Terra Di Nessuno (LP, Album) CBS 460524
1 Italy 1987
Terra Di Nessuno (LP, Album) TELDEC 76
25138 Switzerland 1987
Terra di nessuno (Cass, Album) CBS 460524
7 Italy 1987
Terra Di Nessuno (CD, Album, RE, Dig) Sony
Music, Columbia 88843067672 Italy 2014
Terra Di Nessuno (CD, Album) TELDEC C
78.25138 Switzerland Unknown
Terra Di Nessuno (CD, Album, RP) CBS 460524
2 UK & Europe Unknown
Prodotto
da Francesco de Gregori. Registrazione
effettuata da Maurizio Maggi presso lo studio UMBI di Modena. Missaggio
effettuato da Alan Douglas e Guido Guglielminetti presso gli studi
Townhouse di Londra. Direct
Metal Mastering effettuato da Ian Cooper presso gli studi Townhouse di
Londra. Arrangiamenti delle sezioni ritmiche di Guido Guglielminetti,
Gilberto Martellieri, Elio Rivagli. Direzione dei lavori: Filippo Bruni.
Artwork Studio Vertigo
Hanno inoltre collaborato:
Aida Castignola al coro, Annalisa Petrella al violoncello, Giovanni
Petrella alla viola, Riccardo Sasso al violino,
Renato
Serio arrangiamento in Mimì sarà. In
copertina: Disegno di Karl Hubbuch (Zwei Modelle 1928) - grafica Studio
Vertigo
|
L’uomo
dalle spalle larghe ci regala un grandioso cruciverba, di quelli con le
definizioni da intenditori premiati, in cui dai verticali scendono giù
storie meravigliose e negli orizzontali le melodie vanno da destra a
sinistra come le ottave del pianoforte. Quando queste due forze si
incrociano, si vanno ad incasellare ottenendo una soluzione che non è a
portata di mano, ma che è perfetta. Sono parole crociate da ascoltare
fino in fondo. Chi vuol risolvere risolva, chi vuol intendere si sforzi
di intendere. In un’intervista
Francesco dice del disco: “Peccato, era un bel disco ed ha avuto un
destino infelice. “I matti” è una canzone splendida, peccato.” E’
vero che il disco non ebbe molta fortuna, ma rimane uno dei più
eleganti, un’opera d’arte contemporanea, più da ascoltare che da
suonare.
(Il Nostromo)
In
quest’anno ci governa Fanfani con una coalizione politica DC e
Indipendenti; Ilona Staller viene eletta deputato alla Camera; Mathias
Rust, con il suo piccolo aeroplano, sfugge a tutti i controlli e atterra
sulla Piazza Rossa di Mosca; "lunedi nero" delle borse
mondiali, l'indice Dow Jones perde 508 punti, più del 20% del suo
valore, trascinando nel disastro gli altri mercati mondiali. E' una
crisi economica paragonabile a quella del 1929, che segna la fine della
grande bolla speculativa iniziata nei primi anni '80; "I
girasoli" di Van Gogh, battuto all'asta per 38 milioni di dollari:
inizia la moda dell'arte come bene rifugio; viene riconosciuta validità
legale all'utilizzo del DNA nei processi; i Paesi industrializzati
prendono coscienza del problema del famigerato "buco
nell'ozono"; sono Nobel gli studiosi Georg Bednorz e Alexander
Müller; Margareth Thatcher rivince le elezioni in Gran Bretagna;
Giovanni Paolo II riceve in Vaticano in visita ufficiale il presidente
polacco Jaruzelski; l'esplosione di una auto-bomba dell’Eta, collocata
nel parcheggio sotterraneo di un grande magazzino a Barcellona, causa
diciotto morti e quaranta feriti; in Valtellina, un’alluvione provoca
25 vittime e ingenti danni; Giovanni Goria è il Capo del governo più
giovane tra tutti coloro che lo hanno preceduto; a Tripoli il leader
libico Gheddafi rivendica la proprietà delle isole Tremiti; Gianfranco
Fini è eletto segretario nazionale del Msi-Dn; nasce L'auditel; è
l'anno dei Cobas, con scioperi a raffica soprattutto nelle ferrovie; una
gigantesca frana si stacca e scivola dalla montagna spazzando via due
paesi, Morignone e San'Antonio Morignone; si accentuano le inchieste e
scoppiano gli scandali legati alla pubblica amministrazione: "le
aree d'oro di Milano" che fa dimettere il Sindaco Tognoli, "le
carceri d'oro" che mette in luce un giro di tangenti legato alla
costruzione delle super carceri, "le lenzuola d'oro": giro di
tangenti legate alla fornitura di lenzuola ai valoni letto delle
ferrovie italiane; nascono i supplementi "Sette" (Corriere
della Sera) e "Il Venerdì" (Repubblica); Renato Curcio ed
altri leader delle Brigate Rosse scrivono dal carcere una lettera con la
quale sconfessano la violenza. E' l'atto di resa del gruppo storico
delle BR; muoiono Claudio Villa, Renato, Guttuso, Rita Hayworth, Primo
Levi.
Il
Premio Strega va a Stanislao Nievo con Le isole del paradiso e il
Campiello va a Raffaele Nigro con I fuochi del Basento
Al
cinema "Platoon" di Oliver Stone vince 4 Oscar. Sbalordisce il
mondo, invece, Marlee Matlin, attrice sordomuta, miglior attrice in
"Figli di un dio minore". Tre premi per il sofisticato
"Camera con vista", mentre Giorgio Moroder vince per
"Take my breath away", migliore canzone e hit dell'anno in
tutto il mondo. Vediamo anche Un Tassinaro a New York, Miracolo sull'8a
strada, L'ultimo imperatore, Il nome della rosa, Mission, Camera con
vista, Full metal jacket, L’impero del sole, Gli intoccabili, Stregata
dalla luna.
