1990
Il
Signor Hood - Bambini venite parvulos - Pane
e castagne - Sotto le stelle del
Messico a trapanar - Ninetto
& la colonia - Buonanotte
fiorellino - La Donna Cannone - La
leva calcistica della classe '68 - A
Pa' - Titanic - Bufalo
Bill
Foto
di copertina: Giorgio Lo Cascio
|
1990
Natale
-Cercando
un altro Egitto
- La
ragazza e la miniera
- Buenos
Aires
- Cose
- Ciao
ciao
-
Caterina
- Pablo
- Il
canto delle sirene
- Raggio
di sole
-
La
storia
Brani
registrati live dal 1987 al 1989
Disegno
in opertina: Marco De Gregori
|
1990
Niente
da capire
-
Gesù
bambino & la guerra
- Scacchi
e tarocchi - Rimmel
- Nero
- Pentathlon
- Generale
- L'abbigliamento
di un fuochista
- Capatàz
- La
storia
- Due
zingari
- Rollo
& his jets
Foto
interne: Francesca Gobbi
|
|
|
|
|
|
|
|
Elio Rivagli
|
Gilberto Martellieri
|
Guido Guglelminetti
|
Vincenzo Mancuso
|
Francesco De Gregori
|
Orazio Maugeri
|
Lucio Bardi
|
BATTERIA |
TASTIERE |
BASSO
|
CHITARRE |
VOCE, CHITARRA |
FIATI |
CHITARRE E MAND. |
|
|
|
|
|
|
|
|
Aldo Banfi
|
Massimo Spinosa
|
Lalla Francia
|
Lola Feghaly
|
Thomas Sheret
|
|
|
TASTIERE |
TASTIERE |
VOCE |
VOCE |
SAX E TAMBURELLO |
|
Il
titolo del primo dei tre album è Catcher In The Sky: si tratta di una
citazione, se non sbaglio...- Sì, una citazione da Salinger: Catcher In
The Rye è il titolo originale del romanzo che noi conosciamo come Il
giovane Holden. - Ed esiste un qualche percorso allusivo nella serie dei
tre titoli: Catcher In The Sky, Niente da capire e Musica leggera? - No,
erano semplicemente dei titoli che avevo in testa, mi piacevano ed
oltretutto non erano nemmeno gli unici. Nell'ultima fase di ascolto e di
scelta dei pezzi, mi sono messo a delineare la scaletta dei tre
probabili dischi e dovevo in qualche modo distinguerli l'uno dall'altro,
così sono venuti fuori vari titoli. Non vi sono significati
particolari, anche se una volta scelto il titolo Catcher In The Sky -
perché mi piaceva - l'ho assegnato al disco dove maggiore è il numero
di canzoni che in qualche modo riguardano il mondo dell'adolescenza,
così come nel romanzo di Salinger. Comunque è un'accostamento molto
sfumato. "CHITARRE" - INTERVISTA A FRANCESCO DE
GREGORI (DICEMBRE 1990) - DI GIUSEPPE BARBIERI E ANDREA CARPI)
Bene,
il prossimo non sarà certamente un anno sabbatico. Ho voglia di
scrivere nuove canzoni, sto pensando ad un nuovo disco che forzatamente
sarà un disco che si guarderà intorno e che quindi potrebbe risultare
più vicino a "Miramare" che a "Terra di Nessuno".
Non lo so, non ho ancora scritto una nota, ma ho voglia di farlo: ho
passato un anno con la mente rivolta al passato a riascoltare le mie
vecchie canzoni per il "live" ed adesso sento il bisogno di
mettere a frutto tutto questo e di scrivere canzoni nuove.
Probabilmente, con la Serraglio, produrrò anche dei dischi di altri
artisti: vorrei fare un album con Giovanna Marini e poi ho in mente di
produrre un album di mio fratello (Luigi Grechi, ndr) che ha registrato
un nastro autoprodotto di canzoni molto belle. BLU – IL MENSILE
DI MUSICA TUTTA ITALIANA – 1990 DI PIERLUIGI DE PA LMA)
La
qualcosa, devo dire, non è che mi faccia poi tanto piacere: se da un
lato dimostra effettivamente che un po' so cantare, dall'altra potrebbe
anche voler dire che le mie canzoni funzionano soltanto quando le canto
io. Questo potrebbe essere considerato un limite, anche se le rare volte
che ho scritto per altri sono rimasto soddisfatto, come nel caso del
testo scritto per Zucchero o della canzone "Cuore di cane",
scritta per Fiorella Mannoia. E poi ho sentito una versione di un pezzo
già cantato da me, la quale mi ha lasciato esterrefatto per come è
venuta bene: si tratta di una versione dal vivo di "Saigon",
cantata da Paola Turci. "CHITARRE" - INTERVISTA A
FRANCESCO DE GREGORI (DICEMBRE 1990) - DI GIUSEPPE BARBIERI E ANDREA
CARPI)
Be'
, coi miei ultimi due album Mira Mare 19.4.89 e Canzoni d'amore ho
interpretato con un certo anticipo la nuova onda. Senza rivendicare
chissà quale ruolo profetico, dico solo che oggi mi sarebbe difficile
scrivere una canzone su Tangentopoli. Sarei in imbarazzo, perché è una
cosa che ora fanno benissimo i giornali". Argomento più frivolo:
Sanremo e l'antifestival dei metalmeccanici. DE GREGORI: MAI
AVUTO TANTA GIOIA DI CANTARE - LA REPUBBLICA - 4 FEBBRAIO 1993 – DI
GIACOMO PELLICCIOTTI) |
Probabilmente non avete ben presente la versione di Morandi,
altrimenti lo capireste: Morandi aveva letteralmente smontato il testo e
l'aveva ricomposto in una specie di collage. Qui sta il motivo della mia
indignazione, che non era una semplice presa di posizione sul suo modo di
cantare. Del resto, alla fine, lui e l'
RCA mi hanno dato ragione e a denti stretti si sono impegnati a non stampare
più quel disco, e Morandi a non cantare più quel pezzo. Quanto alla mia
versione dal vivo, la considero filologicamente corretta malgrado la
diversa atmosfera, perché il testo della canzone rimane quello che ho
scritto, così come gli accordi. E poi, attenzione, non è neanche per un
motivo del genere che me la sono presa con Morandi, come se si fosse
limitato a cambiare una parola o ad introdurre un'annonia diversa qua e là:
troverei un simile intervento più che lecito per qualsiasi interprete.
Lui, invece, ha ridotto la canzone ad una sola strofa, tagliando e cucendo
alcuni pezzi delle tre strofe originarie secondo la sua sensibilità e il
suo gusto estetico, che sono chiaramente lontanissimi dal mio. Per esempio
io ho posto la parola "fiorellino" all'inizio della seconda
strofa, quindi a metà della canzone, proprio perché in questo modo
arriva quando già è avvenuto uno sviluppo del testo, ed è quindi meno
zuccherosa che non presa da sola. Al contrario Morandi l'ha sbattuta
all'inizio, e questo è bastato a farmi rabbrividire, perché io non
inizierei mai una canzone dicendo: "Buonanotte fiorelfino".
|
|
Sanremo
è morta, viva la musica - FRANCESCO DE GREGORI
Ogni
anno in questi giorni la musica italiana e le sue buone intenzioni si
vanno ad incagliare puntualmente nei bassifondi di Sanremo. Del Festival
di Sanremo è stato già detto tutto e il contrario di tutto: perché
allora continuare ad infierire, o comunque a discuterne? Lo scarso
spessore della manifestazione sia dal punto di vista artistico che da
quello commerciale è abbastanza scontato: nessuna persona di buonsenso
potrebbe sostenere che le belle canzoni oggi in Italia siano quelle di
Sanremo; ed ogni addetto ai lavori sa che il fatturato dell'’ndustria
discografica in Italia dipende solo marginalmente dagli esiti
festivalieri. In tal senso, dunque, la definizione stessa: «Festival
della canzone italiana» suona un po’ troppo totalizzante per essere
del tutto legittima. Il punto, doloroso, è un altro: e cioè che questo
Festival da una parte si arroga il diritto di rappresentare in esclusiva
la produzione musicale leggera corrente e dall’altra sembra invece
voler ribadire, quasi con una sorta di accanimento, la subalternità
culturale della canzone rispetto ad altri generi di spettacolo e ad
altre forme di espressione artistica. Proviamo a chiederci, per esempio,
che dignità e che credibilità potrebbe avere un Festival del cinemala
cui giuria fosse composta in massa da giocatori del Totip; oppure a chi
verrebbe assegnato il Premio Strega sulla basa di un’indagine della
Doxa; che effetto ci farebbe se ai vincitori dei Grammy Awards venissero
abbinati i biglietti vincenti di una lotteria.
A
che cosa è funzionale, dunque, questa pervicace volontà di degradare a
tutti i costi a sottocultura ciò che sottocultura potenzialmente non è?
Quale determinazione e quali interessi affidano, tanto per dirne una,
l’organizzazione di una rassegna così ambiziosa e, ahimé, anche la
sua direzione artistica, ad una persona che non ha altri titoli di
competenza che non quelli di una passata attività di impresario di
feste di piazza e di una presente, ostentata, amicizia politica?
