaccio di Marino. Era una
situazione strana, quella, e "L’attentato a Togliatti", che
con il gruppo avevamo spesso provato per divertimento, è venuta fuori così,
senza motivo. La reazione positiva del pubblico mi ha fatto pensare di
avere improvvisamente riaperto una finestra su una musica diversa da
quella di oggi, con un ritmo desueto che fa "zum pa pa" e che
però racconta cose reali. Io penso che un disco come questo possa
suscitare curiosità in chi lo ascolta. Gli arrangiamenti sono
assolutamente contemporanei, il linguaggio musicale è allineato con
quello del pop odierno. Non abbiamo voluto fare un recupero accademico, né
un’operazione d’archivio e polverosa. Non ne sarei stato neppure
capace, e comunque non era intenzione né mia né di Giovanna. Mi auguro
naturalmente che venda…
C’e anche un prezzo abbordabile che aiuta …
Si parla sempre male dei discografici, ma in questo
caso debbo spezzare una lancia in loro favore: la Sony ha capito che in
questo caso era giusto fare uno sforzo.
In pezzi come "Sento il fischio del vapore"
l’arrangiamento robusto ed elettrificato sembra quasi riprendere il filo
di certo folk-rock britannico tra i ’60 e i ’70…
E’ un genere che non conosco. Ho semplicemente
chiesto alla mia band, che mi accompagna da anni, di suonare quelle
canzoni come se le avessi scritte io. Mi sono venuti dietro
spontaneamente, e con gran divertimento. Anche il batterista, che aveva
teoricamente il compito più difficile, si è adattato immediatamente a
questi moduli ritmici diversi. Lo "zum pa pa" classico, in realtà,
è rimasto solo ne "L’attentato a Togliatti": il resto è
stato rielaborato dal gruppo in due o in quattro quarti, con grande
intelligenza. E tutti, mi sembra, hanno dato il meglio di sé.
Nel disco è frequente il recupero dei canti
tradizionali delle mondine. Hai avuto modo di ascoltare la rielaborazione
che ne fecero qualche anno, nell’album "Matrilineare", gruppi
e solisti che ruotavano nell’orbita dei CSI e del Consorzio Produttori
Indipendenti?
No, il disco non l’ho mai sentito, ma credo che
loro abbiano affrontato la materia da un versante molto più sperimentale.
Noi invece ci siamo limitati a riprendere in mano le partiture e a
suonarle con lo spirito di oggi, utilizzando gli strumenti consueti per me
e per il mio gruppo ma senza fare uno sforzo consapevole di aggiornamento.
E’ stata un’operazione di una semplicità assoluta, in fondo…
Qualche purista potrebbe risentirsene?
Non lo so, magari qualcuno penserà che abbiamo
commercializzato, deturpato una cosa sacra. Ma questo senso di sacralità
mi è estraneo: per me le canzoni sono cose vive, che vanno continuamente
rilette e rielaborate. Sicuramente un pezzo come "Bella ciao",
che è nato in risaia, non era in origine per voce e chitarra…ma ognuno
fa bene ad utilizzare gli strumenti che ha a disposizione. Noi abbiamo
voluto evitare anche quelli della tradizione colta, i liuti le concertine
e via dicendo. In fondo, siamo una garage band. Qualcuno avrà da ridire?
Io mi sento in pace con la mia coscienza.
"Bella ciao" l’ha cantata Santoro in TV,
la cantano i ragazzi del Social Forum a Firenze…E’ per darle un
significato diverso che avete deciso di recuperare la versione originale,
nata anche quella dalle mondine?
La rilettura partigiana è quella che è rimasta
nelle orecchie di tutti, ma io e Giovanna volevamo far conoscere
quest’altra versione che, secondo me, è più bella sotto l’aspetto
lirico. La "Bella ciao" dei partigiani è estremamente
coinvolgente come canzone di lotta, come canzone politica. Ma per qualità
poetica la versione delle mondine è più densa, più profonda. C’è,
alla fine, quel verso straordinario che dice: "Ma verrà un giorno
che lavoreremo in libertà". Ricorda come queste donne fossero allora
quasi in condizione di schiavitù. Ma è anche un verso attuale, perché
ancora oggi c’è tanta gente, anche in Italia, che non lavora in libertà:
pensa ai clandestini, sottopagati e in nero, che vengono impiegati per la
raccolta dei pomodori.
E dalle risaie provengono molte delle canzoni che
avete scelto di includere nel disco…
Sono state un punto di passaggio fondamentale della
nostra musica popolare. Il lavoro nelle risaie ha rappresentato un grande
momento di aggregazione collettiva, un po’ com’è stato per le
piantagioni di cotone nel Sud degli Stati Uniti.
Già. Più difficile immaginare che qualcosa del
genere potesse avvenire in fabbrica, dove il lavoro è altrettanto duro ma
più alienato e parcellizzato. E l’ambiente è estremamente rumoroso.
L’operaio al tornio, se si distrae per cantare,
rischia di rimetterci una mano….
Ricorre spesso il nome di Giovanna Daffini, mondina e
cantautrice. L’hai conosciuta?
Non personalmente, no. Ma ho ascoltato i suoi dischi
e la sua voce mi ha sempre sconvolto: proviene direttamente dal centro
della terra, è di una bellezza e di una drammaticità straordinarie.
Cosa apprezzi in Giovanna Marini, invece?
La voce, innanzitutto. Anche Giovanna è una cantante
straordinaria, con quella timbrica così poco consona al canto classico.
Mi colpisce il suo modo di intonare le note, di scandire le parole, di
prendere le pause: "I treni per Reggio Calabria" è una canzone
difficilissima da cantare. Ma il suo non è stato solo un apporto vocale:
la scelta dei pezzi è avvenuta di comune accordo, guidata da lei che ha
una cultura in materia molto superiore alla mia. E i brani arrangiati in
maniera più moderna, più estrema, sono farina del suo sacco. La versione
più consueta de "Il feroce monarchico Bava" è giocata su due
accordi di chitarra. Nel nostro arrangiamento invece c’è un’armonia
fissa sotto la quale sono le voci a spostarsi, e questa è opera di
Giovanna: è arrivata in studio e ha detto ai musicisti cosa dovevano
fare. E i ragazzi della band erano felici di farsi dirigere da questa
signora di 65 anni da cui erano completamente affascinati.
Ripeterete l’esperienza? Insomma, ci sarà magari
una seconda puntata?
Nel lavoro io mi affido sempre alla spontaneità, e
questo per me è già un capitolo chiuso. Certo, il bagaglio di esperienze
è destinato a rimanere, e magari nel prossimo disco che farò certi
elementi di questo lavoro riaffioreranno: ma non in maniera cerebrale, non
in maniera programmatica. Quello che mi piacerebbe fare piuttosto è
produrre un disco di Giovanna, che continua a scrivere canzoni, e canzoni
molto belle. Mi sembra un progetto più a portata di mano: potrei essere
un buon tramite tra lei e i musicisti rock, mi sentirei di mediare tra i
due mondi. Intanto sto anche producendo un disco di mio fratello, Luigi
Grechi.
Tu e Giovanna avete spiegato di aver scelto le
canzoni dell’album seguendo un criterio di puro gradimento personale e
piacevolezza musicale. Ascoltandole in sequenza, esiste un filo che le
leghi tra loro?
Mentre lo incidevamo non ci pensavo. Ma riascoltando
il disco mi pare di poter dire che se c’è un tema comune a molte
canzoni dell’album questo è l’innocenza. Sono innocenti le mondine,
sono innocenti Pasolini, e Sacco e Vanzetti, e gli emigranti che affondano
sulla nave Sirio…
Innocenti e vittime, tutti quanti…
Sì. Ma dopo tanti anni è la loro innocenza a
rifulgere di più. Quando guardo la fotografia di Sacco e Vanzetti che
abbiamo riprodotto sul libretto del CD vedo le facce di due galantuomini,
che però sono finiti su una sedia elettrica. Mentre facevo il disco, però,
non pensavo a quel tema: pensavo esclusivamente ai suoni.
Molti dei fatti di cronaca raccontati dalle canzoni
abbracciano un periodo storico che va da fine Ottocento agli anni ’70
del secolo appena concluso. E poi? Manca la prospettiva, la distanza
storica sufficiente per affrontare episodi più recenti? O sono scomparsi
piuttosto gli eredi dei cantastorie?