Nello
sport Roma ospita i mondiali di atletica, in cui Carl Lewis conquista
tre ori; per l'Italia oro con Damilano nella marcia e con Panetta nei
3.000 siepi; i fratelli Abbagnale sono (e basta!) campioni del mondo di
canottaggio; l'irlandese Stephen Roche realizza un tris leggendario:
Giro d'Italia, Tour de France e mondiali nello stesso anno; Ruud Gullit
vince il Pallone d’Oro e la domenica sera Sandro Ciotti e Maria Teresa
Ruta ci raccontano che il Napoli vince il suo primo scudetto con Garella,
Ferrara, Corradini, Bagni, Ferrario, Renica, Romano, De Napoli,
Giordano, Maradona, Carnevale. (All. Bianchi).
Giochiamo
con Dragon, Brivido, Indovina Chi, Forza Quattro, le pigotte Holly
Hobbie. La bambola ideologicamente "più avanti" è Camilla,
che ha il passaporto
Ci
intossichiamo con Golò, Grisbì, Mister Day, le patatine San Carlo,
Twister, Lemonissimo, Calippo, il Kilt al limone.
Spot
da ricordare sono il veterinario che pur di scroccare un bicchierino di
Amaro Montenegro si fa decine di chilometri per risvegliare un cavallo
in semicoma con un semplice buffettone sul muso; il paraflu con l’eschimese
che vuole per forza il paraflu altrimenti prende a botte il meccanico;
"No Alpitour? Ahi ahi ahi ahi ahi...".
Di
moda vanno lo stereo compatto con 3 lettori CD, le Superga, i viaggi in
Thailandia e Bali, Capo Verde, il Body building, le borse Fendi, il
Levriero e il Fox Terrier, far carriera, ti faccio un fax. Indossiamo
pullover con rombi colorati, il loden, la pipa, giacchini di lana con le
millerighe di Missoni, ciglia finte, make-up esasperato, spalle giganti
e tanto oro.
In
televisione c’è Indietro tutta, l’interessante Parola mia col Prof.
Beccaria, Mister Fantasy con Fegiz e Massarini, Superclassifica Show,
Bim Bum Bam, Unomattina, il Fantastico di Celentano, Bandiera gialla,
Pentathlon, Piccoli fans, Premiatissima, Raffaella carrà show, Pronto
chi gioca?
A
Sanremo vincono Morandi Tozzi e Ruggeri con “Si può dare di più”,
il Premio Tenco lo vince Francesco Guccini con Scirocco, allo Zecchino d’oro
vince "Canzone Amica" e al Festivalbar Ivana Spagna con
"Dance dance dance".
Con
la New Wave il distacco tra il musicista e il suo pubblico si fa netto e
inconciliabile: i Residents entrano in scena indossando caschi a forma
di bulbo oculare, rifiutandosi di farsi conoscere per chi realmente
erano (mistero che li circonda fino a giorni nostri); il duo Suicide
propone uno spettacolo raccapricciante dietro “muri” di
campionamenti e rumori urbani concreti; i Devo, fedeli alla loro
rappresentazione di uomo-macchina, imitano i movimenti dei robot
indossando tute spaziali. Madonna e
Whitney Houston dominano le classifiche mondiali; gli Europe lanciano
"The final countdown", una delle canzoni più famose degli
anni '80; i Ferry Aid ripropongono "Let it be" dei Beatles, i
cui incassi vanno ai familiari delle quasi 200 vittime del ferryboat
inabissatosi prima di giungere a Dover, in marzo. Comunque, qualcosa
della tanto bistrattata musica anni '80 è ancora da salvare: gli Smiths,
i Talking Heads e gli U2.
Ascoltiamo
Who's that girl, The Final countdown, I wanna dance with somebody, Gente
di mare, Call me, Bad, Never gonna give you up, Boys, Nothing's gonna
stop me now , Io amo, Respectable, All at once, Figli, Dance dance
dance, Nostalgia canaglia, OK Italia, Beethoven (I love to listen to),
Quello che le donne non dicono, L'Amore è, La Notte dei pensieri, Let's
work, Meet el presidente, C'est la vie.
Gli
album più venduti in Italia sono Blue's, Whitney, C'e' chi dice no, The Joshua tree, OK Italia, Men and women, Bad, The final countdown, Sign o'
the times, La pubblica ottusita', Who's that girl, Io amo e altri
successi, You can dance, Adesso Mango, Graceland Paul Simon, Rane
supreme, Live in the city of light, Tunnel of love, A momentary lapse of
reason, Faith. Ma anche CD come
Atlantic Bridg, Siroco, Permanent Vacation, Sign o' the Times, The
Joshua Tree, Hot Animal Machine, The Healer, Passion, Disintegration,
Circulado, Evanescence, Ten, Automatic for the People, Henry’s Dream. Tormentone dell’estate: La Bamba.
http://www.rimmelclub.it/storia/storia.htm
Siamo giunti così a TERRA DI NESSUNO. (…) Al termine
dell'ascolto uno di loro mi disse: "stupendo! ". Oggettivamente il
primo disco era meno bello del secondo, ma credo che anche le condizioni
dell'ascolto abbiano un po' influito sul grado di accettazione del mio lavoro.
(…) A notte inoltrata giunsero due tipi in giacca e cravatta, probabilmente
della nuova casa discografica di Francesco, la Cbs, i quali ridevano e
chiacchieravano tra loro con evidente sicurezza di sé e che non riuscirono a
fondersi perfettamente in quell'atmosfera. Infine giunse anche Vasco Rossi, una
persona squisita, accompagnato dai suoi assurdi musicisti. Ascoltò con
attenzione il nastro e si complimentò con Francesco. Sembravano una banda non
più tanto giovanile del Bronx, con uno spiccatissimo accento modenese. (DE GREGORI – LO CASCIO –
MUZZIO 1990)
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Ascoltando
questo disco la mia memoria torna al 1987, ad un giovane e già
grassoccio obiettore di coscienza, parcheggiato in una biblioteca
comunale a scontare 20 mesi di vita da regalare allo Stato, senza aver
commesso nessun reato. L'arrivo in biblioteca di una rivista musicale
dal titolo che iniziava con "rock" (Rockstar? Rockland? Rock'n
roll? Boh, robetta comunque) era attesa con trepidazione un po' da tutti
noi, e da me in particolare, ansioso già allora di leggere recensioni,
che poi non erano un granché. Una di queste mi dette una vera
pugnalata: "Terra di nessuno" di Francesco De Gregori era
massacrato senza ritegno, e soprattutto senza nessuna argomentazione, ma
solo con una serie di "basta" "è finito" e slogan
del genere, non molto diversi da certi post in grigio che infestano
anche questo sito. Il 3 finale però non era un innocuo tre debaseriano,
ma un micidiale tre in decimi, da maestra sadica che gode e pigia con la
matita rossa mentre lo appioppa.