Quale
incontinente forma di masochismo spinge le case discografiche più
potenti ad accettare meccanismi che è eufemistico definire oscuri ed
avvilenti pur di promuovere i loro prodotti, con risultati spesso meno
che modesti?
Come
mai Raiuno investe cifre faraoniche per trasmettere in diretta per varie
sere consecutive nella fascia di massimo ascolto una sfilacciata quanto
ultrasponsorizzata sagra strapaesana? L’audience, certo: ma sfido
qualsiasi programma televisivo con la massiccia copertura pubblicitaria
preventiva di cui gode il Festival a non essere un successo, se per
successo si intende la quantità dell’attenzione e non la sua qualità.
Come mai, per farla breve, si vuole a tutti i costi far diventare un
evento (anche se poi l’anno dopo nessuno si ricorda più il nome del
vincitore) questo carrozzone pieno di piccoli e grandi imbrogli?
La
risposta sta probabilmente nel tentativo di promuovere, attraverso la
banalità delle canzoni, la banalità in quanto tale intesa come valore
assoluto e positivo del mondo di oggi; banalità che, se parliamo di
televisione, non è purtroppo limitata a Raiuno e al Festival, ma
pervade la maggior parte dei programmi di intrattenimento «per famiglie»
e che assume addirittura valore o funzione politica in quanto
tranquillizzante, consolatoria, «normalizzatrice». In una società che
si fa sempre più problematica e densa di incognite l’impegno di
Sanremo sembra quello di suggerire a tutti i costi un generalizzato «tira
a campà» espresso in musica, anzi, in musichetta.
Su
posizione ben diverse si trova invece, naturalmente, l’«altra»
canzone, quella che come al solito diserterà il Festival ma che
nonostante il Festival esiste e gode di ottima salute (e i suoi
risultati commerciali poi, visto che la gente non è stupida, sono
incomparabilmente superiori a quelli dell’indotto sanremese).
Quest’altra
canzone, che chiameremo «d’autore» solo per intenderci dato che
questa definizione sa un po’ troppo di carboneria, giustamente non
scende a patti, se non sporadicamente, col mondo del Festival. Come
dargli torto?
La
distanza qualitativa è abissale, l’universo culturale nel quale si
muovono i suoi rappresentanti è del tutto diverso, gli ideali e i
valori cui fa riferimento sono agli antipodi del piccolo cabotaggio
festivaliero.
Questo
rifiuto certamente può portare degli svantaggi professionali a coloro
che lo praticano, primo fra tutti quello di una rinuncia alla promozione
del proprio prodotto di fronte ad una platea televisiva disattenta e
indifferenziata quanto si vuole ma pur sempre molto vasta. Ma d’altra
parte è un rischio che vale la pena correre se serve a prendere le
distanze dalle grandi e piccole volgarità di una rassegna che tende a
mero fatto di costume una presenza culturale ed artistica di tutto
rilievo e che, ora come ora, non rende assolutamente giustizia al
livello raggiunto dalla musica leggera italiana.
l’Unità,
Domenica 24 febbraio 1991
|
|
La Repubblica - Giovedì, 13 settembre 1990 -
pagina 31 - di GINO CASTALDO
AUTORITRATTO
IN TRE ALBUM
Esce il disco triplo di Francesco De Gregori, una
ricca scelta di canzoni registrate dal 1987 al 1989
IMMAGINIAMO un ritratto di cantautore in cammino,
colto nel pieno di quello spiritato nomadismo che porta gli artisti della
nuova canzone a macinare centinaia di chilometri sulla strada per offrire
eloquenti saggi della loro produzione ai pubblici più diversi. Questo è
quello che ha da proporci oggi Francesco De Gregori, una sorta di
autoritratto in movimento fatto di canzoni, suoni e applausi. Con la sola
eccezione di Banana Republic, firmato insieme a Lucio Dalla e legato all'
insolito tour organizzato a due voci, De Gregori era praticamente l' unico
dei grandi cantautori italiani a non aver mai pubblicato un album live. La
lacuna viene prontamente colmata in questo singolare, irripetibile mese di
settembre scadenzato da tanti eventi che riguardano la musica italiana. E
anche questa uscita è a suo modo un episodio un po' speciale. Forse
proprio perché non c' erano precedenti nella sua carriera, De Gregori ha
realizzato addirittura un disco triplo, o meglio una sequenza di tre
distinti album con tre differenti titoli che possono essere acquistati
anche separatamente Niente da capire, Musica leggera e Catcher in the sky
(ed. Serraglio/Cbs), questi i tre titoli, con una ricchissima
scelta di
canzoni, tutte registrate in un arco di tempo che va dal 1987 al 1989 nei
più disparati angoli della penisola. Dentro ci sono i quindici anni circa
di attività nei quali De Gregori ha scritto una delle più importanti
pagine della nostra musica. Mancano le canzoni dei due primi album,
Theorius campus (realizzato in società con Venditti) e Alice non lo sa,
ma poi ci sono quasi tutti gli episodi più significativi.
Da Niente da
capire a Bambini venite parvulos si passa attraverso le prime sorprendenti
intuizioni dell' album detto la pecora con Cercando un altro Egitto al
capolavoro di questi primi anni, ovvero Rimmel, abbondantemente citato in
questi album live, con tra le altre Rimmel, Pablo, Buonanotte fiorellino,
poi si attraversa la successiva maturazione arrivata con Bufalo Bill, e
con De Gregori, altro album molto ricordato, con tra le altre Generale,
Due zingari, e poi ancora qualcosa da W l' Italia e molti pezzi da Titanic,
che è da considerare il capolavoro della maturità (datato 1982). Poi ci
si avvicina ai giorni nostri, a partire dalla Donna cannone a finire a
Scacchi e tarocchi (da cui è tratta A Pa' la canzone dedicata a Pasolini
che rimane ancora oggi una delle sue migliori in assoluto), a Canto delle
sirene e ai recenti pezzi di Mira Mare 19.4.89. E mutano anche i luoghi
dove sono stati registrati i pezzi, da Orvieto a Bisceglie, da Trieste a
Roma, con un paio di pezzi ripresi addirittura dal Folkstudio. Mentre non
risulta chiara la ripartizione dei pezzi nei tre differenti album,
mescolati in modo apparentemente casuale rispetto alla loro struttura e
alla collocazione cronologica. Dunque soprattutto un' occasione per
storicizzare l' avventura creativa di De Gregori, dal primitivo, a volte
ingenuo, ermetismo degli inizi alla successiva maturazione in cui in
alcuni straordinari e felici momenti è riuscito a fondere una soave e
raffinata elaborazione poetica a quella ferma e solida coscienza civile e
politica che è alla base di gran parte della sua opera. E' un evoluzione
palpabile e avvincente, perfettamente documentata da questi dischi, anche
se l' aspetto interpretativo è racchiuso in un arco di tempo piuttosto
limitato. Ma si tratta ovviamente principalmente di esecuzioni dal vivo,
circostanza che permette di cogliere pregi e difetti di questo ricchissimo
canzoniere. Intanto l' album dal vivo esalta il talento, generalmente
visto marginalmente, di cantante, di interprete in cui De Gregori eccelle,
anche nella capacità di reinterpretare se stesso in modo sempre diverso.
D' altra parte emerge un certo limite musicale di quest'opera, che
ascoltata nell' insieme risulta piuttosto monocorde, un limite derivato
dal rifiuto che De Gregori ha sempre mostrato nei confronti della ricerca
musicale, da lui minimizzata rispetto ad una serie di splendide intuizioni
melodiche e un elevatissimo livello di testi.
Lola Feghaly e Lalla Francia
|
|
FELLINI NON ESISTE (di
Francesco De Gregori) l'Unità , 20
gennaio 1990
"Ma Fellini esiste veramente? Scommetto di no.Fellini
potrebbe esistere solo in quanto mito, o materia di insegnamento
universitario, o monumento della storia del cinema. Solo all'interno di
quel Grande Tutto
Cinematografico nel quale abitano, più o meno
legittimamente, tutte le stelle del mondo del cinema,inteso come il cinema
di tutto il nostro mondo.Insieme quindi a Buster Keaton, e a Stallio e
Ollio, a Dustin Hoffmann, a Bergman , a Kubrick : attori e registi che
forse gli piacciono o forse no, ma che loro sì , esistono, forse per
merito della loro grandiosa astrattezza. Ed hanno perciò un posto
numerato in quell'immenso calderone di invenzione e di sogni dove possiamo
trovarli da sempre e per sempre( e di solito per sempre giovani). Insieme
a John Wayne, e a Marilyn Monroe, a Totò e a Zeffirelli, ai Fratelli
Marx, ai fratelli Taviani e ai fratelli Vanzina. Ma Fellini? Davvero non
ci sembrerebbe un po' strana , per quanto dovuta , la sua collocazione in
questo sconfinato pantheon? La verità è che Fellini non esiste, anche se
ogni tanto fa dei film, anzi dei "filmetti",come ama definirli,
e anche se si sostiene che abbia perfino una sua immagine o
"look", come si diceva negli anni 80.Ma così come una bombetta
e un bastone non sono sufficienti ad identificare Chaplin, così una
sciarpa ed un cappello non bastano a dimostrare l'esistenza di Fellini.