Ad un certo punto la musica è diventata industriale
e ha privilegiato altri mezzi di comunicazione: si è cominciato a far
dischi, ad ascoltare la radio. I tempi coincidono anche con gli inizi
della mia carriera: a quel punto, cominciando a scrivermi i versi da solo,
sono diventato un po’ parte in causa. Esistono canzoni importanti di
commento sociale scritte dopo quel periodo: ad esempio "I morti di
Reggio Emilia" o "Contessa", che sono bellissime. Ma noi
non abbiamo voluto fare un disco di canzoni di lotta. Abbiamo voluto fare
un disco di canzoni popolari. E sicuramente con l’industrializzazione
della musica la canzone popolare ha cambiato tono e spessore. A parte il
mio pezzo, "L’abbigliamento di un fuochista", e quelli di
Giovanna, il brano più recente che abbiamo scelto è "Nina ti te
ricordi" di Gualtiero Bertelli che, credo, risale a fine anni ’60 o
ai primi ’70. Ma anche in questo caso non si è trattato di una scelta
programmatica.
Non è che oggi la canzone pop ha più difficoltà ad
interpretare ed esprimere il sentire comune?
Ma no, molte canzoni di oggi sono altrettanto
popolari, nel senso che parlano al popolo. Cambiano i modi di
comunicazione, perché oggi si passa attraverso la discografia, ma non i
contenuti. Mi viene in mente "Vita spericolata": è una canzone
popolare che descrive in modo straordinario lo stato d’animo di una
generazione. Se vai primo in classifica non sei più "popolare"?
Forse è vero il contrario. Credo che lo spartiacque tra la canzone
tramandata oralmente e quella diffusa attraverso i mezzi di comunicazione
di massa possa essere fatto risalire alla nascita del festival di Sanremo
e alla sua diffusione in TV. C’è stato indubbiamente un cambiamento di
temperatura, in quegli anni, sia nel modo di scrivere canzoni che nel modo
di ascoltarle. Ma sempre di musica popolare si tratta.
Quelle vecchie canzoni le hai messe in circolazione
anche su Internet: tradizione e modernità…
Mi sembra un’evoluzione del tutto naturale,
fisiologica, e non è la prima volta che lo faccio. Internet oggi è come
il telefono, un mezzo a disposizione di tutti.
In certi paesi, ad esempio in Irlanda, è normale che
la musica tradizionale venga rielaborata e assorbita nella produzione pop
corrente. In Italia molto meno: non abbiamo più memoria storica?
E’ vero. E non è una bella cosa. Io spero, con un
disco come questo, di aver lanciato un sasso nello stagno, ricordando a
qualcuno che anche noi abbiamo un patrimonio di musica popolare
straordinario e che si presta ad essere rielaborato. E’ un codice
impresso dentro di noi.
Avevi familiarità con tutte le canzoni?
Sì, tranne un paio. Questa versione di "Sacco e
Vanzetti" me l’ha fatta conoscere Giovanna.
Alcune le hai cantate la prima volta tanti anni fa,
ai tempi del Folk Studio. Gli attribuisci un significato diverso, oggi?
Stiamo parlando di trent’anni fa….Comunque direi
di no: adesso come allora le amo per la loro bellezza intrinseca. Fossero
state brutte canzoni, non avrei fatto un disco come questo: invece sono
belle melodie, e cantarle dà gusto. Le parole hanno un senso, e cantare
con Giovanna è davvero divertente.
Lo hai detto prima: non avete voluto fare un disco
politico. Sbaglierebbe, dunque, chi gli attribuisse un significato
militante?
Io credo che si tratti di un’interpretazione
sbagliata. Un disco militante sarebbe stato fatto di altre canzoni, ci
sarebbero stati "I morti di Reggio Emilia",
"Contessa", "La ballata di Pinelli". Ma resta il fatto
che il popolo è sempre stato di sinistra e che è difficile trovare una
canzone popolare di destra. Come Togliatti, anche Mussolini, durante il
Ventennio, è stato vittima di attentati, tre addirittura. Eppure non ci
sono tracce di canzoni scritte su quegli episodi. Solo in questo senso
"Il fischio del vapore" è un disco di sinistra.
Eppure molte canzoni sembrano gettare una luce su
episodi di attualità politica. Molti hanno tirato in ballo il ritorno dei
Savoia…
Lasciamoli stare, che hanno già i loro problemi da
risolvere…E’ vero che molte canzoni – quella che racconta della nave
di emigranti, o quella che parla di Sacco e Vanzetti e di pena capitale
– restano di un’attualità sconvolgente. Gli innocenti esistono anche
oggi, e anche oggi sono vittime.
Perché ti sei tirato fuori da alcuni brani?
Per rispetto al lavoro di Giovanna. Inutile
aggiungere qualcosa ad un risultato che è già perfetto in sé. Così è
stato per "I treni per Reggio Calabria", per "Bella
ciao" e per "Lamento per la morte di Pasolini".
Quest’ultima l’abbiamo anche provata insieme: ma mi è venuta fuori
una voce da cantautore che non c’entrava nulla con il suono che doveva
avere la canzone.
Quando hai scritto "L’abbigliamento di un
fuochista" hai fatto uno sforzo consapevole di stare nel solco di una
certa tradizione?
No, per quanto mi ricordi. Ma dopo averla scritta per
l’album "Titanic", nell ’82, mi resi conto che dovevo
cantarla con Giovanna. E così avvenne. Ci conoscevamo dal ’70, ma
quello è stato l’inizio ufficiale della nostra collaborazione. Per
questo era giusto riprenderla anche in questa occasione.
Dell’Italia descritta nell’album abbiamo perso
qualcosa? Forse la capacità di indignarci?
No, quella no. Mi pare che oggi siamo indignati a
sufficienza. Ma sono mondi completamente diversi, quello di oggi e quello
di allora, certe cose le abbiamo perse ed altre le abbiamo guadagnate.
Comunque, non ho nessuna nostalgia di quell’epoca.
Ora tu e la Marini state preparando due concerti a
Roma. Che ci sarà in scaletta?
Tutti i pezzi del disco. Poi Giovanna farà alcune
canzoni sue con le tre cantanti con cui lavora normalmente e con cui si
produce spesso in improvvisazioni straordinarie, tra il classico e il
contemporaneo. Io ci metterò dentro qualcosa del mio repertorio: e magari
alle canzoni de "Il fischio del vapore" ne aggiungeremo
qualcun’altra
.
Non avete materiale scartato dal disco tra cui
pescare?
No, abbiamo registrato insieme "Viva
l’Italia" ma l’abbiamo tolta perché era una canzone troppo
programmatica, che non c’entrava nulla con il resto. E’ un pezzo
troppo attuale: quando canto nei concerti un verso come "Viva
l’Italia che resiste" mi rendo conto che viene naturale pensare ad
un paese antagonista rispetto a questo governo…
Anche se in passato, come "Born in the USA"
di Springsteen, era diventata una canzone ad uso e consumo di tutti, buona
per tutte le stagioni…
E’ vero, ognuno l’ha indossata come ha preferito.
Ma se sono io a cantarla davanti al mio pubblico, io e loro sappiamo
benissimo di cosa stiamo parlando. E in questo disco non c’era bisogno
di una bandiera da sventolare.
Per promuovere l’album andrete anche in TV. Una
scelta inattesa da parte di un artista riservato come te…
Andremo da Gianni Morandi, siamo stati invitati per
il 30 novembre. Mi piacerebbe fare un paio di canzoni mie e un paio con
Giovanna. Ma dobbiamo parlarne anche con lui, prima…Imbarazzi?
Assolutamente no. Questo è un disco di cantastorie: e oggi il sabato sera
da Morandi equivale ad esibirsi sulla piazza della chiesa o del comune
cinquant’anni fa.
E’ un periodo in cui ti stai spendendo
molto…Quasi in contemporanea esce il disco del "quartetto" con
Pino Daniele, Ron e la Mannoia.
Non sono mai stato ritroso quando si tratta di
collaborazioni artistiche, e quello è stato un incontro di una
piacevolezza unica. Io e Pino, per esempio, non ci eravamo mai trovati di
fronte: ed è stato bello scoprire che ogni sera sul palco scaturivano
delle idee, delle scintille nuove. So che molti giornalisti, soprattutto
all’inizio, l’hanno presa con scetticismo, come un’operazione
puramente commerciale: ricordo una conferenza stampa terribile…Ma
facevano male a non fidarsi: il divertimento è stata la motivazione
principale, e sono state proprio le nostre diversità artistiche a rendere
più gustoso il cocktail. Anche questo è passato, comunque. Il disco? Me
ne sono disinteressato, è stato Pino ad incaricarsi dell’organizzazione
e della produzione. Ma sono contento che ci sia in giro una testimonianza
di quello che abbiamo fatto, come il vecchio "Banana Republic"
con Lucio Dalla.
E che succederà adesso, dopo queste deviazioni di
percorso?
Non so se possano davvero essere considerate tali.
Sto facendo molti concerti, mi diverto a suonare e vado ovunque, nei
teatri, nei palazzetti e nei piccoli club…
Una specie di "neverending tour"?