Dopo
18 anni mi sento di ristabilire un minimo di verità, per quello che
possono contare queste righe. Dunque, forse una rivista "rock"
avrebbe fatto meglio ad ignorare un disco del genere, di un autore da
sempre più poeta che musicista e, nel caso specifico, intriso di una
malinconia crepuscolare che non tutti sanno apprezzare. Nel complesso
non si tratta di un capolavoro assoluto, ma contiene almeno due gioielli
della maturità di De Gregori. Uno è la tenerissima "Pilota di
guerra", ispirata a Saint-Exupéry, struggente e umana confessione
della spettrale solitudine del pilota di un aereo da guerra che
"sparge sale sulle ferite delle città", più in generale
emblema della solitudine assoluta dell'uomo. La musica è delicata e
commovente come si addice all'argomento. L'altro è "Mimì
sarà", dedicata a Mia Martini, ma non solo, direi rivolta a
chiunque abbia attraversato quello stato d'animo che ti piega i
ginocchi, che fa sì che "tu ti affacci da dietro quei vetri che
sono i tuoi occhi", che i medici chiamano cinicamente depressione.
La tristezza del testo e della musica non toglie comunque la necessità,
quasi l'obbligo di farsi forza, se non altro "per spiegare alla
figlia che domani va meglio, vedrai cambierà". Le lacrime sono
quasi sicure.
Musicalmente
la traccia rock del precedente "Scacchi e tarocchi" è quasi
del tutto svanita, anche se i musicisti sono più o meno gli stessi: è
sempre la banda di Ivano Fossati, ma non suona il rock, come la logica
vorrebbe. Giusto "Il canto delle sirene" ha un ritmo e delle
sonorità abbastanza dure, accompagnate da un testo abbastanza
enigmatico, pieno di sete di avventura, di fuga da una dura realtà
attraverso il viaggiare per mare. Più ordinaria "Capataz",
almeno musicalmente: le parole invitano ad una certa speranza, oltre che
ad un certo impegno: "Quante persone che non contano, e invece
contano, e si stanno contando già". "Pane e castagne",
segnata da cima a fondo da tristi e metalliche tastiere elettriche, è
un patetico quadro di povertà e di rassegnazione ad un destino già
deciso da altri. "Nero" è un tuffo in un realismo totale e
crudo, dylaniano, qui ancora nascente, ma che a poco a poco finirà per
imporsi nel De Gregori attuale. Il nero è brutalmente scaricato
"dalla periferia del mondo a quella di una città", e sa bene
quali sono le difficoltà che lo aspetteranno, ma accetta il suo destino
con il riso sulle labbra, come sottolinea anche la musica, brillante,
quasi un allegro reggae. L'uomo con le "Spalle larghe" è una
versione più moderna e anonima di quello che cammina sui "Pezzi di
vetro": forte, rassicurante, dà così tanta fiducia da poter
"ritornare sporco di rossetto, tanto ha una faccia che non
tradisce". "I matti" non hanno il cuore "o se ce
l'hanno è sprecato, è una caverna tutta nera", verso che da solo
definisce il pauroso vuoto della loro anima. Chiude un po' inatteso un
allegro "country-western", "Vecchia valigia",
oggetto-simbolo di lontani viaggi e ricordi.
Ottimo
disco, che allora non meritava di essere stroncato, e oggi non merita di
essere dimenticato.
Grasshopper
(debaser.it)
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Non siamo nati mica ieri Capatàz,
non siamo nati mica ieri.
Non siamo mica prigionieri,
dentro la stella di questa bella modernità.
non siamo nati mica per morire qua.
Se provi a aprire la finestra Capatàz
e coi tuoi occhi guardi fuori.
Quanto persone che non contano
e invece contano e si stanno contando già,
stanno soltanto aspettando un segno, Capatàz.
Questo vecchio segno, quando cambia il vento,
quando cambia il vento arriverà.
Questo vecchio legno, quando si alza il vento,
quando si alza il vento navigherà.
Non siamo nati mica ieri Capatàz.
se provi entrare nella mia testa Capatàz,
e coi miei occhi guardi fuori,
quante persone e quanti cuori,
quanti colori e a posto di quel grigio quante novità.
C'è un altro tipo di futuro che aspetta, Capatàz
Questo vecchio segno, quando cambia il tempo,
quando cambia il tempo arriverà.
Questo vecchio legno, come si alza il vento,
come si alza il vento navigherà.
C'è, un altro tipo di futuro, Capatàz
Guido
Guglielminetti (basso) Aldo Banfi (tastiere) Vincenzo Mancuso (chitarra e flauto
traverso)
Gilberto Martellieri(pianoforte) Elio Rivagli (batteria)
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Con
De Gregori verso l'ignoto di Gino Castaldo - la Repubblica - 24
novembre 1987
Ulisse
tornerà a viaggiare Si intitola "Terra di nessuno" ed è
ancora una volta un contributo poetico e molto personale, concepito
lontano dalle mode e dalla stretta attualità. Un album bello e
difficile "Non sarà il canto delle sirene, che ci
innamorerà, noi lo conosciamo bene, l' abbiamo sentito già".