Una prova però ci sarebbe, e questa, in un certo senso , inoppugnabile:io
Fellinil'ho visto con i miei occhi. Stavo andando a passeggio quando l'ho
veduto rientrare a casa sua (aveva anche la sciarpa ed il cappello!), ed
attardarsi a dialogare con un enorme gatto promettendogli a breve adeguati
rifornimenti alimentari.Il gatto per la verità
sembrava un po' scettico,
probabilmente già edotto di quanta finzione possa esservi nel Cinema, e
Fellini pazientemente , continuando a parlare, piano piano ha richiuso il
portone. Non Ho assistito alla conclusione di questa epifania, ma sono
pronto a giurare che Fellini abbia mantenuto l'impegno. Se esiste, Fellini
è un uomo sicuramente generoso e,nelle cose sostanziali , di parola. Non
ricordo quale sia stato il primo film della mia vita, ma certo non era un
film di Fellini:probabilmente era uno di quei western senza pretese con i cowboys buoni e gli indiani cattivi, girato senza troppe velleità
artistiche e anche senza molte speranze di sfondare al botteghino: un
"filmetto", insomma , nel vero senso della parola , ma che
magari a Fellini sarebbe piaciuto.Ma chissà se Fellini c'è mai andato,
al cinema. Io , invece, ci vado spesso, anche se non lo considero una
missione, e i film di Fellini li ho visti tutti, e molti li ho anche
rivisti e avrei voglia di rivederli ancora. Solo Casanova fa eccezione:
c'ero andato ma sono uscito quasi subito, come per un attacco di
claustrofobia,, davanti a quel mare di plastica nera e alla faccia
sbiancata di Donald Sutherland.Sono scappato via, forse pensando di poter
scappare così anche al fantasma della vecchiaia, tanto potentemente e
misteriosamente evocata. In un'intervista di qualche tempo fa Fellini dice
di essersi sempre sentito dentro ,anche da giovane, i suoi odierni
settant'anni, Non so se lo abbia detto per affermare in maniera divertente
il contrario, cioè di sentirsi ancora oggi un ventenne, o se sia stata
solo una battuta per scrollarsi di dosso quel tanto che vi è di
celebrativo e di ingombrante in una ricorrenza come questa; o se non sia
stato magari in definitiva un modo raffinato di glissare sulla propria
reale inesistenza. Tutto sommato Fellini ha sempre giocato con l'età e
con le età ( penso soprattutto ad Amarcord, ma anche al Fellini giovane
di Roma e al terribile invecchiamento posticcio di Mastroianni in Ginger e
Fred) .
Perchè dovrebbe proprio oggi prendere sul serio la sua? Eppoi se
Fellini ,come credo, non esiste, è evidente che non ha età.Ma se Fellini
esistesse ( il che , ammettiamolo, può anche darsi)vorrei fargli oggi
tanti auguri. Che sono gli auguri di un suo ammiratore, e mai questa
parola ha avuto più senso di adesso. E vorrei fare gli auguri anche a me
e ai lettori. Perchè se oggi è la festa di Fellini è la festa anche di
tutti quelli che almeno una volta nella vita sono entrati in un cinema e
si sono commossi e si sono divertiti." Francesco De Gregori”.
|
SIMONETTA: Francesco De Gregori, eccolo,
ospite a Radioverde Rai, che ha chiesto di potersi scaldare la
voce prima del concerto di questa sera a Roma al PalaEur….
DE GREGORI: Non ce n’era bisogno…
SIMONETTA: Non ce n’era bisogno… Francesco,
si è scaldato il pianoforte! Poi, quando te ne sarai andato
provo a suonarlo e vediamo se lo suono bene come te…
DE GREGORI: Sei molto buona, Questa frase
sulla mia abilità pianistica è molto benevola. Grazie.
SIMONETTA: Io non lo suono assolutamente,
quindi può darsi che magari possa usufruire di questi influssi
positivi che sono rimasti attaccati ai tasti. Io me lo auguro.
Allora, Francesco, mi fa piacere trovarti, ci vedremo nel corso
dei tuoi concerti perchè verremo noi a vederti. Ed è venuto a
vederti e trovarci anche Gabriele Ferraris de La Stampa.
FERRARIS: Ben trovati tutti.
SIMONETTA: Grazie per essere venuto.
DE GREGORI: Grazie Gabriele.
SIMONETTA: Direttamente da fuori o saresti
direttamente venuto al concerto?
FERRARIS: No, no. Io sono venuto per
Francesco, con questo appuntamento con lui, perché mi faceva
piacere. Per me è un piacere vedere Francesco, c’era l’occasione
per fare quattro chiacchiere, anche se davanti al microfono, e
non mi sono lasciato sfuggire l’occasione.
SIMONETTA: Anzi a maggior ragione davanti a
un microfono, così tutta l’Italia ascolta, perché l’Italia è
curiosa di sapere cosa si dicono un cantante e un giornalista.
Ecco, cosa si dicono un cantante e un giornalista?
FERRARIS: In questo caso, purtroppo, non
sono la persona più adatta per rispondere perché io e Francesco,
di solito, quando ci incontriamo, ci diciamo delle cose molto
carine, se mi passi questo termine ……..un po’ ….del nuovo cinema
italiano. Invece, di solito, i cantanti e giornalisti, in linea
di massima, hanno un rapporto un po’ più difficile e non so a
quali motivi è dovuto. Forse Francesco potrebbe avere una sua
teoria.
SIMONETTA: Ce l’ha questa teoria Francesco?
DE GREGORI: No… io credo che ci siano degli
equivoci nel rapporto fra la stampa, fra i critici e gli oggetti
della critica, no? Perché le critiche sono sempre, in qualche
modo, scomode. Se sono belle fanno piacere. A volte non lo
possono essere, non lo devono essere, e quindi dispiacciono.
Ecco, io a volte ho come percepito la senzazione - direi che
sono quasi sicuro di questo – che basta il rifiuto di un De
Gregori o di un altro a concedere un’intervista che poi questa
cosa viene pagata anche pesantemente. Cioè, tu mi dai
un’intervista e io ti faccio una bella recensione del concerto;
tu non mi dai l’intervista o al concerto non vengo proprio
oppure ti faccio due colonne e basta; oppure dico addirittura
che è stato brutto. E’ vero o no? E’ un po’ un vizio?
FERRARIS: Mah…
DE GREGORI: Però io ora bypasserei questa
discussione perché non me ne frega niente, non so se… Ho avuto
modo di dirlo l’altro giorno, quando abbiamo parlato ieri con
Castaldo de La Repubblica: in realtà, il referente dei
giornalisti e dei critici è il lettore dei giornali. Invece la
mia utenza – usiamo questo brutto termine –, le persone alle
quali io parlo sono il mio pubblico, non c’è un rapporto diretto
fra me e te in questo momento, se non perché ci stiamo parlando.
Quello che tu scrivi non riguarda me e quello che io canto non
riguarda te.
SIMONETTA: Può essere un filtro tra il
cantante e il pubblico, no?
DE GREGORI: Può essere un’indicazione, però
è uno dei tanti, la radio è un altro filtro, la televisione è un
altro filtro. Per esempio, io ho avuto dei grossi problemi nel
momento in cui ho cominciato a fare di più la televisione.
Allora molti giornalisti della carta stampata se la sono presa a
male, come dire: “prima De Gregori non faceva televisione e
quindi aveva soltanto con noi un rapporto … usciva un suo disco
e doveva venire per forza da noi, adesso va a Vota la voce, a
Fantastico”. A Sanremo no, dove altro posso andare? Ah, a Notte
Rock! Ci sono state, secondo me, delle intemperanze di questo
tipo, però io ci metterei una pietra sopra a queste cose.
FERRARIS: Certo, perché mi sembra anche che
il giornalista dovrebbe fare il suo dovere con onestà così come
il cantautore, e se qualcuno sbaglia nel caso come nell’altro è
colpa sua e quindi certamente non possiamo criminalizzare
un’intera categoria. Invece sono molto contento di essere qua
con Francesco anche perchè vorrei parlare anche di musica, di
questo suo ultimo album “Il bandito e il campione”. Ovviamente
se ne è parlato in questi giorni, però ho qualche piccola
curiosità e vorrei approfittare di Francesco per chiedere lumi.
Vorrei chiedergli, per esempio….
SIMONETTA: Scusa, ne approfitteremo fra una
ventina di secondi…
DE GREGORI: Noi ne approfittiamo per un
brindisi.
SIMONETTA: Si può brindare al concerto di
questa sera o non porta bene?
DE GREGORI: Ma secondo me porta sempre bene
fare un brindisi. Comunque brinderei a questo ultimo incontro
conclusivo dei nostri pomeriggi a Radio Verde Rai.
GENERALE
SIMONETTA: Siamo in diretta da RadioverdeRai,
c’è Francesco De Gregori per l’ultimo giorno in nostra
compagnia, lo ritroverete in concerto in giro per l’Italia,
anche se per poche date, una stasera a Roma al Palaeur, una
domani sera a Bologna alla festa dell’Unità, il 13 sarai a
Torino al Palasport, il 14 sarai a Perola Nuova vicino a
Brescia, in piazza.
DE GREGORI: In piazza? Io non lo sapevo, lo
dici tu… sono contento.