Lasciamo perdere questi paragoni, per favore. Il
fatto è che con i musicisti del gruppo c’è ormai un rapporto quasi
simbiotico. Ci ritroviamo in modo quasi automatico, ci divertiamo e non
sentiamo la fatica. E dove ci chiamano a suonare, noi andiamo. Questo è
il mio presente e il mio futuro immediato. Prima o poi metterò le mani a
un disco nuovo: ma in che direzione andrò di qui in poi, proprio non ne
ho idea.
|
(Giovanna
Marini - 1975)
|
Persi
le forze mie persi l'ingegno
la
morte mi è venuta a visitare
«e
leva le gambe tue da questo regno»
persi
le forze mie persi l'ingegno.
Le
undici le volte che l'ho visto
gli
vidi in faccia la mia gioventù
o
Cristo me l'hai fatto un bel disgusto
le
undici volte che l'ho visto.
Le
undici e un quarto mi sento ferito
davanti
agli occhi ho le mani spezzate
la
lingua mi diceva «è andata è andata»
le
undici e un quarto mi sento ferito.
Le
undici e mezza mi sento morire
la
lingua mi cercava le parole
e
tutto mi diceva che non giova
le
undici e mezza mi sento morire.
Mezzanotte
m'ho da confessare
cerco
perdono dalla madre mia
e
questo è un dovere che ho da fare
mezzanotte
m'ho da confessare.
Ma
quella notte volevo parlare
la
pioggia il fango e l'auto per scappare
solo
a morire lì vicino al mare
ma
quella notte volevo parlare
non
può non può, può più parlare.
|
Il canto ricalca la narrazione per
orario tipica del modo narrativo popolare. È nelle passioni religiose,
soprattutto nel Lazio, in
Umbria e nelle Marche, che si cantano le ore
collegandole a momenti significativi della Crocefissione . Pierpaolo Pasolini
poeta, scrittore e regista cinematografico, è stato uno dei più ispirati
intellettuali del '900. Fu ucciso il 2 novembre 1975 all’idroscalo di Ostia,
nei pressi di Roma.
|
|
Sento
il fischio del vapore del mio amore che 'l va via,
sento il fischio del vapore del mio amore che 'l va via,
e l'è partito per l'Albania, chissà quando ritornerà!
Ritornerà sta primavera con la spada insanguinata,
Ritornerà sta primavera con la spada insanguinata,
e se mi trova già maritata, ohi che pena, ohi che dolor!
Ohi che pena, ohi che dolor, che brutta bestia è mai l'amore,
Ohi che pena, ohi che dolor, che brutta bestia è mai l'amore,
Starò piuttosto senza mangiare, ma l'amore lo voglio far,
Lo voglio far mattina e sera finché vien la primavera
Lo voglio far mattina e sera finché vien la primavera
la primavera è già arrivata ma il mio amore non è tornà.
[variante: strofa aggiuntiva]
Mi hanno rinchiuso in un convento
e mi han tagliato i miei capelli;
ed eran biondi e ricci e belli,
m'han tagliato le mie beltà.
|
Probabilmente ispirato dalla spedizione italiana in
Albania del 1914 ed inserito nel clima antimilitarista della Settimana Rossa,
questo canto ci viene tramandato da Giovanna Daffini, mondina e cantastorie. Il
duro lavoro nelle risaie della pianura Padana produsse solidarietà di classe,
coscienza politica ed emancipazione femminile. Molte delle più belle canzoni
popolari dell’Italia settentrionale, legate alla quotidianità, alla cronaca,
alla vita privata e collettiva, nascono e vengono cantate proprio nelle risaie.
IL
FISCHIO DI MIA MADRE
Com’è
bello scoprir mia madre davanti al televisore
che cantava
insieme a Ciccio il Fischio del vapore.
Le
dissi “Mamma, non dirmi che anche tu ammiri De Gregori….”
Mi
ha detto “Figlio mio, non conosco i cantautori,
è
che quando la signora che ha la mia stessa età
mi
ha fatto risentire un canto di cinquant’anni fa.
Ho
visto nei miei occhi e nel mio cuore i quindici anni,
di
quando cantavamo il Fischio mentre stiravamo i panni,
e
intonavamo, nell’attesa di qualcuno, quella strofa che fa:
“La
primavera è già arrivata ma il mio amore non è tornà…
(M.R.)
|
Tanto di cappello,
innanzitutto. In quest'epoca sbandata De Gregori è un riferimento, perlomeno
nell'ambito di quelle cose che possono stare indifferentemente nelle pagine
della cultura come in quelle degli spettacoli. E' diventato un punto fermo,
insomma. Peccato che lui fermo non stia. Qualche tempo fa ha voluto con sé
Giovanna Marini, interprete e ricercatrice di gran valore, e ha messo su un
album con le canzoni della nostra tradizione popolare, quelle cose rimosse, vai
a capire perché, ma terribilmente vive. Ed è venuto fuori un disco fatto senza
paranoie filologiche o filosofiche. Un lavoro da "buona la prima",
senza starci tanto a pensare. Nina ti te ricordi è commovente, O venezia che
sei la più bella è avvolgente, Saluteremo il signor padrone è tesa,
attualissima; Sento il fischio del vapore è potente, Donna lombarda di
Gualtieri è affascinante, Il tragico naufragio della nave Sirio è epica, quasi
eterea. Ci sono anche cose meno riuscite, certo (Sacco e Vanzetti annoia un
po'), ma quel che occorre dire è che questo disco è bellissimo, bello da
sentire al di là anche del suo straordinario significato. Potrebbe, e certo
dovrebbe, essere un disco di svolta per tutta la musica del nostro paese, il
ritorno a essere se stessi. Enrico Deregibus
|
|
Amami me che sono re non posso amarti tengo marì
Tuo marito fallo morire t’insegnerò come devi far
Vai nell’orto del tuo buon padre taglia la testa di un serpentin
Prima la tagli e poi la schiacci e poi la metti dentro nel vin
Ritorna a casa il marì dai campi Donna Lombarda oh che gran sé
Bevilo bianco bevilo nero bevilo pure come vuoi tu
Cos’è sto vino così giallino sarà l’avanzo di ieri ser
Ma un bambino di pochi mesi sta nella culla e vuole parlar
O caro padre non ber quel vino Donna Lombarda l’avvelenò
Bevilo tu o Donna Lombarda tu lo berrai e poi morirai
E per amore del Re di Spagna io lo berrò e poi morirò
La prima goccia che lei beveva lei malediva il suo bambin
Seconda goccia che lei beveva lei malediva il suo marì
|
È una delle più antiche canzoni popolari italiane, una
storia di passione e tradimento con accenti sospesi fra il favolistico ed il
grottesco. Giovanna Daffini, la incise per la prima volta nei Dischi del Sole
agli inizi degli anni '60 quando si incontrò con Roberto Leydi e Giovanni Bosio,
musicologi e ricercatori che animavano il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano.
A lei dobbiamo alcuni fra i più bei canti della risaia e della guerra
partigiana. Dotata di una voce intensa e di straordinarie capacità
interpretative si esibiva spesso con il marito Vittorio Carpi, violinista, nelle
piazze e nei circuiti tradizionali della sinistra. Partecipò agli spettacoli
“Bella Ciao” e “Ci ragiono e canto”, con Dario Fo. Il suo ricchissimo
repertorio comprendeva canti di lavoro e di lotta, canzoni d’amore, pezzi
classici, romanze d’opera: né disdegnava di cantare ai matrimoni dove
talvolta le capitava di interpretare le ultime canzoni di Sanremo, anch’esse
in qualche modo “popolari”. Giovanna Daffini è morta all’età di 54 anni
il 7 luglio 1967.
|
Giovanna Salviucci Marini nasce a Roma nel Gennaio del 1937 da una
famiglia di musicisti.
Studia composizione con i Maestri Ferdinandi e Pinelli e nel 1959 consegue
il diploma di chitarra classica presso il Conservatorio romano di Santa
Cecilia dove impara a suonare anche altri strumenti antichi.
Studia anche musica medioevale e rinascimentale, musica trobadorica liuto
e arciliuto con il maestro Emilio Pujol e suona tali strumenti con il “Concentus
Fidesque Antiqui” del Maestro Carlo Quaranta. Frequenta l'Accademia
Chigiana di Siena dove si perfeziona grazie ai corsi di chitarra classica
di Andrès Segovia che frequenta per alcuni anni.
Partendo da una cultura classica la Marini si avvicina in seguito alla
cultura contadina, compie ricerche etnografiche e studia, analizza,
trascrive e suona i canti popolari delle varie regioni d'Italia facendosi
portavoce del canto sociale e politico e della storia orale cantata.