Così, con questa semplice ma perentoria evocazione, inizia il nuovo
importante capitolo della storia musicale di Francesco De Gregori.
Questa volta l' invito è per un nuovo viaggio nella Terra di nessuno,
titolo del suo nuovo attesissimo album, il primo che realizza per la Cbs,
alla quale è passato dopo un' eternità passata nella culla romana
della Rca (e non è da escludere che gli faccia particolarmente piacere
la stampa con lo stesso marchio che da sempre sigla i dischi di Bob
Dylan). E' un disco difficile, di cupa
e rigorosa bellezza, da assorbire
con la dovuta lentezza. Si distingue ancora una volta dalla produzione
corrente perchè non sfrutta ritmi convulsi, perchè ci conduce in
atmosfere riflessive, pacate; esige attenzione, e questa volta senza
troppi filtri ideologici, casomai con un senso poetico e filosofico di
consapevolezza della condizione umana. L' assenza di ritmi sembra
appunto suggerire un allontanamento dalla stretta attualità. E' un
maturo, lucidissimo seguito a quella che è da sempre la storia di De
Gregori, perseguita con caparbia ostinazione, anche a costo di qualche
amarezza, di squarci dolorosi, e sembra che De Gregori abbia fuso con
definitiva maturazione le due vie dell' allegorico e del realistico. La
realtà affiora in continuazione, ma tra le righe, sempre ben filtrata
dal canto, dal regno del poetico. Questa volta c' è di nuovo il mare,
che la psicanalisi tradizionale vuole simbolo dell' incoscio (dal quale
emergono tutti i nostri fantasmi e le nostre storie). Anni dopo l'
ultima sua grande metafora sulla società,
Titanic (1982), dove il mare era "navigato" da un
transatlantico cieco, votato al disastro questa volta ci sono le sirene,
anzi Il canto delle sirene, a chiamarci verso il mare, con una lunga
galoppata rock in stile rigorosamente dylaniano. La chiave è ovviamente
diversa, da quella di Titanic. I riferimenti, letterari, sono molti, e
in parte dichiarati. Ad un certo punto compare "l' occhio di
Ismaele".
E' Moby Dick, ovviamente, dove Ismaele, non a caso, era
il narratore, l' unico che sopravvive alla tragedia della lotta
maniacale contro la balena metafisica, per poterla raccontare, simbolo
dello scrittore, così come in questo caso Ismaele è De Gregori, che
dal suo ritiro, dalla sua lontananza dalla bagarre dei mass-media,
riesce a lanciare le sue visioni così efficaci, così penetranti. Il
cantautore diventa in qualche modo un osservatore che ha il
"dovere" di raccontare. Ma il canto delle sirene, prima ancora
che a Melville, ci riporta al personaggio di Ulisse, da quello omerico
del mito della lotta contro gli dei, a quello dantesco del viaggio
superbo verso la conoscenza, oltre le colonne d' Ercole, fino a quello
novecentesco di Joyce del viaggio attraverso la coscienza. Ulisse come
simbolo di modernità, dell' uomo nuovo, e così sembra fare anche De
Gregori, auspicando l' avvento di un nuovo Ulisse. Ma naturalmente,
tutti questi riferimenti non devono ingannare. Ci sono, naturalmente, ma
distillati nella maliziosa semplicità della forma-canzone, che a tutto
può alludere, senza mai dover spiegare.
Saggiamente De Gregori, che si
riconosce fino in fondo come artigiano della canzone, non rinuncia alla
fragilità, perfino alla semplicità che è patrimonio della canzone
"Mio padre era un marinaio, conosceva le città, partito il mese di
Febbraio, di mille mesi fa, mio figlio non lo ricorda, ma lo ricorderà,
mio padre era un marinaio, mio figlio lo sarà". Un' invocazione
struggente, il bisogno di ricordare un' umanità ancora disposta ad
attraversare il mare, a non farsi distrarre dal canto delle sirene, a
conoscere nuove terre. E siamo entrati nella Terra di nessuno, luogo di
diseredati, di esistenze in briciole, di memorie al di fuori del tempo.
C' è il "pilota di
guerra", che sorvola nella notte
"terre ferite", che guarda "sulle case degli uomini tutti
uguali, nel grande orfanotrofio della vita", che aspetta che
"un giorno il giorno verrà", a dissipare la notte; così come
nel terzo pezzo, Capatàz, si aspetta che cambi il tempo, che si alzi il
vento, e trattandosi di De Gregori è facile immaginare che il vento in
questione sia il vento delle idee, oggi ridotto ad una inoffensiva
brezza primaverile. Ed è il pezzo più esplicitamente legato alla
speranza di un nuovo corso politico. Fino alla conclusione della prima
facciata, col tragico Pane e castagne, dove delle persone sembrano
dirette verso la terra di nessuno, o "desolata" pensando a
Eliot, dove solo attraverso gli occhi ci si potrà riconoscere, ed è il
pezzo da cui è stato tratto il titolo dell' album. E poi Nero, dove l'
uomo di colore è unificato, visto che siamo nella terra di nessuno, nei
suoi scenari tra l' America e un' improbabile Latina, città del nord.
Con Mimì sarà, c' è la melodia, la cantabilità, storia di una donna
che più che al riferimento del melodramma fa pensare alla protagonista
della "Storia" di Elsa Morante. Ed è un ritratto di donna di
grande bellezza. Arrivati ai limiti della "terra di nessuno"
c' è la pazzia, come massima disintegrazione di certezze e di luoghi
comuni. La canzone si intitola Matti, una delle più suggestive di tutto
il disco "E' una caverna nera, i matti ancora lì a pensare ad un
treno mai arrivato, e a una moglie portata via, da chissà quale bufera.