SIMONETTA: Lo dico io, l’appuntamento è in
piazza. E c’è anche Gabriele Ferraris de La Stampa, ospite per
quest’ultima giornata.
FERRARIS: E c’è anche Generale che sta
andando…. e che andrà nella cover di Vasco Rossi ….
DE GREGORI: Ho letto oggi sul giornale che
Vasco dice questa cosa.
SIMONETTA: Ma va? Dice questa cosa? Dice che
vuole fare la cover di Generale?
DE GREGORI: Sì, ma questo me l’aveva già
detto una volta, è una canzone che gli piace. E perché no?
Secondo me è giusto cantarsi un po’ le cose degli altri, no? E’
un repertorio comune, una specie di filone aurifero … non lo so,
un filone che appartiene a tutti. D’altra parte noi italiani
siamo un popolo di cantanti e quindi uno, se non è un
professionista, canticchia, no?
SIMONETTA: Sotto la doccia, in bagno, di
nascosto se è stonato.
DE GREGORI: Al karaoke..
SIMONETTA: Come ti metti col karaoke tu?
DE GREGORI: Non so, io ho detto una cosa
l’altra sera. Eravamo a Vota la voce con Ferraris con cui
parlavo e bevevo…
SIMONETTA: E anche adesso si fa la stessa
cosa…
DE GREGORI: Lui mi ha detto che Fiorello è
un bravo cantante. Io ci ho pensato un attimo su e ho detto “Sì,
sì, sicuramente. Tecnicamente è bravo, però non è questo il suo
valore. Secondo me il valore di Fiorello è un esempio di
avanspettacolo contemporaneo”. Poi oggi ho riletto questa cosa
che tu hai portato. Non so se lui si arrabbia per questa cosa,
perché in realtà io per avanspettacolo intendo una forma d’arte
sofisticata tutto sommato, molto colta. L’avanspettacolo è Nino
Taranto, Totò, Alberto Sordi, ecco. Io intendevo in quel senso
lì. Oggi manca l’avanspettacolo, non c’è perchè è stato
sostituito dalla televisione. Fiorello invece, andando nelle
piazze e creando questa kermesse, tutto sommato sostituisce
quello che una volta era la compagnia itinerante, le Wande
Osiris, Polvere di stelle….
FERRARIS: Nel karaoke, in fondo, c’è anche
un’altra componente dell’avanspettacolo che era quella
dell’interattività tra il palco e il pubblico.
DE GREGORI: Certo, la partecipazione del
pubblico con lo spettacolo.
SIMONETTA: Interattività è un termine che
oggi fa molto ….
FERRARIS: Sì, allora si diceva “a ridateci
li soldi”
DE GREGORI: Sì, oppure nel film di Fellini
“Roma”: tirare il gatto morto al comico che non piaceva.
FERRARIS: Fellini è una delle tue grandi
passioni. Prima di venire qua leggevo quel bellissimo intervento
che hai scritto per il libro che è stato .…
DE GREGORI: Sull’Oscar di Fellini? Sì, si.
Fellini è stato per me…… per tanti di noi, non solo per me …….
SIMONETTA: Me l’avete tirata dai capelli
allora. A proposito di questa tua bellissima introduzione, di
questo tuo intervento insieme ad altri interventi illustri, mi è
piaciuto molto leggerlo e dici una cosa a proposito della poca
premeditazione nella scelta del mestiere di regista di Fellini;
ed è una cosa che ho trovato anche nelle canzoni che tu dici per
questo nuovo 33 giri, cioè che si sono scelte da sole. In
effetti anche qui c’è un concetto di poca premeditazione.
DE GREGORI: Ah, assolutamente. Certo! Sì,
perché io c’ho questo archivio di cose registrate, alcune sono
vecchissime. Ho pescato lì dentro, ho pescato soprattutto dai
concerti che ho fatto nell’ultimo anno, però certe cose le ho
prese da altre parti o se non le ho prese le prenderò. Ho una
specie di calderone, una specie di magazzino, di cantina, in cui
ho tutte queste cose.
SIMONETTA: Quindi la scelta del tuo mestiere
è stata premeditazione o ti ha scelto lui?
DE GREGORI: Direi che mi ha scelto lui,
assolutamente. Anzi, io fino a un certo punto ho veramente
creduto che non sarebbe mai stato il mio mestiere. Però quando
ho visto che mi guadagnavo da vivere sarebbe stato stupido
smettere.
In certi momenti, anche dopo aver deciso che
era il mio mestiere, avrei voluto smettere. E’ successo un paio
di volte. Non ti dico quando. E’ successo un paio di volte, però
dopo non riuscivo a fare nient’altro insomma; e quindi, sai, vai
a cantare, no?
SIMONETTA: Gabrielle Ferraris, invece
abbiamo interrotto un discorso che stavi iniziando….
FERRARIS: Ah, quello sugli arrangiamenti?
Sì, in effetti De Gregori, in questo album “Il bandito e il
campione”, in fondo, ha un po’ negato certe cose che aveva
detto. Per esempio lui aveva detto di Alice che non si sarebbe
sentito di rifarla perché…… invece ha avuto, diciamo, il
coraggio o la voglia o l’allegria di prendere questa canzone e
rimetterla in discussione con un risultato anche interessante,
anche nuovo. In fondo hai dato a questi giovani che ti conoscono
adesso una nuova canzone usando una canzone che è entrata nella
storia della musica italiana.
DE GREGORI: Sì, si. Io mi ricordo che avevo
scritto questa cosa, che Alice non sopportava gli arrangiamenti,
però il fatto di averlo scritto, di averlo pensato, di averlo
razionalizzato, di averlo detto a me stesso in maniera così
chiara è come se mi avesse levato un blocco. E allora ho detto
“Va bè, perché non si può fare? Sarà diversa”. Io mi rendo conto
che la gente, però, si affeziona alle cose vecchie ed ha
perfettamente ragione. Cioè Alice è una canzone intoccabile in
quel senso, ci sono dei passaggi vocali, degli archi, la voce
che avevo io quando avevo vent’anni e che oggi non ho più (sarà
diversa, non so se peggiore o migliore, non me ne frega niente).
Però è chiaro che nella memoria delle persone, degli
ascoltatori, questa cosa è insostituibile, non può essere
sostituita. Però per me sarebbe terribile rimanere inchiodato in
quella cosa perché per me Alice, come altre canzoni, è una
canzone che vive ancora adesso e quindi la “devo” rifare, la
“devo” cantare, se no non mi diverto.
FERRARIS: E’ stato un po’ come ritrovare un
vecchio amore?
DE GREGORI: E’ stato come continuare ad amare
la stessa donna per tanti anni.
FERRARIS: Tu pensi che è una cosa facile
amare la stessa donna per tanti anni?
DE GREGORI: Dipende dalla donna.
FERRARIS: Questa è una domanda alla
Marzullo.
DE GREGORI: Anche la risposta forse, però è
l’unica che mi sentivo di dare. Dipende dalla donna, dipende
dalla canzone. Alice è una canzone facile da amare anche per
vent’anni di seguito.
ALICE
SIMONETTA: Alice. Ho interrotto una
conversazione. Da quando non vi vedevate, dall’altra sera?
FERRARIS: Noi quando ci vediamo siamo sempre
molto chiacchieroni.
SIMONETTA: C’è veramente questo tipo di
rapporto molto intenso. Vi conoscete da molti anni?
DE GREGORI: Non tanto, ho molta stima di
Gabriele Ferraris, è un giornalista stravagante, ogni tanto va a
toccare dei punti nodali della musica leggera italiana dando
fastidio, ogni tanto si imbizzarisce, ogni tanto si
tranquillizza, però lo amo di meno. E poi… posso dare dei voti a
un giornalista io? No! Mai!!
FERRARIS: Come, i giornalisti danno i voti ai
cantautori e non possono fare i cantautori viceversa? Mi
sembrerebbe divertente.
DE GREGORI: Non possono.
FERRARIS: Perché no?
SIMONETTA: Sarebbe divertente ma in questo
momento non possiamo farlo perché l’unico presente è Ferraris e
quindi non sarebbe corretto.
DE GREGORI: Gli diamo sette a Ferraris!
SIMONETTA: Io faccio a Francesco De Gregori
la stessa domanda ai colleghi che hanno preceduto nei giorni
passati Gabriele Ferraris. A loro chiedevo se avessero mai
scritto qualcosa di poco positivo o di poco carino nei tuoi
confronti, se fossero mai stati discordi rispetto a qualcosa che
tu avevi fatto. A te invece chiedo se c’è qualcosa che Gabriele
Ferraris ha scritto su di te che non ti è piaciuto, che non ti
ha fatto completamente piacere.
DE GREGORI: No, adesso no…. dai! Non è vero!
Intanto direi che è normale e fisiologico che uno che pubblica
delle cose non sia d’accorco con chi le critica, se no ci
sarebbe veramente il Grande fratello. E’ chiaro che tutti i
giornalisti svolgono una funzione di critica e, ragionavolmente,
trovano delle cose che non vanno bene. Mah.. non lo so, l’ultima
cosa forse su questo disco dal vivo, mi pare ci sia stata una
forzatura, forse nel titolo, forse mi confondo….forse sul fatto
che io ne avevo fatti troppi.