Questo avviene grazie alla conoscenza, nei primi anni sessanta, di
intellettuali come Calvino e Pasolini e di personaggi come Gianni Bosio e
Diego Carpitella ed ancora quella dell'etnomusicologo Roberto Leydi, uno
studioso che girò in lungo e in largo l'Italia registrando su nastro
magnetico i canti della tradizione popolare, quelli di lavoro, quelli a
sfondo sociale e politico, i canti di classe, i canti anarchici, i canti
delle mondine, degli emigranti, delle operaie delle filande.
La Marini fa suo questo patrimonio popolare e riesce così a creare un
trait d'union tra la musica classica accademica e la musica contadina
accostando con grande efficacia elementi "colti" ed elementi
popolari.
Ha scritto di lei Michele Straniero: "...la Marini in queste liriche
riesce a dar vita ad un "neo-madrigalismo" che rappresenta il
suo più recente punto d’approdo nella lunga navigazione compiuta tra le
due sponde opposte e parallele della musica alta e del canto
popolare".
Nei primi anni '60, a Roma, frequenta il Folk Studio, il celebre locale di
Giancarlo Cesaroni che qualche anno dopo avrebbe visto passare tutti i
maggiori esponenti della cosiddetta scuola romana dei cantautori.
Qui la Marini si esibisce eseguendo canti popolari spesso insieme a Maria
Teresa Bulciolu.
Di lì a poco entra a far parte del gruppo denominato Nuovo Canzoniere
Italiano accanto a nomi quali Sandra Mantovani, Giovanna Daffini (che la
Marini considera una delle sue "maestre"), Caterina Bueno,
Michele Straniero, la stessa Bulciolu ed altri, tra cui i cantautori di
impegno politico come Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea e Gualtiero
Bertelli.
Riguardo alla sua ricerca delle radici della musica popolare ha
dichiarato: "Io sono musicista, non etnomusicologa. L’etnomusicologo
conosce la teoria del suono praticato dagli uomini, le situazioni, i riti.
Egli, in tre parole, conosce il mondo. Mentre io no. Io non conosco i riti
e le tradizioni nel mondo: solo per conoscere quello che da Roma va a
Frosinone ho impiegato vent’anni. Sono una musicista che si è
appassionata al suono popolare e all’organizzazione del suono popolare,
perché è più vivo, perché è un rito legato alla sua fruizione".
Tra i suoi primi lavori va ricordato senza dubbio lo spettacolo dal titolo
"Bella Ciao", del 1964, un programma di canzoni popolari
italiane curato da Roberto Leydi e Filippo Crivelli (per la regia di
quest'ultimo) che suscitò molte polemiche per il suo stile innovativo
quando venne rappresentato al Settimo Festival Dei Due Mondi di Spoleto
dove fu ritenuto "scandaloso".
Nel 1965 collabora in veste di assistente musicale con Dario Fo insieme al
quale mette in scena uno spettacolo teatrale che fa storia, "Ci
Ragiono e Canto", rappresentato al Teatro Carignano di Torino nel
1966. Tra gli interpreti oltre alla Marini e ai già citati componenti del
Nuovo Canzoniere vanno citati Ivan Della Mea, il gruppo Padano di Piadena, Paolo Chiarchi, Franco
Coggiola ed altri.
I primi 33 giri di Giovanna Marini per l'etichetta dei Dischi del sole
sono "Canti dell'Abruzzo - Lu Picurare" e "Canti della
Sardegna - La disispirata", insieme a Maria Teresa Bulciolu.
Partecipa al Folk Festival 2 a Torino dove per la prima volta presenta in
pubblico la sua famosa e lunghissima ballata dal titolo "Vi parlo
dell'America".
Giovanna, infatti, ha vissuto per due anni a Boston dove il suo ex marito
era fisico nucleare al Massachussetts Institute of Technology. Con questa
ballata, che viene pubblicata nel 1965 e che è a metà strada tra il
talking blues ed i canti popolari italiani, la Marini critica il sistema
di vita americano fatto di conformismo e stigmatizza molti aspetti
negativi della classe media americana e della realtà di quel Paese
cantando così al riguardo: "Sono tornata qua con una sola idea molto
chiara. E' tutta da combattere, è tutta da distruggere, non c'è niente
da salvare".
Del '67 è la ballata "Chiesa Chiesa" mentre il 1968 è l'anno
di altre due famose ballate: "Lunga vita allo spettacolo, ovvero le
doglie del teatro d'oggi" e "Viva Voltaire e Montesquieu".
Nel 1969 è la volta della raccolta "Controcanale '70" che firma
con lo pseudonimo "Vitavisia" cui seguono "La nave - La
creatora" e "La vivazione (la partita truccata)".
Del 1974 va ricordata un'altra ballata, "L'eroe", una sorta di
melodramma popolare per voci e strumenti, cui fanno seguito i 33 giri
"I treni per Reggio Calabria" e "Correvano coi carri"
tratto dall'omonimo spettacolo, oratorio per undici voci e chitarra,
prodotto dal Teatro Spazio Zero e dalla Scuola Popolare di Musica di
Testaccio di Roma.
Negli anni settanta lo stile di Giovanna Marini subisce un certo
cambiamento, si interessa maggiormente all'aspetto musicale rispetto a
quello legato alle istanze sociali che erano alla base delle sue prime
ballate, abbandona la canzone politica in senso stretto ed esplora anche
altre forme musicali. Ad esempio, nel doppio album del 1978 che si
intitola "La grande madre impazzita", si avvicina al jazz. Si
tratta di un album che incide con il trio di jazzisti denominato
"SIC", composto da Giancarlo Schiaffini (trombone), Michele
Iannaccone (batteria) ed Eugenio Colombo (clarinetto, sassofono, flauto).
Nel 1976 la Marini forma un gruppo polifonico di undici elementi dal
quale, con il passare del tempo, restano in quattro. Nasce così il
quartetto vocale che nel corso degli anni ha visto più volte modificare
la propria composizione (fino a giungere alla formazione attuale del
"Quartetto Giovanna Marini" che vede Patrizia Nasini, Patrizia
Bovi, Francesca Breschi e la stessa Marini) e con il quale la cantautrice
romana va in tournée in Francia, Spagna, Stati Uniti e Germania ottenendo
grandi consensi di pubblico e critica e per il quale ha composto molti
madrigali.
Con il quartetto Giovanna Marini incide molti dischi tra cui ricordiamo:
la già citata cantata profana Correvano coi carri (Dischi del sole,
1979), Cantate de tous les jours (Le Chant du monde, 1980), Partenze -
Vent'anni dopo la morte di Pier Paolo Pasolini (Silex-Auvidis, 1996),
Cantico della terra (Opus 111, 1999).
Nel 1984 ricordiamo l'uscita in Francia di "Pour Pier Paolo", da
un'idea di Laura Betti, dodici liriche di Pier Paolo Pasolini per cinque
voci e cinque strumenti, prodotto dal Festival d’Automne di Parigi.
L'opera è tratta da 12 poesie in dialetto friulano tra cui alcune tratte
da "La Nuova Gioventù - Suite Friulana" scritte dal poeta,
scrittore e regista cui la Marini aveva già dedicato un Requiem e, nel
1976, il "Lamento per la morte di Pasolini" (vedi scheda de
"Il fischio del vapore" in questa stessa pagina) pubblicato
sull'album "I treni per Reggio Calabria".
Del 1996 è il "Concerto per Leopardi" composto per il
bicentenario della nascita del poeta di Recanati.
Del 1999 è invece "La Bague Magique" con la regia di
Jean-Claude Berutti presentata all’Opera di Nancy e al Théâtre du
Peuple di Bussang.
Giovanna Marini ha anche una intensa attività di composizione per il
teatro e vince per due volte il prestigioso premio Ubu per la migliore
musica di scena, con la musica per "Le troiane" (regia di
Thierry Salmon) e "Le coèfore" (regia di Elio De Capitani).
Del 2001 va ricordata "La Cantata del secolo Breve", presentata
al Théâtre de Vidy con il suo quartetto vocale.
In tempi più recenti va ricordato sicuramente l'album "Il fischio
del vapore" che giunge in vetta alle classifiche di vendita e che
vede la Marini cantare in coppia con il cantautore romano Francesco De
Gregori una serie di antiche canzoni popolari. Insieme a De Gregori compie
anche una tournèe in giro per i teatri italiani, anche questa di grande
successo di pubblico e critica.
Nel Maggio del 2002 con la produzione e gli arrangiamenti dello stesso
Francesco De Gregori e del bassista Guido Guglielminetti esce un nuovo
disco dal titolo "Buongiorno e buonasera" che raccoglie suoi
vecchi brani folk e tre inediti: “Le Fosse Ardeatine”, “Io vorrei”
e “La Torre di Babele” (in riferimento all'11 Settembre).