I matti senza la patente per camminare, i matti tutta la vita dentro la
notte, chiusi a chiave...". E poi l' addio, dolce, svagato, di
Vecchia valigia, come una vecchia canzone "on the road", sul
tempo che scorre, cantata come un' immagine di viaggio "La vita
morde, un giorno scava più piano, e il giorno dopo più forte, ma per
l' acqua di quel miraggio, quanta strada da fare, ma forse siamo solo
noi che non sappiamo viaggiare...". Il senso generale è
inequivocabile. Mai come in questo caso De Gregori ha prodotto un disco
che potrebbe apparire come un album concept, ovvero legato ad un filo
rosso che attraversa tutte le canzoni e le unisce in un disegno
generale. Il disco si apre con un viaggio di mare, cioè col
viaggio-mito, archetipo, e si chiude col più dolce degli inviti, a
riflettere sulle strade che potremmo riprendere, sui viaggi che potremmo
in fondo ricominciare a fare.
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"Non
sarà il canto delle sirene, che ci innamorerà, noi lo conosciamo bene, l'
abbiamo sentito già". Così, con questa semplice ma perentoria evocazione,
inizia il nuovo importante capitolo della storia musicale di Francesco De
Gregori. Questa volta l' invito è per un nuovo viaggio nella Terra di nessuno,
titolo del suo nuovo attesissimo album, il primo che realizza per la Cbs, alla
quale è passato dopo un' eternità passata nella culla romana della Rca (e non
è da escludere che gli faccia particolarmente piacere la stampa con lo stesso
marchio che da sempre sigla i dischi di Bob Dylan). E' un disco difficile, di
cupa e rigorosa bellezza, da assorbire con la dovuta lentezza. (…) Con Mimì
sarà, c'è la melodia, la cantabilità, storia di una donna che più che al
riferimento del melodramma fa pensare alla protagonista della "Storia"
di Elsa Morante. Ed è un ritratto di donna di grande bellezza.(DE GREGORI:
CONTINUERO' A NON ESSERE D'ACCORDO - DI GINO CASTALDO - 21 GENNAIO 1988)
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Non
sarà il canto delle sirene, che ci innamorerà.
Noi lo conosciamo bene, l'abbiamo sentito già
e nemmeno la mano affilata, di un uomo o di una divinità.
Non sarà il canto delle sirene, in una notte senza lume.
A riportarci sulle nostre tracce dove l'oceano risale il fiume,
dove si calmano le onde, dove si spegne il rumore.
Non sarà il canto delle sirene, ascoltaci o Signore.
mio padre era un marinaio, conosceva le città.
mio padre era un marinaio, partito molti mesi fa.
Mio figlio non lo conosce, mio figlio non lo saprà.
Mio padre era un marinaio, partito molti mesi fa.
Non sarà il canto delle sirene, nel girone terrestre,
ad insegnarci quale ritorno, attraverso alle tempeste.
Quando la bussola si incanta, quando si pianta il motore.
Non sarà il canto delle sirene, a addormentarci il cuore,
quando l'occhio di Ismaele si affaccia da dietro al sole,
e nella schiuma della nostra scia,
qualcosa appare e scompare.
Non sarà il canto delle sirene, che non ci farà guardare.
Mio padre era un marinaio, e andava a navigare.
se l'è portato il vento, se l'è mangiato il mare.
Mio padre era un marinaio, girava le città.
Mio figlio non le conosce, ma le conoscerà.
Non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà,
l'abbiamo sentito bene, l'abbiamo sentito già.
Ma sarà il coro delle nostre donne,
da una spiaggia di sassi.
Sarà la voce delle nostre donne a guidare i nostri passi,
i nostri passi nel vento e il vento ci prende per vela.
Sarà di ferro la sabbia, sarà di fuoco la sera
Ascoltaci o Signore, perdonaci la vita intera.
Mio padre era un marinaio, conosceva le città,
Partito il mese di febbraio, di mille mesi fa.
Mio figlio non lo ricorda, ma lo ricorderà.
Mio padre era un marinaio mio figlio lo sarà.
Guido
Guglielminetti (basso) Aldo Banfi (tastiere)
Vincenzo Mancuso (chitarra) Gilberto Martellieri (paino e tastiere) Elio Rivagli
(batteria) Aida Castignola (cori) Lalla Francia (cori)
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A proposito di
Dylan, questo disco sembra di nuovo ispirato
a lui, soprattutto il pezzo "Il canto delle sirene"..."Su questo
posso anche rilasciare una confessione piena. Certo, è figlio di pezzi come Jokerman. Non mi vergogno di dirlo, anche perchè non ha nulla a che vedere come
linea melodica nè come parole. E' chiaro che si prende dagli altri tutto quello
che c'è da prendere. Dylan è il primo a dirlo: le canzoni si piegano ai propri
fini, e uno si nutre di quello che è stato fatto prima. (…) Prendiamo una
canzone come Capataz che è del tutto fuori moda. Sarebbe stato gratuito forse
scriverla nel '75, mentre oggi è più stimolante perchè so di fare una cosa
inaudita, e poi in ogni caso non bisogna credere che ci sia un rapporto così
meccanico tra quello che scrivo e quello che c'è intorno. C'è un rapporto ma
è molto complesso, articolato. Credo che si senta che è un disco nato nel
1967, in "anni di nessuno", per come la vedo io. (TO: RMS TITANIC –
FROM: DE GREGORI: CONTINUERO' A NON
ESSERE D'ACCORDO - DI GINO CASTALDO - 21 GENNAIO 1988)
Torna il tema del viaggio, sotto forma di metafora della vita
dell'uomo finalizzata alla conoscenza. È uno dei suoi pezzi più letterari e
universali, una sorta di versione moderna della Odissea di Omero, dove il protagonista
procede, attraverso la conoscenza, alla ricerca di se e della ragione stessa del
suo esistere.
Del resto, il canto delle sirene è già una chiara citazione:
sono i richiami ingannevoli e futili della vita, quelli che già nel poema
portavano gli uomini a naufragare miseramente nella loro illusione. Il
protagonista è il prototipo dell'eroe omerico (Non sarà il canto delle sirene
che ci innamorerà, noi lo conosciamo bene, l’abbiamo sentito già, e nemmeno la
mano affilata, di un uomo o di una divinità), che sfida dei e falsi miti pur di
percorrere consapevolmente il suo cammino verso la verità.