FERRARIS: Ma no, anzi, siamo usciti proprio
per…. in pratica abbiamo dato come notizia la polemica che era
nata sul fatto che taluni avevano accusato De Gregori di aver
fatto troppi dischi dal vivo.
DE GREGORI: Ecco, questa a me pare una cosa
strana, che poi è il mio mestiere fare dischi. Quindi, alla
fine, se io ne voglio fare anche venti in un mese, chiaramente
il pubblico è libero e legittimato a tirarmeli appresso. Però è
strano che un giornalista musicale, invece di occuparsi del
contentuto del disco, cioè di fare un paragone, per esempio la
versione di Buonanotte fiorellino del ’75 e quella del ’93, si
preoccupi d contare quanti dischi dal vivo faccio facendo un po’
intendere che è un po’ un tentativo di forzare il mercato, un
tentativo di guadagnare più soldi… ecco, questo secondo me una
cosa che travalica un po’ i compiti della critica musicale, è
una specie di attacco personale e questo mi dà, legittimamente,
un po’ fastidio. Però sono sempre i lettori e gli ascoltatori
che giudicano.
FERRARIS: Noi ci eravamo limitati a riportare
il fatto e non a prendere posizioni su questa polemica, però…
DE GREGORI: Sì, ma infatti…. come diceva
Manzoni: “Troncare e sopire!”.
FERRARIS: Però mi sembra interessante questo
tema dei dischi dal vivo perché in un momento che Francesco,
come molti altri cantautori italiani, esce con un disco dal
vivo. Probabilmente c’è un bisogno, da parte degli autori più
importanti della nostra canzone, di andare dal vivo. Un tempo
questo non accadeva, il cantautore raramente faceva dischi dal
vivo. Invece, in questo periodo siete stati tu e molti colleghi
ad averlo fatto.
DE GREGORI: Ecco, però, volevo dire che è
leggittimo. Un anno fa ho fatto uscire un disco dal vivo invece
di canzoni inedite che ha avuto un significato molto importante.
E’ piaciuto, cose nuove, strane, che sono entrate nella testa
della gente, Quindi non è un modo di sopperire ad una creatività
zoppicante fare un disco dal vivo. A volte sono stato tre anni
senza fare uscire nulla. Se invece adesso lo faccio è perché ho
un’urgenza mia di farlo. Ecco, io pretendo – posso dirlo? –
pretendo di essere credibile in questo, ho una storia alle
spalle che, come dire, è al di sopra di questo tipo di sospetto.
FERRARIS: Ma infatti come hai fatto tu o
molti altri tuoi colleghi, il discorso del disco dal vivo mi
sembra che sia invece una vostra esigenza di avere un rapporto
di presentarvi all’ascoltatore in una veste meno consueta, forse
dare una cronaca in diretta di quello che sta accadendo nelle
vostre teste, nella vostra……
DE GREGORI: Ma forse è il momento più
vanitoso per uno che fa il mio mestiere. Realmente dico questo.
Sentirsi cantare. In questo periodo mi piace cantare e mi piace
anche sentirmi cantare. Mi riascolto. Cosa che non avevo mai
fatto con tanta naturalezza, e quindi perché non fare
riascoltare anche alla gente?
SIMONETTA: Escono anche tante raccolte in
questo periodo, ci sono colleghi che pubblicano molte raccolte,
non solo stranieri. Ecco, tutto sommato, come si pone la
critica, come si pone Ferraris rispetto a una cosa del genere?
Meglio un disco dal vivo?
FERRARIS: Mah, io mi pongo su qualsiasi disco
nuovo, sia esso una raccolta… esistono delle raccolte molto
intelligenti e molto utili anche perché si nota questo fatto.
Stranamente (o forse non stranamente) gran parte degli idoli dei
ragazzi di oggi sono gli stessi che avevamo noi, che abbiamo…..
diciamo che siamo già dalla parte sbagliata dei 35 anni. Quindi
vuol dire che questi giovani…..
SIMONETTA: Scusa, c’è qualcuno che ha
qualcosa da ridire su questi 35 anni presentati in questo modo….
DE GREGORI: A 35 anni uno è giovanissimo,
dai!
FERRARIS: Ma noi siamo già dalla parte
sbagliata, diciamo che siamo dalla parte giusta dei quaranta. Va
bene….
DE GREGORI: Posso interromperti? Le raccolte
sono una cosa molto diversa perché le raccolte, di solito, le
fanno le case discografiche. Pescano dai fondi di magazzino o a
volte, con maggiore intelligenza, creano un prodotto in qualche
modo nuovo e significativo, comunque sempre attingendo sempre
del materiale preesistente senza la collaborazione dell’artista.
Il disco dal vivo è un’opera d’arte, è un’opera dell’artista. La
mia ex casa discografica pubblica, ogni tanto, delle antologie
senza nemmeno dirmelo. Io me le trovo nei negozi, leggo su un
giornale che è uscito un mio disco. Quella è una raccolta.
Io non ne so nulla, gli danno addirittura il
titolo, la copertina… Sì, sì, è veramente così. Mentre invece un
disco dal vivo è un altro discorso, è un discorso in cui
l’artista, il cantante, l’autore - chiamiamolo come cavolo ci
pare - ha il timone in mano, è rappresentativo dell’artista in
quel momento. La raccolta, la compilation, l’antologia è una
documentazione storica di un percorso ormai conclamato e viene
così rimpacchettato per la gioia dei consumatori, ma non c’è
nulla di artistico dentro. Tranne che se erano buone canzoni
rimangono buone canzoni.
FERRARIS: A meno che sia un’antologia
d’autore, cioè scelte dall’artista stesso, se l’autore sceglie i
brani allora diventa un lavoro….
DE GREGORI: Ecco, sì, ma spesso non è così.
Nel mio caso non è mai stato così.
SIMONETTA: Il timone in mano l’ha preso
Gianni Grimaldi a questo punto ci fa ascoltare una canzone da Il
bandito e il campione.
VECCHI AMICI
SIMONETTA: Abbiamo ancora un pochino di
minuti a disposizione e Gabriele Ferraris voleva sviluppare un
concetto che stava nascendo qui a microfoni spenti perchè nel
frattempo si continua a brindare e a chiacchierare.
FERRARIS: No, il concetto che stavamo
sviluppando era il concetto che la nostra generazione ha
conquistato i quindicenni e addirittura i decenni che vanno ai
suoi concerti e quindi vuol dire un messaggio che in fondo
continua a … in fondo una lezione che passa di padre in figlio.
Tu hai fatto delle canzoni che hanno dato delle linee in un
certo senso. L’ultima è stata Adelante! Adelante!, che è stata
l’inno di eleganza, ops alleanza democaratica…. Tu ti confermi
cantautore politico, anche alla luce di queste ultime cose che
sono successe in Italia?
DE GREGORI: Io non mi confermo niente. E’ una
canzone che parla di questo Paese. Parlare di questo Paese oggi
vuol dire comunque parlare di politica. Anche fare un finto
lapsus fra eleganza e alleanza democatrica vuol dire fare
politica. Allora vorrei sapere il tuo parere su Alleanza
democatrica e in quale modo ci sia la possibilità di giocare fra
alleanza e eleganza.
FERRARIS: Ma perché, vedi, il discorso fra
alleanza ed eleganza è un lapsus che gira molto negli ambienti
giornalistici…
DE GREGORI: Eh, lo so. Siete dei
giocherelloni!
FERRARIS: Dei zuzzurelloni siamo.
DE GREGORI: L’ultima parola del vocabolario!
FERRARIS: In realtà la mia simpatia per
Alleanza Democratica è temperata soltanto dalla domanda se e
quanto possa farcela, se ha un reale seguito popolare perché,
come spesso accade, con le buone idee è difficile raggiungere
una grande massa, e in democrazia è la massa che fa la storia,
no?
DE GREGORI: Sì, adesso non possiamo annoiare
gli ascoltatori con Alleanza Democratica. Credo che comunque ci
sia bisogno in Italia di una proposta politica nuova che
scavalchi un po’ quello che è stato il vecchio armamentario dei
partiti e credo che ci sia spazio per una sinistra rinnovabile
in questo senso. Alleanza Democratica è stata un po’ una
scommessa, materiale molto flessibile, liquido, friabile. In
questo momento mi piace di meno di quando io sono andato a
cantare per loro, c’è molta confusione ma, come diceva il nostro
Presidente, la situazione potrebbe essere eccellente proprio per
questo. Tu dici “Non mi va Alleanza in quanto pochi aderiscono”.
Benissimo, allora bisognerebbe invece portare acqua, modificare,
partecipare .. come diceva Gaber: “la libertà è partecipazione”.
Se uno rimane lì a fare dei giochini linguistici sì, certo,
possiamo fare un partito di giornalisti o un partito di
cantanti.
SIMONETTA: Gabriele, vorrei una recensione
parlata su questo disco di Francesco de Gregori.
FERRARIS: Oh! Questa non l’avevo preparata!
DE GREGORI: La faccio io? E’ bellissimo!
FERRARIS: Sarebbe interessante da parte di
Francesco… credo che sarebbe un buon critico musicale perché ha
spesso delle illuminazioni che molti giornalisti non hanno. E
poi leggendo, quando lui scrive, mi rendo conto che sarebbe
stato anche un ottimo giornalista professionista, e non soltanto
estemporaneo come ha sempre fatto.