L'ultimo album in ordine di tempo (2004) è "Passioni" in
quartetto vocale con le sue compagne Bovi, Breschi e Nasini.
Giovanna Marini ha insegnato a Parigi presso l’Università di Paris VIII
Saint-Denis (Corso di Etnomusicologia applicata) e dal 1977 ha insegnato
"Uso della voce", "Estetica del Canto Contadino" e
"Etnomusicologia applicata al canto di tradizione orale
italiano" a Roma presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio, da
lei fondata insieme ad altri musicisti nel 1974, così come al
Conservatorio di Losanna. Attività, questa di insegnante, che prosegue
ancora oggi.
Importantissimo è anche il lavoro di trascrizione di brani della
tradizione orale che Giovanna Marini ha compiuto nel corso degli anni
svolgendo ricerche sulla grafia della musica etnica ed arricchendo la
possibilità espressiva della notazione musicale tradizionale.
Giovanna Marini ha scritto anche musiche per diversi film tra cui
"Porci con le ali" di Paolo Pietrangeli (film del 1977 con
Franco Bianchi, Benedetta Fantoli e Lou Castel), "Terminal" di
Paolo Breccia (del 1974 con William Berger e Giuliana Calandra), "Cafè
Express" con Nino Manfredi per la regia di Nanni Loy (1980). Ha
collaborato a molti film di Francesco Citto Maselli tra i quali
ricordiamo: "Il sospetto" (del 1975 con Gian Maria Volonté,
Annie Girardot, Renato Salvatori e Gabriele Lavia), "Cronache del
Terzo Millennio" (del 1996 con Sara Altieri e Mary Asiride) e
"Codice Privato" (del 1988 con Ornella Muti).
Michele Murino (www.maggie's farm.it)
L'intervista
Da sempre il nome di Giovanna Marini è legato alla tradizione folk
italiana. Cosa pensa dell'etichetta di "Joan Baez italiana"?
Non penso nulla di quell' etichetta che poi non è una vera etichetta
è uno scherzo. Dovevamo cantare Paolo Pietrangeli e io in un circolo del
Quadraro, nella periferia romana, e sul muro dell'ingresso era un
manifesto fatto a mano con su scritto Il Bob Dylan e la Joan Beaz
italiana. Ci ha fatto ridere e basta. Non ho nulla in comune con Joan Baez,
lei viene dalla tradizione dei cantori inglesi, anche se è americana,
questi hanno ripreso la tradizioni dai cantori venuti con le grandi navi
di emigranti inglesi e ne sono fieri. Giovanna Daffini, che è la prima
persona da cui ho cercato di imparare il modo di cantare il canto popolare
italiano, mi ha spiegato con grande consapevolezza questo modo ma il mio
tratto tipico è quello di uscire da un conservatorio,e nei primi tempi
vedevo e sentivo tutto con occhi ed orecchi classici e cercavo anche di
correggere il canto di Giovanna Daffini secondo questa ottica. Tutto il
resto è stata una scoperta fatta dopo i 27 anni, non fu così per Joan
Baez, lei è un'autentica, ma di famiglia borghese, quindi con un occhio
più critico del vero autentico ma un modo di cantare assolutamente in lei
naturale, non aveva niente da imparare.
La lezione della musica popolare ritorna in tutta la sua produzione.
Quanto ha influenzato il suo modo di scrivere?
La musica popolare ha influenzato il mio modo di cantare più che il
mio modo di scrivere, l'impianto delle mie partiture è sempre classico,
ma di un classicismo non moderno, piuttosto scolastico, gli studi di
armonia e contrappunto mi hanno influenzato molto, poi ho smesso di
studiare composizione e sono rimasta ad una scrittura settecentesca, per
questo i miei scritti sono naif e possono facilmente essere cantati con
voci popolari, cosa che fanno magistralmente le mie colleghe Nasini, Bovi
e Breschi, colleghe di quartetto vocale. Il modo di cantare quindi usa,
spesso, quando vogliamo, gli stilèmi del canto di tradizione orale, ma lo
scrivere si rifà all'armonia classica, al primo contrappunto.
Quanto è stato importante per lei che il grande pubblico attraverso
"Il Fischio Del Vapore", riscoprisse la tradizione italiana?
Sarebbe bello che il pubblico italiano divenisse più consapevole della
propria cultura, perché questo gli impedirebbe di cadere preda della
cultura di serie c che ci propaga la televisione che essendo governativa
ha bisogno di un pubblico di livello culturale molto basso per lasciare al
governo lo spazio di fare quello che vuole e alle grandi aziende, che
ormai sono i governi, di vendere i loro prodotti infischiandosene del bene
pubblico. Se noi divenissimo più consapevoli della nostra cultura
popolare, la conoscessimo e la amassimo, attraverso quella potremmo
trovare la forza di cercare di incidere sulle decisioni del governo, di
impedirgli di fare quello che gli pare, di essere uniti e forti.
La musica popolare è per lei una fonte immensa di ispirazione, e lo
dimostra il suo nuovo disco, "Passioni", dove appaiono evidenti
anche profonde connessioni con le Sacre Rappresentazioni del Medioevo;
come riesce ad integrare il lavoro di ricerca con quello di interprete?
Questa domanda è un po' strana, il lavoro di ricerca diventa in modo
naturale lavoro di interprete. Quando si ascolta, e poi si trascrive un
pezzo, lo si capisce fino in fondo, se ne coglie la struttura e gli incisi
diversi rispetto alla nostra cultura, dopo cantarlo è facile, viene
voglia di cantarlo.
La ricerca nella musica popolare è fondamentale... Come vede la musica
folk italiana in confronto a quella più nota e apprezzata (almeno in
Italia) d'oltreoceano?
Vedo che la musica popolare italiana è, come succede spesso qui in
Italia, più apprezzata all'estero che in Italia, ho insegnato per anni in
Francia e la passione che mi hanno dimostrato i miei allievi francesi,
belgi e svizzeri mi ha commosso, una mia collega Antonella Talamonti
insegna in Francia e Svizzera, ci chiamano in Germania, ora anche in
Italia, ma sono circoli chiusi compagnie di teatro che hanno bisogno di
materiale per i loro spettacoli o di imparare a fare musica in scena, o
centri specialistici di musica di tradizione orale, universitari,
accademici.
Quanto l'ha influenzata il folk americano? Woody Guthrie, ad esempio,
ma anche Bob Dylan...
Mi ha influenzato moltissimo il folk americano. Sono proprio partita da
lì. Vero è che vivevo a Boston in America, con i bambini, mio marito e
tutto, e quindi cantavo nel Club 47 (tutto questo dopo il Bella Ciao di
Spoleto, cioè in Italia avevo già cominciato a cantare, ma non capivo
l'importanza del canto popolare, l'ho capita in America) e lì venivano i
grandi del canto popolare americano Almeda Riddle, Woody Guthrie, anche
Pete Seeger, anche Bob Dylan che all'epoca si chiamava Zimmerman e che noi
tutti trovavamo molto antipatico perché un gran prepotente. Noi eravamo
tutti iscritti a cantare e si rispettava la fila, arrivava lui e si
metteva subito a cantare bloccando tutto per ore con quelle cose che noi
ritenevamo essere delle nenie insopportabili, lo trovavamo insopportabile,
poi lui fece Blowin’ the wind e allora il nostro sguardo su di lui
cambiò. Quando dico noi parlo di tutto il gruppo di cantori del club 47
che era un Folk Studio molto importante.
Quali sono le principali differenze che lei riscontra tra il folk
italiano e quello americano?
Devo dire che grandi differenze fra il folk americano e quello italiano
non ci sono, ci sono invece molte similitudini, ad esempio le voci sono
sempre a imposto facciale sia lì che qui. I canti americani somigliano
più alle ballads inglesi e alle west songs, inoltre hanno tutto il canto
nero, soul e blues che noi non abbiamo, hanno poi i canti dei monti
Appalachi che sono tipici e assomigliano un pò ai canti della Bretagna,
con armonie a volte discordanti e lanci di voci verso l'alto senza seguito
melodico. Da noi è presente il sud, il canto greco, albanese, ispano
tunisino, ma al nord le ballate sia nei testi che nelle melodie
assomigliano molto a quelle inglesi e quindi a quelle americane.
Cosa bisogna evitare della musica di oggi e cosa bisogna secondo lei
assolutamente salvare dalla musica del passato?