Lo stesso tema che ritroviamo in Joseph Conrad, che nel suo
romanzo Cuore di Tenebra (ripreso anche da Francis Ford Coppola per Apocalipse
Now) descrive la risalita del fiume come un viaggio iniziatico, citato da De
Gregori nei versi "Non sarà il canto delle sirene in una notte senza lume, a
riportarci sulle nostre tracce, dove l’oceano risale il fiume, dove si calmano
le onde, dove si spegne il rumore..."
Altro mito potente della ossessione verso la propria meta è
il Moby Dick di Melville, con Achab, il pazzo, proteso alla ricerca della
propria nemesi, il leviatano, insieme inizio e fine, raccontato da Ismaele,
insieme occhio narrante e presenza biblica dietro il sole, a guidare il capitano
verso la meta della sua ricerca.
È una narrazione tutta marinaresca, nel gioco dei rimandi
letterari che portano ad identificare il narratore in un marinaio da
generazioni, simbolo di esplorazione: il padre lo è stato, il figlio lo sarà. E
poco importa se il vecchio se lo è portato il vento, se l'è mangiato il mare: il
marinaio continuerà il viaggio e la ricerca del padre, e dopo di lui suo figlio,
anche se il vento potrà portar via anche loro, anche se sarà di ferro la sabbia,
di fuoco la sera.
Ed è, infine, umanissima la preghiera finale, che chiede
protezione al cielo e insieme ribadisce la ferma volontà che la ricerca non si
fermerà (Ascoltaci o Signore, perdonaci la vita intera.
Mio padre era un marinaio, conosceva le città,
partito il mese di febbraio di mille anni fa,
mio figlio non lo ricorda, ma lo ricorderà,
mio padre era un marinaio, mio figlio lo sarà.)
Chi potrebbe definirla una semplice "canzone"?
Mario Basile
Sarà che tutta la vita è una strada con molti tornanti,
e che i cani ci girano intorno con le bocche fumanti.
Che se provano noia, tristezza o dolore o amore non so.
Sarà che un giorno si presenta l'inverno e ti piega i ginocchi,
e tu ti affacci da dietro a quei vetri che sono i tuoi occhi,
e non vedi più niente e più niente ti vede, più niente ti tocca.
sarà che io col mio ago ci attacco la sera alla notte,
e nella vita ne ho viste, ne ho prese e ne ho date di botte,
che nemmeno mi fanno più male e nemmeno mi bruciano più.
Dentro al mio cuore di muro e metallo,
dentro
la mia cassaforte, dentro la mia collezione di amori con le gambe corte,
ed ognuno c'ha un numero e sopra ognuno una croce,
ma va bene lo stesso, va bene così. Chiamatemi Mimì,
per i mie occhi neri e i capelli e i miei neri pensieri.
C'è Mimì che cammina sul ponte per mano alla figlia e che guardano giù.
Per la vita che ho avuto e la vita che ho dato, per i mie occhiali neri.
per spiegare alla figlia che domani va meglio e vedrai cambierà.
Come passa quest'acqua di fiume, che sembra che è ferma, ma hai voglia se và.
Come Mimì che cammina per mano alla figlia, chissà dove và.
Sarà che tutta la vita è una strada e la vedi tornare,
come le lacrime tornano agli occhi e fanno più male.
E nessuno ti vede e nessuno ti vuole per quello che sei.
Sarà che i cani, stanotte alla porta li sento abbaiare,
sarà che sopra al tuo cuore c'è scritto "Vietato passare".
Il tuo amore è un segreto, il tuo cuore un divieto,
personale al completo, ma va bene così. Chiamatemi Mimì, chiamatemi Mimì.
Per i miei occhi neri e i capelli e i miei neri pensieri,
c'è
Mimì che cammina sul ponte per mano alla figlia e che guardano giù.
Per
la vita che ho avuto e la vita che ho dato, per i miei occhiali neri.
Per spiegare alla figlia che domani va meglio e vedrai passerà.
Come passa quest'acqua che sembra che è ferma
ma
hai voglia se va.
Come Mimì che cammina per mano alla figlia, chissà dove và.
Guido Guglielminetti (basso) Aldo Banfi (tastiere)
Vincenzo Mancuso (chitarra) Gilberto Martellieri (piano e tastiere) Elio Rivagli (batteria)
Renato Serio (arrangiamento archi)
Orchestra diretta dalla Coop. Amadeus
-
Arrangiamento e direzione d'orchestra Renato Serio - Registrazione effettuata pressto Studi RCA di Roma da Sergio Marcotulli - assistente Fabio Petrignani
Mimì è una donna di mezza età che
cammina per mano alla figlia lungo un ponte, figura dolente con gli
occhiali scuri come i suoi pensieri: quelli di una vita difficile,
passata a incassare colpi che lasciano il segno, talmente tanti che
nemmeno fanno più male.
Quelli di una vita in solitudine
dopo gli amori bugiardi dalle gambe corte, che le hanno lasciato una
figlia da tenere per mano e dirle guardando il fiume “tutto passa,
come l’acqua che vedi anche se sembra ferma. E domani sarà
migliore”. La solitudine di una vita di abbandoni e delusioni, di
partenze che lasciano ferite che non si chiudono mai. .
Mimì non è solo il nomignolo
affettuoso di Mia Martini, segnata per sempre da una nomea feroce ed
assurda, ma è anche la sintesi del dolore di quella solitudine,
dell’abbandono costante di chi non ti accetta per quello che sei. La
vita di Mimì è fatta di esperienze che sbarrano il cuore, che le
fanno dire mai più, non c’è più spazio per altro amore che non sia
quello per la figlia che tiene per mano. Nel canto dolente del
"Chiamatemi Mimì" riecheggia la "Bohème" di Puccini, “Sì, mi
chiamano Mimì. Ma il mio nome è Lucia”.