DE GREGORI: C’è sempre tempo, c’è sempre
tempo.
SIMONETTA: Io mi auguro che non succeda, ma
visto che è successo due volte nel corso della carriera di
Francesco De Gregori, due volte in cui lui ha deciso: “cambio
mestiere”, casomai dovesse succedere (speriamo di no) lo
ritroveremmo in qualche testata giornalistica.
FERRARIS: A La Stampa sarebbe un posto
perfetto.
SIMONETTA: Ferraris cosa fa? Si metterebbe a
cantare?
FERRARIS: Non sarebbe una bella notizia per
gli ascoltatori.
DE GREGORI: Bella domanda! Bella domanda.
Soprattutto la domanda è “Ferraris può cantare?”.
SIMONETTA: Chissà. A questa non ci sarà
risposta per quest’anno. Forse l’anno prossimo.
DE GREGORI: Comunque io volevo ringraziarti
Gabriele. Veramente. E’ stato un piacere chiacchierare con te.
Ringrazio anche Simonetta. Da quanti decenni mi sopporti?
SIMONETTA: Ma no, pochi decenni, siamo
giovani. Grazie ad entrambi, Gabriele Ferraris de La Stampa e
Francesco De Gregori.
DE GREGORI: Vado a lavorare.
SIMONETTA: Ti raggiungiamo stasera al
Palaeur. Ciao Francesco, grazie.
RADIO CAPITAL
13 Dicembre 2003
con Mary Cacciola
|
|
|
|
02/06 Porto S. Giorgio 03/06 Nola
04/06 Roma 06/06 Torino 07/06 Cuneo 08/06 Chianciano 11/06 Bolzano 12/06
Milano 13/06 Brescia 14/06 Belluno 15/06 Cesenatico 16/06 Schio 17/06
Bologna 20/06 Cosenza 21/06 Napoli 22/06 Marsciano 23/06 Salsomaggiore
25/06 Bari 27/06 Lucca 28/06 Masone 29/06 Acqui Terme 01/07 Lucca 02/07
Udine 03/07 Mede 05/07 Pescara 06/07 Sant'Iario 07/07 Macerata 10/07
Salerno 12/07 Cagliari 13/07 Tortoli 16/07 Pietrasanta 17/07 Sarzana 18/07
Mantova 19/07 Firenze 20/07 Pesaro 28/08 Gricignano D'Aversa 29/08
Casalduni 02/09 Genazzano 03/09 Sezze 05/09 Capalbio 06/09 Ferrara 07/09
Milano
|
DE GREGORI:… “Do the chairs
and your partner seem empty and bare?”…(canticchia “Are you lonesome
tonight” di Elvis Presley)
INTERV.:…E questa è un’altra occasione per
incontrare gli amici di Radio Tutto. Con noi c’è Francesco De
Gregori e con lui faremo questo viaggio in musica, ma soprattutto
parole che spiegano la musica. Senti Francesco, intanto vuoi fare un
saluto ai nostri amici di Radio Tutto?
DE GREGORI: Beh, io sono felice di poter parlare
con loro, è un mezzo meccanico, un po’ strano questo parlare adesso
per una cassetta che poi verrà messa nelle edicole non subitissimo,
no?
INTERV.: Fra un paio di mesi…
DE GREGORI: Però è un contatto strano, ma è un
contatto sicuramente vero.
INTERV.: Fra un paio di mesi saremo di nuovo alle
porte dell’ennesimo Festival di San Remo. Mi sembra che tu quando
puoi, non perdi occasione per attaccarlo questo festival. Ma è
davvero così negativo per la musica italiana? E’ davvero così
importante parlarne?
DE GREGORI: Questa è una bella domanda…e in
effetti chi lo sa? Magari è sbagliato parlarne male e tanto, forse
non bisognerebbe parlarne per niente. Apparte che io sono stato
segnato quando ero ragazzo, dal suicidio di Tenco, che avvenne al
festival di San Remo e che secondo me lascia un ombra scura su
questo festival.Poi ho sempre detto che non rappresenta la musica
italiana vera, infatti se tu guardi quelli che sono oggi in Italia
le persone che fanno musica che viene ascoltata e comprata, non sono
per la maggior parte sovrapponibili a quelli che vanno a San Remo. E
poi quest’anno c’è questa cosa che Baudo e Maffucci dicono che
“quest’anno il Festival è trasparente”, vabbè, ma allora ci
dicessero perché non era trasparente quello di anni prima, perché
poi ci vanno sempre loro di mezzo, cioè c’erano sempre Baudo e
Maffucci anche negli anni scorsi, quindi, come fanno loro a dire
“quest’anno è trasparente”? Gli altri anni no, vabbè, diteci perché,
vogliamo saperlo. Al limite vogliamo sapere perché Tenco si è
ammazzato, forse qualcuno lo sa e ce lo dicesse a questo punto.
INTERV.: Allora Francesco, se il Festival di San
Remo “non ride”, anche la canzone d’autore un po’ piange, nel senso
che ci sono anche dei denigratori della canzone d’autore, per
esempio, dico un nome altisonante, Mogol, un grande autore di versi,
lo conosciamo per la sua collaborazione soprattutto con Battisti, ma
grande autore di versi, o paroliere, come si diceva una volta. Ecco
Mogol ha in qualche modo criticato la canzone d’autore, la più
attuale, accusandola di aver rovinato la musica leggera, quasi come
un qualche cosa che ha soffocato la musica per dare più spazio alla
parola. Questo cosa ti fa pensare?
DE GREGORI: Ma guarda, io devo dire una cosa,
secondo me Mogol ha rappresentato moltissimo per la musica italiana,
e tutt’ora rappresenta moltissimo per la musica italiana. Io ho
grande rispetto per Mogol, ha scritto delle canzoni straordinarie
insieme a Battisti e qua e là anche senza Battisti. Quindi, anche se
lui ha avuto delle asprezze polemiche verso il mondo della canzone
d’autore, che magari non condivido, non me la sento di rispondere in
maniera polemica a Mogol. Comunque fa un annotazione che non è poi
del tutto sbagliata, che i cantautori e la canzone d’autore ha messo
un po’ in ombra il ruolo dell’ interprete, non esiste più
l’interprete. Oggi se uno scrive una bella canzone se la canta anche
da solo, difficilmente la da ad un cantante o a una persona che è
soltanto interprete.
Però forse, questa è colpa anche della mancanza
di interpreti, io non sento grandi interpreti in giro e quindi è un
po’ il cane che si morde la coda, forse Mogol vorrebbe che io
smettessi di scrivere canzoni soltanto per cantare canzoni di altri,
ma preferisco continuarmele a scrivere. Lo dico senza inimicizia nei
confronti di Mogol .
INTERV.: Senti Francesco, il tuo disco “Il
bandito e il campione” è stato sicuramente un disco fortunato,
tant’è vero che anche il tuo fratello Luigi, che poi è l’autore
della canzone pilota dell’album, ha ricevuto un premio significativo
proprio al Club Tenco e la canzone “Il bandito e il campione” è
stata giudicata come la più bella canzone del 1993. Ecco, ma in
questo disco, ma anche e soprattutto nei concerti che tu hai fatto
ultimamente, hai proposto molte cover. Questo è un momento fortunato
anche per le cover, penso a “The boxer”, a “Vita spericolata”, a
“Sfiorisci bel fiore” di Jannacci, “Anidride solforosa”, lo stesso
Battisti con “Anche per te”. Come mai questa scelta di proporre
cover sia in disco che durante i concerti?
DE GREGORI: Sembra quasi che tu l’abbia fatto
apposta a farmi questa domanda , perché dopo il discorso di Mogol,
dell’interprete, del cantautore…viene a fagiolo. Si, perché alla
fine io mi diverto anche a cantare canzoni di altri, non mi sento
così legato mani e piedi al mio ruolo di cantante che interpreta
continuamente se stesso, mi va benissimo cantare canzoni di altri,
se mi piacciono, se mi stimolano, se le trovo interessanti. Magari
non saranno tutti capolavori queste cover che hai detto (secondo me
si comunque), però…in realtà il ruolo di interprete o di autore uno
se lo sceglie volta per volta, non ci dev’essere una ricetta. Io
quando salgo sul palcoscenico, per fare due ore di musica, di
lavoro, di arte, di artigianato, preferisco non avere davanti un
percorso obbligato, è successo spesso e i ragazzi della band lo
sanno e ormai ci ridono, ma i primi tempi erano terrorizzati, perché
io mi voltavo e dicevo: “adesso facciamo questa” e loro non sapevano
che cos’era, e suonavamo così… senza rete.
INTERV.: Francesco ti diverti a spiazzarli un po’
i tuoi compagni di lavoro?
DE GREGORI: Si, anche loro però si divertono
spiazzare me spesso, ci sono degli “scherzi”, c’è un gioco continuo
di provocazione sul palco: cambiare un accordo in un certo punto,
accelerare il ritmo in un altro, alla base c’è un professionismo e
un rispetto reciproco soprattutto per me che sono il cantante, però
io mi diverto a spiazzare loro e loro a volte fanno delle cose che
spiazzano me. La gente in realtà di tutto questo si approfitta
divertendosi, è tutto a favore del pubblico, il pubblico paga il
biglietto, quindi…
INTERV.: Da sempre Francesco nei concerti ti
ritagli uno spazio da solista, mandi via la band, rimani da solo con
la tua chitarra, l’armonica naturalmente, che è fondamentale, quanto
la voce, e quali canzoni ti piace più proporre da solo e quali
invece con la band, come decidi?