Devo confessare che io di musica leggera attuale e anche di jazz
purtroppo, ne conosco pochissima o niente. A me piace molto Frank Zappa,
di lui salverei tutto, dei cantautori mi piace molto De Gregori, anche lui
è tutto da salvare, Carosone, qualche canzone di Lucio Battisti ma con
arrangiamenti diversi. Devo dire che gli arrangiamenti in Italia sono in
genere un disastro. E' invalso un modo di armonizzare e accompagnare i canti così barocco, così
pieno di strumenti e suoni vari, che il povero canto ne viene
completamente sommerso, e sono tutti uguali gli accompagnamenti, le
armonizzazioni. Così che la canzone non ha mai modo di uscire da sola con
la sua forza, che avrebbe, ho sentito delle canzoni di Battisti cantate da
un mio amico solo con la chitarra ed erano veramente belle, poi mi hanno
fanno sentire il disco, inascoltabile, una pappa di suoni e di ritmi e di
botti, una confusione sonora. Ecco cosa fa il conformismo musicale,
uccide. Della musica del passato bisogna salvare tutta la musica classica
perché anche se era per noi insignificante anni fa oggi ne cogliamo le
qualità di fronte a un crollo espressivo dilagante. Oltre a tutta la
musica classica quei cantori che ho citato prima e pochi altri che non mi
vengono in mente ora, qualcosa di De André e Gino Paoli, anche di Lucio
Dalla. Buttiamo sicuramente tutta la disco che non è musica è solo
mercato e salviamo tutta la musica popolare di tradizione orale, cioé non
quella scritta, il liscio di Casadei etc.
Spesso lei ha parlato del suo rapporto con Giovanna Daffini. Ci
racconta questa sua esperienza con questa eroina del folk italiano?
Con Giovanna Daffini ho trascorso gli anni delle scoperte musicali, lei
mi aiutava a scoprire la musica di tradizione orale, in modo semplice,
però costante, vivevamo quasi insieme tanti erano gli spettacoli che
davamo in giro fra il Bella Ciao e il Ci ragiono e canto. Mi ha insegnato
molte regole del canto, altre le ho imparate da una donna del Salento,
Mariuccia Chiriacò. Con Giovanna ho anche capito l'anima e la cultura del
cantore che era simile, se mi permettete un'iperbole, a quella del guru
indiano. Giovanna credeva nel suo canto in modo cieco e per lei
l'importante era cantare. Una volta assicuratasi questo il resto della sua
vita prendeva forma intorno a questa certezza. Aveva un senso delle
priorità nella vita, e le rispettava con calma e una grande saggezza.
Quando si ammalò, lei ,una donna forte, abituata a dirigere la famiglia
in tutto, non disse nulla e scrisse qualche pagina di diario che restò
sotto il suo cuscino. Aveva perfettamente capito che sarebbe morta e
scriveva parole di conforto e di amore a marito e figli per quando sarebbe
scomparsa, passò quei venti giorni in ospedale in attesa della sua morte
tranquilla e forte. Una donna veramente rara.
Ci può raccontare la sua esperienza con il quartetto vocale con cui ha
recentemente pubblicato "Passioni"?
La mia esperienza con il quartetto Vocale è lunghissima, dura oramai
28 anni. Troppi per poterveli raccontare così. L'importante è dire che
avere un quartetto vuol dire poter scrivere ed essere eseguiti. Molti
scrivono e nessuno esegue i loro pezzi, io scrivo e so che quei pezzi se
sono venuti bene li canteremo. E' una grande soddisfazione. Avere tre voci
a disposizione, belle, mature, allenate, estesissime, come strumenti, è
un altro grande lusso. La vita in tournée, prima nella formazione con
Patrizia Nasini, Lucilla Galeazzi e Maria Longo, poi con Patrizia Nasini,
Patrizia Bovi e Francesca Breschi, è stata sempre una vita piacevole, le
tournée molte e molto stancanti, ma sempre una grande solidarietà, e in
scena una generosità difficile da trovare altrove. Ho potuto maturare con
loro il mio modo di scrivere.
Alla luce del successo de "Il Fischio del vapore",
"Buongiorno e Buonasera" appare in continuità con questo disco,
pur essendo per certi versi più ostico per il normale ascoltatore. Quali
sono le differenze tra i due progetti?
Il disco Buongiorno e buonasera è composto da scritti miei. Canzoni
che facevo prima del 76, anno in cui incominciai a scrivere per quartetto
e non ho ancora smesso. Erano canzoni che facevo per me, sola con la
chitarra perché non trovavo nessuno che volesse cantare con me, veramente
non lo cercavo nemmeno. Avevo i miei amici del Nuovo Canzoniere, ognuno di
noi cantava le sue canzoni gli altri se potevano gli facevano un contro
canto, sulle mie stavano zitti perché erano troppo complicate. Mentre il
Fischio del Vapore oltre a contenere due canti miei e uno di Francesco De
Gregori contiene un'antologia di canzoni popolari fra le più belle e
classiche, questa è la differenza fra i due dischi.
Cosa la colpisce di più del personaggio Bob Dylan?
Vi ho già parlato di Bob Dylan, è un uomo molto intelligente, che
mette tutto al servizio del proprio bisogno di creare, non rispetta
regole, non avvicina nessuno se non gli è utile per qualcosa, questo mi
sembra essere la sua indole , il suo carattere. In quanto ai suoi pezzi a
me non piacciono molto a parte alcune cose veramente riuscite, ma sempre,
anche in quelle, sento le idee musicali più belle di Woody Guthrie, di
Leadbelly. E' un uomo con una forte intelligenza selettiva e analitica
allo stesso tempo, estrae dalle opere degli altri la parte migliore e la
riproduce in canzoni a volte anche molto belle. Ora questo di scegliere
dalle espressioni altrui quello che poi sarà il nostro cantare, non è
sbagliato, ma nelle cose di Dylan sentire gli echi di altri cantori mi dà
fastidio perché ci sento un'automatica tecnica piratesca che mi dà
fastidio. Sicuramente sbaglio. Sicuramente sono ancora irritata per le
lunghe attese che ci ha costretto a fare al Club 47 a Boston. Quindi
quello che mi colpisce più di lui è la sua protervia, il suo non temere
mai di essere indigesto, di disturbare, ama le sue canzoni e le impone al
mondo e di fronte a un temperamento così forte bisogna far tanto di
cappello.
Come vede Francesco De Gregori come alter-ego italiano di Bob Dylan,
come molti lo hanno definito?
Francesco De Gregori è molto di diverso da Bob Dylan, detesta
l'invadenza, è un poeta moderno completo, nella forma come nella sostanza
c'è sempre ricerca, c'è sempre bisogno di dire sinceramente. Le sue
canzoni non assomigliano affatto a quelle di Bob Dylan tranne quando
decide di essere Dylanesco, e lo fa bene, non secondo una tecnica
automatica ma secondo una sua scelta precisa di espressione di quel
momento. Tutti lo chiamano il Dylan italiano. Forse perché si sente
fortemente l'importanza del testo nelle sue canzoni, ma anche i temi che
De Gregori tratta sono molto diversi da quelli di Dylan, e la brevità di
alcune sue canzoni testimonia dell'urgenza di esprimere un'immagine, un'
idea, senza aggiungere altro, questo in Dylan non capita mai. Sono per me
molto diversi.
Lei ha parlato spesso dell'uso del recitativo da parte di De Gregori.
Ci può spiegare in che modo lo utilizza e dove questo è più evidente?
Quale è a suo avviso la caratteristica principale della musica di
Francesco de Gregori?
La musica di Francesco De Gregori non so descriverla. Ci penso molto,
vorrei darne un'analisi musicale ma ci vuole molto tempo e ora tempo non
ne ho. Spesso quelli di Francesco De Gregori sono recitativi. Recitativi
classici, che escono da una tonalità per entrare in un'altra tonalità.
Che hanno improvvisamente delle trovate ritmiche. Dei cambi di atmosfera
suggestivi, basti pensare alla frase musicale della "Donna
cannone". E' una musica semplice, ma molto elegante. Che lui non
forza mai in uno schema stilistico preciso. Ha un gusto musicale
infallibile De Gregori, l'ho imparato facendo questi due dischi con lui ma
l'avevo già sentito facendo insieme a lui "L'abbigliamento del
fuochista". Mi ero detta "ha una sensibilità musicale da
musicista completo, di classe, pur non avendo compiuto studi
musicali" ma questo accade spesso a chi dovrebbe far riflettere.
Quali sono i dischi decisamente innovativi per la musica italiana nella
produzione di De Gregori?
A me pare che Amore Nel Pomeriggio sia un disco tutto bellissimo,
nuovo, come fu il disco che contiene La donna cannone.
Le capacità compositive e di scrittura di De Gregori sono un
patrimonio acclarato. Meno notata invece è la sua bravura come cantante.
Qual è il suo pensiero?