Mimì di De Gregori ci consegna la
fatica, le amarezze celate dietro gli occhiali neri, i punti di non
ritorno. Ma quel dolore ha forgiato Mimì, che è proiettata sul
futuro: Mimì sarà e quello che sarà parte da quello che è stata.
Sarà, perché la sua vita non è stata lineare ma tortuosa, sarà che
l’inverno è arrivato all’improvviso gelandole il cuore, sarà che ha
passato la vita a difendersi dal male, sarà per tutto questo che
Mimì, per mano alla figlia, pensa solo a quello che sarà il domani.
Ancora una volta è il coraggio della solitudine la cifre delle donne
ritratte da De Gregori.
Giommaria Monti, autore
di "Francesco De Gregori. Dell'amore e di altre canzoni" per
https://www.rockol.it/news-735724/8-marzo-otto-donne-cantate-da-francesco-de-gregori
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Dalla
periferia del mondo a quella di una città,
la strada non è una caramella e il nero lo sa.
Dimmi dove si va a dormire, dimmi dove si va a finire, dimmi dove si va. Il nero che scarpe nere che c'ha!
Dalla periferia del mondo il nero nero nerò. Fu scaricato non ancora giorno da un vecchio furgone Ford.
Si stropiccia gli occhi, balla e cammina, e canta sotto al cielo di Latina, grande città del nord,
il nero che ritmo che rock e che roll!
Dalla periferia del mondo a quella di una città, la vita non è una scampagnata e il nero lo sa
Preso a calci dalla Polizia, incatenato a un treno da un foglio di via, oppure usato per un falò,
Il Nero, te lo ricordi il nero, quando arrivò? Che si sbarbava con un pezzo di specchio e
un orecchio si tagliò,
e andava sanguinando avanti e indietro e rideva e diceva, "sono Van Gogh!"
E aveva dentro agli occhi una malattia, o chissà quale tipo di ipocondria, d'ipocondria d'amor,
il nero che peste, il nero!
Guido Guglielminetti (basso)
Aldo Banfi (tastiere) Vincenzo Mancuso (chitarra) Gilberto Martellieri (paino e tastiere)
Elio Rivagli (batteria) Riccardo Sasso (violino) Giovanni Petrella (viola) Annalisa Petrella (violoncello)
A questo proposito, come deve essere giudicata la corretta
interpretazione di un brano, in relazione anche all'episodio che ti ha visto
polemizzare con Gianni Morandi per la sua versione di "Buonanotte
fiorellino" ? Probabilmente non avete ben presente la versione di Morandi,
altrimenti lo capireste: Morandi aveva letteralmente smontato il testo e l'aveva
ricomposto in una specie di collage. Qui sta il motivo della mia indignazione,
che non era una semplice presa di posizione sul suo modo di cantare. Del resto,
alla fine, lui e l'
RCA mi hanno dato ragione e a denti stretti si sono impegnati a non stampare più
quel disco, e Morandi a non cantare più quel pezzo (…). Lui, invece, ha
ridotto la canzone ad una sola strofa, tagliando e cucendo alcuni pezzi delle
tre strofe originarie secondo la sua sensibilità e il suo gusto estetico, che
sono chiaramente lontanissimi dal mio. ( "CHITARRE" -
INTERVISTA A FRANCESCO DE GREGORI (DICEMBRE 1990) - DI GIUSEPPE BARBIERI E
ANDREA CARPI)
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Mangiamo pane e castagne, in questo chiaro di luna.
le mani bene ancorate, su questa linea.
Domani ce lo diranno, dove dobbiamo andare.
Domani ce lo diranno, cosa dobbiamo fare.
Ci sta una terra di nessuno, da qualche parte nel cuore,
come un miraggio incastrato, tra la noia e il dolore.
Domani ce lo diranno, dove dovremo passare,
ma c'è una terra di nessuno, ci si deve passare.
Aspettami ogni sera, davanti a quel portone,
e se verrai stasera, ti chiamerò per nome.
Chissà che occhi avremo, chissà che occhi avrò,
ma se mi chiami amore, io ti risponderò.
Mangiamo pane e castagne, come una poesia,
perduta nella memoria, dai tempi di scuola.
Domani ce lo diranno, cosa vorranno che sia,
ce lo diranno domani, prima di andare via.
Aspettami ogni sera, davanti a quel portone,
e se mi chiami amore, mi chiamerai per nome.
Chissà che occhi avremo, chissà che occhi avrò,
ma se mi chiami amore, ti riconoscerò.
Guido Guglielminetti (basso)
Aldo Banfi (tastiere) Vincenzo Mancuso (chitarra) Gilberto Martellieri (piano e tastiere)
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Non per entrare nel merito del motore.
Ma ogni motore ha una musica ed io la so.
Così per sempre la farò cantare,
per questa mia povera terra da Sud a Nord.
E quanto è solo un uomo lo sa solo Dio,
mentre volo sopra le ferite della città.
e come a un grande amore gli dico addio,
e come è solo un uomo lo so solo io.
oltre le nuvole, oltre le nuvole,
o se è possibile ancora un minuto più in là.
Con questa notte ai miei piedi,
più nera e più buia a vederla da qua,
ma un giorno il giorno tornerà. |
Così la vita vola sotto le ali,
e passa un'altra notte su questa guerra.
E sulle case degli uomini tutti uguali,
nel grande orfanotrofio della terra.
E a cosa serve un uomo lo so solo io,
che spargo sale sopra le ferite delle città.
e come a un grande amore gli dico addio,
e a cosa serve un uomo lo sa solo Dio.
Oltre le nuvole, oltre le nuvole,
o se è possibile ancora una vita più in là.