DE GREGORI: Questa è una buona domanda, mi rendo
conto che per quello che sono stati i concerti passati, mi sembra di
fare da solo le canzoni in qualche modo più legate al mio nome, per
esempio le più famose, “Rimmel”, “Buonanotte fiorellino”, proprio
perché non riesco a rifarle con la band e con gli arrangiamenti del
disco di allora, quindi mi cavo d’impaccio facendole soltanto con la
chitarra e l’armonica, quindi stravolgendole completamente: gli levi
il basso, gli levi la batteria, gli levi la parte ritmica, e le fai
più tue, però cambiano da sera a sera, e poi ci sono delle sere che
nella scaletta c’era “Pablo” alla fine, e invece io nel set
acustico, a metà dello spettacolo, me la sono fatta da solo con la
chitarra. Perché? Perché mi tirava così, mi andava così, quella sera
“Pablo” non andava fatta con la batteria, ma andava fatta soltanto
con la chitarra e con l’armonica. E’ una questione legata all’umore
mio e anche della gente che mi sta davanti o almeno l’umore che io
credo abbia la gente che mi sta davanti.
INTERV.: Ti voglio parlare anche da ascoltatore,
da frequentatore dei tuoi concerti. Quando tu proponi queste canzoni
da solo con l’armonica e con la tua voce e spesso ,appunto, le
stravolgi, da ascoltatore mi sento un pochino privato di quella che
era la versione originale che rimane legata nelle pieghe della
memoria a dei momenti più o meno belli, ma comunque emozionanti. Non
pensi che stravolgendola c’è un po’ di violenza nei confronti del
pubblico o no?
DE GREGORI: Violenza è una parola terribile! Non
credo, anche perché poi, se uno vuole, va a casa e si risente il
disco…non è che io tolgo qualcosa, casomai aggiungo una nuova
versione che per me in quel momento è importante, ma non è che tolgo
quella vecchia. Chi fa il mio mestiere ha la possibilità che per
esempio il pittore non ha. Il pittore una volta che ha fatto il
quadro è quello, una volta che lo ha esposto, lo ha venduto, non può
andare più ad aggiungere una pennellata. Anche il regista che ha
fatto un film, un volta che è stampato, rimane quello. Invece chi fa
il mio mestiere può anche cambiare una canzone, questo è un
privilegio. Il mio mestiere ha tanti svantaggi, ma anche questo
vantaggio, allora questo me lo prendo.
INTERV.: Prima di arrivare al concerto vero e
proprio, Francesco, ci sono sempre le cosiddette prove. Come ti
organizzi in questa fase del tuo lavoro e come nascono quindi anche
gli arrangiamenti nuovi durante queste session pomeridiane, prima
del concerto?
DE GREGORI: Il momento più brutto delle prove è
quando cominciamo a fare un canzone che non facciamo da un po’ di
tempo e io non mi ricordo le parole…perché succede no? Siccome io le
prove non le faccio mai a Roma dove abito, ma in Romagna dove c’è la
ditta che mi noleggia gli impianti, non ho i miei dischi a portata
di mano. Allora mando sempre qualcuno a comprare il mio disco per
sapere com’erano le parole… (ridono) …quindi ci si rimette a sentire
questo disco e viene fuori un arrangiamento che qualche volta era di
dieci anni fa, di vent’anni fa, e questo ci da la misura di quanto
poi in realtà siano cambiate le canzoni, il modo di suonarle. Perché
nessuno va alle prove già in partenza col disco. Io vado alle prove
e dico: “Facciamo “Pablo” …”, ma “Pablo” è come me la ricordo io in
quel momento, non cerco di rifarla uguale al disco. Quando invece
questa verifica del disco si rende indispensabile, perché il testo
quello è, c’è un momento di scollamento…penso: “Quindi io ero così
anni fa? Anni fa pensavo che il basso dovesse fare questo, ma come
facevo a pensarlo? Non mi piace più, non deve fare questo…”. A
dimostrazione che le prove sono un momento emozionante, un momento
vivo del mio mestiere, perché lavorano su un oggetto di repertorio,
se vuoi, un oggetto vecchio, ma senza connotazioni negative, un
oggetto a cui la gente è affezionata in quella dimensione, in quella
versione, ma che per me invece è diverso, è modificabile e
modificata. Modificabile e modificata in quel momento ma anche in
futuro. Il bello delle prove è questo.
INTERV.: Francesco, hai usato la parola
“repertorio”, che secondo me è importante. Nel tuo “repertorio” ci
sono delle canzoni che sono state definite politiche, e sembrano a
risentirle oggi, quasi delle profezie. Ti fa piacere o no di aver
giocato questo ruolo quasi da “profeta”?
DE GREGORI: No. Non credo che una canzone abbia
più valore di un altra se c’ha un valore profetico. Una canzone o è
bella o è brutta, e poi anche il fatto che siano profetiche secondo
me è relativo, perchè secondo me un artista ha più tempo degli altri
per guardarsi intorno, per guardare la propria contemporaneità e
quindi per analizzarla. Perciò a volte sembra che veda il futuro, in
realtà vede con più diligenza, con più attenzione, forse con più
intelligenza il suo presente. Riesce a leggere il momento in cui sta
vivendo, con maggiore calma, con maggiore serenità e quindi
probabilmente poi queste canzoni sembrano guardare oltre. In realtà
guardano semplicemente il presente, molto meglio di quanto non
facciano i giornalisti o i pubblicitari o I discografici…gli artisti
hanno questa freccia al loro arco.
INTERV.: A proposito di frecce, gli artisti
cercano anche sempre di scoccarne di nuove, nel senso che si
inventano nuovi modi per proporre le canzoni, per esempio sto
pensando a quella che è un po’ diventata un moda, cioè dei dischi
“unplugged” , i dischi fatti in presa diretta. Pensi di farne uno
anche te Francesco, ti intriga quest’idea, oppure è una cosa che
lasci ai tuoi colleghi?
DE GREGORI: Beh, io li ho sempre fatti un po’ in
questo senso, i dischi unplugged, i dischi acustici o comunque i
dischi senza eccessivi ingredienti tecnologici, senza eccessive
sovrapposizioni. Nella misura in cui questa è una moda, mi
appassiona poco, però devo dire la verità, i dischi unplugged che ho
sentito, quelli stranieri, Neil Young, Rod Stewart, Eric Clapton, mi
sono piaciuti tutti quanti molto. Credo che i miei siano stati
sempre un po’…cioè la spina non l’ho mai attaccata…c’ho sempre messo
venti giorni a registrare un disco e altri venti a missarlo,
quindi…è sempre stato un lavoro fatto in tempo reale.
INTERV.: Per tradizione familiare, mi sembra che
tu abbia un rapporto particolare con quelli che sono l’oggetto
libro, l’oggetto biblioteca e cose del genere. In questo momento
quali sono le opere che più ti intrigano, che più ti stimolano e più
ti portano alla lettura, magari notturna?
DE GREGORI: Guarda, in questo momento niente. E’
un periodo che non sto più leggendo nessun libro, addirittura
nemmeno il giornale mi scatena più quell’ istinto aggressivo la
mattina. Prima se non leggevo il giornale la mattina era come se non
prendessi il caffè, invece adesso…non lo so, si va a periodi, la
lettura non dev’essere un precetto, se ti va leggi, se non ti va non
leggi, non bisogna drammatizzare su questa cosa. Ultimamente ho
preferito rileggere, sai che spesso uno dice:”Ho riletto Don
Chisciotte”, invece l’ha letto per la prima volta. Invece io ho
riletto un po’ di cose che avevo letto da ragazzo e mi sono piaciute
molto. C’è mio figlio che sta studiando “I promessi sposi” a scuola,
e mi sono riletto alcuni capitoli, capendo che è molto meglio
leggerlo a quarantadue anni che leggerlo a quindici. La lettura da
queste scoperte, ti fornisce questa benzina continua, è una miccia
sempre accesa la lettura di un libro. Però non si può dire io leggo,
io non leggo, e poi non leggere non è una cosa drammatica, se non
leggi va bene uguale, magari ascolti dischi o vai a teatro.
INTERV.: Veniamo alla politica, un argomento di
stretta attualità, siamo in un periodo abbastanza caldo in cui può
cambiare tutto e bisogna tener gli occhi bene aperti (Novembre
1993). Secondo alcuni, tu sei uno dei cantautori più politicizzati
d’Italia. Ma, apparte le tue posizioni personali, tu ti senti di
avere mai scritto una vera canzone politica nel senso stretto?
DE GREGORI: No, devo dire di no, credo di no
perchè le vere canzoni politiche sono quelle che io ho sentito
cantare per esempio da Giovanna Marini, da tutto un filone di
canzoniere politico italiano che c’è stato, c’è ancora, anche se
adesso molto meno pubblicizzato, ed erano canzoni che chiamavano le
cose col loro nome, erano canzoni molto dirette. Io dico di essere
stato sempre un po’ un punto di passaggio, un anello della catena,
fra quello che è la canzone di svago, la musica leggera vera e
propria, e quella che è invece la canzone più direttamente politica.