Devo invece dire che Francesco De Gregori è un grande interprete. Usa
la voce con una saggezza da cantore popolare che la voce se l'è costruita
da sè. E' un tenore leggero, ma quando arriva in alto, e quando è
riposato arriva molto in alto, riesce a mantenere una voce piena,
completa, che fa un piacere enorme sentire. Sembra una voce poco sonora,
ma quel leggero tono afono, quella voluta trascuratezza nel canto, sono
tipici del suo carattere schivo. Lui se una cosa non l'ha studiata bene
non la fa. E non crede nella sua voce, crede più in quella sua voce quasi
parlata, leggermente roca , che in effetti ha un gran fascino. Ma quando
sta rilassato, gli esce cantando con me i vecchi canti americani , o i
nostri canti popolari, una voce piena, forte , che è una bellezza. Ed
essendo molto musicale la usa magnificamente. Non vi sbagliate, De Gregori
è anche un grande cantante ed esecutore.
a cura di Salvatore Esposito e Giommaria Monti (maggie'sfarm.it)
|
Le bandiere rosse nella hit-parade italiana
Veronique Mortaigne – Le Monde – dicembre 2002
(traduzione di Salvo Di Garzia)
Il duo composto da Francesco De Gregori, vedette del
rock e Giovanna Marini, instancabile figura dell’opposizione, ha
conquistato un successo inedito con un album abbondantemente segnato a
sinistra, "Il fischio del vapore" che riprende quattordici
canzoni politiche del patrimonio nazionale.
Roma dal nostro inviato speciale
Nel 1949, il registra cinematografico Giuseppe De
Santis, girò Riso Amaro, con Silvana Mangano perduta in mezzo alle
mondine, queste donne che lavorano a gambe nude, testa raccolta da un
cappello di paglia, nelle risiere della piana del Po. Le mondine, ma anche
la cantastorie Giovanna Daffini, interpretavano Bella Ciao come un
lamento, senza forzare il tempo, contrariamente ai partigiani che, alcuni
anni dopo, ne fecero simbolo di resistenza al fascismo. Mezzo secolo dopo
la sua creazione (come simbolo perché il tema circola già dal XVmo
secolo francese), Bella Ciao è inutilizzata. I "Motivati"
francesi (membri dello Zebda e dei loro amici di Tolosa), prima di essere
un movimento politico, ne fecero una versione gioiosa ed affascinante in
un disco uscito nel 1997 per conto della LCR (Trotzkista), e sul quale si
ballerà tutta l’estate.
In questo autunno 2002, Bella Ciao avrà aiutato il
presidente del consiglio Silvio Berlusconi a cacciare Michele Santoro,
grande giornalista del Corriere della Sera e famosissimo conduttore di
RaiDue, che aveva intonato "Stamattina mi sono alzato…" sullo
schermo in segno di protesta. E cosa si vede apparire nel plotone di testa
della classifica di vendita dei dischi della penisola in questo inizio di
dicembre? Il Fischio del vapore, quattordici canzoni politiche ispirate al
repertorio italiano dopo il XIXmo secolo e cantate da una vedette del rock
nazionale, Francesco De Gregori ed una instancabile figura dell’Italia
dell’opposizione, la musicista Giovanna Marini.
La canzone popolare è forte, dura nel tempo. E’
quello che ha detto Giovanna Marini dopo l’inizio degli anni 1960,
quando fonda con un gruppo trepidante (Il Nuovo Canzoniere Italiano)
l’etichetta I dischi del sole, diventata Bella Ciao, dopo il successo
dello spettacolo dello stesso nome, portato in scena nel 1964 al Festival
dei due mondi di Spoleto, il gruppo, che lavorerà in seguito con Dario
Fo, sarà oggetto di una denuncia per attentato all’onore delle forze
armate. I dischi del sole e Bella ciao, che pubblicheranno le canzoni
dell’Italia lavoratrice, operaia e popolare, rossa e nera, erano state
finanziate da Giovanni Pirelli, figlio del fabbricante di pneumatici che
aveva rifiutato l’eredità paterna per convinzioni politiche.
Affidatagli comunque per legge la sua quota del patrimonio, egli lo aveva
subito investito nei dischi Arcophone (classica), nei Dischi del sole e
nel Centro Studi Lumumba.
Tecnici sul "Chi va là"
Per il fischio del vapore, disco e serie di concerti,
Giovanna Marini ha scelto di cantare Bella Ciao con lentezza, alla maniera
della compaesana Giovanna Daffini. Gli scontri di bandiere sono altrove.
Uscito il 15 novembre in Italia, Il Fischio del Vapore, è disco d’oro
(100.000 copie vendute). Francesco De Gregori, il "Principe della
canzone italiana", il soprannome datogli dai media e dal quale lui si
dissocia generalmente, è uscito dalla sua riservatezza e Giovanna Marini
la rossa, l’oppositrice, che in genere frequenta una categoria molto
distante dal varietà televisivo, si è vista proporre anche il sabato
sera alla televisione in "Uno di Noi", trasmissione di RaiUno
presentata da Gianni Morandi, un elegante cantante diventato conduttore
sulla riga di Adriano Celentano.
Giovanna Marini aveva voluto con lei quaranta dei
suoi allievi della Scuola Popolare di Musica di Testaccio, aperta nel 1974
accanto al vicino mattatoio di Roma, su un luogo che gli aveva indicato un
suo amico, il cineasta Pierpaolo Pisolini. Senza premeditazioni, la banda
è arrivata come il popolo in marcia, vestita di nero e rosso,
ricostruendo, senza volerlo, "Il quarto stato", la tavola di
Pelizza da Volpedo, il manifesto del 1900 di Bertolucci. Giovanna Marini e
Francesco De Gregori si divertono. I tecnici sono sul "chi va là".
Se Giovanna Marini non ha dimenticato nulla dell’effervescenza italiana,
dal PCI ai centri sociali del 1990, il suo compagno di canto che ha
ugualmente fatto strada con il PCI, è rimasto a riposo dopo il fallimento
della sinistra italiana. In ottobre quindi, l’enorme manifestazione
romana contro la legge Cirami, detta del "Legittimo sospetto",
arma antigiudici, alla fine approvata, gli ha offerto l’occasione di
riunirsi alla strada.
Il 9 e 10 dicembre, il duo ha fatto due serate al
Parco della Musica di Roma, tre sale di architettura fantasiosa concepite
da Renzo Piano. Per il merchandising, bisognerà passare dall’estetica
"No global", t-shirts alternative (Bella ciao nei colori e nella
grafica Coca-Cola, appello all’Italia che resiste, alle multinazionali
etc..). Sulla scena, De Gregori ha convocato il suo gruppo di rockers e
Giovanna Marini il suo quartetto vocale con il quale si esibisce
abitualmente. Si tratta di quattro chitarre, di cui una elettrica, un
mandolino, un organo Hammond, una batteria, un contrabbasso, tre cantanti
esperte in "terze", "quinte" e polifonia, tutto
insomma unito nel rispetto che si deve a Sacco e Vanzetti.
De Gregori ha spiegato d’altronde che egli ha
immaginato questo disco attraverso l’amore dell’innocenza: quella dei
due giovani anarchici, dei contadini e degli emigrati, dei quali tante
canzoni italiane ritracciano il destino parlando di libertà: "Verrà
un giorno che tutte quante/Lavoreremo in libertà" (estratto da Bella
ciao).
Questo 10 dicembre, il cantante è sotto l’effetto
delle dichiarazioni di Berlusconi che ha raccomandato ai lavoratori
licenziati dalla Fiat di trovare "un secondo lavoro" (in nero).
"Il peggio, dice questo romano, amante del Chianti e produttore di
olio di oliva biologico, è questo: Berlusconi se ne frega totalmente
delle idee portate avanti da questo disco, ma l’avrebbe voluto produrre,
perché funziona"
Felicità e contraddizioni
Perché funziona?" Perché queste canzoni sono
belle, sono la memoria del paese ed i giovani le riscoprono grazie
soprattutto a questi arrangiamenti moderni", risponde Giovanna
Marini, " E perché hanno una morale" (De Gregori).
"Viviamo in un paese dal fondamentalismo pesante apportato da una
multinazionale, il Vaticano, dal sicuro cinismo. Noi abbiamo Berlusconi,
il simbolo del cattivo debitore spoglio di etica, è pesante"
(Marini).
Marini-De Gregori è un duo infernale. Lui, discreto,
ritto, nato da una severa famiglia romana. Lei, in costante ebollizione,
determinata, l’occhio su tutto. Buontemponi, esultanti davanti un piatto
di insalata o di spaghetti al pomodoro, descrivono un’Italia felice, contradditoria " dove le soubrette possono essere guevariste ed i
dirigenti comunisti cantare la Passione di Cristo" (Marini),
un’Italia sentimentale, capace di bloccare una guerra civile per
assistere all’arrivo del Giro ciclistico (una canzone ne parla,
L’attentato a Togliatti, interpretata da De Gregori nella sua ultima
tournèe con un successo che gli ha dato voglia di prolungare
l’esperienza).