Con questa notte ai miei piedi,
più nera e più buia a vederla da qua,
ma un giorno il giorno tornerà. |
Guido Guglielminetti (basso) Aldo Banfi (tastiere) Vincenzo Mancuso (chitarra) Gilberto Martellieri (paino e tastiere)
Elio Rivagli (percussioni) Riccardo Sasso (violino) Giovanni Petrella (viola) Annalisa Petrella (violoncello)
Ha
raccolto le impressioni ad alta quota di Saint-Exupéry, del romanzo
"Il piccolo principe" in Pilota di Guerra, scrivendo un verso
che fosse pure da solo raccoglie l'ansia estrema e pacata di osare dello
scrittore francese: "Non per entrare nel merito del motore/ ma ogni
motore ha una musica ed io la so".
Pilota
di guerra. Il libro è una sorta di reportage di guerra che descrive il
lavoro di Saint-Exupéry durante, appunto, il secondo conflitto mondiale:
emblematico diventa infatti il volo verso Arras, compiuto nel 1940 a bordo
di un Potez 637 durante l'invasione nazista della Francia, costato la vita
a moltissimi piloti in una maniera ben poco proficua per le sorti belliche
della nazione francese
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Un uomo con le spalle larghe, ecco cosa ci vorrebbe per te,
che ti capisce senza farlo capire e non ti spieghi mai perchè.
Che ti conosca da quando eri piccola o che da piccolo ti immaginava già.
un uomo con le spalle larghe,
lo sa bene lui come si fa.
Un uomo con le spalle larghe, la paura non sa nemmeno che è.
Se tira freddo alza il bavero e corregge il caffè.
Può ritornare sporco di rossetto, tanto ha una faccia che non tradisce,
un uomo come ce ne sono tanti, che quando vuole non capisce.
un uomo con le spalle larghe,
la fortuna non sa nemmeno che è,
ogni sera fa cadere le stelle, ogni mattina le raccoglie con te.
E se bastassero le cartoline, te ne manderebbe ogni anno,
e poi potresti vederlo piangere, come gli uomini non fanno.
Un uomo che mangia il fuoco e per scaldarsi si fa bruciare,
diventa cenere a poco a poco ma non la smette di amare.
un uomo con le spalle larghe, tutta la vita ti prenderà,
per insegnarti e per impararti, se mai la vita basterà.
In una grande casa con le finestre aperte,
in certe stanze piene di vento, un uomo con le spalle larghe,
una buona misura del tempo.
Guido Guglielminetti (basso)
Vincenzo Mancuso (chitarra)
Gilberto Martellieri (piano e tastiere)
Elio Rivagli (batteria)
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Vecchia valigia come va, quanto tempo è volato già.
Quante mani sono passate fra le nostre dita.
Vecchia stella del mio cuore, vecchio cuore della mia vita.
Vecchia valigia ancora buona per una gita.
Come la luce da un finestrino di treno,
la vita abbaia e morde, un giorno al centro del quadrato,
e il giorno dopo alle corde.
E nessuno che si faccia in quattro per volerti aiutare.
Ma forse siamo solo noi che non sappiamo cercare.
Vecchia ragazza come va, beato chi ti conosceva già,
prima che ti andasse via dagli occhi tutto quel mare,
quando ogni giorno pareva un anno, tutti gli anni insieme un passeggiata,
vecchia ragazza, quand'eri giovane e disperata.
Come una luce dal finestrino di treno, la vita morde
un giorno scava più piano e il giorno dopo più forte,
ma per l'acqua di quel miraggio quanta strada da fare,
ma forse siamo solo noi che non sappiamo viaggiare.
Vecchia valigia come va Guarda quanta notte se ne è andata già,
se ci stai attenta puoi sentire gli uccelli cantare,
Vecchia stella del mio cuore, vecchio cuore della mia vita,
vecchio amore ancora buono per una gita.
Come la luce da un finestrino di treno,
la vita vola, lascia lacrime di madreperla
fra le nostre lenzuola e se provi a voltarti indietro,
non c'è molto da raccontare,
ma forse siamo solo noi che non sappiamo guardare
Guido Guglielminetti (basso) Aldo Banfi (tastiere)
Vincenzo Mancuso (chitarra) Gilberto Martellieri
(piano e tastiere) Elio Rivagli (batteria)
Marco Fabbri (violino)
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Guido Guglielminetti (basso)
Aldo Banfi (tastiere) Vincenzo Mancuso (chitarra) Gilberto Martellieri (piano e tastiere)
Elio Rivagli (batteria) Riccardo Sasso (violino) Giovanni Petrella (viola) Annalisa Petrella (violoncello
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I
matti vanno contenti, tra
il campo e la ferrovia,
a caccia di grilli e serpenti, a
caccia di grilli e serpenti.
I matti vanno contenti, a
guinzaglio della pazzia,
a caccia di grilli e serpenti, tra
il campo e la ferrovia.
I matti non hanno più, niente, intorno
a loro più nessuna città,
anche se strillano chi li sente, anche
se strillano che fa.
I matti vanno contenti, sull'orlo
della normalità,
come stelle cadenti, nel
mare della tranquillità.
Trasportando grandi buste di plastica, del peso totale del cuore.
Piene di spazzatura e di silenzio, Piene di freddo e rumore.
I matti non hanno un cuore o
se ce l'hanno è sprecato,
è una caverna tutta nera.
i matti ancora lì a pensare a
un treno mai arrivato,
e a una moglie portata via da
chissà quale bufera.
I matti senza la patente per camminare,
i matti tutta la vita dentro la notte, chiusi a chiave.
I matti vanno contenti, fermano
il traffico con la mano,
poi attraversano il mattino, con
l'aiuto di un fiasco di vino.
Si fermano lunghe ore a riposare. le ossa e le ali, le ossa e le ali.
E dentro alle chiese, ci vanno a fumare.
centinaia di sigarette, davanti all'altare.
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Alcune
date: 2.2.87
Formigine Picchio rosso - 5.8.87 Capo d’Orlando Teatro
del mercato
27.7.87 Bisceglie
- 18.11.87 – Roma Folkstudio - 17.5.88
Firenze - 6.6.88 Orvieto
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