Io posso aver scritto qua e là delle canzoni che parlavano della
realtà, e non soltanto delle mie avventure sentimentali, che sono il
grande corredo della canzone popolare italiana, di San Remo. Io ho
scritto canzoni per esempio come “Terra di nessuno”, “Pane e
castagne”, “Dottor Dobermann”, “Sangue su sangue”, che in qualche
modo sono canzoni che riguardano tutti, ma non sono canzoni
politiche con la P maiuscola, ne politiche tra virgolette, per lo
meno non nel senso ristretto della politica. Se però la politica è
una cosa che riguarda tutti, ci riguarda quando andiamo in tram,
quando andiamo a scuola, quando andiamo a fare la fila alla U.S.L.,
e anche quando al limite ci mettiamo con una donna, allora si, io ho
scritto delle canzoni politiche. Però allora è politica anche
“Buonanotte fiorellino”,capito? Non soltanto “Sangue su sangue”.
INTERV.: Dopo quello che possiamo definire ormai
sicuramente e storicamente il crollo del comunismo, inteso come
ideologia, come si sente una persona come te che si è sempre
definita ed è sempre stata di sinistra e tale continua a essere?
DE GREGORI: Guarda, io mi sento benissimo, perché
essere di sinistra vuol dire assumere dei valori, condividere dei
valori, attuali. Non è vero che non esiste più la sinistra o non
esiste più la destra, sono rispettabili tutte e due, per carità di
Dio, però di fronte a ogni problematica sociale, questi sono due
atteggiamenti diversi, per esempio sull’immigrazione, c’è un
atteggiamento di sinistra e uno di destra, come sulla politica
scolastica, sulla sanità o sulla disoccupazione. Quindi non è vero
che tutto questo è superato perché è caduto il muro di Berlino. Io
non sono mai stato a fare la fila per vedere il mausoleo di Lenin,
non sono mai stato comunista in questo senso, sono sempre stato in
Italia un uomo che ha votato per il P.C.I., Partito Comunista,
finchè c’è stato e adesso ha votato per il P.D.S., ma questo voleva
dire semplicemente collocarsi nella zona della politica italiana
innovatrice. Io continuo a considerarmi parte di questa zona della
politica e credo che i complessi di colpa casomai dovrebbe averli
chi ha votato per la D.C. o per il P.S.I.. Mi sembra molto più grave
il crollo di questo muro piuttosto che di quello di Berlino, che
francamente è molto lontano da noi, ma soprattutto da me.
INTERV.: Delle nuove forze che in questo ultimo
periodo si sono affermate nel panorama italiano, penso alla Lega di
Umberto Bossi, penso all’ Alleanza Democratica, cosa pensi?
DE GREGORI: Di Bossi penso che non sia giusto
dare una valutazione personale. L’uomo ha un atteggiamento arrogante
e ricalca gli atteggiamenti già visti in Cossiga, cioè l’uomo che
urla, insulta, offende, che dice delle cose che non dovrebbe dire e
poi il giorno dopo smentisce o pretende di essere stato frainteso.
Ma questo fa parte di un gioco politico, fa parte della sua
intelligenza, magari un po’ animalesca, ma che sicuramente l’uomo
ha. Mi stupiscono di più e sono più perplesso davanti agli elettori
di Bossi, perché è gente, che non è che è stata su marte fino
all’altro ieri, ma che probabilmente ha votato per partiti per i
quali hanno votato tutti, molti credo per la D.C. per il P.S.I., e
adesso improvvisamente scoprire con indignazione che tutti erano
ladri, beh ma allora voi dov’eravate fino a due, tre anni fa. Credo
che uno dei mali del nostro paese sia la capacità che ognuno di noi
ha di riciclarsi, di scoprirsi antifascisti il giorno dopo essere
stati fascisti: dopo il 25 Aprile in Italia non si trovava un
fascista nemmeno a pagarlo oro, e in buona fede, magari uno c’aveva
la tessera del fascio e l’aveva strappata il giorno prima…Noi
dovremmo fare un operazione su noi stessi per rinnovare questo
paese, poi dopo possiamo votare per Bossi, per Occhetto, per chi ci
pare, ma se non ci chiariamo noi stessi, se non la smettiamo di
essere trasformisti noi, questo paese non andrà avanti.
INTERV.: Francesco, la domanda che ora mi
verrebbe subito da farti è questa: “come se ne esce da questa
situazione?”, però invece non te la faccio, se ne esce ritornando al
“Bandito e il campione”, che è stata definita da molti un genere “country”.
Te sei d’accordo, è un genere che è dentro di te, che rapporto hai
con la musica country, tuo fratello Luigi, queste cose…
DE GREGORI: La musica country è un genere
musicale e la canzone “Il bandito e il campione” sicuramente attinge
molto a quel genere, come ritmica e anche come testo direINTERV.:
l’idea di narrare una storia è tipico della musica country. E poi
insomma, la batteria suonata in quel modo, degli stilemi proprio
country. Io credo che però, oggi chi fa musica debba conoscere i
generi musicali, il country, il rock, il rap, la dance, ecc. e
utilizzarli per quanto può, e se può. Senza però appiattirsi sui
generi, sennò altrimenti si fanno delle fotocopie di cose che poi
non hanno vitalità. Un musicista deve usare i generi musicali che
gli stanno intorno come tanti strumenti, da adottare, da utilizzare,
da mischiare insieme, per creare qualcosa di suo, qualcosa che abbia
la sua firma. In questo senso allora la canzone, ma anche la musica
di mio fratello è country, ma è soprattutto una canzone di Luigi
Grechi e non può essere una canzone di altri artisti, è un esempio
di genere musicale utilizzato bene. Non è detto che sto facendo
pubblicità, né a me né a mio fratello, è solo quello che penso, non
bisogna aver paura di dire quello che uno pensa.
INTERV.: Pubblicità per pubblicità, passiamo
invece ad un’altra canzone che mi da lo spunto per farti una domanda
precisa. “Povero me”, una canzone in cui tu dici “…i simpatici mi
stanno antipatici, i comici mi rendono triste…”, ma te con chi ce
l’hai, Francesco?
DE GREGORI: Questa è una domanda terribile…
INTERV.: Beh, diciamo allora che se non facciamo
domande terribili, non si divertono i nostri ascoltatori…
DE GREGORI: Questa l’avete scovata col lanternino
proprio. Ma, in realtà ecco, ti devo dire, c’è un mio fastidio un
po’ per la satira. A me non fanno ridere, trovo che su certi
argomenti non si possa scherzare. A me fanno ridere i comportamenti
involontari delle persone, lo dico continuamente, quindi se uno si
sforza di farmi ridere non ci riesce…”i comici che mi rendono
triste” sono questi qua, eleggendo Forattini a caposchiera di questi
qua. “I simpatici che mi stanno antipatici”, ad esempio la
televisione al sabato sera, mette in vetrina tutti questi “simpatici
che mi stanno antipatici”. Cioè sono quelli che ridono, che ti danno
pacche sulle spalle, che si agitano, io preferisco gli antipatici,
perché negli antipatici scava scava riesci a trovare la simpatia,
nei simpatici, basta che scavi un poco e non trovi niente, trovi il
nulla, dietro questa apparente simpatia trovi il vuoto e allora…
Però è una canzone molto rissosa, mi avete fatto una domanda
terribile…!Poi la cancelliamo questa qui…! (ridono)
INTERV.: Francesco, tu per questa puntata di
Radio Tutto ci hai fatto un regalo, ci hai regalato una chicca in
musica che ascolteremo alla fine dell’ intervista. Nei vuoi parlare
un po’ ?
DE GREGORI: In questa cosa viene fuori tutta la
tua toscanità…”una chicca”…Beh, la “chicca” come dici tu molto
carinamente è una mia canzone registrata a Reggio Calabria, che è
stata estromessa dall’album “Il bandito e il campione” perché non
c’entrava, per motivi fisici, diciamo anche questo, alla gente che
sta a sentirci. In un Compact Disc non entrano più di settantatre,
settantaquattro minuti di musica. Questa io l’avrei messa volentieri
però non c’entrava, allora l’ho sacrificata…tu mi chiederai: ”Perché
proprio quella?”, insomma non lo so, perché quel giorno mi girava
così, e mi fa piacere adesso avere l’occasione per poterla in
qualche modo rendere pubblica e…buon ascolto, secondo me è una bella
canzone, ma non dovrei dirlo io.
INTERV.: Aspettando il prossimo disco dal vivo di
Francesco, perché anche altre canzoni meritano di essere fissate
nella memoria del pubblico, ringraziamo tutti quanti per l’ascolto,
a risentirci presto su queste stesse onde Radio Tutto, ciao a tutti
quanti, ciao a Francesco De Gregori, grazie.
IN VIAGGIO CON FRANCESCO - 16.11.1993
Tratto da un MC allegato al n. 2/’94 di “Tutto
Musica & Spettacolo”
Intervista registrata in un bar di Milano da
Ubaldo Borchini e Fabrizio Zanuttini
|
|