In concerto il duo canta, secondo l’umore, Addio
Lugano, scritta da un avvocato anarchista incarcerato nel 1906, che figura
nell’antologia della canzone anarchica, sempre disponibile al reparto
politico di Ricordi, la grande catena di negozi musicali italiani, tra
Spazio interiore (i poemi del Papa, recitati da Gassman, Monica Vitti e
Alberto Sordi) ed i discorsi di Mussolini per il quale, dice il malizioso
cantante, nessuno ha mai scritto canzoni: il popolo diffida dal
potere".
|
|
E
da Genova il Sirio partivano per l'America varcare, varcare i confin e da
bordo cantar si sentivano tutti allegri del suo, del suo destin.
Urtò
il Sirio un orribile scoglio di tanta gente la mi- la misera fin: padri e
madri abbracciava i suoi figli che si sparivano tra le onde, tra le onde
del mar.
Più
di centocinquanta annegati, che trovarli nessun- nessuno potrà; e fra
loro un vescovo c'era dando a tutti la be- la sua benedizion.
|
Quasi una copertina della
“Domenica del Corriere” questo bellissimo canto di emigrazione nello stile
tipico dei cantastorie della pianura Padana. All’inizio del secolo, quando
l’analfabetismo era largamente diffuso, la funzione del cantastorie era di
grande importanza ai fini della comunicazione e l’elemento pittoresco (in
questo caso un imperturbabile Vescovo) era fondamentale per attirare
l’attenzione di ogni tipo di spettatore
|
DE
GREGORI CERCA I GIOVANI
Un club per il Principe - Francesco e la band per la prima volta in
concerto sul palco di un piccolo locale
Francesco De Gregori, dopo la pubblicazione dell'album "Il fischio
del vapore" con Giovanna Marini, affronta un insolito tour:
abbandonati stadi e palazzetti, terrà alcuni concerti - con il suo
repertorio classico e accompagnato dalla sua band, guidata dal bassista
Guido Guglielminetti - nei club: a Torino, l'appuntamento è mercoledì
4 dicembre al "Barrumba" di via San Massimo 1. Inizio alle ore
21, biglietti a 24 euro. Nell'articolo che pubblichiamo in esclusiva, De
Gregori spiega le ragioni che lo hanno indotto a cercare un contatto
diverso con il pubblico.
Dopo tanti anni il pericolo più grande di questo mio bel mestiere è la
prevedibilità.
Ci si ritrova sulle stesse autostrade (l'Italia è un paese tanto
piccolo!), si lavora con gli stessi promoter, si cantano per forza più
o meno le stesse canzoni - anzi, c'è sempre qualcuno che si arrabbia se
gli cambi l'arrangiamento -, ci si ferma negli stessi autogrill, si va a
dormire negli stessi alberghi. Si entra in un ritmo insomma, che poi è
il ritmo del tuo lavoro. E ti potresti anche addormentare per svegliarti
solo qualche minuto prima di salire sul palco a cantarti le tue cose e
stai attento - anche questo può succedere - a non dimenticarti le
parole. Anzi, quando succede, certe volte non è male: si inventano
allora certi versi sostitutivi che a volte sono meglio degli originali e
qualche volta più ispirati. Sicuramente più esilaranti.
Certe volte per evadere dalla prevedibilità io prendo qualche canzone
poco conosciuta (poco conosciuta anche dalla band) e mi metto a cantarla
e guardo le facce di quelli che stanno davanti, e anche la faccia di
Guido Guglielminetti che sta suonando il basso accanto a me e vorrebbe
prendermi a calci. Ma non potevamo provarla un po' prima?!
Si prova, si prova sempre, si prova di tutto: però spesso certe canzoni
è meglio non starle a provare troppo: perdono di freschezza e quando le
fai davanti al pubblico sembrano un po' certe cose surgelate -
igienicamente perfette, per carità, - ma vuoi mettere come brillano di
più se invece le hai provate solo una volta durante il soundcheck? E
pazienza per Guido, stoico osservatore delle mie mani sulla chitarra per
capire che accordi sto facendo!
Tutto questo per dire che anche cercarsi dei posti nuovi dove andare a
cantare è importante. Soprattutto se vai dove ti aspetti un pubblico un
po' diverso dal solito, meno abituato all'ascolto composto che
normalmente si trova in un bel teatro o anche in un palazzetto. Un posto
dove ti stanno a sentire bevendosi una birra e se si scocciano possono
anche farsi due passi e tornare la canzone dopo, cosa che in un teatro
verrebbe considerata malissimo. Ecco, suonare in un club io me lo
immagino un po' così: un po' di rumore di fondo, come una distorsione
naturale del suono, e le mie canzoni che ci nuotano dentro senza starsi
troppo a preoccupare.
Eppoi nei locali ci va gente più giovane: io non sono un adoratore dei
giovani, non me ne frega niente quando mi dicono "Aho, Francè,
stasera c'è un sacco de ragazzini!": anzi, trovo che i
"vecchi" - diciamo quelli da trent'anni in su - abbiano il
grande merito di seguire le mie contorsioni e le mie improvvisazioni
(Ah, come era bella la Donna Cannone sul disco, signora mia!) e fanno
sicuramente un certo sforzo per far combaciare quello che è nella loro
testa con quello che sta oggi nella mia..
Ci sono delle canzoni che vengono definite "evergreen",
sempreverdi. La Siae ti paga di più per queste canzoni. E' incredibile!
Io invece trovo naturale che le canzoni diventino vecchie: certe vecchie
canzoni rinfrescano le stanze, si fanno fischiettare, ogni tanto viene
fuori un verso, una parola e ci si può bere una birra. Andare nei club
vuol dire cercare la faccia di quelli che hanno vent'anni. E vedere che
faccia hanno. E sapere che esistono. E fargli sapere che esisto io, che
non li adoro, ma mi piacciono.
Francesco De Gregori - 29 novembre 2002
|
01
FEBBRAIO - Boves (CU) 02 FEBBRAIO - Varazze (Palasport) 09 FEBBRAIO -
Milano - PalaVobis 25 MARZO - Napoli (Palapartenope) 26 MARZO - Roma
Teatro Olimpico 27 MARZO - Roma Teatro Olimpico 28 MARZO - Roma Teatro
Olimpico 17 APRILE - Genova Teatro Carlo Felice 19 APRILE - Biella -
Teatro Odeon 20 APRILE - Lugano - Palazzo dei Congressi 27 APRILE - Roma -
Parco della Musica (con G. Marini) 28 APRILE - Roma - Parco della Musica
(con G. Marini) 11 MAGGIO - Padova - Palasport S. Lazzaro 20 AGOSTO - Arco
(TN) - Castello 24 AGOSTO - Senigallia (AN) - Mamamia Estate 09 SETTEMBRE
- Taurianova 15 SETTEMBRE - Quartu - Piazza S. Elena - 18 SETTEMBRE -
Bologna Festa Unità - 29 OTTOBRE - Catania
- Metropolitan 30 OTTOBRE - Palermo Teatro Golden 20 NOVEMBRE - Lecce -
Politeama 17 NOVEMBRE - Firenze (Teatro Verdi) (con G. Marini) 21 NOVEMBRE
- Andria (BA) - Palasport 25 NOVEMBRE - Verona, Teatro Filarmonico (con G.
Marini) 27 NOVEMBRE - Nonantola (Vox Club) 29 NOVEMBRE - Eboli (Palasele)
04 DICEMBRE - Torino - Barrumba 05 DICEMBRE - Cortemaggiore - Fillmore
Club 06 DICEMBRE - Rimini (Street Club) 09 DICEMBRE - Roma - Parco della
Musica (con G. Marini) 10 DICEMBRE - Roma - Parco della Musica (con G.
Marini) 12 DICEMBRE - Ponderano 14 DICEMBRE - Monteroni d'Arbia (SI) 15
DICEMBRE - Bologna (Estragon) 16 DICEMBRE - Castelfranco Veneto (TV) -
Eurobaita al Lago 17 DICEMBRE - Trieste (Teatro Rossetti) 18 DICEMBRE -
Milano - Libreria Feltrinelli (con G. Marini) 19 DICEMBRE - Taneto di
Gattatico (RE) - Circolo Fuori orario 20 DICEMBRE - Trezzo d'Adda (Live
Club) 21 DICEMBRE - Cesena (Vidia) 27 DICEMBRE - Lanusei |
|
|
|
|